Niccolò Machiavelli
La vita di Castruccio Castracani da Lucca
(parte II)
Era venuto in questo
tempo in Italia Federigo di Baviera, re de' Romani, per prendere la corona dello Imperio.
Il quale Castruccio si fece amico, e lo andò a trovare con cinquecento cavagli; e lasciò
in Lucca suo luogotenente Pagolo Guinigi, del quale, per la memoria del padre, faceva
quella stimazione che se e' fussi nato di lui. Fu ricevuto Castruccio da Federigo
onoratamente e datogli molti privilegi, e lo fece suo luogotenente in Toscana. E perché i
Pisani avevono cacciato Gaddo della Gherardesca, e per paura di lui erano ricorsi a
Federigo per aiuto, Federigo fece Castruccio signore di Pisa; e i Pisani per timore di
parte guelfa, e in particulare de' Fiorentini, lo accettorono.
Tornatosene pertanto Federigo nella
Magna, e lasciato uno governatore a Roma, tutti e' Ghibellini toscani e lombardi, che
seguivano le parti dello imperadore, si rifuggirono a Castruccio, e ciascuno gli
prometteva lo imperio della sua patria, quando per suo mezzo Vi rientrasse; intra quali
furono Matteo Guidi, Nardo Scolari, Lapo Uberti, Gerozzo Nardi e Piero Buonaccorsi, tutti
ghibellini e fuora usciti fiorentini. E disegnando Castruccio per il mezzo di costoro e
con le sue forze farsi signore di tutta Toscana, per darsi più reputazione si accostò
con messer Matteo Visconti principe di Milano, e ordinò tutta la città e il suo paese
alle armi. E perché Lucca aveva cinque porte, divise in cinque parti el contado, e quello
armò e distribuì sotto capi e insegne, tale che in uno subito metteva insieme ventimila
uomini, sanza quegli che gli potevano venire in aiuto da Pisa. Cinto adunque di queste
forze e di questi amici, accadde che messer Matteo Visconti fu assaltato dai Guelfi di
Piacenza; i quali avevono cacciati i Ghibellini, in aiuto de' quali e' Fiorentini e il re
Ruberto avevono mandate loro gente. Donde che messer Matteo richiese Castruccio che
dovesse assaltare e' Fiorentini, acciò che quegli, costretti a difendere le case loro
revocassino le loro gente di Lombardia. Così Castruccio con assai gente assaltò il
Valdarno, e occupò Fucecchio e San Miniato con grandissimo danno del paese; onde che i
Fiorentini per questa necessità rivocorono le loro genti. Le quali a fatica erono tornate
in Toscana, che Castruccio fu costretto da un'altra necessità tornare a Lucca.
Era, in quella città, la famiglia di
Poggio potente per avere fatto non solamente grande Castruccio ma principe; e non le
parendo essere remunerata secondo i suoi meriti, convenne con altre famiglie di Lucca di
ribellare la città e cacciarne Castruccio. E presa una mattina occasione, corsono armate
al luogotenente che Castruccio sopra la giustizia vi teneva, e lo ammazzorono. E volendo
seguire di levare il popolo a romore, Stefano di Poggio, antico e pacifico uomo il quale
nella congiura non era intervenuto, si fece innanzi, e costrinse con la autorità sua i
suoi a posare le armi, offerendosi di essere mediatore intra loro e Castruccio a fare
ottenere a quegli i desiderii loro. Posorono pertanto coloro le arme, non con maggiore
prudenza che le avessero prese; per che Castruccio, sentita la novità seguita a Lucca,
sanza mettere tempo in mezzo, con parte delle sue genti, lasciato Pagolo Guinigi capo del
resto, se ne venne in Lucca. E trovato, fuora di sua opinione, posato el romore,
parendogli avere più facilità di assicurarsi, dispose e' suoi partigiani armati per
tutti e' luoghi opportuni. Stefano di Poggio, parendogli che Castruccio dovessi avere
obligo seco, lo andò a trovare, e non pregò per sé, perché giudicava non avere di
bisogno, ma per gli altri di casa, pregandolo che condonasse molte cose alla giovanezza,
molte alla antica amicizia e obligo che quello aveva con la loro casa. Al quale Castruccio
rispose gratamente e lo confortò a stare di buono animo mostrandogli avere più caro
avere trovati posati e' tumulti, che non aveva avuto per male la mossa di quelli, e
confortò Stefano a fargli venire tutti a lui, dicendo che ringraziava Dio di avere avuto
occasione di dimostrare la sua clemenza e liberalità. Venuti adunque sotto la fede di
Stefano e di Castruccio, furono insieme con Stefano imprigionati e morti.
Avevano in questo mezzo e' Fiorentini
recuperato San Miniato; onde che a Castruccio parve di fermare quella guerra, parendogli,
infino ch'e' non si assicurava di Lucca, di non si potere discostare da casa. E fatto
tentare e' Fiorentini di triegua, facilmente gli trovò disposti, per essere ancora quegli
stracchi e desiderosi di fermare la spesa. Fecero adunque triegua per dua anni, e che
ciascuno possedessi quello che possedeva. Liberato dunque Castruccio dalla guerra, per non
incorrere più ne' pericoli era incorso prima, sotto varii colori e cagioni spense tutti
quegli in Lucca che potessero per ambizione aspirare al principato; né perdonò ad
alcuno, privandogli della patria e della roba, e, quegli che poteva avere nelle mani,
della vita, affermando di avere conosciuto per esperienza niuno di quegli potergli essere
fedele. E per più sua sicurtà, fondò una fortezza in Lucca, e si servì della materia
delle torre di coloro ch'egli aveva cacciati e morti.
Mentre che Castruccio aveva posate le
armi co' Fiorentini e che e' si affortificava in Lucca, non mancava di fare quelle cose
che poteva sanza manifesta guerra operare, per fare maggiore la sua grandezza. E avendo
desiderio grande di occupare Pistoia, parendogli, quando ottenessi la possessione di
quella città, di avere un piè in Firenze, si fece in varii modi tutta la montagna amica;
e con le parti di Pistoia si governava in modo che ciascuna confidava in lui. Era allora
quella città divisa, come fu sempre, in Bianchi e Neri. Capo de' Bianchi era Bastiano di
Possente, de' Neri, Iacopo da Gia; de' quali ciascuno teneva con Castruccio strettissime
pratiche, e qualunque di loro desiderava cacciare l'altro; tanto che l'uno e l'altro, dopo
molti sospetti, vennono alle armi. Iacopo si fece forte alla Porta Fiorentina, Bastiano
alla Lucchese, e confidando l'uno e l'altro più in Castruccio che ne' Fiorentini,
giudicandolo più espedito e più presto in su la guerra, mandorono a lui secretamente,
l'uno e l'altro, per aiuti; e Castruccio all'uno e all'altro gli promisse, dicendo a
Iacopo che verrebbe in persona, e a Bastiano che manderebbe Pagolo Giunigi suo allievo. E
dato loro il tempo a punto, mandò Pagolo per la via di Pescia, ed esso a dirittura se
n'andò a Pistoia; e in su la mezza notte, ché così erano convenuti Castruccio e Pagolo,
ciascuno fu a Pistoia, e l'uno e l'altro fu ricevuto come amico. Tanto che entrati dentro,
quando parve a Castruccio, fece il cenno a Pagolo; dopo il quale l'uno uccise Iacopo da
Gia e l'altro Bastiano di Possente; e tutti gli altri loro partigiani furono parte presi e
parte morti; e corsono sanza altre opposizioni Pistoia per loro; e tratta la Signoria di
palagio, costrinse Castruccio il popolo a dargli obedienza, faccendo a quello molte
rimessioni di debiti vecchi e molte offerte; e così fece a tutto el contado, il quale era
corso in buona parte a vedere il nuovo principe; tale che ognuno, ripieno di speranza,
mosso in buona parte dalle virtù sue, si quietò.
Occorse, in questi tempi, che il popolo
di Roma cominciò a tumultuare per il vivere caro, causandone l'assenzia del pontefice che
si trovava in Avignone, e biasimando i governi tedeschi in modo che e' si facevano ogni
dì degli omicidii e altri disordini, sanza che Enrico luogotenente dello imperadore vi
potesse rimediare, tanto che ad Enrico entrò un gran sospetto, che i Romani non
chiamassino el re Ruberto di Napoli, e lui cacciassero di Roma, e restituissenla al papa.
Né avendo el più propinquo amico a chi ricorrere che Castruccio. Lo mandò a pregare
fussi contento, non solamente mandare aiuti, ma venire in persona a Roma. Giudicò
Castruccio che non fussi da differire, sì per rendere qualche merito allo imperadore, sì
perché giudicava, qualunche volta lo imperadore non fussi a Roma, non avere rimedio.
Lasciato adunque Pagolo Guinigi a Lucca, se ne andò con secento cavagli a Roma, dove fu
ricevuto da Enrico con grandissimo onore; e in brevissimo tempo la sua presenza rendé
tanta riputazione alla parte dello Imperio che, sanza sangue o altra violenza, si mitigò
ogni cosa; perché, fatto venire Castruccio per mare assai frumento del paese di Pisa,
levò la cagione dello scandalo; di poi, parte ammunendo, parte gastigando i capi di Roma,
gli ridusse volontariamente sotto il governo di Enrico. E Castruccio fu fatto senatore di
Roma, e datogli molti altri onori dal popolo romano. Il quale ufficio Castruccio prese con
grandissima pompa, e si misse una toga di broccato indosso, con lettere dinanzi che
dicevano: "Egli è quel che Dio vuole", e di dietro dicevano: "E' sarà
quel che Dio vorrà".
In questo mezzo e' Fiorentini, e' quali
erano mali contenti che Castruccio si fussi ne' tempi della triegua insignorito di
Pistoia, pensavano in che modo potessino farla ribellare; il che per la assenzia sua
giudicavano facile. Era intra gli usciti Pistolesi che a Firenze si trovavano, Baldo
Cecchi e Iacopo Baldini, tutti uomini di autorità e pronti a mettersi a ogni sbaraglio.
Costoro tennono pratica con loro amici di dentro, tanto che, con lo aiuto de' Fiorentini,
entrorno di notte in Pistoia e ne cacciorno e' partigiani e ufficiali di Castruccio, e
parte ne ammazzorono, e renderono la libertà alla città. La quale nuova dette a
Castruccio noia e dispiacere grande; e presa licenza da Enrico, a gran giornate con le sue
genti se ne venne a Lucca. I Fiorentini, come intesono la tornata di Castruccio, pensando
che ei non dovessi posare, deliberorono di anticiparlo e, con le loro gente, entrare prima
in Val di Nievole che quello, giudicando che se eglino occupassino quella valle, gli
venivano a tagliare la via di potere recuperare Pistoia; e contratto uno grosso esercito
di tutti gli amici di parte guelfa, vennono nel Pistolese. Dall'altra parte Castruccio con
le sue gente ne venne a Montecarlo; e inteso dove lo esercito de' Fiorentini si trovava,
deliberò di non andare a incontrarlo nel piano di Pistoia né di aspettarlo nel piano di
Pescia, ma, se fare potesse, di affrontarsi seco nello stretto di Serravalle, giudicando,
quando tale disegno gli riuscisse, di riportarne la vittoria certa, perché intendeva i
Fiorentini avere insieme trentamila uomini, ed esso ne aveva scelti de' suoi dodicimila. E
benché si confidassi nella industria sua e virtù loro, pure dubitava, appiccandosi nel
luogo largo, di non essere circundato dalla moltitudine de' nimici.
E` Serravalle uno castello tra Pescia e
Pistoia, posto sopra uno colle che chiude la Val di Nievole, non in sul passo proprio, ma
di sopra a quello dua tratti di arco. Il luogo donde si passa è più stretto che repente,
perché da ogni parte sale dolcemente; ma è in modo stretto, massimamente in sul colle
dove le acque si dividono, che venti uomini accanto l'uno all'altro lo occuperebbeno. In
questo luogo aveva disegnato Castruccio affrontarsi con gli inimici, sì perché le sue
poche gente avessero vantaggio, sì per non iscoprire e' nimici prima che in su la zuffa,
dubitando che i suoi, veggendo la moltitudine di quegli, non isbigottissino. Era signore
del castello di Serravalle messer Manfredi, di nazione tedesca; il quale, prima che
Castruccio fussi signore di Pistoia, era stato riserbato in quel castello come in luogo
comune ai Lucchesi e a' Pistolesi, né di poi ad alcuno era accaduto offenderlo,
promettendo quello a tutti stare neutrale, né si obligare ad alcuno di loro; sì che per
questo, e per essere in luogo forte, era stato mantenuto. Ma venuto questo accidente,
divenne Castruccio desideroso di occupare quello luogo- e avendo stretta amicizia con uno
terrazzano, ordinò in modo, con quello, che la notte davanti che si avessi a venire alla
zuffa ricevesse quattrocento uomini de' suoi, e ammazzasse il signore.
E stando così preparato, non mosse lo
esercito da Montecarlo, per dare più animo ai Fiorentini a passare. E' quali perché
desideravono discostare la guerra da Pistoia e ridurla in Val di Nievole si accamporono
sotto Serravalle con animo di passare, el dì di poi, il colle. Ma Castruccio, avendo
sanza tumulto preso la notte il castello, si partì in su la mezza notte da Montecarlo, e
tacito con le sue genti arrivò la mattina a piè di Serravalle; in modo che a un tratto i
Fiorentini ed esso, ciascuno dalla sua parte incominciò a salire la costa. Aveva
Castruccio le sue fanterie diritte per la via ordinaria, e una banda di quattrocento
cavagli aveva mandata in su la mano manca verso il castello. I Fiorentini, dall'altra
banda, avieno mandati innanzi quattrocento cavagli, e di poi avevono mosse le fanterie e,
dietro a quelle, le genti d'arme; né credevano trovare Castruccio in sul colle, perché
non sapevano ch'ei si fusse insignorito del castello. In modo che, insperatamente, i
cavagli de' Fiorentini, salita la costa, scopersono le fanterie di Castruccio, e
trovoronsi tanto propinqui a loro, che con fatica ebbono tempo ad allacciarsi le celate.
Sendo pertanto gli impreparati assaltati dai preparati e ordinati, con grande animo li
spinsono, e quelli con fatica resisterono; pure si fece testa per qualcuno di loro, ma,
disceso il romore per il resto del campo de' Fiorentini, si riempié di confusione ogni
cosa. I cavagli erono oppressi dai fanti, i fanti dai cavagli e dai carriaggi; i capi non
potevono per la strettezza del luogo andare né innanzi né indietro, di modo che niuno
sapeva in tanta confusione quello si potesse o dovesse fare. Intanto e' cavagli, che erono
alle mani con le fanterie nimiche, erano ammazzati e guasti sanza potere difendersi,
perché la malignità del sito non gli lasciava; pure più per forza che per virtù
resistevono, perché, avendo dai fianchi i monti, di dietro gli amici e dinanzi gli
inimici, non restava loro alcuna via aperta alla fuga.
Intanto Castruccio, veduto che i suoi non
bastavano a fare voltare e' nimici, mandò mille fanti per la via del castello; e fattogli
scendere con quattrocento cavagli che quello aveva mandati innanzi, li percossono per
fianco con tanta furia, che le genti fiorentine non potendo sostenere lo impeto di quelli,
vinti più da il luogo che da' nimici, cominciorno a fuggire. E cominciò la fuga da
quelli che erono di dietro verso Pistoia, i quali distendendosi per il piano, ciascuno,
dove meglio gli veniva, provvedeva alla sua salute.
Fu questa rotta grande, e piena di
sangue. Furono presi molti capi, intra quali furono Bandino de' Rossi, Francesco
Brunelleschi e Giovanni della Tosa, tutti nobili fiorentini, con di molti altri Toscani e
regnicoli, i quali, mandati da il re Ruberto in favore de' Guelfi, con i Fiorentini
militavano.
I Pistolesi, udita la rotta, sanza
differire, cacciata la parte amica a' Guelfi, si dettono a Castruccio. Il quale, non
contento di questo, occupò Prato e tutte le castella del piano, così di là come di qua
d'Arno; e si pose con le genti nel piano di Peretola, propinquo a Firenze a dua miglia;
dove stette molti giorni a dividere la preda e a fare festa della vittoria avuta, faccendo
in dispregio de' Fiorentini battere monete, correre palii a cavagli, a uomini e a
meretrici. Né mancò di volere corrompere alcuno nobile cittadino, perché gli aprisse la
notte le porte di Firenze; ma, scoperta la congiura, furono presi e decapitati Tommaso
Lupacci e Lambertuccio Frescobaldi.
Sbigottiti, adunque, i Fiorentini per la
rotta, non vedevono rimedio a potere salvare la loro libertà; e per essere più certi
degli aiuti, mandorono oratori a Ruberto re di Napoli, a dargli la città e il dominio di
quella. Il che da quel re fu accettato, non tanto per lo onore fattogli dai Fiorentini,
quanto perché sapeva di quale momento era allo stato suo che la parte guelfa mantenessi
lo stato di Toscana. E convenuto con i Fiorentini di avere dugentomila fiorini l'anno,
mandò a Firenze Carlo, suo figliuolo, con quattromila cavagli.
Intanto e' Fiorentini si erano alquanto
sollevati dalle genti di Castruccio, perché egli era stato necessario partirsi di sopra
e' loro terreni e andarne a Pisa, per reprimere una congiura fatta contro di lui da
Benedetto Lanfranchi, uno de' primi di Pisa. Il quale, non potendo sopportare che la sua
patria fussi serva d'uno Lucchese, gli congiurò contra, disegnando occupare la cittadella
e, cacciatane la guardia, ammazzare i partigiani di Castruccio. Ma perché in queste cose
se il poco numero è sufficiente al segreto, non basta alla esecuzione, mentre che e'
cercava di ridurre più uomini a suo proposito, trovò chi questo suo disegno scoperse a
Castruccio. Né passò questa revelazione sanza infamia di Bonifacio Cerchi e Giovanni
Guidi fiorentini, i quali si trovavano confinati a Pisa; onde, posto le mani addosso a
Benedetto, lo ammazzò, e tutto el restante di quella famiglia mandò in esilio, e molti
altri nobili cittadini decapitò. E parendogli avere Pistoia e Pisa poco fedeli, con
industria e forza attendeva ad assicurarsene; il che dette tempo ai Fiorentini di
ripigliare le forze, e potere aspettare la venuta di Carlo. Il quale venuto, deliberarono
di non perdere tempo, e ragunorono insieme grande gente, perché convocorono in loro aiuto
quasi tutti i Guelfi di Italia, e feciono uno grossissimo esercito di più di trentamila
fanti e diecimila cavagli. E consultato quale dovessino assalire prima, o Pistoia o Pisa,
si risolverono fusse meglio combattere Pisa, come cosa più facile a riuscire per la
fresca congiura che era stata in quella, e di più utilità, giudicando, avuta Pisa,
Pistoia per se medesima si arrendesse.
Usciti adunque i Fiorentini fuora con
questo esercito, allo entrare di maggio del milletrecentoventotto, occuparono subito la
Lastra, Signa, Montelupo ed Empoli, e ne vennono con lo esercito a San Miniato.
Castruccio, dall'altra parte, sentendo el grande esercito che i Fiorentini gli avieno
mosso contra, non sbigottito in alcuna parte, pensò che questo fusse quel tempo che la
fortuna gli dovesse mettere in mano lo imperio di Toscana, credendo che gli inimici non
avessero a fare migliore prova in quello di Pisa che si facessero a Serravalle, ma che non
avessino già speranza di rifarsi come allora; e ragunato ventimila de' suoi uomini a piè
e quattromila cavagli, si pose con lo esercito a Fucecchio, e Pagolo Guinigi mandò con
cinquemila fanti in Pisa. E` Fucecchio posto in luogo più forte che alcuno altro castello
di quello di Pisa, per essere in mezzo intra la Gusciana e Arno, ed essere alquanto
rilevato da il piano; dove stando, non li potevano i nimici, se non facevano dua parte di
loro, impedire le vettovaglie che da Lucca o da Pisa non venissino; né potevano, se non
con loro disavvantaggio, o andare a trovarlo o andare verso Pisa; perché, nell'uno caso,
potevono essere messi in mezzo dalle genti di Castruccio e da quelle di Pisa; nell'altro,
avendo a passare Arno, non potevono farlo, con il nimico addosso, se non con grande loro
pericolo. E Castruccio, per dare loro animo di pigliare questo partito di passare, non si
era posto con le genti sopra la riva d'Arno, ma allato alle mura di Fucecchio, e aveva
lasciato spazio assai intra il fiume e lui.