Niccolò Machiavelli
Dell'arte della guerra
Libro terzo
(continuazione)
FABRIZIO Questa domanda vostra
ha bisogno, perch'ella ha assai capi, d'una lunga risposta. Egli è vero che io non feci
tirare l'artiglieria più che una volta e ancora di quella una stetti in dubbio. La
cagione è, perché egli importa più a uno guardare di non essere percosso che non
importa percuotere il nimico. Voi avete a intendere che, a volere che una artiglieria non
ti offenda, è necessario o stare dov'ella non ti aggiunga, o mettersi dietro a uno muro o
dietro a uno argine. Altra cosa non è che la ritenga; ma bisogna ancora che l'uno e
l'altro sia fortissimo. Quegli capitani che si riducono a fare giornata, non possono stare
dietro a' muri o agli argini, né dove essi non sieno aggiunti. Conviene adunque loro,
poiché non possono trovare uno modo che gli difenda, trovarne uno per il quale essi sieno
meno offesi; né possono trovare altro modo che preoccuparla subito. Il modo del
preoccuparla è andare a trovarla tosto e rotto, non adagio e in mucchio; perché, con la
prestezza, non se le lascia raddoppiare il colpo e, per la radità, può meno numero
d'uomini offendere. Questo non può fare una banda di gente ordinata, perché, s'ella
cammina ratta, ella si disordina; s'ella va sparsa, non dà quella fatica al nimico di
romperla, perché si rompe per se stessa. E però io ordinai l'esercito in modo che
potesse fare l'una cosa e l'altra; perché, avendo messo nelle sue corna mille veliti,
ordinai che, dopo che le nostre artiglierie avessono tratto, uscissero insieme con la
cavalleria leggiere a occupare l'artiglierie nimiche. E però non feci ritrarre
l'artiglieria mia, per non dare tempo alla nimica; perché e' non si poteva dare spazio a
me e torlo ad altri. E per quella cagione che io non la feci trarre la seconda volta, fu
per non le lasciare trarre la prima, acciò che, anche la prima volta, la nimica non
potesse trarre. Perché, a volere che l'artiglieria nimica sia inutile, non è altro
rimedio che assaltarla perché, se i nimici l'abbandonano, tu la occupi; se la vogliono
difendere, bisogna se la lascino dietro; in modo che occupata da' nimici e dagli amici,
non può trarre. Io crederrei che sanza esempli queste ragioni vi bastassero; pure,
potendone dare degli antichi, lo voglio fare. Ventidio venendo a giornata con li Parti, la
virtù de' quali in maggior parte consisteva negli archi e nelle saette, gli lasciò quasi
venire sotto i suoi alloggiamenti, avanti che traesse fuora l'esercito; il che solamente
fece per poterli tosto occupare e non dare loro spazio a trarre. Cesare in Francia
referisce che, nel fare una giornata con gli nimici, fu con tanta furia assaltato da loro,
che i suoi non ebbero tempo a trarre i dardi secondo la consuetudine romana. Pertanto si
vede che, a volere che una cosa che tira discosto, sendo alla campagna, non ti offenda,
non ci è altro rimedio che, con quanta più celerità si può, occuparla. Un'altra
cagione ancora mi moveva a fare sanza trarre l'artiglieria, della quale forse voi vi
riderete; pure io non giudico ch'ella sia da spregiarla. E' non è cosa che facci maggiore
confusione in uno esercito che impedirgli la vista; onde che molti gagliardissimi eserciti
sono stati rotti, per essere loro stato impedito il vedere o dalla polvere o dal sole. Non
è ancora cosa che più impedisca la vista che 'l fumo che fa l'artiglieria nel trarla,
però io crederrei che fusse più prudenza lasciare accecarsi il nimico da se stesso, che
volere tu cieco, andarlo a trovare. Però o io non la trarrei, o (perché questo non
sarebbe approvato, rispetto alla riputazione che ha l'artiglieria) io la metterei in su'
corni dell'esercito, acciò che, traendola con il fumo ella non accecasse la fronte di
quello, che è la 'mportanza delle mie genti. E che lo impedire la vista al nimico sia
cosa utile, se ne può addurre per esemplo Epaminonda; il quale, per accecare l'esercito
nimico che veniva a fare seco giornata, fece correre i suoi cavagli leggieri innanzi alla
fronte de' nimici, perché levassono alta la polvere e gli impedissono la vista; il che
gli dette vinta la giornata. Quanto al parervi che io abbia guidati i colpi delle
artiglierie a mio modo, faccendogli passare sopra la testa de' fanti, vi rispondo che sono
molte più le volte, e sanza comparazione, che l'artiglierie grosse non percuotono le
fanterie, che quelle ch'elle percuotono; perché la fanteria è tanto bassa e quelle sono
sì difficili a trattare, che, ogni poco che tu l'alzi, elle passano sopra la testa de'
fanti; e se l'abbassi, danno in terra, e il colpo non perviene a quegli. Salvagli ancora
la inequalità del terreno, perché ogni poco di macchia o di rialto che sia tra' fanti e
quelle, le impedisce. E quanto a' cavagli, e massime quegli degli uomini d'arme, perché
hanno a stare più stretti che i leggieri, e per essere più alti possono essere meglio
percossi, si può, infino che l'artiglierie abbiano tratto, tenergli nella coda dello
esercito. Vero è che assai più nuocono gli scoppietti e l'artiglierie minute, che
quelle; alle quali è il maggiore rimedio venire alle mani tosto; e se nel primo assalto
ne muore alcuno, sempre ne morì; e uno buono capitano e uno buono esercito non ha a
temere uno danno che sia particolare, ma uno generale; ed imitare i Svizzeri, i quali non
schifarono mai giornata sbigottiti dalle artiglierie; anzi puniscono di pena capitale
quegli che per paura di quelle o si uscissero della fila o facessero con la persona alcuno
segno di timore. Io le feci, tratto ch'elle ebbero, ritirare nell'esercito, perch'elle
lasciassero il passo libero alle battaglie. Non ne feci più menzione, come di cosa
inutile, appiccata che è la zuffa. Voi avete ancora detto che, rispetto alla furia di
questo instrumento, molti giudicano l'armi e gli ordini antichi essere inutili, e pare per
questo vostro parlare, che i moderni abbiano trovati ordini e armi che contro
all'artiglieria sieno utili. Se voi sapete questo, io arò caro che voi me lo insegniate,
perché infino a qui non ce ne so io vedere alcuno, né credo se ne possa trovare. In modo
che io vorrei intendere da cotestoro, per quali cagioni i soldati a piè de' nostri tempi
portano il petto o il corsaletto di ferro e quegli a cavallo vanno tutti coperti d'arme;
perché, poi che dannano l'armare antico come inutile rispetto alle artiglierie,
doverrebbero fuggire ancora queste. Vorrei intendere anche per che cagione i Svizzeri, a
similitudine degli antichi ordini, fanno una battaglia stretta di sei o ottomila fanti, e
per quale cagione tutti gli hanno imitati, portando questo ordine quel medesimo pericolo,
per conto dell'artiglierie, che si porterebbono quegli altri che dell'antichità si
imitassero. Credo che non saprebbero che si rispondere; ma se voi ne dimandassi i soldati
che avessero qualche giudicio, risponderebbero, prima, che vanno armati, perché, sebbene
quelle armi non gli difendono dalle artiglierie, gli difendono dalle balestre, dalle
picche, dalle spade, da' sassi e da ogni altra offesa che viene da' nimici.
Risponderebbero ancora che vanno stretti insieme come i Svizzeri, per potere più
facilmente urtare i fanti, per potere sostenere meglio i cavagli e per dare più
difficultà al nimico a rompergli. In modo che si vede che i soldati hanno a temere molte
altre cose oltre alle artiglierie, dalle quali cose con l'armi e con gli ordini si
difendono. Di che ne seguita che, quanto meglio armato è uno esercito e quanto ha gli
ordini suoi più serrati e più forti, tanto è più sicuro. Tale che, chi è di quella
opinione che voi dite, conviene o che sia di poca prudenza, o che a queste cose abbia
pensato molto poco; perché, se noi veggiamo che una minima parte del modo dello armare
antico che si usa oggi, che è la picca, e una minima parte di quegli ordini, che sono i
battaglioni de' Svizzeri, ci fanno tanto bene e porgono agli eserciti nostri tanta
fortezza, perché non abbiamo noi a credere che l'altre armi e gli altri ordini che si
sono lasciati, sieno utili? Di poi, se noi non abbiamo riguardo all'artiglieria nel
metterci stretti insieme come i Svizzeri, quali altri ordini ci possono fare più temere
di quella? Con ciò sia cosa che niuno ordine può fare che noi temiamo tanto quella,
quanto quegli che stringono gli uomini insieme. Oltre a questo, se non mi sbigottisce
l'artiglieria de' nimici nel pormi col campo a una terra dov'ella mi offende con più sua
sicurtà (non la potendo io occupare per essere difesa dalle mura, ma solo, col tempo, con
la mia artiglieria impedire di modo ch'ella può raddoppiare i coipi a suo modo), perché
la ho io a temere in campagna dove io la posso tosto occupare? Tanto che io vi conchiudo
questo: che l'artiglierie, secondo l'opinione mia, non impediscono che non si possano
usare gli antichi modi e mostrare l'antica virtù. E se io non avessi parlato altra volta
con voi di questo instrumento, mi vi distenderei più; ma io mi voglio rimettere a quello
che allora ne dissi.
LUIGI Noi possiamo avere
inteso benissimo quanto voi ne avete circa l'artiglierie discorso; e, in somma, mi pare
abbiate mostro che lo occuparle prestamente sia il maggiore rimedio si abbia con quelle,
sendo in campagna e avendo uno esercito allo incontro. Sopra che mi nasce una dubitazione:
perché mi pare che il nimico potrebbe collocarle in lato nel suo esercito, ch'elle vi
offenderebbero, e sarebbono in modo guardate da' fanti, ch'elle non si potrebbero
occupare. Voi avete, se bene mi ricordo, nello ordinare lo esercito vostro a giornata
fatto intervalli di quattro braccia dall'una battaglia all'altra; fatto di venti quegli
che sono dalle battaglie alle picche estraordinarie. Se il nimico ordinasse l'esercito a
similitudine del vostro e mettesse l'artiglierie bene dentro in quegli intervalli, io
credo che di quivi elle vi offenderebbero con grandissima sicurtà loro, perché non si
potrebbe entrare nelle forze de' nimici a occuparle.
FABRIZIO Voi dubitate
prudentissimamente, e io mi ingegnerò o di risolvervi il dubbio o di porvi il rimedio. Io
vi ho detto che continuamente queste battaglie, o per lo andare o per il combattere, sono
in moto e sempre, per natura si vengono a ristringere- in modo che se voi fate gli
intervalii di poca larghezza dove voi mettete l'artiglierie, in poco tempo son ristretti
in modo che l'artiglieria non potrà più fare l'uffficio suo; se voi gli fate larghi per
fuggire questo pericolo, voi irrcorrerete in uno maggiore; ché voi per quegli intervalli
non solamente date commodità al nimico di occuparvi l'artiglieria, ma di rompervi. Ma voi
avete a sapere ch'egli è impossibile tenere l'artiglierie tra le schiere, massime quelle
che vanno in su le carrette, perché l'artiglierie camminano per uno verso e traggono per
l'altro; di modo che, avendo a camminare e trarre, è necessario, innanzi al trarre si
voltino e, per voltarsi, vogliono tanto spazio che cinquanta carri d'artiglieria
disordinerebbono ogni esercito. Però è necessario tenerle fuora delle schiere, dov'elle
possono essere combattute nel modo che poco fa dimostrammo. Ma poniamo ch'elle vi si
potessono tenere e che si potesse trovare una via di mezzo e di qualità che,
ristringendosi, non impedisse l'artiglieria e non fusse sì aperta ch'ella desse la via al
nimico; dico che ci si rimedia facilmente col fare all'incontro intervalli nell'esercito
tuo che dieno la via libera a' colpi di quella e così verrà la furia sua ad essere vana.
Il che si può fare facilissimamente, perché, volendo il nimico che l'artiglieria sua
stia sicura, conviene ch'egli la ponga dietro nell'ultima parte degli intervalli in modo
che i colpi di quella, a volere che non offendano i suoi proprii, conviene passino per una
linea retta e per quella medesima, sempre, e però col dare loro luogo, facilmente si
possono fuggire; perché questa è una regola generale: che a quelle cose le quali non si
possono sostenere, si ha a dare la via come facevano gli antichi a' liofanti e a' carri
falcati. Io credo, anzi sono più che certo, che vi pare che io abbia acconcia e vinta una
giornata a mio modo nondimeno io vi replico questo, quanda non basti quanto ho detto
infino a qui: che sarebbe impossibile che uno esercito così ordinato e armato, non
superasse nel primo scontro ogni altro esercito che si ordinasse come si ordinano gli
eserciti moderni. I quali il più delle volte non fanno se non una fronte, non hanno scudi
e sono di qualità disarmati,che non possono difendersi dal nimico propinquo; ed ordinansi
in modo che, se mettono le loro battaglie per fianco l'una all'altra, fanno l'esercito
sottile; se le mettono dietro l'una all'altra, non avendo modo a ricevere l'una l'altra,
lo fanno confuso e atto ad essere facilmente perturbato. E benché essi pongano tre nomi
agli loro eserciti e li dividano in tre schiere, antiguardo, battaglia e retroguardo,
nondimeno non se ne servono ad altro che a camminare e a distinguere gli alloggiamenti; ma
nelle giornate tutti gli obligano a uno primo impeto e a una prima fortuna.
LUIGI Io ho notato ancora, nel
fare la vostra giornata, come la vostra cavalleria fu ributtata da' cavagli nimici, donde
ch'ella si ritirò dalle picche estraor dinarie; donde nacque che, con l'aiuto di quelle,
sostenne e ripinse i nimici indietro. Io credo che le picche possano sostenere i cavagli,
come voi dite, ma in uno battaglione grosso e sodo, come fanno i Svizzeri; ma voi nel
vostro esercito avete per testa cinque ordini di picche e, per fianco, sette, in modo che
io non so come si possano sostenergli.
FABRIZIO Ancora che io v'abbia
detto come sei file si adoperavano nelle falangi di Macedonia ad un tratto, nondimeno voi
avete a intendere che uno battaglione de' Svizzeri, se fusse composto di mille file, non
ne può adoperare se non quattro o, al più, cinque; perché le picche sono lunghe nove
braccia uno braccio e mezzo e occupato dalie mani, donde alla prima fila resta libero
sette braccia e mezzo di picca. La seconda fila, oltre a quello ch'ella occupa con mano,
ne consuma uno braccio e mezzo nello spazio che resta tra l'una fila e l'altra, di modo
che non resta di picca utile se non sei braccia. Alla terza fila, per queste medesime
ragioni, ne resta quattro e mezzo; alla quarta tre, alla quinta uno braccio e mezzo.
L'altre file, per ferire, sono inutili, ma servono a instaurare queste prime file, come
avemo detto, e a fare come uno barbacane a quelle cinque. Se adunque cinque delle loro
file possono reggere i cavagli, perché non gli possono reggere cinque delle nostre, alle
quali ancora non manca file dietro che le sostengano e facciano loro quel medesimo
appoggio, benché non abbiano picche come quelle? E quando le file delle picche
estraordinarie che sono poste ne' fianchi, vi paressono sottili, si potrebbe ridurle in
uno quadro e porle per fianco alle due battaglie che io pongo nell'ultima schiera
dell'esercito; dal quale luogo potrebbono facilmente tutte insieme favorire la fronte e le
spalle dello esercito e prestare aiuto a' cavagli, secondo che il bisogno lo ricercasse.
LUIGI Useresti voi sempre questa
forma di ordine, quando voi volessi fare giornata ?
FABRIZIO No, in alcun modo:
perché voi avete a variare la forma dell'esercito secondo la qualità del sito e la
qualità e quantità del nimico; come se ne mostrerà, avanti che si fornisca questo
ragionamento, qualche esemplo. Ma questa forma vi si è data, non tanto come più
gagliarda che l'altre, che è in vero gagliardissima, quanto perché da quella prendiate
una regola e uno ordine a sapere conoscere i modi d'ordinare l'altre perché ogni scienza
ha le sue generalità, sopra le quali in buona parte si fonda. Una cosa solo vi ricordo:
che mai voi non ordiniate esercito in modo che, chi combatte dinanzi, non possa essere
sovvenuto da quegli che sono posti di dietro, perché, chi fa questo errore, rende la
maggior parte del suo esercito inutile, e, se riscontra alcuna virtù, non puo vincere.
LUIGI E' mi è nato sopra
questa parte uno dubbio. Io ho visto che nella disposizione delle battaglie voi fate la
fronte di cinque per lato, il mezzo di tre e l'ultime parti di due, ed io crederrei che
fusse meglio ordinarle al contrario, perché io penso che uno esercito si potesse con più
difficultà rompere, quando chi l'urtasse, quanto più penetrasse in quello, tanto più lo
trovasse duro, e l'ordine fatto da voi mi pare che faccia che, quanto più s'entri in
quello, tanto più si truovi debole.
FABRIZIO Se voi vi
ricordassi come a' triarii, i quali erano il terzo ordine delle legioni romane, non erano
assegnati più che secento uomini, voi dubiteresti meno, avendo inteso come quegli erano
posti nell'ultima schiera; perché voi vedresti come io, mosso da questo esemplo, ho posto
nella ultima schiera due battaglie, che sono novecento fanti; in modo che io vengo
piuttosto andando con l'ordine romano, a errare per averne tolti troppi che pochi. E
benche questo esemplo bastasse, io ve ne voglio dire la ragione. La quale è questa: la
prima fronte dello esercito si fa solida e spessa, perch'ella ha a sostenere l'impeto de'
nimici e non ha a ricevere in sé alcuno degli amici, e per questo conviene ch'ell'abbondi
di uomini, perché i pochi uomini la farebbero debole o per radità o per numero. Ma la
seconda schiera, perché ha prima a ricevere gli amici che a sostenere il nimico, conviene
che abbia gli intervalli grandi; e per questo conviene che sia di minore numero che la
prima, perché, s'ella fusse di numero maggiore o equale, converrebbe o non vi lasciare
gli intervalli, il che sarebbe disordine, o lasciandovegli, passare il termine di quelle
dinanzi; il che farebbe la forma dello esercito imperfetta. E non è vero quel che voi
dite: che 'l nimico, quanto più entra dentro al battaglione, tanto più lo truovi debole;
perché il nimico non può combattere mai col secondo ordine se 'l primo non è congiunto
con quello, ln modo che viene a trovare il mezzo del battaglione più gagliardo e non più
debole, avendo a combattere col primo e col secondo ordine insieme. Quel medesimo
interviene quando il nimico pervenisse alla schiera terza, perché quivi, non con due
battaglie che vi truova fresche, ma con tutto il battaglione arebbe a combattere. E
perché questa ultima parte ha a ricevere più uomini, conviene che gli spazi sieno
maggiori e, chi li riceve, sia minore numero.
LUIGI E mi piace quello che voi
avete detto; ma rispondetemi ancora a questo: se le cinque prime battaglie si ritirano tra
le tre seconde e, di poi, le otto tra le due terze, non pare possibile che, ridotte le
otto insieme e di poi le dieci insieme, cappiano, o quando sono otto o quando sono dieci,
in quel medesimo spazio che capevano le cinque.
FABRIZIO La prima cosa che io vi
rispondo, è ch'egli non è quel medesimo spazio; perché le cinque hanno quattro spazi in
mezzo, che ritirandosi tra le tre o tra le due, gli occupano: restavi poi quello spazio
che è tra uno battaglione e l'altro e quello che è tra le battaglie e le picche
estraordinarie; i quali spazi tutti fanno larghezza. Aggiugnesi a questo, che altro spazio
tengono le battaglie quando sono negli ordini sanza essere alterate, che quando le sono
alterate; perché, nell'alterazione, o elle stringono o elle allargano gli ordini.
Allargangli, quando temono tanto ch'elle si mettono in fuga; stringongli, quando temono in
modo ch'elle cercono assicurarsi non con la fuga, ma con la difesa tale che in questo caso
elle verrebbero a ristringersi e non a rallargarsi. Aggiugnesi a questo, che le cinque
file delle picche che sono davanti, appiccata ch'elle hanno la zuffa, si hanno tra le loro
battaglie a ritirare nella coda dell'esercito, per dare luogo agli scudati che possano
combattere; e quelle, andando nella coda dell'esercito, possono servire a quello che il
capitano giudicasse fusse bene operarle; dove dinanzi, mescolata che è la zuffa,
sarebbono al tutto inutili. E per questo gli spazi ordinati vengono ad essere del
rimanente delle genti capacissimi. Pure, quando questi spazi non bastassero, i fianchi dal
lato sono uomini e non mura, i quali, cedendo e rallargandosi, possono fare lo spazio di
tanta capacità che sia sufficiente a ricevergli.
LUIGI Le file delle picche
estraordinarie che voi ponete nell'esercito per fianco, quando le battaglie prime si
ritirano nelle seconde, volete voi ch'elle stieno salde e rimangano come due corna allo
esercito, o volete che ancora loro insieme con le battaglie si ritirino? Il che, quando
abbiano a fare, non veggo come si possano, per non avere dietro battaglie con intervalli
radi che le ricevano.
FABRIZIO Se il nimico non le
combatte quando egli sforza le battaglie a ritirarsi, possono star salde nell'ordine loro
e ferire il nimico per fianco, poi che le battaglie prime si fussero ritirate; ma se
combattesse ancora loro, come pare ragionevole, sendo sì possente che possa sforzare
l'altre, si deono ancora esse ritirare. Il che possono fare ottimamente, ancora ch'elle
non abbiano dietro chi le riceva; perché dal mezzo innanzi si possono raddoppiare per
dritto, entrando l'una fila nell'altra, nel modo che ragionammo quando si parlò
dell'ordine del raddoppiarsi. Vero è che a volere, raddoppiando, ritirarsi indietro,
conviene tenere altro modo che quello che io vi mostrai; perché io vi dissi che la
seconda fila aveva a entrare nella prima, la quarta nella terza, e così di mano in mano,
in questo caso non s'arebbe a cominciare davanti, ma di dietro, acciò che, raddoppiandosi
le file, si venissero a ritirare indietro, non a gire innanzi. Ma per rispondere a tutto
quello che da voi, sopra questa giornata da me dimostrata, si potesse replicare, io di
nuovo vi dico che io vi ho ordinato questo esercito e dimostro questa giornata per due
cagioni: l'una, per mostrarvi come si ordina, l'altra, per mostrarvi come si esercita.
Dell'ordine io credo che voi restiate capacissimi; e quanto allo esercizio, vi dico che si
dee, più volte che si può, mettergli insieme in queste forme, perché i capi imparino a
tenere le loro battaglie in questi ordini. Perché a' soldati particolari s'appartiene
tenere bene gli ordini di ciascuna battaglia, a' capi delle battaglie s'appartiene tenere
bene quelle in ciascuno ordine di esercito e che sappiano ubbidire al comandamento del
capitano generale. Conviene pertanto che sappiano congiugnere l'una battaglia con l'altra,
sappiano pigliare il luogo loro in un tratto; e perciò conviene che la bandiera di
ciascuna battaglia abbia descritto, in parte evidente, il numero suo, sì per poterle
comandare, sì perché il capitano e i soldati a quel numero più facilmente le
riconoscano. Deono ancora i battaglioni essere numerati e avere il numero nella loro
bandiera principale. Conviene, adunque, sapere di qual numero sia il battaglione posto nel
sinistro o nel destro corno, di quale numero sieno le battaglie poste nella fronte e nel
mezzo, e così l'altre di mano in mano. Vuolsi ancora che questi numeri sieno scala a'
gradi degli onori degli eserciti; verbigrazia: il primo grado sia il capodieci, il secondo
il capo de'cinquanta veliti ordinarii, il terzo il centurione, il quarto il capo della
prima battaglia, il quinto della seconda, il sesto della terza; e, di mano in mano, infino
alla decima battaglia, il quale fusse onorato in secondo luogo dopo al capo generale d'uno
battaglione, né potesse venire a quel capo alcuno se non vi fusse salito per tutti questi
gradi. E perché, fuora di questi capi, ci sono gli tre connestaboli delle picche
estraordinarie e gli due de' veliti estraordinarii, vorrei che fussono in quel grado del
connestabole della prima battaglia; né mi curerei che fussero sei uomini di pari grado,
acciò che ciascuno di loro facesse a gara per essere promosso alla seconda battaglia.
Sappiendo adunque ciascheduno di questi capi in quale luogo avesse a essere collocata la
sua battaglia, di necessità ne seguirebbe che, ad un suono di tromba, ritta che fusse la
bandiera capitana, tutto l'esercito sarebbe a' luoghi suoi. E questo è il primo esercizio
a che si debbe assuefare uno esercito, cioè a mettersi prestamente insieme; e per fare
questo conviene ogni giorno, e in uno giorno più volte, ordinarlo e disordinarlo.
LUIGI Che segno vorresti voi
che avessono le bandiere di tutto l'esercito, oltre al numero?
FABRIZIO Quella del eapitano
generale avesse il segno del principe dell'esercito; l'altre tutte potrebbero avere il
medesimo segno e variare con i campi, o variare con i segni, come paresse meglio al
signore dell'esercito; perché questo importa poco, pure che ne nasca l'effetto ch'elle si
conoscano l'una dall'altra. Ma passiamo all'altro esercizio, in che si debba esercitare
uno esercito; il quale è: farlo muovere e con il passo conveniente andare, e vedere che,
andando, mantenga gli ordini. Il terzo esercizio è ch'egli impari a maneggiarsi in quel
modo che si ha di poi a maneggiare nella giornata; far trarre l'artiglierie e ritirarle;
fare uscire fuora i veliti estraordinarii e, dopo uno sembiante di assalto, ritirargli,
fare che le prime battaglie, come s'elle fussono spinte, si ritirino nella radità delle
seconde e di poi tutte nelle terze, e di quivi ciascuna ritorni al suo luogo; e in modo
assuefargli in questo esercizio, che a ciascuno ogni cosa fosse nota e familiare; il che
con la pratica e con la familiarità si conduce prestissimamente. Il quarto esercizio è
ch'egli imparino a conoscere, per virtù del suono e delle bandiere, il comandamento del
loro capitano; perché quello che sarà loro pronunziato in voce, essi sanza altro
comandamento lo intenderanno. E perché l'importanza di questo comandamento dee nascere
dal suono, io vi dirò quali suoni usavano gli antichi. Da' Lacedemonii, secondo che
afferma Tucidide, ne' loro eserciti erano usati zufoli; perché gludicavano che questa
armonia fusse più atta a fare procedere il loro esercito con gravità e non con furia. Da
questa medesima ragione mossi i Cartaginesi, nel primo assalto usavàno la citera.
Aliatte, re de'Lidii, usava nella guerra la citera e i zufoli, ma Alessandro Magno e i
Romani usavano i corni e le trombe, come quelli che pensavano, per virtù di tali
istrumenti, potere più accendere gli animi de' soldati e fargli combattere più
gagliardamente. Ma come noi abbiamo, nello armare lo esercito preso del modo greco e del
romano, così nel distribuire i suoni servereno i costumi dell'una e dell'altra nazione.
Però farei presso al capitano generale stare i trombetti, come suono non solamente atto a
infiammare l'esercito, ma atto a sentirsi in ogni romore più che alcuno altro suono.
Tutti gli altri suoni che fussero intorno a' connestaboli e a' capi de' battaglioni,
vorrei che fussono tamburi piccoli e zufoli sonati, non come si suonano ora, ma come è
consuetudine sonargli ne' conviti. Il capitano, adunque, con le trombe mostrasse quando si
avesse a fermare o ire lnnanzi o tornare indietro, quando avessono a trarre l'artiglierie,
quando muovere gli veliti estraordinarii, e, con la variazione di tali suoni, mostrare
all'esercito tutti quegli moti che generalmente si possono mostrare; le quali trombe
fussero di poi seguitate da' tamburi. E in questo esercizio, perch'egli importa assai,
converrebbe assai esercitare il suo esercito. Quanto alla cavalleria, si vorrebbe usare
medesimamente trombe, ma di minore suono e di diversa voce da quelle del capitano. Questo
è quanto mi è occorso circa l'ordine dell'esercito e dell'esercizio di quello.
LUIGI Io vi priego che non
vi sia grave dichiararmi un'altra cosa: per che cagione voi facesti muovere con grida e
romore e furia i cavagli leggieri e i veliti estraordinarii, quando assaltarono, e di poi,
nello appiccare il resto dello esercito, mostrasti che la cosa seguiva con uno silenzio
grandissimo? E perché io non intendo la cagione di questa varietà, disidererei me la
dichiarassi.
FABRIZIO E' sono state varie
l'opinioni de' capitani antichi circa al venire alle mani: se si dee o con romore
accelerare il passo o con silenzio andare adagio. Questo ultimo modo serve a tenere
l'ordine più fermo e a intendere meglio i comandamenti del capitano. Quel primo serve ad
accendere più gli animi degli uomini. E perché io credo che si dee avere rispetto
all'una e all'altra di queste due cose, io feci muovere quegli con romore e quegli altri
con silenzio. Né mi pare in alcun modo che i romori continui sieno a proposito,
perch'egli impediscono i comandamenti; il che è cosa perniciosissima. Né è ragionevole
che i Romani, fuora del primo assalto, seguissero di romoreggiare, perché si vede, nelle
loro istorie, essere molte volte intervenuto, per le parole e conforti del capitano, i
soldati che fuggivano essersi fermi, e in varii modi per suo comandamento avere variati
gli ordini; il che non sarebbe seguito, se i romori avessero la sua voce superato.