Niccolò Machiavelli
Dell'arte della guerra
Libro secondo
Io credo che sia
necessario, trovati che sono gli uomini, armargli; e volendo fare questo, credo sia cosa
necessaria esaminare che arme usavano gli antichi, e di quelle eleggere le migliori. I
Romani dividevano le loro fanterie in gravemente e leggermente armate. Quelle dell'armi
leggieri chiamavano con uno vocabolo Veliti. Sotto questo nome s'intendevano tutti quegli
che traevano con la fromba, con la balestra, co' dardi, e portavano la maggior parte di
loro, per loro difesa, coperto il capo e come una rotella in braccio. Combattevano costoro
fuora degli ordini e discosti alla grave armadura; la quale era una celata che veniva
infino in sulle spalle, una corazza che con le sue falde perveniva infino alle ginocchia;
e avevano le gambe e le braccia coperte dagli stinieri e da' bracciali, con uno scudo
imbracciato lungo due braccia e largo uno, il quale aveva un cerchio di ferro di sopra,
per potere sostenere il colpo, e un altro di sotto, acciò che, in terra stropicciandosi,
non si consumasse. Per offendere avevano cinta una spada in sul fianco sinistro lunga uno
braccio e mezzo, in sul fianco destro uno stiletto. Avevano uno dardo in mano, il quale
chiamavono pilo, e nello appiccare la zuffa lo lanciavano al nimico. Questa era la
importanza delle armi romane, con le quali eglino occuparono tutto el mondo. E benché
alcuni di questi antichi scrittori dieno loro, oltre alle predette armi, una asta in mano
in modo che uno spiede, io non so come una asta grave si possa da chi tiene lo scudo
adoperare; perché, a maneggiarla con due mani, lo scudo lo impedisce, con una, non può
fare cosa buona per la gravezza sua. Oltre a questo, combattere nelle frotte e negli
ordini con l'arme in asta è inutile, eccetto che nella prima fronte dove si ha lo spazio
libero a potere spiegare tutta l'asta; il che negli ordini dentro non si può fare,
perché la natura delle battaglie, come nello ordine di quelle vi dirò, è continuamente
ristringersi; perché si teme meno questo, ancora che sia inconveniente, che il
rallargarsi, dove è il pericolo evidentissimo. Tal che tutte le armi che passano di
lunghezza due braccia, nelle stretture sono inutili; perché se voi avete l'asta e
vogliate adoperarla a due mani, posto che lo scudo non vi noiasse, non potete offendere
con quella uno nimico che vi sia addosso. Se voi la prendete con una mano, per servirvi
dello scudo, non la potendo pigliare se non nel mezzo, vi avanza tanta asta dalla parte di
dietro, che quelli che vi sono di dietro v'impediscono a maneggiarla. E che sia vero, o
che i Romani non avessono queste aste, o che, avendole, se ne valessono poco, leggete
tutte le giornate nella sua Istoria da Tito Livio celebrate, e vedrete, in quelle,
radissime volte essere fatta menzione delle aste; anzi sempre dice che, lanciati i pili,
ei mettevano mano alla spada. Però io voglio lasciare queste aste e attenermi, quanto a'
Romani, alla spada per offesa e, per difesa, allo scudo con l'altre armi sopradette. I
Greci non armavono sì gravemente per difesa come i Romani, ma, per offesa, si fondavono
più in su l'asta che in su la spada; e massime le falangi di Macedonia, le quali
portavano aste che chiamavono sarisse, lunghe bene dieci braccia, con le quali eglino
aprivono le stiere nimiche e tenevano gli ordini nelle loro falangi. E benché alcuni
scrittori dicono ch'egli avevano ancora lo scudo non so, per le ragioni dette di sopra
come e' potevano stare insieme le sarisse e quegli. Oltre a questo, nella giornata che
fece Paulo Emilio con Persa re di Macedonia, non mi ricorda che vi sia fatta menzione di
scudi, ma solo delle sarisse e delle difficultà che ebbe lo esercito romano a vincerle.
In modo che io conietturo che non altrimenti fusse una falange macedonica, che si sia oggi
una battaglia di Svizzeri, i quali hanno nelle picche tutto lo sforzo e tutta la potenza
loro. Ornavano i Romani, oltre alle armi, le fanterie con pennacchi, le quali cose fanno
l'aspetto d'uno esercito agli amici bello, a' nimici terribile. L'armi degli uomini a
cavallo, in quella prima antichità romana, erano uno scudo tondo, ed avevano coperto il
capo e il resto era disarmato. Avevano la spada, e una asta con il ferro solamente
dinanzi, lunga e sottile, donde venivano a non potere fermare lo scudo; e l'asta nello
agitarsi si fiaccava, ed essi, per essere disarmati, erano esposti alle ferite. Di poi con
il tempo si armarono come i fanti; ma avevano lo scudo più breve e quadrato e l'asta più
ferma e con due ferri, acciò che, scollandosi da una parte, si potessero valere
dell'altra. Con queste armi, così di piede come di cavallo, occuparono i miei Romani
tutto il mondo; ed è credibile, per il frutto che se ne vide, che fussono i meglio armati
eserciti che fussero mai. E Tito Livio nelle sue Istorie ne fa fede assai volte dove,
venendo in comparazione degli eserciti nimici, dice: "Ma i Romani per virtù, per
generazione di armi e disciplina erano superiori"; e però io ho più particolarmente
ragionato delle armi de' vincitori che de' vinti. Parmi bene solo da ragionare del modo
dello armare presente. Hanno i fanti, per loro difesa, uno petto di ferro e, per offesa
una lancia nove braccia lunga, la quale chiamano picca, con una spada al fianco piuttosto
tonda nella punta che acuta. Questo è l'armare ordinario delle fanterie d'oggi, perché
pochi ne sono che abbiano armate le stiene e le braccia, niuno il capo; e quelli pochi
portano in cambio di picca una alabarda, l'asta della quale, come sapete, è lunga tre
braccia e ha il ferro ritratto come una scure. Hanno tra loro scoppiettieri, i quali, con
lo impeto del fuoco, fanno quello ufficio che facevano anticamente i funditori e i
balestrieri. Questo modo dello armare fu trovato da' populi tedeschi e massime dai
Svizzeri; i quali, sendo poveri e volendo vivere liberi, erano e sono necessitati
combattere con la ambizione de' principi della Magna; i quali, per essere ricchi, potevano
nutrire cavagli, il che non potevano fare quelli popoli per la povertà; onde ne nacque
che, essendo a piè e volendosi difendere da' nimici che erano a cavallo, convenne loro
ricercare degli antichi ordini e trovare arme che dalla furia de' cavagli gli difendesse.
Questa necessità ha fatto o mantenere o ritrovare a costoro gli antichi ordini, sanza
quali, come ciascuno prudente afferma la fanteria è al tutto inutile. Presono pertanto
per arme le picche, arme utilissima non solamente a sostenere i cavagli, ma a vincergli. E
hanno per virtù di queste armi e di questi ordini presa i Tedeschi tanta audacia, che
quindici o ventimila di loro assalterebbero ogni gran numero di cavagli; e di questo da
venticinque anni in qua se ne sono vedute esperienze assai. E sono stati tanto possenti
gli esempli della virtù loro fondati in su queste armi e questi ordini, che poi che il re
Carlo passò in Italia, ogni nazione gli ha imitati; tanto che gli eserciti spagnuoli sono
divenuti in una grandissima reputazione.
COSIMO Quale modo di armare
lodate voi più: o questo tedesco o lo antico romano?
FABRIZIO II romano sanza
dubbio, e dirovvi il bene e il male dell'uno e dell'altro. I fanti tedeschi così armati
possono sostenere e vincere i cavalli; sono più espediti al cammino e all'ordinarsi, per
non essere carichi d'armi. Dall'altra parte sono esposti a tutti i colpi, e discosto e
d'appresso, per essere disarmati; sono inutili alle battaglie delle terre e ad ogni zuffa
dove sia gagliarda resistenza. Ma i Romani sostenevano e vincevano i cavagli, come questi;
erano securi da' colpi da presso e di lontano, per essere coperti d'armi; potevano meglio
urtare e meglio sostenere gli urti, avendo gli scudi; potevano più attamente nelle presse
valersi con la spada~ che questi con la picca; e se ancora hanno la spada, per essere
sanza lo scudo. Ella diventa in tale caso inutile. Potevano securamente assaltare le
terre, avendo il capo coperto e potendoselo meglio coprire con lo scudo. Talmente che ei
non avevano altra incommodità che la gravezza dell'armi e la noia dello averie a
condurre; le quali cose essi superavano con lo avvezzare il corpo a' disagi e con
indurirlo a potere durare fatica. E voi sapete come nelle cose consuete gli uomini non
patiscono. E avete ad intendere questo: che le fanterie possono avere a combattere con
fanti e con cavagli. E sempre fieno inutili quelle che non potranno o sostenere i cavagli,
o potendoli sostenere, abbiano nondimeno ad avere paura di fanterie che sieno meglio
armate e meglio ordinate che loro. Ora se voi considererete la fanteria tedesca e la
romana, voi troverrete nella tedesca attitudine, come abbiamo detto, a vincere i cavagli,
ma disavvantaggio grande quando combatte con una fanteria ordinata come loro e armata come
la romana. Tale che vi sarà questo vantaggio dall'una all'altra: che i Romani potranno
superare i fanti e i cavagli, i Tedeschi solo i cavagli.
COSIMO Io disidererei che
voi venissi a qualche esemplo più particolare, acciò che noi lo intendessimo meglio.
FABRIZIO Dico così: che voi
troverrete, in molti luoghi delle istorie nostre, le fanterie romane avere vinti
innumerabili cavagli, e mai troverrete ch'elle siano state vinte da uomini a piè, per
difetto ch'ell'abbiano avuto nell'armare, o per vantaggio che abbia avuto il nimico
nell'armi. Perché, se il modo del loro armare avesse avuto difetto, egli era necessario
che seguisse l'una delle due cose: o che, trovando chi armasse meglio di loro, ei non
andassono più avanti con gli acquisti, o che pigliassero de'modi forestieri e lasciassero
i loro. E perché non seguì né l'una cosa né l'altra, ne nasce che si può facilmente
conietturare che il modo dell'armare loro fusse migliore che quello di alcuno altro. Non
è già così intervenuto alle fanterie tedesche, perché si è visto fare loro cattiva
pruova qualunque volta quelle hanno avuto a combattere con uomini a piè, ordinati e
ostinati come loro, il che è nato dal vantaggio che quelle hanno riscontro nelle armi
nimiche. Filippo Visconti, duca di Milano, essendo assaltato da diciottomila Svizzeri,
mandò loro incontro il conte Carmignuola, il quale allora era suo capitano. Costui con
seimila cavagli e pochi fanti, gli andò a trovare, e, venendo con loro alle mani, fu
ributtato con suo danno gravissimo. Donde il Carmignuola, come uomo prudente, subito
conobbe la potenza dell'armi nimiche, e quanto contro a' cavagli le prevalevano, e la
debolezza de' cavagli contro a quegli a piè così ordinati; e rimesso insieme le sue
genti, andò a ritrovare i Svizzeri e, come fu loro propinquo, fece scendere da cavallo le
sue genti d'armi; e in tale maniera combattendo con quegli, tutti, fuora che tremila, gli
ammazzò; i quali, veggendosi consumare sanza avere rimedio, gittate l'armi in terra, si
arrenderono.
COSIMO Donde nasce tanto
disavvantaggio?
FABRIZIO Io ve l' ho poco fa
detto; ma poiché voi non lo avete inteso, io ve lo replicherò. Le fanterie tedesche,
come poco fa vi si disse, quasi disarmate per difendersi, hanno, per offendere, la picca e
la spada. Vengono con queste armi e con gli loro ordini a trovare il nimico, il quale, se
è bene armato per difendersi, come erano gli uomini d'arme del Carmignuola che gli fece
scendere a piè, viene con la spada e ne' suoi ordini a trovargli; e non ha altra
difficultà che accostarsi a' Svizzeri tanto che gli aggiunga con la spada; perché, come
gli ha aggiunti, li combatte securamente, perché il tedesco non può dare con la picca al
nimico che gli è presso per la lunghezza della asta, e gli conviene mettere mano alla
spada, la quale è a lui inutile, sendo egli disarmato e avendo all'incontro uno nimico
che sia tutto armato. Donde chi considera il vantaggio e il disavvantaggio dell'uno e
dell'altro, vedrà come il disarmato non vi avrà rimedio veruno; e il vincere la prima
punga e passare le prime punte delle picche non è molta difficultà, sendo bene armato
chi le combatte; perché le battaglie vanno (come voi intenderete meglio, quando io vi
arò dimostro com'elle si mettono insieme) e, andando, di necessità si accostano in modo
l'una all'altra, ch'elle si pigliano per il petto; e se dalle picche ne è alcuno morto o
gittato per terra, quegli che rimangono in piè sono tanti che bastano alla vittoria. Di
qui nacque che il Carmignuola vinse con tanta strage de' Svizzeri e con poca perdita de'
suoi.
COSIMO Considerate che
quegli del Carmignuola furono uomini d'arme, i quali, benché fussero a piè, erano
coperti tutti di ferro, e però poterono fare la pruova che fecero; sì che io mi penso
che bisognasse armare una fanteria come loro, volendo fare la medesima pruova.
FABRIZIO Se voi vi
ricordassi come io dissi che i Romani armavano, voi non penseresti a cotesto; perché uno
fante che abbia il capo coperto dal ferro, il petto difeso dalla corazza e dallo scudo le
gambe e le braccia armate, è molto più atto a difendersi dalle picche ed entrare tra
loro, che non è uno uomo d'arme a piè. Io ne voglio dare un poco di esemplo moderno.
Erano scese di Sicilia nel regno di Napoli fanterie spagnuole, per andare a trovare
Consalvo che era assediato in Barletta da' Franzesi. Fecesi loro incontro monsignore
d'Ubignì con le sue genti d'arme e con circa quattromila fanti tedeschi. Vennero alle
mani i Tedeschi. Con le loro picche basse apersero le fanterie spagnuole; ma quelle,
aiutate da' loro brocchieri e dall'agilità del corpo loro, si mescolarono con i Tedeschi,
tanto che gli poterono aggiugnere con la spada; donde ne nacque la morte, quasi, di tutti
quegli e la vittoria degli Spagnuoli. Ciascuno sa quanti fanti tedeschi morirono nella
giornata di Ravenna; il che nacque dalle medesime cagioni: perché le fanterie spagnuole
si accostarono al tiro della spada alle fanterie tedesche, e le arebbero consumate tutte,
se da' cavagli franzesi non fussero i fanti tedeschi stati soccorsi; nondimeno gli
Spagnuoli, stretti Insieme, si ridussero in luogo securo. Concludo, adunque, che una buona
fanteria dee non solamente potere sostenere i cavagli, ma non avere paura de' fanti; il
che, come ho molte volte detto procede dall'armi e dall'ordine.
COSIMO Dite, pertanto, come
voi l'armeresti.
FABRIZIO Prenderei delle
armi romane e delle tedesche, e vorrei che la metà fussero armati come i Romani e l'altra
metà come i Tedeschi. Perché, se in seimila fanti, come io vi dirò poco di poi, io
avessi tremila fanti con gli scudi alla romana e dumila picche e mille scoppiettieri alla
tedesca, mi basterebbono; perché io porrei le picche o nella fronte delle battaglie, o
dove io temessi più de' cavaglì; e di quelli dello scudo e della spada mi servirei per
fare spalle alle picche e per vincere la giornata, come io vi mostrerò. Tanto che io
crederrei che una fanteria così ordinata superasse oggi ogni altra fanteria.
COSIMO Questo che è detto
ci basta quanto alle fanterie, ma quanto a' cavagli disideriamo intendere quale vi pare
più gagliardo armare, o il nostro o l'antico?
FABRIZIO Io credo che in
questi tempi, rispetto alle selle arcionate e alle staffe non usate dagli antichi, si stia
più gagliardamente a cavallo che allora. Credo che si armi anche più sicuro, tale che
oggi uno squadrone di uomini d'arme, pesando assai, viene ad essere con più difficultà
sostenuto che non erano gli antichi cavagli. Con tutto questo nondimeno, io giudico che
non si debba tenere più conto de' cavagli, che anticamente se ne tenesse; perché, come
di sopra si è detto, molte volte ne' tempi nostri hanno con i fanti ricevuta vergogna, e
la riceveranno, sempre che riscontrino una fanteria armata e ordinata come di sopra. Aveva
Tigrane, re d'Armenia, contro allo esercito romano del quale era capitano Lucullo, cento
cinquantamila cavagli, tra li quali erano molti armati come gli uomini d'arme nostri, i
quali chiamavano catafratti; e dall'altra parte i Romani non aggiugnevano a seimila, con
venticinquemila fanti, tanto che Tigrane, veggendo l'esercito de' nimici disse: - Questi
sono cavagli assai per una ambasceria; - nondimeno, venuto alle mani, fu rotto. E chi
scrive quella zuffa vilipende quelli catafratti mostrandogli inutili, perché dice che,
per avere coperto il viso, erano poco atti a vedere e offendere il nimico e, per essere
aggravati dall'armi, non potevano, cadendo, rizzarsi né della persona loro in alcuna
maniera valersi. Dico, pertanto, che quegli popoli, o regni, che istimeranno più la
cavalleria che la fanteria, sempre fieno deboli ed esposti a ogni rovina, come si è
veduta l'Italia ne' tempi nostri; la quale è stata predata, rovinata e corsa da'
forestieri, non per altro peccato che per avere tenuta poca cura della milizia di piè, ed
essersi ridotti i soldati suoi tutti a cavallo. Debbesi bene avere de' cavagli, ma per
secondo e non per primo fondamento dello esercito suo; perché, a fare scoperte, a correre
e guastare il paese nimico, a tenere tribolato e infestato l'esercito di quello e in
sull'armi sempre, a impedirgli le vettovaglie, sono necessarii e utilissimi; ma, quanto
alle giornate e alle zuffe campali che sono la importanza della guerra e il fine a che si
ordinano gli eserciti, sono più utili a seguire il nimico, rotto ch'egli è, che a fare
alcuna altra cosa che in quelle si operi, e sono alla virtù del peditato assai inferiori.
COSIMO E' mi occororno due
dubitatazioni; l'una, che io so che i Parti non operavano in guerra altro che i cavagli, e
pure si divisono il mondo con i Romani; l'altra, che io vorrei che voi mi dicessi come la
cavalleria puote essere sostenuta da' fanti, e donde nasca la virtù di questi e la
debolezza di quella.
FABRIZIO O io vi ho detto, o
io vi ho voluto dire, come il ragionamento mio delle cose della guerra non ha a passare i
termini d'Europa. Quando così sia, io non vi sono obligato a rendere ragione di quello
che si è costumato in Asia. Pure io v'ho a dire questo: che la milizia de' Parti era al
tutto contraria a quella de' Romani, perché i Parti militavano tutti a cavallo e, nel
combattere procedevano confusi e rotti- ed era uno modo di combattere instabile e pieno di
incertitudine. I Romani erano, si può dire, quasi tutti a piè e combattevano stretti
insieme e saldi; e vinsono variamente l'uno l'altro secondo il sito largo o stretto;
perché, in questo, i Romani erano superiori, in quello, i Parti; i quali poterono fare
gran pruove con quella milizia, rispetto alla regione che loro avevano a difendere; la
quale era larghissima, perché ha le marine lontane mille miglia, i fiumi l'uno dall'altro
due o tre giornate, le terre medesimamente e gli abitatori radi; di modo che uno esercito
romano, grave e tardo per l'armi e per l'ordine, non poteva cavalcarlo sanza suo grave
danno, per essere chi lo difendeva a cavallo ed espeditissimo; in modo ch'egli era oggi in
uno luogo, e domani discosto cinquanta miglia; di qui nacque, che i Parti poterono
prevalersi con la cavalleria sola, e la rovina dell'esercito di Crasso e i pericoli di
quello di Marco Antonio. Ma io, come v'ho detto, non intendo in questo mio ragionamento
parlare della milizia fuora d'Europa; però voglio stare in su quello che ordinarono già
i Romani e i Greci, e oggi fanno i Tedeschi. Ma vegnamo all'altra domanda vostra, dove voi
disiderate intendere quale ordine o quale virtù naturale fa che i fanti superano la
cavalleria. E vi dico, in prima, come i cavagli non possono andare, come i fanti, in ogni
luogo. Sono più tardi a ubbidire, quando occorre variare l'ordine che i fanti; perché,
s'egli è bisogno o andando avanti tornare indietro, o tornando indietro andare avanti, o
muoversi stando fermi, o andando fermarsi, sanza dubbio non lo possono così appunto fare
i cavagli come i fanti. Non possono i cavagli, sendo da qualche impeto disordinati,
ritornare negli ordini se non con difficultà, ancora che quello impeto manchi; il che
rattissimo fanno i fanti. Occorre, oltre a questo, molte volte, che uno uomo animoso sarà
sopra uno cavallo vile e uno vile sopra uno animoso; donde conviene che queste disparità
di d'animo facciano disordine. Né alcuno si maravigli che uno nodo di fanti sostenga ogni
impeto di cavagli, perché il cavallo è animale sensato e conosce i pericoli e male
volentieri vi entra. E se considererete quali forze lo facciano andar avanti e quali lo
tengano indietro, vedrete sanza dubbio essere maggiori quelle che lo ritengono che quelle
che lo spingono; perché innanzi lo fa andar lo sprone, e dall'altra banda lo ritiene o la
spada o la picca. Tale che si è visto per le antiche e per le moderne esperienze un nodo
di fanti essere securissimo, anzi insuperabile da'cavagli. E se voi arguissi a questo che
la foga con la quale viene, lo fa più furioso a urtare chi lo volesse sostenere, meno
stimare la picca che lo sprone, dico che, se il cavallo discosto comincia a vedere di
avere a percuotere nelle punte delle picche, o per se stesso egli raffrenerà il corso, di
modo che come egli si sentirà pugnere si fermerà affatto, o, giunto a quelle, si
volterà a destra o a sinistra. Di che se volete fare esperienza, provate a correre un
cavallo contro a un muro; radi ne troverrete che, con quale vi vogliate foga, vi dieno
dentro. Cesare, avendo in Francia a combattere con i Svizzeri, scese e fece scendere
ciascuno a piè e rimuovere dalla schiera i cavagli, come cosa più atta a fuggire che a
combattere. Ma, nonostante questi naturali impedimenti che hanno i cavagli, quello
capitano che conduce i fanti, debbe eleggere vie che abbiano per i cavagli più
impedimenti si può; e rado occorrerà che l'uomo non possa assicurarsi per la qualità
del paese. Perché, se si cammina per le colline, il sito ti libera da quelle foghe di che
voi dubitate; se si va per il piano, radi piani sono che, per le colture o per li boschi,
non ti assicurino; perché ogni macchia, ogni argine, ancora debole, toglie quella foga, e
ogni coltura, dove sia vigne e altri arbori, impedisce i cavagli. E se tu vieni a
giornata, quello medesimo ti interviene che camminando, perché ogni poco di impedimento
che il cavallo abbia perde la foga sua. Una cosa nondimeno non voglio scordare di dirvi:
come i Romani istimavano tanto i loro ordini e confidavono tanto nelle loro armi, che se
gli avessono avuto ad eleggere o un luogo sì aspro per guardarsi dai cavagli, dove ei non
avessono potuti spiegare gli ordini loro, o uno dove avessono avuto a temere più de'
cavagli, ma vi si fussono potuti distendere, sempre prendevano questo e lasciavano quello.
Ma perch'egli è tempo passare allo esercizio, avendo armate queste fanterie secondo lo
antico e moderno uso, vedreno quali esercizi facevano loro fare i Romani, avanti che le
fanterie si conduchino a fare giornata. Ancora ch'elle siano bene elette e meglio armate,
si deono con grandissimo studio esercitare, perché sanza questo esercizio mai soldato
alcuno non fu buono. Deono essere questi esercizi tripartiti: l'uno, per indurare il corpo
e farlo atto a' disagi e più veloce e più destro; l'altro, per imparare ad operare
l'armi; il terzo, per imparare ad osservare gli ordini negli eserciti, così nel
camminare, come nel combattere e nello alloggiare. Le quali sono le tre principali azioni
che faccia uno esercito perché, se uno esercito cammina, alloggia e combatte
ordinatamente e praticamente, il capitano ne riporta l'onore suo ancora che la giornata
avesse non buono fine. Hanno pertanto a questi esercizi tutte le republiche antiche
provvisto in modo, per costume e per legge, che non se ne lasciava indietro alcuna parte.
Esercitavano adunque la loro gioventù per fargli veloci nel correre, per fargli destri
nel saltare, per fargli forti a trarre il palo o a fare alle braccia. E queste tre
qualità sono quasi che necessarie in uno soldato; perché la velocità lo fa atto a
preoccupare i luoghi al nimico, a giugnerlo insperato e inaspettato, a seguitarlo quando
egli è rotto. La destrezza lo fa atto a schifare il colpo, a saltare una fossa, a
superare uno argine. La fortezza lo fa meglio portare l'armi, urtare il nimico, sostenere
uno impeto. E sopratutto, per fare il corpo più atto a'disagi, si avvezzavano a portare
gran pesi. La quale consuetudine è necessaria, perché nelle espedizioni difficili
conviene molte volte che il soldato, oltre all'armi, porti da vivere per più giorni; e se
non fusse assuefatto a questa fatica non potrebbe farlo; e per questo o e' non si potrebbe
fuggire uno pericolo o acquistare con fama una vittoria. Quanto a imparare ad operare
l'armi, gli esercitavano in questo modo. Volevano che i giovani si vestissero armi che
pesassero più il doppio che le vere, e per spada davano loro uno bastone piombato il
quale, a comparazione di quella, era gravissimo. Facevano a ciascuno di loro ficcare uno
palo in terra che rimanesse alto tre braccia, e in modo gagliardo, che i colpi non lo
fiaccassero o atterrassono; contro al quale palo il giovane con lo scudo e col bastone,
come contro a uno nimico, si esercitava; e ora gli tirava come se gli volesse ferire la
testa o la faccia, ora come se lo volesse percuotere per fianco, ora per le gambe, ora si
tirava indietro, ora si faceva innanzi. E avevano, in questo esercizio, questa avvertenza;
di farsi atti a coprire sé e ferire il nimico; e avendo l'armi finte gravissime, parevano
di poi loro le vere più leggieri. Volevano i Romani che i loro soldati ferissono di punta
e non di taglio, sì per essere il colpo più mortale e avere manco difesa, sì per
scoprirsi meno chi ferisse ed essere più atto a raddoppiarsi che il taglio. Né vi
maravigliate che quegli antichi pensassero a queste cose minime, perché, dove si ragiona
che gli uomini abbiano a venire alle mani, ogni piccolo vantaggio è di gran momento; e io
vi ricordo quello che di questo gli scrittori ne dicano, piuttosto che io ve lo insegni.
Né istimavano gli antichi cosa più felice in una republica, che essere in quella assai
uomini esercitati nell'armi; perché non lo splendore delle gemme e dell'oro fa che i
nimici ti si sottomettono, ma solo il timore dell'armi. Di poi gli errori che si fanno
nell'altre cose, si possono qualche volta correggere; ma quegli che si fanno nella guerra,
sopravvenendo subito la pena, non si possono emendare. Oltre a questo, il sapere
combattere fa gli uomini più audaci, perché niuno teme di fare quelle cose che gli pare
avere imparato a fare. Volevano pertanto gli antichi che i loro cittadini si esercitassono
in ogni bellicazione, e facevano trarre loro, contro a quel palo, dardi più gravi che i
veri; il quale esercizio, oltre al fare gli uomini esperti nel trarre, fa ancora le
braccia più snodate e più forti. Insegnavano ancora loro trarre con l'arco, con la
fromba, e a tutte queste cose avevano preposti maestri, in modo che poi, quando egli erano
eletti per andare alla guerra, egli erano già con l'animo e con la disposizione soldati.
Né restava loro ad imparare altro che andare negli ordini e mantenersi in quegli, o
camminando o combattendo; il che facilmente imparavano, mescolandosi con quegli che, per
avere più tempo militato, sapevano stare negli ordini.
COSIMO Quali esercizi
faresti voi fare loro al presente?
FABRIZIO Assai di quegli che
si sono detti, come: correre e fare alle braccia, fargli saltare, fargli affaticare sotto
armi più gravi che l'ordinarie, fargli trarre con la balestra e con l'arco; a che
aggiugnerei lo scoppietto, istrumento nuovo, come voi sapete, e necessario. E a questi
esercizi assuefarei tutta la gioventù del mio stato, ma, con maggiore industria e più
sollecitudine, quella parte che io avessi descritta per militare; e sempre ne' giorni
oziosi si eserciterebbero. Vorrei ancora ch'egl'imparassino a notare; il che è cosa molto
utile, perché non sempre sono i ponti a' fiumi, non sempre sono parati i navigli; tale
che, non sapendo il tuo esercito notare, resti privo di molte commodità, e ti si tolgono
molte occasioni al bene operare. I Romani non per altro avevano ordinato che i giovani si
esercitassero in Campo Marzio, se non perché, avendo propinquo il Tevere, potessero,
affaticati nello esercizio di terra, ristorarsi nella acqua e parte, nel notare,
esercitarsi. Farei ancora, come gli antichi, esercitare quegli che militassono a cavallo;
il che è necessarissimo, perché, oltre al sapere cavalcare, sappiano a cavallo valersi
di loro medesimi. E per questo avevano ordinati cavagli di legno, sopr'alli quali si
addestravano, saltandovi sopra armati e disarmati, sanza alcuno aiuto e da ogni mano; il
che faceva che ad un tratto e ad un cenno d'uno capitano la cavalleria era a piè, e così
ad un cenno rimontava a cavallo. E tali esercizi, e di piè e di cavallo, come allora
erano facili, così ora non sarebbero difficili a quella republica o a quel principe che
volesse farli mettere in pratica alla sua gioventù, come per esperienza si vede in alcune
città di Ponente dove si tengono vivi simili modi con questo ordine. Dividono quelle
tutti i loro abitanti in varie parti, e ogni parte nominano da una generazione di
quell'armi che egli usano in guerra. E perché egli usano picche, alabarde, archi e
scoppietti, chiamano quelle; picchieri, alabardieri, scoppiettieri e arcieri. Conviene,
adunque, a tutti gli abitanti dichiararsi in quale ordine voglia essere descritto. E
perché tutti, o per vecchiezza o per altri impedimenti, non sono atti alla guerra, fanno
di ciascuno ordine una scelta, e gli chiamano i Giurati; i quali ne'giorni oziosi sono
obligati a esercitarsi in quell'armi dalle quali sono nominati. E ha ciascuno il luogo suo
deputato dal publico, dove tale esercizio si debba fare; e quelli che sono di quello
ordine, ma non de' Giurati, concorrono con i danari a quelle spese che in tale esercizio
sono necessarie. Quello pertanto che fanno loro, potremmo fare noi; ma la nostra poca
prudenza non lascia pigliare alcuno buono partito. Da questi esercizi nasceva che gli
antichi avevano buone fanterie e che ora quegli di Ponente sono migliori fanti che i
nostri; perché gli antichi gli esercitavano, o a casa, come facevano quelle republiche, o
negli eserciti, come facevano quegli imperadori, per le cagioni che di sopra si dissono.
Ma noi a casa esercitare non li vogliamo; in campo non possiamo, per non essere nostri
suggetti e non gli potere obligare ad altri esercizi che per loro medesimi si vogliono. La
quale cagione ha fatto che si sono straccurati prima gli esercizi e poi gli ordini, e che
i regni e le republiche, massime italiane, vivono in tanta debolezza. Ma torniamo
all'ordine nostro; e, seguitando questa materia degli esercizi, dico come non basta a far
buoni eserciti avere indurati gli uomini, fattigli gagliardi, veloci e destri, ché
bisogna ancora ch'egli imparino a stare negli ordini, a ubbidire a' segni, a' suoni e alle
voci del capitano, e sapere, stando, ritirandosi, andando innanzi, combattendo e
camminando, mantenere quegli; perché sanza questa disciplina, con ogni accurata diligenza
osservata e praticata, mai esercito non fu buono. E sanza dubbio gli uomini feroci e
disordinati sono molto più deboli che i timidi e ordinati; perché l'ordine caccia dagli
uomini il timore, il disordine scema la ferocia. E perché voi intendiate meglio quello
che di sotto si dirà, voi avete a intendere come ogni nazione, nell'ordinare gli uomini
suoi alla guerra, ha fatto nell'esercito suo, ovvero nella sua milizia uno membro
principale; il quale, se l'hanno variato con il nome, l'hanno poco variato con il numero
degli uomini, perché tutti l'hanno composto di sei in ottomila uomini. Questo membro da'
Romani fu chiamato legione, da' Greci falange, dai Franzesi caterva. Questo medesimo ne'
nostri tempi da' Svizzeri, i quali soli dell'antica milizia ritengono alcuna ombra, è
chiamato in loro lingua quello che in nostra significa battaglione. Vero è che ciascuno
l'ha poi diviso in varie battaglie e a suo proposito ordinato. Parmi, adunque, che noi
fondiamo il nostro parlare in su questo nome come più noto, e di poi, secondo gli antichi
e moderni ordini, il meglio che è possibile, ordinarlo. E perché i Romani dividevano la
loro legione, che era composta di cinque in seimila uomini, in dieci coorti, io voglio che
noi dividiamo il nostro battaglione in dieci battaglie e lo componiamo di seimila uomini
di piè; e dareno a ogni battaglia quattrocentocinquanta uomini, de' quali ne sieno
quattrocento armati d'armi gravi e cinquanta d'armi leggieri. L'armi gravi sieno trecento
scudi con le spade, e chiaminsi scudati; e cento con le picche, e chiaminsi picche
ordinarie; l'armi leggieri sieno cinquanta fanti armati di scoppietti, balestra e
partigiane e rotelle e questi da uno nome antico si chiamino veliti ordinarii. Tutte le
dieci battaglie pertanto vengono ad avere tremila scudati, mille picche ordinarie e
cinquecento veliti ordinarii; i quali tutti fanno il numero di quattromila cinquecento
fanti. E noi diciamo che vogliamo fare il battaglione di seimila, però bisogna aggiugnere
altri mille cinquecento fanti, de' quali ne farei mille con le picche, le quali chiamerei
picche estraordinarie, e cinquecento armati alla leggiera, i quali chiamerei veliti
estraordinarii. E così verrebbero le mie fanterie, secondo che poco fa dissi, a essere
composte mezze di scudi e mezze fra picche e altre armi. Preporrei a ogni battaglia uno
connestabole, quattro centurioni e quaranta capidieci; e di più un capo a' veliti
ordinarii, con cinque capidieci. Darei alle mille picche estraordinarie tre connestaboli,
dieci centurioni e cento capidieci; a' veliti estraordinarii due connestaboli, cinque
centurioni e cinquanta capidieci. Ordinerei di poi un capo generale di tutto il
battaglione. Vorrei che ciascuno connestabole avesse la bandiera e il suono. Sarebbe
pertanto composto uno battaglione di dieci battaglie, di tremila scudati, di mille picche
ordinarie, di mille estraordinarie, di cinquecento veliti ordinarii, di cinquecento
estraordinarii; e così verrebbero ad essere seimila fanti, tra quali sarebbero mille
cinquecento capidieci e, di più, quindici connestaboli con quindici suoni e quindici
bandiere, cinquantacinque centurioni, dieci capi de' veliti ordinarii, e uno capitano di
tutto il battaglione con la sua bandiera e con il suo suono. E vi ho volentieri replicato
questo ordine più volte, acciò che poi, quando io vi mostrerò i modi dell'ordinare le
battaglie e gli eserciti, voi non vi confondiate. Dico, pertanto, come quel re o quella
republica dovrebbe quegli suoi sudditi ch'ella volesse ordinare all'armi, ordinargli con
queste armi e con queste parti, e fare nel suo paese tanti battaglioni di quanti fusse
capace E quando gli avesse ordinati secondo la sopradetta distribuzione, volendogli
esercitare negli ordini, basterebbe esercitargli battaglia per battaglia. E benché il
numero degli uomini di ciascuna di esse non possa per sé fare forma d'uno giusto
esercito, nondimeno può ciascuno uomo imparare a fare quello che s'appartiene a lui
particolarmente; perché negli eserciti si osserva due ordini: l'uno, quello che deono
fare gli uomini in ciascuna battaglia, e l'altro, quello che di poi debbe fare la
battaglia quando è coll'altre in uno esercito. E quelli uomini che fanno bene il primo,
facilmente osservano il secondo; ma, sanza sapere quello, non si può mai alla disciplina
del secondo pervenire. Possono, adunque, come ho detto, ciascuna di queste battaglie da
per sé imparare a tenere l'ordine delle file in ogni qualità di moto e di luogo e, di
poi, a sapere mettersi insieme, intendere il suono mediante il quale nelle zuffe si
comanda sapere cognoscere da quello, come i galeotti dal fischio, quanto abbiano a fare o
a stare saldi, o gire avanti, o tornare indietro, o dove rivolgere l'armi e il volto. In
modo che, sappiendo tenere bene le file, talmente che né luogo né moto le disordinino,
intendendo bene i comandamenti del capo mediante il suono e sappiendo di subito ritornare
nel suo luogo, possono poi facilmente, come io dissi, queste battaglie, sendone ridotte
assai insieme, imparare a fare quello che tutto il corpo loro è obligato, insieme con
l'altre battaglie, in un esercito giusto operare. E perché tale pratica universale ancora
non è da istimare poco, si potrebbe una volta o due l'anno, quando fusse pace, ridurre
tutto il battaglione insieme e dargli forma d'uno esercito intero, esercitandogli alcuni
giorni come se si avesse a fare giornata, ponendo la fronte, i fianchi e i sussidi ne'
luoghi loro. E perché uno capitano ordina il suo esercito alla giornata, o per conto del
nimico che vede o per quello del quale sanza vederlo dubita, si debbe esercitare il suo
esercito nell'uno modo e nell'altro, e istruirlo in modo che possa camminare e, se il
bisogno lo ricercasse, combattere, mostrando a' tuoi soldati, quando fussero assaltati da
questa o da quella banda, come si avessero a governare. E quando lo istruisse da
combattere contro al nimico che vedessono, mostrar loro come la zuffa s'appicca, dove si
abbiano a ritirare sendo ributtati, chi abbi a succedere in luogo loro a che segni, a che
suoni, a che voci debbano ubbidire, e praticarvegli in modo, con le battaglie e con gli
assalti finti ch'egli abbiano a disiderare i veri. Perché lo esercito animoso non lo fa
per essere in quello uomini animosi, ma lo esservi ordini bene ordinati, perché se Io
sono de primi combattitori, e lo sappia, sendo superato, dove io m'abbia a ritirare e chi
abbia a succedere nel luogo mio, sempre combatterò con animo, veggendomi il soccorso
propinquo. Se io sarò de' secondi combattitori, lo essere spinti e ributtati i primi non
mi sbigottirà, perché io mi arò presupposto che possa essere e l'arò disiderato, per
essere quello che dia la vittoria al mio padrone, e non sieno quegli. Questi esercizi sono
necessarissimi dove si faccia uno esercito di nuovo; e dove sia lo esercito vecchio sono
necessarii, perché si vede come, ancora che i Romani sapessero da fanciugli l'ordine
degli eserciti loro, nondimeno quegli capitani, avanti che venissero al nimico,
continuamente gli esercitavano in quegli. E Iòsafo nella sua Istoria dice che i continui
esercizi degli eserciti romani facevano che tutta quella turba che segue il campo per
guadagni, era, nelle giornate, utile; perché tutti sapevano stare negli ordini e
combattere servando quelli. Ma negli eserciti d'uomini nuovi, o che tu abbi messi insieme
per combattere allora, o che tu ne faccia ordinanza per combattere con il tempo, sanza
questi esercizi, così delle battaglie di per sé, come di tutto l'esercito, è fatto
nulla; perché, sendo necessarii gli ordini, conviene con doppia industria e fatica
mostrargli a chi non gli sa, che mantenergli a chi gli sa, come si vede che per
mantenergli e per insegnargli molti capitani eccellenti si sono sanza alcuno rispetto
affaticati.