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- <A> Dio gigliozzo mio del viso
adorno,
i veggo buoi chandrebbono a·ffar danno,
arecherotti un mazzo, quandio torno,
di fragole, sal bosco ne saranno;
e quando sentirai sonar il corno,
vientene dove suo venir questanno,
a piè de lorto, in quella macchiarella,
e recherotti un poco di frassinella.
Nenciozza mia,chi vo
sabato andare
[in]fino a·fFirenze, a vender duo somelle
di legne, chi mi puosi ier a tagliare
in mentre che pascevon le vitelle;
procura ben quel si ti posso arecare,
o se tu vuoi chi tarechi covelle:
<o> di liscio o <di> biacca un cartoccino,
o de spilletti o dàgora un quattrino.
Ellè dirittamente ballerina,
che la si lancia comuna capretta,
e gira più che ruota di mulina,
e dassi della mano nella iscarpetta;
e quandà facto il ballo, e la sinchina,
poi torna adrieto, e due tratti iscambietta,
e la fa le più belle riverenze
che gnuna cittadina da Firenze.
Ché non mi chiedi qualche zaccherella?
So che nadopri di cento ragioni:
o uno intaglio pella tua gonnella,
o uncinegli, o magliette o bottoni,
o vuoi pel camiciotto una scarsella,
o cintoli, per legare li scuffoni,
o vuoi, per amagliare la gamurrina,
di seta una celestra cordellina.
Se tu volessi per portare al collo
un collarino di que bottoncin rossi
con un dondon nel mezzo, arecherollo:
ma dimi se gli vuoi piccini o grossi;
e si dovessi tagliar del midollo
del fusolo della gamba o degli autrossi,
e si dovessi vendere la gonnella,
i te glarrecherò, Nencia mia bella.
I tò aguagliato alla fata
Morgana,
che mena seco tanta baronia;
i tasomiglio alla stella dïana,
quando aparisci alla cappanna mia;
più chiara se <che> acqua di fontana,
e se più dolce che la malvagí;
quando ti sguardo da· o [da] mattina
più bianca se che l fiore della farina.
I mi sono aveduto, o Nencia bella,
chun altro ti vagheggia a mio dispetto,
e si dovessi tragli le budella,
ed aventalle poi in sun uno tetto,
tu sai chi porto allato la coltella,
che taglia e pugne che lè un diletto,
e si l trovassi nella mia cappanna,
i gliene caccerei più duna spanna.
E fu daprile quando
minamorasti,
quando ti vidi coglier la nsalata;
i te ne chiesi, e tu mi rimbrottasti,
tanto che se ne adette una brigata;
i dissi bene allora: - dove nandasti? -,
chi ti perdetti a manco dunocchiata;
dallora inanzi i non fu ma più desso,
per modo tale che mài messo nel cesso
Tutto dì dieri taspettai dal
mulino
sol per vedere se passavi indritta;
le bestie son passate il poggiolino,
vientene su, che tu mi par confitta!
No ci staremo un pezzo ad un caldino,
or chi mi sento la ventura ritta;
no ce nandremo suso a le Po<g>giuole,
e nsieme toccheremo le bestiuole.
Non sa tu, Nencia, quando impazzai
intrafacto?
Quando ti vidi a battere in sullaia;
<i> stetti dopo a un ceppo quatto quatto,
e poi ti benedi cento miglia<ia>;
i dissi bene allora: - i son disfatto;
la Nencia mà pur giunto alla callaia! -.
E la minamorò sí che da poi
nonn-ò potuto lavorar co buoi.
Quando tu vai pellacqua
collorcetto,
un tratto tu venissi al pozzo mio!
No ci daremo un pezzo di diletto,
e so che ne farei buon lavorío,
che cento volte i sare benedetto,
quando fussimo insieme al pozzo mio;
e se tu de venire, or te ne spacci,
or che ne viene il mosto e castagnacci.
I mi posi a sedere lunga la
gora,
b[i]asciando in su quellerba voltoloni,
e quivi stetti più duna mezzora,
tanto che valicarono tutti i castroni.
Che fa tu, Nencia, che non vien fuora?
Vientene su per questi saliconi,
chi metta le mie bestie colle tua,
no parremo uno, e pur saremo dua.
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