UMANISSIMI LETTORI
Fra le tante miserie
di un secolo male studiato, che il sig. ALESSANDRO MANZONI trasse in luce nei suoi
Promessi Sposi, fu pur quella del Processo degli Untori. Dalleconomia del suo lavoro
il gran poeta fu costretto a quasi appena accennarlo, riserbando però, come egli dice,
«ad altro scritto il trattarne più ampiamente.»
Scorsero dodici anni da che quel romanzo
immortale uscì, e non non fu per anco quella promessa adempita, per quanto nel
sollecitassero i voti onde lEuropa aspetta tutte le cose sue. Temperò in parte quel
desiderio il sig. CESARE CANTÙ, co' suoi Ragionamenti sulla Storia Lombarda, illustrando
il gran poeta.
Egli però non pubblicò che parte di
quel Processo, sì per la natura dell'opera sua, sì perchè anch'egli diceva e credeva
imminente e la pubblicazione della Colonna Infame, descritta da quel sommo. Ed ora la
fama, da una parte va dicendo, che tal pubblicazione non illuderà più a lungo
l'aspettazione universale, venendo in appendice alla nuova edizione dei Promessi Sposi;
dall'altra molte ragioni fanno temere che sia ancora lontana dal becco l'erba.
Comunque sia, per prepararla noi siamo
venuti in determinazione di pubblicare il Processo originale degli Untori. Vi abbiamo
premesso la parte informativa, desunta dai sullodati Ragionamenti del sig. CANTÙ. Seguono
gli atti di esso Processo, ove conservammo lortografia di quel tempo, migliorandone
un poco la disposizione, e apponendo in calce la spiegazione dei passi latini. Conchiusimo
con un altro brano dei prefati Ragionamenti, acciocché i lettori potessero vedere
lorigine, landamento e il fine di quel famoso delirio. Il trarne importanti
applicazioni alla morale, alla civilizzazione, alla storia moderna, ed incutere salutare
spavento a chi può temere che altre verità sortano, per quanto tardi, alla luce, sarà
cura del sig. ALESSANDRO MANZONI, della cui opera noi abbiamo voluto con questa crescere
il desiderio, che deh egli voglia presto soddisfare!
In tale aspettazione, la vivacità di un
linguaggio originale, la dettagliata informazione dei costumi, la drammatica vera e
naturale, i pregiudizi, il dilatarsi di un errore le conseguenze dun principio
falso, daranno e da interessarsi a chi sente e da meditare a chi pensa.
gli Editori
FACTI SPECIES
Incrudelendo in
Milano la peste, nellestate de1 1630 disastri a disastri, angustie ad angustie
crebbero in quel gran travaglio le superstizioni, e principalmente la credenza che alcuni
si fossero congiurati per propagare il male e mettere Milano affatto al nulla. Di costoro
toccò il Manzoni, e promise trattarne appieno. Però chi sa quanto ancora negherà al
desiderio comune la sua Storia della Colonna Infame? Frattanto importando a molti
il conoscerne alcun che, io raccolsi da parecchi libri alcune cose che esibisco informi ai
lettori, i quali oh come avranno a stupire ed imparare, quando, sotto la penna del nipote
di Beccaria, vedranno queste tradizioni diverse, morte, contraddittorie e staccate,
avvivarsi, e dirigersi al fine d'educare la opinione popolare alla ragione, alla
giustizia!
È credenza antica, per lo meno
quanto la peste di Atene descritta da Tucidide, che la malizia umana giugnesse a tanto da
diffondere la peste ad arte. Quando la ragione sonnecchiava serva della superstizione e
dellautorità, o delirava ebbriata dal fanatismo, rinacque e si saldò una tale
credenza: Cardano, Martino Delrio, Wieiro, trattatisti di diavolerie, assicurano che nel
1536, nel Marchesato di Saluzzo fu propagata la peste cogli unti: vè un trattato de
peste manufacta; e il Tadini ci conservò memoria di molte, diffuse, come credevasi,
maliziosamente. Anche nella peste del 1576, si ragionò di Untori, e raccontarono che un
di costoro, in sul venire strozzato, confessossi reo, e palesò insieme un preservativo
contro la peste, adoperato poi col nome di unto dell'impiccato. Il 12 settembre di
quell'anno il governatore Ayamonte, avendo saputo che alcune persone con puro zelo di
carità, e per mettere terrore e spavento al popolo, per eccitarlo a qualche tumulto vanno
ungendo con unti che dicono pestiferi e contagiosi le porte et i catenacci delle case e le
cantonate, sotto pretesto di portar la peste, dal che risultano molti inconvenienti e non
poca alterazione tra le genti, maggiormente a quei che facilmente si persuadono a credere
tali cose, per ovviare a tale insolenza, promette a chi ne denunzi gli autori
500 scudi e la liberazione di due banditi: e se era complice, l'impunità purchè non
fosse il capo. Da questa grida, ripetuta poi il 19 del mese stesso appare come fosse poco
più che il sospetto di un'insolenza, non di una tanta reità. E convien credere che non
acquistasse piede, giacchè il Besta, il Giussano, il Bugato, altre memorie di
contemporanei non ne fanno cenno.
Però lignoranza progrediva
mercè le cure di chi vi aveva interesse, e i frutti di quella sono sempre gli stessi. Fin
dal 1628 la cattolica maestà del nostro re, con paterna premura, avea mandato lettere al
senato e al tribunale della sanità milanese, annunziando come dalla Corte sua fossero
fuggiti quattro Francesi, (i Francesi allora faceano molta paura ai nostri padroni):
scoperti di voler infettare Madrid con unti pestilenziali: stessero dunque
sullavviso se mai capitassero in questi paesi. Poco dopo arriva in Milano
all'osteria dei Tre-re un Gerolamo Bonincontro vestito alla francese e civile negli atti;
e siccome allora il passaggio delle truppe faceva nascere paura di peste, così egli
lascia intendere d'avere certi suoi specifici, coi quali cinque anni innanzi avea fatto
del gran bene nella terribile peste di Palermo; e sfoggia ample attestazioni avute da
principi, come abilissimo di medicina e di matematica. Sono questi discorsi rapportati al
senatore Arconato, presidente della sanità, chè di rapportatori neppur allora ci doveva
esser carestia. Egli, combinate le lettere reali coll'essere costui francese, conchiude, e
la conclusione vien via drittissima, che colui fosse un untore, e lo fa catturare. Il
Tadini e il suo auditore Visconti, incaricati d'esaminarne gli utensili, trovarongli libri
d'astrologia e chiromanzia, un breviario, non so che libri spirituali e temporali, o come
si direbbe oggi, profani: una cintura dell'abito di s. Francesco di Paola e vasetti con
argentovivo e polveri. Queste toccate e fiutate, si conobbero medicinali onde fu
come innocente liberato. Se non che dalle carte e dagli esami suoi era venuto in chiaro
com'egli fosse un frate apostata, ricovrato alcun tempo a Ginevra, e che ora andava a Roma
per impetrare perdonanza dal papa: lo perchè il padre inquisitore generale lo chiese come
cosa sua, ed avutolo, il processò come Dio vel dica, e mandollo poi a Roma al modo suo.
Fin qui adunque tale idea (come quasi
tutti i mali nostri, esotica) degli untori era vaga, lontana, e ne avrebbero riso, se non
fosse parso un crimen lesae il dubitare di cosa asserita da un re cattolico.
"Ma il sospetto (traduco o compendio il Ripamonti) acquistò piede dal trovarsi la
mattina del 22 aprile 1630 untate le pareti di molte case. Tutti accorrevano a vedere: ci
andai anchio: erano macchie sparse, ineguali, come se alcuno con una spugna avesse
schiccherate le muraglie. Da quellora, ogni dì si narrava di altre case untate, di
gente infetta appena le avesse tocche: si aggiunse che si ungessero le persone: infine
de tanti morti, ben pochi si credevano perire senza malizia. Prima i ferri, i legni:
poi le strade, laria stessa temevasi contaminata: che più? si giudicavano unte
perfino le messi mature." E racconta, daccordo col Tadini e cogli altri, come
sul principio di giugno trovaronsi unte le panche in Duomo: le quali portate fuori e
bruciate, servirono non poco a convincere la moltitudine, per cui un oggetto diventa così
di leggieri un argomento.
Provata allora la verità del fatto
per tanti testimonii e per la visita del tribunale della sanità, cominciossi a ragionarvi
sopra. È una burla degli studenti di Pavia: è una bizzarria di cavalieri grandi per
incantar la noia di quellassedio di Casale: è il contino Aresi, è don Carlo Bossi,
è il figlio del castellano Padilla per ispaventare la gente: è una perfida vendetta del
governatore Cordova cacciato a torsi di cavoli: è una trama del re di Francia: è una
delle solite del Richelieu, ed è uomo da farlo, che non crede più in Dio di quello
facciano le mie scarpe: è una raffinata barbarie di quel Wallenstein, il cui nome
suonava terribile come la campana a martello. Alfine divenne universale opinione che
quegli unti fossero fatti per ispargere la peste.
Universale dico, benchè tra i
privati, chi per sana cagione, chi per ismania di contraddire quel che dicevano i più, vi
fossero alcuni che non credeano. Tra questi ricorderò volentieri il mio brianzuolo
Ripamonti, che chiaramente mostra non avervi fede: "ma soggiunge, sio dicessi
che non vi furono untori, e che mal sappongono a frodi umane i giudizi di Dio ed i
castighi, molti sclamerebbero empia la storia e lautore". Onde seguita
discorrendo come "si designassero autori del disperato consiglio gran re e i loro
ministri, e la pubblica indignazione accagionasse quelli che forse più che altri
compiangeano la nostra sciagura. Ed era voce comune che il demonio congiurasse cogli
uomini per ispopolare il paese. Su di che (è sempre il Ripamonti che parla) crederli o
non crederli, io riferirò i portenti che si spargevano. Correva dunque fama che il
diavolo avesse in Milano, tolto a pigione una casa, ove erasi posto a fabbricare e
diffondere unguenti. A sentirli, vi sapeano dire che casa era e di cui: ed uno raccontava,
che trovandosi un dì in piazza del Duomo, vide una carrozza a sei bianchi cavalli e gran
corteggio, e sedutovi uno di grand'aspetto, ma burbero quanto mai, gli occhi infocati,
irto i crini, minaccioso il labbro. Il quale fattoglisi dappresso, si soffermò, lo fece
montare, e dopo vari giri e rigiri lo menò ad un'abitazione, che pareva il palazzo di
Circe. Ivi misto l'ameno e il terribile: qui luce, là tenebre, altrove deserti,
gabinetti, boschi, orti, cascate d'acqua: infine mucchi d'oro. Dai quali gli permise di
levarne tanto che fosse pago, purchè volesse spargere dell' unto. E avendo ricusato, si
trovò al luogo stesso ond'era stato levato . . . . "
" Ma dopochè si ritenne che il
diavolo vi desse mano, entrò quella stupida e micidiale negligenza, che è figlia della
disperazione: poi un indagare le cause di effetti sognati, e un panico terrore: fin i più
intimi si schivavano lun laltro: nè solo del vicino e dell'antico si viveva
in sospetto, ma fino tra marito e moglie, tra fratelli e fratelli, tra padre e figliuoli:
e il letto, e la mensa geniale, e che che si ha per santo incuteva spavento . . .
"
"Chi non sa il caso del senatore
Caccia? al quale il servo (chiamavasi il Farleta) offrì una mattina un fiore nè appena
quegli il fiutò ne contrasse il contagio e la morte. A Volpedo di Tortona si trovarono
sette untori, che furono morti sulla ruota; e attorno a quel tempo si scopersero ivi
presso le macine da mulino untate, sulle cui macchie fregato del pane, e datolo mangiare
alle galline, subito morirono ed illividirono. Una mosca che forse v'era posata su,
fermatasi nell'orecchio di un tale, gli causò senz'altro la morte. Antonio Croce e G. B.
Saracco di Cittadella deposero con giuramento, che un carpentiere lor vicino ammalato, di
fitta notte sentì andar alcuno per camera, sebbene fosse chiusa la porta. Mi levai (così
l'infermo) a guardare, ed essi: -- àlzati e ci segui ; v' è fuor di città un magnate
che ti darà vasi da unger la vicinanza, e n'avrai in compenso salute e vigore. -- Intanto
mi esibivano de' bei danari, e li faceano suonar sulla tavola. Fra ciò sentivo tentennare
e scricchiolare il letto, tirarmisi la coltrice e le lenzuola, ond'io stava inorridito. Ma
poichè insistevano essi, chiesi loro chi fossero. Mi risposero . -- Ottavio Sassi. Io
rifiutai, e tosto ogni cosa si dileguò: solo rimase sotto il letto un lupo che mugolava,
e tre gattoni alle prode che faceano versacci, finchè, apparve il dì."
Anche Carlo Girolamo Somaglia narra
avvenimenti simili, come a non dubitarne. Due che col físcale Giuseppe Fossati uscivano
in carrozza verso Novate, smontati ad un macello, furono untati e morirono. Gio. Curione,
servidore d'esso Somaglia, mentre andava oltre pei fatti suoi, accortosi d'aver unto il
mantello sì lo gettò, vide gli screzii, additò il reo, che fu menato su, ma non
seppesi il castigo perchè in prigione molti morirono prima che la giustizia facesse la
dovuta dimostrazione. Un altro giovane che gli stava in casa, unto morì entro 24 ore.
Fa altrove raccontare al senator Laguna d'avere esaminato un untore, che confessò come un
tale gli avea dato un vaso e tre zecchini, promettendogli che tornando gli daria altro
danaro. Colui fece la prova sui domestici suoi (sui domestici!) poi sui vicini, che di
corto morirono. Condottosi quindi in cerca dell'amico dal danaro, più nol trovò. Non
ostante seguitò ad impiastrare per una certa voluttà che vi prendeva, come de'
cacciatori che, non capitando selvaggine, tirano qualche volta ad uccelli da nulla.
Poiché c'insegna un altro, che la diabolica fattura era tale, che chi presa ne
veniva con darle il primo consenso, sentiva tal gusto e diletto nell'andar untando, che
umano piacere, sia qualsivoglia, non è possibile se li agguagli.
Due illustri e benemeriti scrittori
Muratori e Verri hanno affermato che il Cardinale Federico dubitasse del fatto delle
unzioni: in verità però egli tenne che molto vi fosse dell' esagerato, ma insieme che
qualche cosa fosse di vero. A prova di che noi compendieremo qui i sentimenti d'esso
Cardinale.
« È facile confondere il vero col
falso: e della peste fatturata se ne dissero tante, che lievemente puoi crederle e
prontamente rifiutarle. Noi, come alcune ne crediamo, così ad altre possiamo ricusar
fede. Certo alcuni, affine di scusarsi della negligenza se avessero acquistata la peste
per l'alito e pel contatto, vollero dire di averla presa per gli unti ... Si contò che
uno degli untori, penetrato in un monastero, vi portò la peste intridendo i famigli; nè
si scoprì la frode se non quand'erano morti quasi tutti. Tali cose divulgate nè tutte
crediamo, nè tutte giudichiamo inventate ... Nel Lazzaretto un untore confessò d'aver
patto col diavolo, mostrò dove tenea nascosto i barattoli pieni di veleno, e tosto dopo
spirò. Una donna, confessato spontaneamente il misfatto, diede fuori per complice la
figlia sua, che fu trovata coi vasi e tutto per ungere. Mentre un tale, convinto per
untore menavasi al supplizio tanagliandogli le membra, additò uno degli spettatori e lo
fe prendere ai birri come complice suo. Ed io posso proprio affermare d'uno, che vestito
da prete, entrò ne' chiostri e gli tinse. Si sa del resto che questa non è la prima
peste fatta per umana malizia: nè la cosa è impossibile ad effettuarsi, benchè
difficile assai: come dicesi degli alchimisti che tramutano i metalli, ma con
inesplicabile fatica lavorandovi intorno tutta la vita. Negli untori s'aggiunga la malizia
dei demoni, che sempre avversi agli uomini, spingono ed ammaestrano al misfatto che loro
procaccia messe d'anime e di corpi. Poichè mentre i magistrati cercavano gli untori,
trascuravano le cure necessarie. Questo può acquistar fede alle unzioni. Ma d'altra
parte, non si potea tanto miracolo finire con ricchezze private: nessun re o principe vi
fornì roba o potere; neppur mai trovossi il capo e l'autore di questi unti. Ed è
grand'argomento a non credervi il vedere cessare di per sè un delitto, che dovea durare
sin all'estremo quando fosse stato diretto ad un fine determinato. In quest'intradue come
venire a capo del vero? Militari violenti, lascivi, parte nostri ma i più forestieri,
noiati dal rigido impero, dal tenue soldo, dalle fatiche, dalle fami durate, si disse che
cominciarono a mulinar qualche termine de' loro patimenti: ed aiutante il diavolo,
inventarono le unzioni, i cui elementi portarono forse dai luoghi stessi, ond'era venuta
la peste. Da alcun tempo ancora andava per Lombardia una brigata di uomini facinorosi,
vantatori di delitti, spadaccini, che senza nè guadagno nè punto d'onore, sfidavano
chiunque valesse nelle armi. Nè è novità che gli scellerati, per sottrarsi al patire,
ricorrano al delitto: Catilina vel dica.
Ma che questi untori fossero i peggori
viventi che mai, appariva dal loro modo di morire, poichè sprezzando ogni soccorso delle
anime, anche sotto la mano del boia duravano a negare. Un d'essi, côlto proprio in sul
fatto, e condotto addirittura alla forca, visto un carro ov'erano i monatti misti ai
cadaveri, strappossi a quei che lo menavano, e di un salto balzò in mezzo a quella turba
pestilente, come in sicurissimo ricovero fra buboni e marcia, ove nessuno avrebbe ardito
stendere la mano. Ma preso a sassi e schioppettate, fu rotto in molte parti, e sulla bara
stessa carreggiato alla fossa. Del resto tanti fatti, le condanne successe, l'atrocità
dell'influenza, appena lasciano dubitare del fatto delle unzioni. " Così il
Cardinale.
Quello però che più desta
meraviglia si è il vedere come da questo delirio andassero presi i medici, e fino il
Tadini. Egli che de' primi avea gridato contro il venire dell'infausto esercito tedesco,
egli che primo avea riconosciuto i casi di peste disseminata nel paese; egli per cui
istanza fin dall'11 ottobre antecedente il tribunale di sanità avea messo quel di
provvisione sull'avviso affinchè, crescendo la peste in Francia, in Fiandra, in Germania,
e già penetrando ne' Grigioni ed a Poschiavo, la tenesse lontana di qui con ferro,
fuoco, forca: egli, col Settala suo maestro preso a perseguitare dal popolo perchè
sosteneva che v'era la peste; egli che per ufficio e per zelo ne avea seguito passo passo
prima le tracce sparse, poi le gigantesche; egli che avea veduto le ragioni del crescer di
quella nel mancar di provvidenze, nell'ostinazione del volgo a non crederla, nell'aver
raccolti gli affamati al lazzaretto, nella malizia dei monatti che ad arte lasciavano
cadere cenci e cadaveri per le vie e nelle case, nel castigo di Dio perchè hormai si
vedeva persa la ragione, il giuditio, la prudenza, la carità nelle creature, egli
divenne de' più caldi a sostenere che la peste era diffusa dalla perversità degli
untori. Talmente si trovava fondata, così egli, l'opinione, del volgo e della plebe
e della nobiltà, che queste unzioni non fossero solamente pestilenti, ma ancora vi
concorresse l'arte diabolica per distruere non solamente la città, ma tutto lo stato ...
che ogni notte per il spazio di tre mesi si vedevano unte molte contrade della città, che
era cosa di stupore e meraviglia non sapere dove si fabbricasse tanta quantità
d'unguento, quale si vedeva di colore gialdetto, o crocco scuro, et in verità havere da
ongere in una notte le centinaia et migliaja di case, bisognava fosse fabricato con arte
diabolica, perchè naturalmente parlando non si poteva fare che non si fosse saputo o
inteso per le diligenze straordinarie, chè trattandosi del benefitio publico, ciascuno
non le facesse. Ma quello elle ci confermava concorrere l'arte diabolica in queste ontioni
è che ogni notte non solamente si trovavano rinfrescate le untioni nelle medesime case
della notte antecedente, ma accresciute di gran lunga la subsequente ... Et che sii la
verità non si può negare che il Podestà di Milano un giorno non facesse condurre nel
Tribunale della Sanità dieci furbi, detà in circa di 12 in 14 anni, li quali
confessarono, a viva voce che ogni mattina erano condotti alloffelleria, et doppo
bene mangiato et bevuto andavano ongendo le persone che si trovavano nel Verzaro, con un
guento, che gli era dato d'alcune persone che si trovavano ad un hora di notte in quelle
case che si dicono matte al bastione, con 40 soldi per ciascuno, et fatta diligenza la
sera medema per fargli prigione, non si ritrovorno. Ben è vero che vicino al bastione se
gli trovò un tale Giovanni Battista, che della parentella per degni rispetti non si
nomina, et condotto prigione, mentre si tormentava restò sopra la corda strangolato dal
demonio, et quegli figliuoli furono frustati, di puoi banditi da tutto lo stato . . .
Nè solamente restò nella città di
Milano, ma si allargò nel Ducato in molte terre et ville per causa delle quali furno
presi alcuni delinquenti et condannati alla ruota, et in particolare un laico servita et
un altro di S. Ambrosio ad Nemus per esser caso notorio, furno presi con detto unguento,
et messi alla tortura cofessorno averlo riceputo da certe persone forastieri per far
morire alcuni suoi nemici, dove poco dopo furno ancor essi condannati alla morte.
In questo tempo non fu Medico alcuno nè
persona intelligente che havesse sentimento diverso di queste untioni pestilenti, che non
fossero con arte diabolica fabricate: mentre per le molte persone le quali morivano alla
sprovista senza segni esterni, senza comercio da loro saputo di contagio, concludevano
tutti per necessità essere stati unti e non altrimenti.
S'aggiunse di più che, oltre l'unguento
pestilente e venefico, fabbricavano ancora una polvere della medesima natura e qualità,
la quale spargevano nelli vasi dell'acqua benedetta, pigliata dal popolo nelle chiese et
ancora nelli luoghi della povertà, dove si trovavano caminare con li piedi ignudi,
attacandose alle mani et piedi, haveva tanta forza che incontinente quelle misere creature
s'infettanano et morivano in brevità di tempo. Dopo molti altri esempi viene a narrar
di sè stesso, che vide, in contrada di s. Raffaello, un furfante a cavallo, che
destramente spargeva detta polvere, ma accortosi d'essere scoperto, fuggì a rotta di
collo: di due zitelle di Antonio Vailino da Caravaggio, che nel prendere l'acqua santa in
chiesa dei Servi per segnarsi, vi scórsero qualche polvere galleggiante, e fra 40 ore
morirono; e daltre due donne che, giunte alla chiesa delle Grazie, trafelanti dal
cammino e dal caldo, bevvero dell'acqua santa, e poco dopo ne morirono.
Certo vi parrà mirabile come sì
torte conseguenze potessero tirarsi dai fatti, per adoperarli, invece di utile
ammaestramento, a rincalzo delle superstizioni. Così l'accorrere di tanta gente alla
Chiesa delle Grazie era naturale che pel contatto accrescesse il male: ma no; doveasi dire
che un untore, travestito da frate, era stato veduto in iscambio di quell'olio miracoloso
dell'unto suo. In quella sconsigliata processione fatta l11 di giugno, e nel
concorso per otto dì al Duomo a visitare s. Carlo, Tadini vedeva una ragione di crescere
il male sì per la folla, essendo nel più caldo della state, sì pel commercio colle
persone infette, sì pel camminare coi piè scalzi e riscaldati sopra le vie sporche dalle
reliquie de' frequenti cadaveri: pure doveasi spiegare la mortalità cresciuta colle
polveri venefiche. Un'altra volta, al 25 di luglio, s'appiccò un incendio, corse voce che
fosse un'arte de' francesi nascosi fuori per sorprendere la città onde un dar all'arme,
un terror panico, un accorrere, un affollarsi e crescere le morti sì pel contatto, sì
perchè ogni popolare effervescenza sviluppa e cresce le epidemie ma anche allora si disse
tutto questo essere stato una trama degli untori per avere agevolezza del loro infernale
proponimento. Dei processati, alcuni morivano fra i tormenti, gli altri duravano
protestandosi innocenti fin alla morte; e questo s'avea per prova dell'esser coloro dati
al diavolo. Povera ragione!
Dopo tutto ciò, mi chiedete forse
quel ch'io creda del fatto di tali unzioni! Veramente, a sentirlo asserire da tanti come
cosa veduta proprio da loro, trattandosi di un giudizio di immediata, assoluta percezione,
parrebbe un soverchio di critica il dubitarne. Ma chi faccia ragione alla natura dell'uomo
e all'oscurità de' tempi, resta condotto anche più in là del dubbio. Perocchè l'uomo
quant'è più grossolano tantè più credulo: quant'è più passionato tantè
più precipitoso nei giudizi: e quando accade una meraviglia, più è grossa, più
agevolmente la si crede, e ognuno, almeno per ambizione, pretende esserne stato
testimonio. Che se mai vi poneste mente, i fanciullini quando si fecero alcun male son
tutta finezza di apporre a qualche caso la colpa per iscusarne se stessi. Anche il popolo,
fanciullo adulto, per non dover dire io contrassi il contagio coll'avere trascurate
le debite cautele, trovava comodo l' incolparne un'ineffabile malignità. Aggiungi
l'istinto della curiosità che vorrebbe trovar le ragioni, e adatte al suo modo di vedere:
aggiungi la perpetua inclinazione del volgo a scorgere la mano dell'iniquità nelle
sciagure, perchè sentendo troppo duro il dar di cozzo contro quello che, con arcana
bilancia i beni e i mali scomparte, vuol pur trovare quaggiù un reo, contro cui sfogare
il dispetto di patimenti che non crede di meritare.
Che se a questo modo di vedere
proprio di tutti i tempi (e voi navete in pronto esempi vecchi e nuovi) s'intreccino
altre accreditate illusioni, diffuse, radicate, e labitudine dincaute credenze
e di osservazioni trascurate, chi misurerà labisso ove può giungere luomo?
Gran lezione a coloro che hanno potere sull'opinione, agli scrittori principalmente, ai
maestri, ai preti, di non lasciar l'errore neppur là dove paia innocente, perchè lento
stende le sue radici a danno delle utili piante, e i frutti sono sempre funestissimi. E
appunto in quell'età il desiderio d'empiere con gagliarde sensazioni il vuoto, abborrito
dalla volontà che restava nelle fantasie pei falliti interessi generali la terribile
vicissitudine di sfortunati eventi, la malizia di chi poteva, aveano ricondotto
gl'Italiani a quel punto, in cui, come fanciulli, fossero guidati coll'autorità e la
credulità non colla ragione. In ogni parte del sapere, misteri: filosofi, leggisti,
teologanti a giurare sulla parola del maestro: rimanere contenti a cause ridicole: ogni
fenomeno spiegato con soprannaturali cagioni, miracoli o prestigi, santità o diavoleria:
insultata o punita la ragione qualvolta rivendicasse i diritti. Basti l'accennare
l'opinione delle streghe e della magia. I temporali, le malattie un po' complicate, la
sterilità de' campi o delle donne, fin quel naturalissimo effetto dell'innamorarsi,
voleano attribuirsi a maligno sguardo, a filtri, a malie. Già avete potuto vedere in
questi ragionamenti le prove di tutto ciò: ed anche là folletti erano stati visti coi
propri occhi: testimoni oculari aveano notato il tale e il tale nelle tregende: tribunali,
le persone più elevate n'erano convinte tanto, da seguitarne per un paio di secoli
legali, orribili, non interrotte carneficine; vittime oggidì compiante, non che dai
generosi pochi, ma fin da quelli che disprezzano altre vittime, cadute volontarie
all'antiguardo della ragione progressiva. Che se oggi nessuno, se non forse qualche
donnicciuola, crede vi sieno state le streghe, benchè il fatto sia asserito da tanti,
benché tante l'abbiano esse stesse confessato ai tribunali, non potremo anche noi credere
che fossero del tutto un sogno quelle unzioni? Trovar una parete impiastricata, nulla di
più facile massime allora. Chi la vide lo disse: mille altri asserirono averlo veduto
anche loro: il fatto correndo per le bocche, misto allo spavento, ingrandisce: si variano
le circostanze così da parere diversi i fatti. Ecco tutto. Che se si volesse credere
almeno la prima unzione, attribuendola a burla od altro, come poi spiegare quella
continuazione? come il numero quasi infinito di case unte ogni notte? ove si fabbricava
tanta materia, chi ardiva diffonderla e in tal copia dopo che vedeansi dati ai più
crudeli strazi quelli che appena n'erano sospettati rei? Eppure anche queste cose sono
tutte attestate con altrettanta asseveranza.
Se poi ci fosse stato ancora, chi non
credesse essere quegli unti un'arte diabolica, vennero i padri del S. Uffizio
dell'Inquisizione ad annunziare al presidente Arconato, siccome il tal dì appunto era
stato da essi prefinito al demonio perchè cessasse ogni suo potere sovra il popolo
milanese: parole, dice il Ripamonti, che sembrano togliere ogni dubbio sugli unti,
essendovi interposta l'autorità apostolica, che non può nè ingannare nè essere
ingannata.
Quand'anche fosse provato che i
governanti siano sempre i più retti pensatori, non vi farebbe meraviglia il vederli
entrar anch'essi a due piedi nella credenza degli unti, e cosí al risentimento istintivo
del popolo aggiungere quello deliberato della legge. Fin sulle prime il Senato
excellentissimo non restava usare ogni diligenza benchè straordinaria per ritrovare li
malfattori, acciò si potessero castigare, e per levare ancora tanto terrore che seguiva
per la città quando fosse anco fatto per burla o per spavento del popolo.
Il tribunale della sanità poi
pubblicò il seguente editto:
" Avendo alcuni temerari e scellerati avuto ardire di andare ungendo molto porte delle case, diversi catenacci di esse e gran parte dei muri di quasi tutte le case di questa città, con unzioni parte bianche e parte gialle, il che ha causato negli animi, di questo popolo di Milano grandissimo terrore e spavento dubitandosi che tali untuosità siano state fatte per aumentare la peste che va serpendo in tante parti di questo stato, dal che potendone seguire molti mali effetti ed inconvenienti pregiudiciali alla pubblica salute, ai quali dovendo gli signori Presidenti e Conservatori della sanità dello stato di Milano per debito del loro carico provedere, hanno risoluto per beneficio publico e per quiete e consolazione degli abitanti di questa città, oltre tante diligenze sin qui dordine loro usate per metter in chiaro i delinquenti, far pubblicare la presente grida.
" Con la quale promettono a ciascuna persona di qualsivoglia grado, stato e condizione si sia che nel termine di giorni 30 prossimi a venire dopo la pubblicazione della presente metterà in chiaro la persona o le persone che hanno commesso, favorito, aiutato o dato il mandato o recettato, o avuto parte o scienza ancorchè minima in cotal delitto, scudi 200 de' danari delle condanne di questo Tribunale: e se il notificante sarà uno de' complici, purchè non sia il principale, se gli promette l'impunità, e parimente guadagnerà il suddetto premio.
" Ed a questo effetto si deputano per giudici il sig. Capitano di Giustizia, il signor Podestà di questa città ed il sig. Auditore di questo tribunale, a' quali o ad uno di essi avranno da ricorrere i propalatori di tal delitto, quali volendo saranno anco tenuti segreti.Dato in Milano li 19 Maggio 1630.
M. Antonius Montius Praeses.
Jacobus Antonius Taliabos Cancell.Aperti dunque cent'occhi per iscoprire i rei dell'unzione, si credette finalmente averli trovati.
© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 08 marzo 2000