Giuseppe Bonghi
Introduzione
al
Libro de' Vizî e delle Virtudi
di Bono
Giamboni
L'opera più
originale, o almeno più autonoma, del Giamboni è il Libro de'
Vizî e delle Virtudi (che qualcuno intitola anche L'introduzione
alla virtù), giudicata generalmente un mélange di spunti e temi tratti da
opere diverse, quali la Psycomachia di Prudenzio, il De fide spe et charitate e De pugna
spirituali o De conflictu vitiorum et virtutum di
San Bernardo di Chiaravalle, fino al De
consolatione philosophiae di Boezio Cassiodoro, un
mélange che oscilla tra realtà e fantasia e presenta spunti che spesso hanno del
romanzesco, come la battaglia contro l'idolatria.
L'opera di Giamboni, non priva di pregi stilistici, è stata collocata
nel quadro dei numerosi volgarizzamenti e rifacimenti di opere francesi e di testi latini,
classici e medievali, che caratterizzano l'ultimo scorcio del Duecento e la prima metà
del Trecento: attività alla quale era connesso non solo un programmatico proposito di
divulgazione, ma anche quello di un progressivo tentativo di dare, o ridare, dignità
stilistica e letteraria al "volgare". Solo nella seconda metà del Novecento si
è cominciato a dare il giusto peso alla sua produzione "originale" e al Libro de' Vizî e delle Virtudi e al Trattato
di Vizi e virtù, intesi anche come Introduzione alla
virtù citata sopra.
Due sono le battaglie che la Fede
Cristiana deve sostenere: una contro la Fede Pagana e laltra contro la Fede
Islamica, mentre la Fede Giudea manda una sua ambasceria al campo della Fede Cristiana con
la preghiera di attaccare battaglia e di accettare che i Giudei seguano la loro Fede.
Lambasceria viene accettata. Il peccato più potente che commettono quelli che non
adorano Dio è indubbiamente la Superbia, lunico Vizio a morire, in modo peraltro
orrendo (proprio nella fossa scavata da un altro Vizio, la Frode): la Superbia ha
originato tra laltro la ribellione di Lucifero/Satana a Dio e fra gli uomini il
peccato originale.
La parte centrale contiene proprio due
elementi tipici della struttura dei poemi: lesame delle forze in Campo (pensiamo ad
esempio lelenco delle navi e dei popoli che partecipano alla spedizione achea contro
Troia) e la descrizione della battaglia.
Nei due schemi seguenti presentiamo due
delle caratteristiche che frequentemente si possono trovare nella letteratura del
Duecento:
le tre potenze |
||
secondo Bono Giamboni |
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lavorare: serve per non stare in ozio |
immaginare: serve a desiderare di imparare sempre |
desiderare, luomo sempre desidera e non adempie i suoi desideri |
Secondo Brunetto Latini |
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potenza vegetativa |
potenza sensitiva |
potenza razionale |
Secondo Dante Alighieri |
||
memoria |
intelligenza |
volontà |
le
cinque chiavi della Sapienza vedi Avesani in Rivista di cultura classica e medievale, VII 1965 p. 62-73 |
||||
1a chiave | 2a chiave | 3a chiave | 4a chiave | 5a chiave |
secondo Bono Giamboni |
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porta della Fede Cristiana |
porta della Prudenza |
porta della Giustizia |
porta della Fortezza |
porta della Temperanza |
secondo
Il libro dei buoni costumi |
||||
il timore di Dio |
honorare lo maestro |
cotidianamente legere |
spessamente adimandare delle cose dubbiose |
ritenere a mente |
secondo
la Scala che mandò Santo Francesco a frate Bernardo |
||||
quanto sia breve la vita |
quanto è isdrucciolente la vita |
quanto sia el punto de la morte incerto |
che premi agli giusti |
che tormenti agli peccatori |
Dividiamo il libro in
cinque parti, che caratterizzano cinque elementi:
I-XXII - La retta via - Incontro tra Filosofia e Bono Giamboni; incontro con la
Fede: l'esame e la professione di Fede: montano a cavallo iniziano il cammino sulla retta
via.
XXIII- XXXI: presentazione dei vizi e delle virtù - Esame e presentazione dello
schieramento a battaglia dei sette Vizi - XXXII-XXXVII: esame e presentazione dello
schieramento a battaglia delle quattro Virtù
XXXVIII-L - le difficoltà battaglia tra vizi e virtù
LI-LXII - la vittoria sul male - vittoria delle Virtù e sconfitta dei Vizi
sconfitta della Superbia La Filosofia e Bono compiono la parte finale del loro
viaggio: rimontano a cavallo e vanno allaccampamento delle Virtù
LXIII-LXXVI - gli ammonimenti a ben resistere al male - ammonimenti della Prudenza,
della Giustizia, della Fortezza e della Temperanza che accolgono Bono in compagnia della
Filosofia e finale presentazione affidamento dellautore alle Virtù.
Cosa ci resta oggi del Libro de Vizî e delle Virtudi? indubbiamente uno spaccato sul mondo piccolo borghese e sulle credenze e superstizioni di una società per tanti versi ancora sconosciuta. Il Libro è un testo che ci illumina sulla cultura del tempo e ci introduce non solo a Dante, ma anche al misto di sentimento [amoroso-religioso] e sentimento [amoroso-sociale], un dissidio che sta allorigine dei peccati del Duecento e della concezione della vita di un Petrarca e di un Boccaccio, pur con tutte le differenze che caratterizzano i due grandi personaggi della nostra Letteratura.
* * * *
Crediamo di far cosa gradita ai lettori offrendo un riassunto abbastanza vasto dellopera di Bono Giamboni:
Lopera comincia
con una lamentela (I) di Bono Giamboni, a somiglianza di Giobbe, sul destino che lo fa
vivere fra mille tribolazioni tanto da maledire il momento in cui nacque; e piangendo con
molti sospiri parlò perfino contro Dio medesimo, chiedendogli perché lavesse fatto
venire al mondo e non lavesse fatto morire al momento della nascita; meglio sarebbe
stato se non avesse provato i beni del mondo e vivesse in un luogo selvaggio e deserto,
lontano dalle genti che si facevano beffe di lui. A questi lamenti per la sua esistenza
triste e dolente, allautore appare una figura (II) che lo rimprovera perché sta
sempre col capo chino rivolto verso le cose terrene, anziché guardare verso il cielo e
considerare le "dilettevoli" cose che dal cielo gli possono arrivare per cui
potrebbe guarire da ogni malattia e qualità peccaminosa. Allora apre gli occhi e vede una
donna bellissima (III) che emanava una luce tanto grande e profonda da abbagliare gli
occhi di chi la voleva guardare: era la Filosofia, maestra delle Virtù, nel
cui studio Bono già per molto tempo s'era indugiato, e che mai avrebbe lasciato in
difficoltà il suo discepolo; anzi: è suo costume venire in soccorso proprio dei
discepoli malati e disperati. Come un dottore la Filosofia lo visita, trovandogli buono il
polso e il cuore che batte forte, e gli assicura che sarebbe guarito se avesse seguito il
suo consiglio: non vergognarsi di svelare l'origine della sua malattia. Bono allora gli
ripete le sue lamentele (IV): pur essendo stato dotato dei quattro sensi principali
(vedere, udire, odorare, saporare) e arricchito di doni fondamentali come gentilezza e
ricchezza e amicizia e onori, nei quali era stato allevato, pure ne era stato in parte
privato dalla Ventura, sopravvenendogli molte sofferenze, rimanendogli solo il dono
di essere conosciuto da molte persone ma per suo danno. La Filosofia gli risponde
(V) che è il momento di trovare un rimedio ai suoi due mali (perdita dei beni della Ventura
e perdita dei beni della Natura). La Filosofia comincia allora ad interrogarlo:
quale il motivo per cui Dio creò l'uomo e la donna? Per riempire i seggi del Paradiso,
perché il vero fine è quello di andare in Paradiso: l'uomo, quindi, naturalmente
destinato al Paradiso non può seguire contemporaneamente Dio e Mammone (il demonio), per
cui chi commette peccato e va contro il suo fine principale non può che perdere
gradatamente i beni che dal Destino e dalla Natura gli sono stati concessi: Dio vuole che
l'uomo lo serva seguendo i suoi comandamenti e non può pretendere di avere tutti i beni
in questo e nell'altro mondo. Per questo (VI) le pene sofferte nel mondo (perdendo il
paradiso delizievole terreno) sono preparazione al Paradiso celestiale. Per questo Cristo
è sceso sulla terra (VII) salvando l'umanità, lavando la prima offesa fatta da Adamo ed
Eva, e l'uomo deve sopportare i castighi che gli vengono da Dio: ma l'uomo purtroppo, si
lamenta la Filosofia (VIII), pensa più alla ricchezza e ai beni del mondo e a lamentarsi
per la povertà e per le tribolazioni, senza pensare che queste pene portano a meritare
nell'altro mondo molta gloria perpetuale.
Ma a questo si oppone Bono, che chiede
alla Filosofia (IX): esiste veramente un uomo che sa rinunciare ai beni del mondo per
amore d'aver paradiso? La Filosofia (X) conferma le sue parole, affermando che tutti
coloro che hanno amato le cose del mondo non hanno potuto conquistare il Paradiso, perché
stretta è la via che conduce al regno dei cieli ed aspra la battaglia che l'uomo deve
combattere e pochi riescono a vincere. Bono capisce allora che coi consigli della Filosofia
può ben conquistare il paradiso e superare le difficoltà (XI): difficile è conquistare
il Paradiso, cui si va per una stretta via e vi si accede per una piccola porta, superando
molti nemici che assalgono di notte e di giorno con l'aiuto delle Virtù, che sono i
cortesi costumi e li belli e piacevoli riggimenti e risiedono nel nobile castello
della mente, dove si raccolgono i sensi e i sentimenti del corpo. Solo le Virtù sono
libere e hanno per capitano l'Umilità: per conquistare le Virtù basta ritornare
nella propria coscienza e percorrere la via dei buoni costumi e delle sagge e cortesi
abitudini.
Senza le Virtù il Cielo non può essere
conquistato (XII), e per praticare le Virtù l'uomo deve seguire tre consigli:
1) deve seguire le Virtù solo con
l'intendimento di conseguire il Paradiso;
2) non deve mai farsi vincere dalle
difficoltà,
3) tornare con buoni intendimenti alla
pratica delle Virtù è molto difficile, come difficile è lavare una macchia. Ma qual è
la via (XIII) dei buoni costumi e de' cortesi e savi riggimenti?
La Filosofia promette di
accompagnare l'autore lungo il viaggio per arrivare alla pratica delle Virtù. Si mettono
in cammino, e, dopo aver molto cavalcato (XIV) si fermano presso una fontana che si
trovava in un bellissimo prato all'ombra di un pino. Qui si intrattengono parlando e la Filosofia
svela a Bono che la Fede Cristiana è capo e fondamento di tutte le altre Virtù:
per conquistare il Paradiso ci vogliono due cose:
1) fede buona e
2) opere perfette, perché le opere senza
la Fede sono perdute.
Ripreso il cammino (XV) cavalcano fino a
sera, quando arrivano all'albergo della Fede, un palazzo molto grande, le cui mura
eran tutte di diamante, lavorate sottilmente ad oro e con buone pietre preziose,
costruito da Salomone. In una sala incontrano la Fede, vestita in modo semplice,
seduta su una meravigliosa sedia al centro di molta gente ch'ella ammaestrava. Vedendo la
Filosofia la Fede si alza e le va incontro, si inginocchia per baciarle il piede: ma la Filosofia
la fa rialzare prendendola per mano e si mettono a sedere ragionando finché vengono
chiamate per la cena.
Alla fine della cena la Filosofia presenta (XVI) alla Fede, chiedendole di
esaminarlo, Bono, che si inginocchia, ed espone (XVII) i Sacramenti, spiegandoli uno per
uno, le affermazioni del Credo e infine i Dieci Comandamenti (cioè
quattro che s'apartengono a Dio e sei che s'apartengono a le genti del mondo) e chi
non li rispetta, commette uno dei sette peccati mortali (Avolterio, micidio, furto,
pergiurio, falso testimonio, rapina e bestemmia). Finito l'esame, Bono professa la sua
fede: solo allora (XVIII) gli viene chiesto se vuole diventare un fedele cristiano e
giurare di mantenersi fedele al giuramento. Viene così ammesso tra i fedeli e riceve la
promessa della Fede di essere aiutato a conquistare il Paradiso.
All'alba Bono e la Filosofia si
rimettono in cammino (XIX), parlando della Fede e della povertà nella quale questa si era
mostrata a loro la sera precedente. La Filosofia risponde che la Fede al contrario
è la più ricca regina che si trovi nel mondo perché possiede il bene supremo, cioè
Dio, e Dio e Fede sono uniti dall'amore, e chi ha fede ama Dio sopra tutte le cose,
e non si preoccupa di mangiare o di vestire o della gloria del mondo, ma pensa Idio,
imagina Idio, contempla Idio. Anche la cena che ha dato ai suoi fedeli non è stata
povera (XX) ma buona, perché buone sono le cene che si prendono soltanto per pascere il
corpo, e la Fede ha dato da mangiare solo quanto era bastevole, come cattive (XXI) sono le
cene che si prendono per soddisfare un peccato di gola, ricche di sapori, quando si
chiacchiera sfrenatamente fra musiche e canti e femine di sozze cose richeste;
infine perfette (XXII) sono solo quelle che servono per pascere l'anima della letizia
spirituale.
Molto cavalcano (XXIII) la Filosofia
e Bono fin quando giungono su un monte molto alto, dove in una cella si trovava un
povero eremita: dal monte si poteva dominare una vasta pianura nella quale si trovava
tanta gente, quanti sono i granelli di sabbi, divisa in due gruppi separati da uno
steccato: dalla parte d'Oriente le persone che hanno seguito le Virtù, e dalla parte
d'occidente quelle che hanno seguito i Vizi e spesso le due parte si sono date battaglia.
Smontati da cavalli e messisi a sedere sotto il portico della cella dell'eremita (XXIV);
dalla parte dei Vizi allora Bono vede lo 'mperadore e signore di tutta l'oste de' Vizî,
la Superbia, che ha diviso il campo in sette parti, dominate da Vanagloria, Invidia,
Ira, Tristizia, Avarizia, Gula, Lussuria, e sono all'origine di tutti i peccati del
mondo; all'improvviso un banditore ordina all'intero campo di correre ad armarsi perché
la Superbia ha deciso di dare battaglia.
Subito il campo comincia ad agitarsi
(XXV) e il primo settore a schierarsi è quello dominato da Vanagloria, un
movimento d'animo che spinge l'uomo a desiderare un onore che non gli compete, che ha già
messo in ordine di battaglia le sue otto schiere: Grandigia (quando l'individuo non
sopporta che un altro possa essere pari o superiore a lui), Arroganza (quando
l'uomo si vanta di quello che non è), Non usanza (quando un uomo non sopporta di
fare una cosa come la fanno gli altri e si ingegna in un modo nuovo e diverso),
Ipocresia (quando un uomo mostra agli altri di essere quello che non è),
Contenzione (quando l'uomo combatte la verità e vuole vincere con la violenza o con
sottigliezza nelle parole), Contumacia (quando un uomo non porta onore a chi gli è
superiore nella scala sociale), Presunzione (quando un uomo per darsi onore si
appropria di azioni altrui) e Inobedienza (quando un uomo non ubbidisce a chi gli
è superiore socialmente e non esegue gli ordini che gli sono stati dati).
Quindi si ordina in battaglia il secondo
settore (XXVI), dominato da Invidia (che fa soffrire gli uomini quando vedono che
altri sono felici o grandi o potenti ecc.), diviso in cinque schiere: Ditramento
(quando l'uomo nasconde i beni o le qualità altrui), Dipravamento (quando mette in
cattiva luce i beni o le qualità altrui, il maldicente), Ingratitudine, Maltrovamento
(quando si accusa qualcuno di mali che non ha commesso), Rallegramento o Contristamento
(quando si è contenti per il male capitato ad altri o si è tristi per il bene capitato
ad altri).
Il terzo settore (XXVII) ad
ordinarsi è quello dominato da Ira, che spinge all'improvviso qualcuno a far del male ad
altri, diviso in dieci schiere: Odio, Discordia (disaccordo fra due persone
che prima andavano d'accordo), Ressa (anche rissa, malanimo fra parenti), Ingiuria,
Contumelia (ingiuria rivolta a parole), Impazienza, Protervia, Malizia
(volontà cattiva tesa a fare di nascosto del male agli altri), Nequizia (quando
qualcuno ardisce nel fare cose che non può), Furore.
Il quarto settore (XXVIII) è
dominato dalla Tristizia, cioè pigrizia e cattiveria d'animo per cui l'uomo non comincia
il bene che potrebbe o dovrebbe fare e con porta a termine il bene che ha cominciato a
fare ed è un peccato che si può commettere in otto modo: Desidia (quando non si
comincia il bene che si potrebbe fare), Pigrizia (quando non si porta a termine il
bene cominciato), Pusillanimità (timore di cominciare le grandi cose), Negligenzia,
Improvedenza (incapacità di prevedere le conseguenze delle nostre azioni), Non
intorno guardare (incapacità di considerare tutte le cose che possono nuocere),
Tepiditate (quando l'uomo è ozioso invece di essere sollecito nell'azione),
Ignavia (quando nessuna azione viene compiuta con discrezione).
Il quinto settore (XIX) è
dominato dall'avarizia, cioè dallo smodato desiderio di acquistare e ritenere ricchezze,
ed è un pessimo vizio che si può commettere in dodici modi: Simonia (smodato
desiderio di rivendere cose spirituali, o cariche ecclesiastiche, così detta da Simon
Mago incantatore che una volte volle comprare dagli Apostoli lo Spirito Santo col fine di
guadagnarci), Usura (desiderio d'avere qualcosa oltre quanto concesso dal destino),
Ladorneccio (ladrocinio: togliere qualcosa a qualcuno contro la sua volontà),
Pergiurio (bugia affermata con sacro giuramento), Furto (prendere di nascosto
qualcosa a qualcuno contro la volontà di questi), Bugia (falsa notizia data col
fine di ingannare chi la riceve), Rapina (prendere con la forza e la violenza
qualcosa a qualcuno), Forza (ingiuria commessa con la forza), Inquietare (commuovere
o molestare qualcuno ingiustamente), Mal giudicare (emanare sentenze al fine di
guadagnarci), Ingannare (abuso della credulità o semplicità altrui fatto con
frode a proprio vantaggio), Onor desiderare (desiderio di avere più onore di
quanto si conviene; colui che desidera questo è detto anche avaro: nella S.
Scrittura Adamo è detto avaro perché desiderò più onore di quanto gli spettasse
e gli fosse concesso).
Il sesto settore (XXX) è
dominato dalla Gola, desiderio e volontà di mangiare e bere smodatamente, e si
può commettere in nove modi: Golosità (troppo mangiare), Ebrietà (troppo
bere), Prodigalità (spendere oltre misura), Non astenersi (non mangiare al
momento necessario), Non temperarsi (desiderio di troppe vivande), Vanamente
parlare (parlare in modo ozioso), non esser pudico (parlare in modo da apparire
lussurioso), Non esser modesto, Non esser onesto (chiedere cose non
convenevoli alla propria vita)..
Il settimo settore (XXXI) è
dominato dalla Lussuria, cattivo desiderio che nasce dal pizzicore della
libidine e che non si riesce a frenare: è concesso fare all'amore solo al fine di
procreare e co la propria moglie senza peccato per lo sacramento del matrimonio; la
lussuria può essere commessa in sei modi, riportati dal Decretum Gratiani: Semplice
fornicazione (atto carnale fatto senza ragione con una vedova o con un'amica o con una
prostituta), Incesto (atto carnale commesso con una parente o con una suora),
Avolterio (adulterio, atto carnale commesso con la moglie di un altro), Strupro (stupro,
atto carnale commesso con una vergine), Peccato contra natura (atto carnale
commesso quando si sparge il seme altrove che nel luogo naturale), Rapinamento (rapimento
di una vergine allo scopo di sposarla dopo averla corrotta).
Dopo aver passato in rassegna le schiere
dei Vizi, Bono guarda (XXXII) tutte le genti delle Virtù, divise in quattro parti,
guidate dalle quattro virtù principali: Prudenzia, Giustizia, Fortezza e
Temperanzia, le cui opere sono tutte perfette e comprendono tutti i beni che si
fanno nel mondo. La prima parte è guidata dalla Prudenza (XXXIII), che è
la virtù che permette di conoscere il bene ed il male e di accettare il bene disprezzando
il male, perché non sarebbe saggio distinguere il bene dal male se non si sapesse
discernere il bene in sé, e si esercita in sei modi: Guardar le cose passate (aver
memoria della cose passate mettendole in relazione con quelle presenti), Conoscer le
cose presenti (immaginare e capire le cose presenti, ciò che hanno di male e ciò che
hanno di bene), Considerare quelle che possono avvenire (pensare al futuro, perché
non basta pensare alle cose che si vedono cogli occhi), Esaminare i contrari,
Guardarsi dal male che si è conosciuto, Seguitare il bene che si è desiderato.
La seconda parte è guidata dalla Fortezza
(XXXIV), la virtù che consente all'animo umano di sopportare e superare tutte le
difficoltà, le fatiche e le tribolazioni e possiede nove caratteristiche principali: Magnificenzia
(l'anima ardisce a tentare grandi e nobili imprese), Fidanza (speranza di portare a
termine le imprese cominciate), Sicurtà (credere fermamente di poter riuscire a
condurre felicemente in porto un'impresa se la si fa con dirittura morale), Fermezza
(restare fermi e saldi nei buoni proponimenti), Pazienza (forza d'animo che
permette di sopportare in pace le fatiche e i pericoli che nascono dalle tribolazioni del
mondo), Perseveranzia (virtù che permette all'uomo di restare fermo nei suoi
proponimenti), Longanimità (attesa fiduciosa di ricevere il giusto premio nella
vita eterna), Umiltà (virtù che porta a nascondere il bene che si fa, a non
mettere in mostra davanti a tutti le proprie azioni), Mansuetudine (arrendevolezza
d'animo).
La terza parte è guidata dalla Temperanza
(XXXV), virtù che frena i desideri della carne, dai quali spesso si è assaliti, e si
manifesta in otto modi: Continenza (astenersi dai desideri non leciti), Castitade
(costringere l'incendio della lussuria nei limiti della ragione, e riguarda tre categorie
di donne: la castità virginale di chi non ha ancora avuto rapporti carnali, la castità
vedovile di chi ha conosciuto il rapporto carnale ma se ne astiene e la castità
matrimoniale di chi solo legittimamente ha rapporti carnali), Pudicizia (non
solamente come la Castità frena l'incendio della passione, ma ne frena anche i segni
esteriori, come i movimenti del corpo e il tipo di vestiario), Astinenzia
(limitazione della volontà della gola che non permette di mangiare e bere oltre il
necessario), Parcità (parsimonia, saggia moderazione nelle spese), Umiltà
(portare un vile abito e nascondere il bene che si fa: a - umiltà bastevole di
fronte a chi è superiore in grado, b - umiltà perfetta, di fronte a chi è sullo
stesso piano, c - umiltà sopraabbondevole di fronte a chi è minore di grado), Onestà
(uso temperato di tutte le cose che servono alla vita quotidiana), Vergogna
(atteggiamento che si assume di fronte alle soperchierie altrui e freno dall'usare
ingiustizie o linguaggio sozzo o eccesso nel parlare).
La quarta parte è guidata dalla Giustizia
(XXXVI), una virtù che permette all'uomo di restituire a ciascuno ciò che gli spetta
nel rispetto della comune utilità, ed è composta da nove schiere guidate da Religione
(virtù secondo la quale si rende a Dio la sua ragione e si divide in tre elementi:
Fede, ferma credenza nella verità che non si può conoscere con la ragione perché
questa guida alla scienza; Carità, che muove l'uomo ad amare, riverire ed ubbidire
a Dio; Speranza, ferma aspettativa di essere premiati da Dio nella vita eterna), Pietà
(virtù colla quale il figlio dona amoroso rispetto al padre e alla madre e questi al
figlio, il cittadino alla patria), Sicurtà (simile a severità: vendicare
il male subito non lasciare nulla senza la dovuta punizione), Vendetta (difendersi
dal nemico dal quale non ci si fa fare né ingiurie né violenza): Sicurtà
e Vendetta proprio perché puniscono il male non sembrano veramente assimilabili
alle virtù perché queste portano ad agire bene; Innocenzia (permette di non
rispondere alle ingiurie e al male ricevuto), Grazia (restituire benefici ricevuti
a parenti o amici, ecc.), Reverenzia (amore mescolato con paura che permette di
rendere l'onore dovuto ai superiori, e si divide in due parti: venerazione e ubbidienza; a
sua volta l'ubbidienza è di due specie: quando si esegue un ordine che porta onore e
quando si esegue un ordine che porta fastidi), Misericordia (aver pietà per le
miserie degli altri e soccorrerli: Dio ha misericordia degli uomini e li soccorre), Concordia
(elemento che lega gli uomini di uno stesso paese in uno stesso interesse).
Esaminate le schiere la Fede cristiana
(XXXVII), accorsa in aiuto delle virtù, conforta e ammonisce le genti a ben operare con
il seguente discorso: (XXXVIII) quando Dio onnipotente fece il Cielo e la Terra, e divise
la luce dalle tenebre, e formò i nove ordini di angeli, assegnando a ciascun a il suo
seggio in paradiso, diede a ciascun angelo l'arbitrio di decidere secondo la loro
volontà. Allora Lucifero si insuperbì con i suoi molti seguaci e fu cacciato dal
paradiso: gli angeli ribelli furono chiamati demoni. Molti seggi restarono vuoti; allora
Dio decise di riempirli e fece l'uomo e la donna perché facessero figli e li riempissero.
Ma Lucifero, detto anche Satana, li tentò e li fece peccato: Adamo ed Eva mangiarono il
pomo proibito, furono cacciati dal paradiso terrestre e messi nel mondo con tutte le loro
miserie. Allora Dio creò le Virtù per aiutare gli uomini a conquistarsi il seggio in
paradiso, ma Satana subito creò i Vizi per combattere le Virtù: così cominciò la
grande battaglia che durerà fino alla fine del mondo. A un certo punto sembrò che i Vizi
stessero per sconfiggere le Virtù, ma Dio mandò sulla terra il suo figliuolo Gesù
Cristo che diede agli uomini una nuova legge e scacciò i Vizi. Satana si addolorò molto
e creò le eresie per combattere la vera Fede. La Fede sprona le Virtù alla battaglia, a
sconfiggere e cacciare i Vizi e fare in modo che le opere degli uomini siano tutte
perfette, ricordando che Cristo sempre combatte per aiutare le Virtù e non sopporterà la
vittoria dei Vizi.
Finito il discorso subito si levò (XXIX)
un altissimo grido che entusiasmò tutte le genti appartenenti alle Virtù spingendole a
combattere. Allora una delle Virtù, (XL) con le sue genti disarmate e mal vestite, si
avvicinarono allo steccato che tagliava a metà (XXIII) la pianura dividendo i Vizi dalle
Virtù, e lo distrusse (XL). Quindi arrivò un cavaliere (la Fede) terribile a vedersi,
con armi, nere su un gran cavallo, mentre dall'altra parte si avvicina un signore
(l'Idolatria) altrettanto terribile a vedersi, dall'aspetto sformato e sconcio perché
sconcio è credere che negli idoli possa risiedere la Divinità. Comincia un'aspra
battaglia tra la Fede e l'Idolatria e i loro seguaci; dalla parte della Fede morirono
tutti gli Apostoli, salvandosi solo San Giovanni, che corse molti pericoli, e tutti i
martiri menzionati dalla Chiesa; ma alla fine vinse la Fede Cristiana per i molti miracoli
che fece Dio.
Cacciata e sconfitta l'Idolatria, crebbe
il seguito della Fede Cristiana, che dovette comunque combattere contro molte altre Fedi
ed Eresia. E mentre stava nel campo delle Virtù le venne incontro un cavaliere molto
vecchio dalla barba bianca, armato di armi bianche, la Fede Giudea (XLI); il cavaliere è
canuto perché è una antichissima fede ed ha le armi bianche perché rappresentano la
legge data da Dio e fu mutata quando Cristo venne al mondo, e tanto mutò che da bianca
divenne sozzissima. La Fede Giudea mandò cinquanta abili cavalieri ad osservare la Fede
Cristiana; i cavalieri tornati dalla Fede Giudea dopo aver tutto osservato, riferirono
ogni cosa parlando del gran numero che componeva la gente cristiana, consigliandole di non
attaccare battaglia; ricevuto consiglio dai suoi saggi, mandò una ambasceria alla Fede
Cristiana per chiederle di poter continuare ad usare la propria fede.
Fatto l'accordo con la Fede Giudea,
mentre torna al campo (XLII) la Fede Cristiana viene a saper che sei nuove eresie
(Paterini, Gazzeri, Leoniste, Arnaldiste, Speroniste, Circoncisi) la cercavano per
attaccare battaglia, provocate da sei grandi prelati della Chiesa, saggi maestri di grande
cultura che trovarono leggendo la Sacra Scrittura che la salvezza dell'uomo era molto
difficile. per cui ciascuno ha trovato la sua legge ma nessuna s'accorda con quella degli
altri. La Fede Cristiana sconfigge le sei eresie e di buon grado accoglie coloro volle
tornare sotto la vera fede mentre gli altri furono arsi in un fuoco che faceva un fumo
così puzzolente che ben presto appestò tutte le contrade. Dopo questa vittoria (XLIII)
furono edificate molte chiese in onore dei martiri e degli Apostoli e in tutte le chiese
con molte orazioni fu lodato il Signore.
Satana intanto vede che tutta la gente
del mondo conosciuto s'era convertita al Cristianesimo, abbandonando false fedi ed eresie
e decisero di dare battaglia a Dio Onnipotente e fecero arrivare nel mondo tante piaghe e
molte pestilenze. Alla fine (XLIV) lo stesso Mammone, il demonio che sovrintende alle
ricchezze e all'amministrazione della gloria del mondo, diede il consiglio che non sarebbe
stato conveniente fare guerra a Dio, anche perché già un'altra volta erano stati
sconfitti: meglio sarebbe stato seguire un'altra via: mandare nel mondo il diavolo
Maometto che colla sua opera avrebbe corrotto tutte le genti. Così fu fatto (XLV) e
quando fu radunata una gran quantità di gente fedele a Maometto, (XLVI) si scatenò una
nuova battaglia e la Fede Cristiana fu sconfitta e cacciata da tutta la terra
d'oltremare.
La Fede Pagana, presa baldanza,
conquistò la Sicilia (XLVII) mentre la Fede Cristiana era dolente perché non poteva
radunare gente per fare unaltra battaglia; anzi non riuscì a difendere
lItalia, che tutta venne conquistata, tanto che dappertutto non si predicava più la
Fede Cristiana. Ma il reame di Francia resistette (XLVIII) e richiese a tutti
dessere aiutato per combattere contro la Fede Pagana, perché non era possibile che
la Fede dataci da Gesù Cristo Figlio di Dio potesse scomparire. Si radunarono quindi gli
amici della Fede Cristiana (XLIX) soprattutto due Virtù, la Carità e la Speranza,
sorelle della Fede, che sempre insieme operano. Le tre Virtù si riunirono e deliberarono
di scegliere tra la loro gente dodici uomini fortissimi e valenti in guerra, chiamati
paladini, collaiuto dei quali mettere in fuga la gente della Fede Pagana.
Si radunò quindi la gente della fede
Cristiana e i dodici Paladini, cui fu data per insegna un Leone (L), in un campo
dichiarando guerra alla nemica Fede Pagana, che si trovava in Roma e aveva diviso il
territorio conquistato fra i suoi Baroni, spronati a ben fare e ad essere prodi e valenti.
La Fede Pagana radunò tanta gente che poteva con essa ricoprire tutto il mondo e si
portò al campo dove si trovava la Fede Cristiana. Si scatenò quindi una grande
battaglia, con molti morti da una parte e dallaltra; verso mezzogiorno i demoni
cominciarono a diffondere la voce falsa che i baroni della Fede Cristiana erano tutti
morti, diffondendo paura fra i Cristiani, che però presto si rassicurano e ringraziano
Dio adorandolo e contrattaccando sconfiggendo la Fede Pagana, riconquistando (LI) le terre
già perse (LII).
La Fede Cristiana radunò allora una
grande flotta (LIII) e un gran numero di fedeli per passare il mare. Di questo si
accorsero le altre Virtù e decisero di mandare al campo della Speranza, della Fede e
della Carità degli ambasciatori per invitarle a non combattere e guardare loro che
combattevano contro i nemici e se piacerà a Dio di permettere loro dopo di passare
insieme il mare per cacciare via i Vizi da quelle terre. Così fu fatto (LIV) e fu eletto
un ambasciatore, la virtù Concordia, che si recò da Fede Speranza e Carità, che
accordarono quanto richiesto. Fu allora ordinato che tutta la gente partecipasse (LV) al
trionfo della Fede Cristiana, come avveniva nellantichità per i vincitori consoli
romani, e tutti cantarono Gloria in excelsis Deo e nel corteo la Fede andava per
prima, precedendo la Carità e la Speranza.
Abbandonato (LVI) il campo delle
battaglie e tornate nellaccampamento, a guardia del quale furono poste la Religione
con le sue Virtù, cui fu ordinato di attaccare battaglia il martedì seguente, ordine che
fu raccolto dal Vizio della Frode, che scavò una grande fossa nel campo delle battaglie
proprio dove le Virtù avrebbero attaccato, senza che nessuno se ne accorgesse, allo scopo
di farvi cadere dentro le Virtù. Allo spuntare del giorno (LVII) le Virtù si muovono
dallaccampamento e sfidano i Vizi non lontano dalla grande buca scavata dalla Frode;
la Superbia sadirò fortemente e montò su un cavallo grandissimo e nerissimo
lanciando sozzi rimproveri contro le Virtù, dicendo (LVIII) che si sarebbero dovuto
vergognare di sfidare a battaglia i Vizi dopo aver perduto tante battaglie da Adamo fino a
Noè tanto che Dio scatenò un diluvio per annegare tutti gli uomini viziosi e avrebbero
dovuto ricordare anche della seconda grande battaglia tanto che Dio disse di essersi
pentito di aver creato luomo, dopo aver trovato che un solo giusto era nel mondo,
Abramo; e avrebbero dovuto ricordarsi della terza grande battaglia tra i Vizi e i
discendenti di Abramo, finché Dio diede a Mosè le sue leggi e che dopo Mosè Dio dovette
mandare sulla terra perfino il suo figliuolo Gesù Cristo, che fu fatto morire fra atroci
tormenti e fra i tormenti furono fatti morire dallopera dei Vizi anche i discepoli;
a che sarebbero servite le virtù come la Fortezza, la Prudenza, la Giustizia, la
Temperanza? Infine le minaccia dicendo che durante la battaglia non avrebbero usato le
loro armi o le loro mani, ma le avrebbero fatte cadere coi cavalli e poi li avrebbero
fatti scalpitare sui loro corpi.
Dopo aver detto queste cose (LIX) la
Superbia diè di sprone al cavallo, ma la sua corsa si interruppe proprio nella fossa
scavata dalla Frode; quando i Vizi videro la Superbia morta nella fossa e le virtù che
venivano contro di loro in assetto da battaglia, cominciarono a fuggire. Grande fu la
sconfitta e numerosi i morti tanto che stretta divenne la porta dellinferno, il cui
fuoco aumentò talmente che uscì fuori sulla terra, specialmente dallEtna.
Sconfitti (LX) i Vizi e la loro gente, le Virtù si avvicinarono alla fossa dovera
caduta la Superbia, tirarono fuori il corpo sul quale la Pazienza fece un piccolo
discorso: molto la Superbia aveva operato contro gli uomini ed era stata punita da Dio,
facendola morire per mano proprio dal Vizio (la Frode) di cui tante volte si era servita.
Quindi fu fatto un grande falò sul quale venne arso il corpo della Superbia e le sue
ceneri vennero sparse al vento, affinchè non riapparisse più né si potesse più
ritrovare. Calmata la situazione (LXI), fu emanato un bando che obbligava tutti coloro che
venissero in possesso di qualcosa dei Vizi, dovessero consegnarlo alle Virtù; quando la
Carità ebbe raccolto tutto, radunò i poveri del mondo ai quali fu distribuito ogni cosa
tanto che non rimase più nessun povero, e bastando le cose a tutti, nessuno si
abbandonava ai Vizi. Solo allora le Virtù ritornarono nel loro accampamento. Allora
parlò la Filosofia (LXII) e disse che rimaneva una sola battaglia da combattere, decisa
da gran tempo, quella tra la Fede Cristiana e la Fede Pagana, che aveva ancora un gran
numero di fedeli; ma poiché richiederà un gran numero di persone, bisognerà prima
predicare la Fede Cristiana; invitò, quindi, Bono a montare a cavallo e andare dalle
Virtù mentre si trovavano ancora radunate nellaccampamento.
Nellaccampamento (LXIII) tutte le
Virtù erano a consiglio, e quando videro arrivare la Filosofia, si gettarono in
ginocchio; ma questa le fece subito rialzare e le abbracciò una per una benedicendole;
quindi si misero tutte a sedere e ragionarono insieme delle passate battaglie e infine in
gran letizia mangiarono insieme. Dopo il pranzo, (LXIV) parlò la Filosofia, e dicendo che
Cristo era sempre molto contento quando un peccatore si converte, presentò Bono, fermo
nella volontà della conquista del Paradiso: davanti alle Virtù Bono, preso per mano
dalla Filosofia stessa, Maestra di tutte le Virtù, si inginocchiò.
Per prima parlò la Prudenza, che disse a
Bono di volerlo esaminare (LXV) prima di accoglierlo fra le sue fila; Bono allora le
consegna una carta sulla quale erano scritti i suoi intendimenti, e la Prudenza
laccettò; quindi, (LXVI) lodando lopera della Filosofia Maestra delle virtù,
per cui chi la osserva difficilmente può perire, disse che due sono le glorie che
luomo e la donna possono avere: quella di questo mondo e quella del paradiso
perpetuale; ma, come disse San Bernardo, nessuno può avere i beni delluno e
dellaltro mondo, perciò chi vuole avere la gloria eterna deve rinunciare alla
gloria mondana. Quindi (LXVII) invita Bono a non operare se non per conquistare il
Paradiso, stando attento alle opere, perché nel mondo molte cose sono fatte per ben fare
e invece sono mal fatte: ma di questo le Virtù non si possono accorgere se non quando il
male è stato ormai commesso, e solo in seguito possono vendicare il mal fatto. Bono
allora chiede di essere aiutato solo per acquistar paradiso e di essere punito se in
qualche cosa cercherà di ingannare le Virtù. A questo punto la Prudenza invita Bono a
star fermo nei suoi proponimenti (LXVIII) e Bono risponde che nessun può giudicare le
cose che devono ancora arrivare perché solo Dio le conosce.
Allora la Prudenza svela a Bono (LXIX)
che cinque sono le porte attraverso cui si può entrare in Paradiso:
1) della
prima tiene le chiavi la Fede Cristiana e nessuno la può aprire se non crede in Dio;
2) della
seconda tiene le chiavi la Prudenza che non apre a nessuno che non sia saggio ed esperto
nelle cose del mondo e conosce il bene e il male;
3) della
terza tiene le chiavi la Giustizia che nessuna lascia passare se non è giusto e non ha
dato a ciascuno quanto gli spetta;
4) della
quarta tiene le chiavi la Fortezza, che non lascia entrare nessuno che non sia
danimo forte per sostenere con pazienza i pericoli e le fatiche derivanti dalle
tribolazioni e avversità del mondo;
5) della
quinta tiene le chiavi la Temperanza , che non lascia entrare nessuno che non sia capace
di frenare i desideri della carne e tenere il giusto mezzo ed equilibrio in tutte le cose.
Dopo aver detto queste cose (LXX) la Prudenza meditò un poco e poi rivelò i suoi
ammonimenti: di avere le chiavi della seconda porta, come abbiamo visto, e di essere
allorigine di quattro virtù secondarie: buona memoria, virtù che
permette di ricordare i fatti passati adattando a questi i fatti presenti; buono
conoscimento, virtù che permette di distinguere il bene dal male, il giusto
dallingiusto, il convenevole dallo sconveniente; buono provedimento,
virtù che permette di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, perché si
distinguono le cose buone dalle cattive solo per il fine; buono esaminamento,
virtù che permette di ben esaminare ogni cosa che si è fatta o che si deve fare.
Dopo la Prudenza, (LXXI) fu la Giustizia
ad offrire a Bono i suoi ammonimenti: tiene le chiavi della terza porta che non apre se
non a chi è di animo giusto e rende giustizia a ogni persona che ne ha diritto e verso la
quale quindi è obbligato. Lobbligo nasce da tre ragioni:
a) per ragione scritta, secondo la legge
romana o per qualunque altro statuto;
b) per ragione non scritta, cioè per
qualche usanza che si è tenuti ad osservare;
c) per ragione naturale, che si presenta
in sei modi
1)
per via di religione, che obbliga naturalmente a Dio; la religione ha
sotto di sé tre virtù: Fede colla quale si conosce Dio, Carità colla
quale sama Dio e gli si ubbidisce, Speranza colla quale si crede fermamente in Dio e
di essere da lui guidato;
2)
per via di pietà, che obbliga il padre al figlio e il cittadino alla sua città e
viceversa; il padre è tenuto a dare al figlio tre cose: nutrirlo, educarlo
alla fede in Dio e dargli buoni costumi, castigarlo se pecca; il figlio deve al
padre tre cose: onorarlo per i benefici ricevuti, ubbidirgli perché gli
sono utili i suoi ammaestramenti, venirgli in aiuto quando è bisognoso; il cittadino è
tenuto a dare alla sua città due cose: consiglio in pace e aiuto nel pericolo;
3)
per via di amore, che obbliga il parente al parente e lamico allamico:
ciascuno deve dare due cose: consiglio e aiuto;
4)
per via di vendetta, che obbliga il nemico al nemico: ciascuno deve difendersi dal
nemico e non lasciarsi fare nessuna ingiuria, ma chi vuol essere perfetto non deve usare
la vendetta;
5)
per via di osservanza, che obbliga linferiore al suo signore o superiore,
dando tre cose: onorarlo, ubbidirgli e venerarlo, perché sempre è così usato di fare;
6)
per via di verità, che obbliga ciascun uomo a un altro uomo: luomo è
obbligato naturalmente a dire la verità ed è tenuto a fare tre cose per gli altri
uomini: aiutare quando uno è bisognoso, sopportarlo quando è infermo matto, castigarlo
quando vede che sbaglia o commette peccato.
Alla Giustizia segue la Fortezza,
(LXXII) che tiene le chiavi della quarta porta, che viene aperta solo a chi è
danimo forte; la Fortezza si compone di sei virtù:
1) magnificenzia, quando luomo
ardisce di fare grandi cose,
2) speranza, quando luomo spera di
ben riuscire se fa dirittamente le cose,
3) fermezza, quando luomo sta fermo
nei suoi propositi,
4) pazienzia, quando sopporta in pace i
pericoli e le tribolazioni,
5) perseveranzia, quando luomo
finisce le cose che dirittamente comincia,
6) longanimitade, quando luomo
pazientemente aspetta di essere premiato nella vita eterna.
Seguono gli ammonimenti della Temperanza, (LXXIII) che tiene le chiavi della quinta porta,
aperta solo a chi è temperante, e lo si può essere in otto modi:
1) contenenza, quando si astiene dai
desideri non leciti,
2) castitade, quando costringe la
lussuria col freno della ragione,
3) pudicizia, quando frena i segni
esteriori della passione col freno della ragione,
4) astinenzia, quando si astiene dal
mangiare e bere ciò che non serve,
5) parcitade, quando trattiene per sé
solo ciò che gli serve,
6) umilitade, quando nasconde il bene che
fa,
7) onestade, quando tutte le cose che
servono sono fatte senza eccessi,
8) vergogna, quando si vergogna delle
soperchierie, del male fatto agli altri e delle parole volgari.
Riprende la parola (LXXIV) la Prudenza che dice a Bono che nessuno potrebbe andare in
Paradiso se qualcuna delle suddette porte non fosse aperta, e lo invita a seguirle se il
suo cuore è pieno di voglia di giungere al paradiso, altrimenti è meglio che lasci
stare. Bono (LXXV) allora prese la Filosofia, Maestra delle Virtudi, per mano, la portò
in disparte e la pregò, per lamore e la fede che sempre le aveva portato, di
consigliarlo: grande è il desiderio di arrivare in paradiso, ma durissima e asprissima la
lotta per arrivarci: chi potrebbe veramente seguire il dettato di tutte le virtù? Prima
viveva semplicemente della sua fede, ora, invece, dopo aver conosciuto tante cose, gli
sembra di vivere come un uomo disperato che non crede di poter raggiungere il regno del
cielo che aveva desiderato sopra tute le cose.
Il trattato si conclude (LXXVI) con il
consiglio che la Filosofia dà allautore: tre sono le facoltà dellanima che
luomo possiede:
1) lavorare: serve per
non stare in ozio
2) immaginare: serve a
desiderare di imparare sempre
3) desiderare:
luomo sempre desidera e non adempie i suoi desideri;
luomo a queste tre facoltà non può sfuggire; e non si spaventi delle cose che ha
visto e sentito, perché molte cose sembrano dure e pesanti allinizio ma col tempo
diventa facili e agevoli da seguire. Alla fine la Filosofia lo prese per mano e lo portò
davanti alle Virtù, e queste lo accolsero finalmente come loro fedele dopo avergli fatto
fare promesse solenni.
Edizione telematica a cura di: Giuseppe
Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
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Ultimo aggiornamento: 14 luglio, 1999