Giuseppe Bonghi
Introduzione
al
Libro de' Vizî e delle Virtudi
di Bono Giamboni

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         L'opera più originale, o almeno più autonoma, del Giamboni è il Libro de' Vizî e delle Virtudi (che qualcuno intitola anche L'introduzione alla virtù), giudicata generalmente un mélange di spunti e temi tratti da opere diverse, quali la Psycomachia di Prudenzio, il De fide spe et charitate e De pugna spirituali o De conflictu vitiorum et virtutum di San Bernardo di Chiaravalle, fino al De consolatione philosophiae di Boezio Cassiodoro, un mélange che oscilla tra realtà e fantasia e presenta spunti che spesso hanno del romanzesco, come la battaglia contro l'idolatria.
L'opera di Giamboni, non priva di pregi stilistici, è stata collocata nel quadro dei numerosi volgarizzamenti e rifacimenti di opere francesi e di testi latini, classici e medievali, che caratterizzano l'ultimo scorcio del Duecento e la prima metà del Trecento: attività alla quale era connesso non solo un programmatico proposito di divulgazione, ma anche quello di un progressivo tentativo di dare, o ridare, dignità stilistica e letteraria al "volgare". Solo nella seconda metà del Novecento si è cominciato a dare il giusto peso alla sua produzione "originale" e al Libro de' Vizî e delle Virtudi e al Trattato di Vizi e virtù, intesi anche come Introduzione alla virtù citata sopra.
         Due sono le battaglie che la Fede Cristiana deve sostenere: una contro la Fede Pagana e l’altra contro la Fede Islamica, mentre la Fede Giudea manda una sua ambasceria al campo della Fede Cristiana con la preghiera di attaccare battaglia e di accettare che i Giudei seguano la loro Fede. L’ambasceria viene accettata. Il peccato più potente che commettono quelli che non adorano Dio è indubbiamente la Superbia, l’unico Vizio a morire, in modo peraltro orrendo (proprio nella fossa scavata da un altro Vizio, la Frode): la Superbia ha originato tra l’altro la ribellione di Lucifero/Satana a Dio e fra gli uomini il peccato originale.
         La parte centrale contiene proprio due elementi tipici della struttura dei poemi: l’esame delle forze in Campo (pensiamo ad esempio l’elenco delle navi e dei popoli che partecipano alla spedizione achea contro Troia) e la descrizione della battaglia.
         Nei due schemi seguenti presentiamo due delle caratteristiche che frequentemente si possono trovare nella letteratura del Duecento:

le tre potenze

secondo Bono Giamboni

lavorare: serve per non stare in ozio

immaginare: serve a desiderare di imparare sempre

desiderare, l’uomo sempre desidera e non adempie i suoi desideri

Secondo Brunetto Latini

potenza vegetativa

potenza sensitiva

potenza razionale

Secondo Dante Alighieri

memoria

intelligenza

volontà

 

le cinque chiavi della Sapienza
all’origine c’è il poemetto del secolo XII Liber quinque clavium sapientie,
vedi
Avesani in Rivista di cultura classica e medievale, VII 1965 p. 62-73

1a chiave 2a chiave 3a chiave 4a chiave 5a chiave

secondo Bono Giamboni

porta della Fede Cristiana

porta della Prudenza

porta della Giustizia

porta della Fortezza

porta della Temperanza

secondo Il libro dei buoni costumi
a cura di S. Morpurgo, Firenze 1921, p. XLVII

il timore di Dio

honorare lo maestro

cotidianamente legere

spessamente adimandare delle cose dubbiose

ritenere a mente

secondo la Scala che mandò Santo Francesco a frate Bernardo
Miscellanea di opuscoli inediti o rari dei secc. XIV-XV, Torino 1861

quanto sia breve la vita

quanto è isdrucciolente la vita

quanto sia el punto de la morte incerto

che premi agli giusti

che tormenti agli peccatori

         Dividiamo il libro in cinque parti, che caratterizzano cinque elementi:
I-XXII - La retta via - Incontro tra Filosofia e Bono Giamboni; incontro con la Fede: l'esame e la professione di Fede: montano a cavallo iniziano il cammino sulla retta via.
XXIII- XXXI: presentazione dei vizi e delle virtù - Esame e presentazione dello schieramento a battaglia dei sette Vizi - XXXII-XXXVII: esame e presentazione dello schieramento a battaglia delle quattro Virtù
XXXVIII-L - le difficoltà – battaglia tra vizi e virtù
LI-LXII - la vittoria sul male - vittoria delle Virtù e sconfitta dei Vizi – sconfitta della Superbia – La Filosofia e Bono compiono la parte finale del loro viaggio: rimontano a cavallo e vanno all’accampamento delle Virtù
LXIII-LXXVI - gli ammonimenti a ben resistere al male - ammonimenti della Prudenza, della Giustizia, della Fortezza e della Temperanza che accolgono Bono in compagnia della Filosofia e finale presentazione affidamento dell’autore alle Virtù.

         Cosa ci resta oggi del Libro de’ Vizî e delle Virtudi? indubbiamente uno spaccato sul mondo piccolo borghese e sulle credenze e superstizioni di una società per tanti versi ancora sconosciuta. Il Libro è un testo che ci illumina sulla cultura del tempo e ci introduce non solo a Dante, ma anche al misto di sentimento [amoroso-religioso] e sentimento [amoroso-sociale], un dissidio che sta all’origine dei peccati del Duecento e della concezione della vita di un Petrarca e di un Boccaccio, pur con tutte le differenze che caratterizzano i due grandi personaggi della nostra Letteratura.

* * * *

Crediamo di far cosa gradita ai lettori offrendo un riassunto abbastanza vasto dell’opera di Bono Giamboni:

         L’opera comincia con una lamentela (I) di Bono Giamboni, a somiglianza di Giobbe, sul destino che lo fa vivere fra mille tribolazioni tanto da maledire il momento in cui nacque; e piangendo con molti sospiri parlò perfino contro Dio medesimo, chiedendogli perché l’avesse fatto venire al mondo e non l’avesse fatto morire al momento della nascita; meglio sarebbe stato se non avesse provato i beni del mondo e vivesse in un luogo selvaggio e deserto, lontano dalle genti che si facevano beffe di lui. A questi lamenti per la sua esistenza triste e dolente, all’autore appare una figura (II) che lo rimprovera perché sta sempre col capo chino rivolto verso le cose terrene, anziché guardare verso il cielo e considerare le "dilettevoli" cose che dal cielo gli possono arrivare per cui potrebbe guarire da ogni malattia e qualità peccaminosa. Allora apre gli occhi e vede una donna bellissima (III) che emanava una luce tanto grande e profonda da abbagliare gli occhi di chi la voleva guardare: era la Filosofia, maestra delle Virtù, nel cui studio Bono già per molto tempo s'era indugiato, e che mai avrebbe lasciato in difficoltà il suo discepolo; anzi: è suo costume venire in soccorso proprio dei discepoli malati e disperati. Come un dottore la Filosofia lo visita, trovandogli buono il polso e il cuore che batte forte, e gli assicura che sarebbe guarito se avesse seguito il suo consiglio: non vergognarsi di svelare l'origine della sua malattia. Bono allora gli ripete le sue lamentele (IV): pur essendo stato dotato dei quattro sensi principali (vedere, udire, odorare, saporare) e arricchito di doni fondamentali come gentilezza e ricchezza e amicizia e onori, nei quali era stato allevato, pure ne era stato in parte privato dalla Ventura, sopravvenendogli molte sofferenze, rimanendogli solo il dono di essere conosciuto da molte persone ma per suo danno. La Filosofia gli risponde (V) che è il momento di trovare un rimedio ai suoi due mali (perdita dei beni della Ventura e perdita dei beni della Natura). La Filosofia comincia allora ad interrogarlo: quale il motivo per cui Dio creò l'uomo e la donna? Per riempire i seggi del Paradiso, perché il vero fine è quello di andare in Paradiso: l'uomo, quindi, naturalmente destinato al Paradiso non può seguire contemporaneamente Dio e Mammone (il demonio), per cui chi commette peccato e va contro il suo fine principale non può che perdere gradatamente i beni che dal Destino e dalla Natura gli sono stati concessi: Dio vuole che l'uomo lo serva seguendo i suoi comandamenti e non può pretendere di avere tutti i beni in questo e nell'altro mondo. Per questo (VI) le pene sofferte nel mondo (perdendo il paradiso delizievole terreno) sono preparazione al Paradiso celestiale. Per questo Cristo è sceso sulla terra (VII) salvando l'umanità, lavando la prima offesa fatta da Adamo ed Eva, e l'uomo deve sopportare i castighi che gli vengono da Dio: ma l'uomo purtroppo, si lamenta la Filosofia (VIII), pensa più alla ricchezza e ai beni del mondo e a lamentarsi per la povertà e per le tribolazioni, senza pensare che queste pene portano a meritare nell'altro mondo molta gloria perpetuale.
         Ma a questo si oppone Bono, che chiede alla Filosofia (IX): esiste veramente un uomo che sa rinunciare ai beni del mondo per amore d'aver paradiso? La Filosofia (X) conferma le sue parole, affermando che tutti coloro che hanno amato le cose del mondo non hanno potuto conquistare il Paradiso, perché stretta è la via che conduce al regno dei cieli ed aspra la battaglia che l'uomo deve combattere e pochi riescono a vincere. Bono capisce allora che coi consigli della Filosofia può ben conquistare il paradiso e superare le difficoltà (XI): difficile è conquistare il Paradiso, cui si va per una stretta via e vi si accede per una piccola porta, superando molti nemici che assalgono di notte e di giorno con l'aiuto delle Virtù, che sono i cortesi costumi e li belli e piacevoli riggimenti e risiedono nel nobile castello della mente, dove si raccolgono i sensi e i sentimenti del corpo. Solo le Virtù sono libere e hanno per capitano l'Umilità: per conquistare le Virtù basta ritornare nella propria coscienza e percorrere la via dei buoni costumi e delle sagge e cortesi abitudini.
         Senza le Virtù il Cielo non può essere conquistato (XII), e per praticare le Virtù l'uomo deve seguire tre consigli:
         1) deve seguire le Virtù solo con l'intendimento di conseguire il Paradiso;
         2) non deve mai farsi vincere dalle difficoltà,
         3) tornare con buoni intendimenti alla pratica delle Virtù è molto difficile, come difficile è lavare una macchia. Ma qual è la via (XIII) dei buoni costumi e de' cortesi e savi riggimenti?
         La Filosofia promette di accompagnare l'autore lungo il viaggio per arrivare alla pratica delle Virtù. Si mettono in cammino, e, dopo aver molto cavalcato (XIV) si fermano presso una fontana che si trovava in un bellissimo prato all'ombra di un pino. Qui si intrattengono parlando e la Filosofia svela a Bono che la Fede Cristiana è capo e fondamento di tutte le altre Virtù: per conquistare il Paradiso ci vogliono due cose:
         1) fede buona e
         2) opere perfette, perché le opere senza la Fede sono perdute.
         Ripreso il cammino (XV) cavalcano fino a sera, quando arrivano all'albergo della Fede, un palazzo molto grande, le cui mura eran tutte di diamante, lavorate sottilmente ad oro e con buone pietre preziose, costruito da Salomone. In una sala incontrano la Fede, vestita in modo semplice, seduta su una meravigliosa sedia al centro di molta gente ch'ella ammaestrava. Vedendo la Filosofia la Fede si alza e le va incontro, si inginocchia per baciarle il piede: ma la Filosofia la fa rialzare prendendola per mano e si mettono a sedere ragionando finché vengono chiamate per la cena.
Alla fine della cena la Filosofia presenta (XVI) alla Fede, chiedendole di esaminarlo, Bono, che si inginocchia, ed espone (XVII) i Sacramenti, spiegandoli uno per uno, le affermazioni del Credo e infine i Dieci Comandamenti (cioè quattro che s'apartengono a Dio e sei che s'apartengono a le genti del mondo) e chi non li rispetta, commette uno dei sette peccati mortali (Avolterio, micidio, furto, pergiurio, falso testimonio, rapina e bestemmia). Finito l'esame, Bono professa la sua fede: solo allora (XVIII) gli viene chiesto se vuole diventare un fedele cristiano e giurare di mantenersi fedele al giuramento. Viene così ammesso tra i fedeli e riceve la promessa della Fede di essere aiutato a conquistare il Paradiso.
         All'alba Bono e la Filosofia si rimettono in cammino (XIX), parlando della Fede e della povertà nella quale questa si era mostrata a loro la sera precedente. La Filosofia risponde che la Fede al contrario è la più ricca regina che si trovi nel mondo perché possiede il bene supremo, cioè Dio, e Dio e Fede sono uniti dall'amore, e chi ha fede ama Dio sopra tutte le cose, e non si preoccupa di mangiare o di vestire o della gloria del mondo, ma pensa Idio, imagina Idio, contempla Idio. Anche la cena che ha dato ai suoi fedeli non è stata povera (XX) ma buona, perché buone sono le cene che si prendono soltanto per pascere il corpo, e la Fede ha dato da mangiare solo quanto era bastevole, come cattive (XXI) sono le cene che si prendono per soddisfare un peccato di gola, ricche di sapori, quando si chiacchiera sfrenatamente fra musiche e canti e femine di sozze cose richeste; infine perfette (XXII) sono solo quelle che servono per pascere l'anima della letizia spirituale.
         Molto cavalcano (XXIII) la Filosofia e Bono fin quando giungono su un monte molto alto, dove in una cella si trovava un povero eremita: dal monte si poteva dominare una vasta pianura nella quale si trovava tanta gente, quanti sono i granelli di sabbi, divisa in due gruppi separati da uno steccato: dalla parte d'Oriente le persone che hanno seguito le Virtù, e dalla parte d'occidente quelle che hanno seguito i Vizi e spesso le due parte si sono date battaglia. Smontati da cavalli e messisi a sedere sotto il portico della cella dell'eremita (XXIV); dalla parte dei Vizi allora Bono vede lo 'mperadore e signore di tutta l'oste de' Vizî, la Superbia, che ha diviso il campo in sette parti, dominate da Vanagloria, Invidia, Ira, Tristizia, Avarizia, Gula, Lussuria, e sono all'origine di tutti i peccati del mondo; all'improvviso un banditore ordina all'intero campo di correre ad armarsi perché la Superbia ha deciso di dare battaglia.
         Subito il campo comincia ad agitarsi (XXV) e il primo settore a schierarsi è quello dominato da Vanagloria, un movimento d'animo che spinge l'uomo a desiderare un onore che non gli compete, che ha già messo in ordine di battaglia le sue otto schiere: Grandigia (quando l'individuo non sopporta che un altro possa essere pari o superiore a lui), Arroganza (quando l'uomo si vanta di quello che non è), Non usanza (quando un uomo non sopporta di fare una cosa come la fanno gli altri e si ingegna in un modo nuovo e diverso), Ipocresia (quando un uomo mostra agli altri di essere quello che non è), Contenzione (quando l'uomo combatte la verità e vuole vincere con la violenza o con sottigliezza nelle parole), Contumacia (quando un uomo non porta onore a chi gli è superiore nella scala sociale), Presunzione (quando un uomo per darsi onore si appropria di azioni altrui) e Inobedienza (quando un uomo non ubbidisce a chi gli è superiore socialmente e non esegue gli ordini che gli sono stati dati).
         Quindi si ordina in battaglia il secondo settore (XXVI), dominato da Invidia (che fa soffrire gli uomini quando vedono che altri sono felici o grandi o potenti ecc.), diviso in cinque schiere: Ditramento (quando l'uomo nasconde i beni o le qualità altrui), Dipravamento (quando mette in cattiva luce i beni o le qualità altrui, il maldicente), Ingratitudine, Maltrovamento (quando si accusa qualcuno di mali che non ha commesso), Rallegramento o Contristamento (quando si è contenti per il male capitato ad altri o si è tristi per il bene capitato ad altri).
         Il terzo settore (XXVII) ad ordinarsi è quello dominato da Ira, che spinge all'improvviso qualcuno a far del male ad altri, diviso in dieci schiere: Odio, Discordia (disaccordo fra due persone che prima andavano d'accordo), Ressa (anche rissa, malanimo fra parenti), Ingiuria, Contumelia (ingiuria rivolta a parole), Impazienza, Protervia, Malizia (volontà cattiva tesa a fare di nascosto del male agli altri), Nequizia (quando qualcuno ardisce nel fare cose che non può), Furore.
         Il quarto settore (XXVIII) è dominato dalla Tristizia, cioè pigrizia e cattiveria d'animo per cui l'uomo non comincia il bene che potrebbe o dovrebbe fare e con porta a termine il bene che ha cominciato a fare ed è un peccato che si può commettere in otto modo: Desidia (quando non si comincia il bene che si potrebbe fare), Pigrizia (quando non si porta a termine il bene cominciato), Pusillanimità (timore di cominciare le grandi cose), Negligenzia, Improvedenza (incapacità di prevedere le conseguenze delle nostre azioni), Non intorno guardare (incapacità di considerare tutte le cose che possono nuocere), Tepiditate (quando l'uomo è ozioso invece di essere sollecito nell'azione), Ignavia (quando nessuna azione viene compiuta con discrezione).
         Il quinto settore (XIX) è dominato dall'avarizia, cioè dallo smodato desiderio di acquistare e ritenere ricchezze, ed è un pessimo vizio che si può commettere in dodici modi: Simonia (smodato desiderio di rivendere cose spirituali, o cariche ecclesiastiche, così detta da Simon Mago incantatore che una volte volle comprare dagli Apostoli lo Spirito Santo col fine di guadagnarci), Usura (desiderio d'avere qualcosa oltre quanto concesso dal destino), Ladorneccio (ladrocinio: togliere qualcosa a qualcuno contro la sua volontà), Pergiurio (bugia affermata con sacro giuramento), Furto (prendere di nascosto qualcosa a qualcuno contro la volontà di questi), Bugia (falsa notizia data col fine di ingannare chi la riceve), Rapina (prendere con la forza e la violenza qualcosa a qualcuno), Forza (ingiuria commessa con la forza), Inquietare (commuovere o molestare qualcuno ingiustamente), Mal giudicare (emanare sentenze al fine di guadagnarci), Ingannare (abuso della credulità o semplicità altrui fatto con frode a proprio vantaggio), Onor desiderare (desiderio di avere più onore di quanto si conviene; colui che desidera questo è detto anche avaro: nella S. Scrittura Adamo è detto avaro perché desiderò più onore di quanto gli spettasse e gli fosse concesso).
         Il sesto settore (XXX) è dominato dalla Gola, desiderio e volontà di mangiare e bere smodatamente, e si può commettere in nove modi: Golosità (troppo mangiare), Ebrietà (troppo bere), Prodigalità (spendere oltre misura), Non astenersi (non mangiare al momento necessario), Non temperarsi (desiderio di troppe vivande), Vanamente parlare (parlare in modo ozioso), non esser pudico (parlare in modo da apparire lussurioso), Non esser modesto, Non esser onesto (chiedere cose non convenevoli alla propria vita)..
         Il settimo settore (XXXI) è dominato dalla Lussuria, cattivo desiderio che nasce dal pizzicore della libidine e che non si riesce a frenare: è concesso fare all'amore solo al fine di procreare e co la propria moglie senza peccato per lo sacramento del matrimonio; la lussuria può essere commessa in sei modi, riportati dal Decretum Gratiani: Semplice fornicazione (atto carnale fatto senza ragione con una vedova o con un'amica o con una prostituta), Incesto (atto carnale commesso con una parente o con una suora), Avolterio (adulterio, atto carnale commesso con la moglie di un altro), Strupro (stupro, atto carnale commesso con una vergine), Peccato contra natura (atto carnale commesso quando si sparge il seme altrove che nel luogo naturale), Rapinamento (rapimento di una vergine allo scopo di sposarla dopo averla corrotta).
         Dopo aver passato in rassegna le schiere dei Vizi, Bono guarda (XXXII) tutte le genti delle Virtù, divise in quattro parti, guidate dalle quattro virtù principali: Prudenzia, Giustizia, Fortezza e Temperanzia, le cui opere sono tutte perfette e comprendono tutti i beni che si fanno nel mondo. La prima parte è guidata dalla Prudenza (XXXIII), che è la virtù che permette di conoscere il bene ed il male e di accettare il bene disprezzando il male, perché non sarebbe saggio distinguere il bene dal male se non si sapesse discernere il bene in sé, e si esercita in sei modi: Guardar le cose passate (aver memoria della cose passate mettendole in relazione con quelle presenti), Conoscer le cose presenti (immaginare e capire le cose presenti, ciò che hanno di male e ciò che hanno di bene), Considerare quelle che possono avvenire (pensare al futuro, perché non basta pensare alle cose che si vedono cogli occhi), Esaminare i contrari, Guardarsi dal male che si è conosciuto, Seguitare il bene che si è desiderato.
         La seconda parte è guidata dalla Fortezza (XXXIV), la virtù che consente all'animo umano di sopportare e superare tutte le difficoltà, le fatiche e le tribolazioni e possiede nove caratteristiche principali: Magnificenzia (l'anima ardisce a tentare grandi e nobili imprese), Fidanza (speranza di portare a termine le imprese cominciate), Sicurtà (credere fermamente di poter riuscire a condurre felicemente in porto un'impresa se la si fa con dirittura morale), Fermezza (restare fermi e saldi nei buoni proponimenti), Pazienza (forza d'animo che permette di sopportare in pace le fatiche e i pericoli che nascono dalle tribolazioni del mondo), Perseveranzia (virtù che permette all'uomo di restare fermo nei suoi proponimenti), Longanimità (attesa fiduciosa di ricevere il giusto premio nella vita eterna), Umiltà (virtù che porta a nascondere il bene che si fa, a non mettere in mostra davanti a tutti le proprie azioni), Mansuetudine (arrendevolezza d'animo).
         La terza parte è guidata dalla Temperanza (XXXV), virtù che frena i desideri della carne, dai quali spesso si è assaliti, e si manifesta in otto modi: Continenza (astenersi dai desideri non leciti), Castitade (costringere l'incendio della lussuria nei limiti della ragione, e riguarda tre categorie di donne: la castità virginale di chi non ha ancora avuto rapporti carnali, la castità vedovile di chi ha conosciuto il rapporto carnale ma se ne astiene e la castità matrimoniale di chi solo legittimamente ha rapporti carnali), Pudicizia (non solamente come la Castità frena l'incendio della passione, ma ne frena anche i segni esteriori, come i movimenti del corpo e il tipo di vestiario), Astinenzia (limitazione della volontà della gola che non permette di mangiare e bere oltre il necessario), Parcità (parsimonia, saggia moderazione nelle spese), Umiltà (portare un vile abito e nascondere il bene che si fa: a - umiltà bastevole di fronte a chi è superiore in grado, b - umiltà perfetta, di fronte a chi è sullo stesso piano, c - umiltà sopraabbondevole di fronte a chi è minore di grado), Onestà (uso temperato di tutte le cose che servono alla vita quotidiana), Vergogna (atteggiamento che si assume di fronte alle soperchierie altrui e freno dall'usare ingiustizie o linguaggio sozzo o eccesso nel parlare).
         La quarta parte è guidata dalla Giustizia (XXXVI), una virtù che permette all'uomo di restituire a ciascuno ciò che gli spetta nel rispetto della comune utilità, ed è composta da nove schiere guidate da Religione (virtù secondo la quale si rende a Dio la sua ragione e si divide in tre elementi: Fede, ferma credenza nella verità che non si può conoscere con la ragione perché questa guida alla scienza; Carità, che muove l'uomo ad amare, riverire ed ubbidire a Dio; Speranza, ferma aspettativa di essere premiati da Dio nella vita eterna), Pietà (virtù colla quale il figlio dona amoroso rispetto al padre e alla madre e questi al figlio, il cittadino alla patria), Sicurtà (simile a severità: vendicare il male subito non lasciare nulla senza la dovuta punizione), Vendetta (difendersi dal nemico dal quale non ci si fa fare né ingiurie né violenza): Sicurtà e Vendetta proprio perché puniscono il male non sembrano veramente assimilabili alle virtù perché queste portano ad agire bene; Innocenzia (permette di non rispondere alle ingiurie e al male ricevuto), Grazia (restituire benefici ricevuti a parenti o amici, ecc.), Reverenzia (amore mescolato con paura che permette di rendere l'onore dovuto ai superiori, e si divide in due parti: venerazione e ubbidienza; a sua volta l'ubbidienza è di due specie: quando si esegue un ordine che porta onore e quando si esegue un ordine che porta fastidi), Misericordia (aver pietà per le miserie degli altri e soccorrerli: Dio ha misericordia degli uomini e li soccorre), Concordia (elemento che lega gli uomini di uno stesso paese in uno stesso interesse).
         Esaminate le schiere la Fede cristiana (XXXVII), accorsa in aiuto delle virtù, conforta e ammonisce le genti a ben operare con il seguente discorso: (XXXVIII) quando Dio onnipotente fece il Cielo e la Terra, e divise la luce dalle tenebre, e formò i nove ordini di angeli, assegnando a ciascun a il suo seggio in paradiso, diede a ciascun angelo l'arbitrio di decidere secondo la loro volontà. Allora Lucifero si insuperbì con i suoi molti seguaci e fu cacciato dal paradiso: gli angeli ribelli furono chiamati demoni. Molti seggi restarono vuoti; allora Dio decise di riempirli e fece l'uomo e la donna perché facessero figli e li riempissero. Ma Lucifero, detto anche Satana, li tentò e li fece peccato: Adamo ed Eva mangiarono il pomo proibito, furono cacciati dal paradiso terrestre e messi nel mondo con tutte le loro miserie. Allora Dio creò le Virtù per aiutare gli uomini a conquistarsi il seggio in paradiso, ma Satana subito creò i Vizi per combattere le Virtù: così cominciò la grande battaglia che durerà fino alla fine del mondo. A un certo punto sembrò che i Vizi stessero per sconfiggere le Virtù, ma Dio mandò sulla terra il suo figliuolo Gesù Cristo che diede agli uomini una nuova legge e scacciò i Vizi. Satana si addolorò molto e creò le eresie per combattere la vera Fede. La Fede sprona le Virtù alla battaglia, a sconfiggere e cacciare i Vizi e fare in modo che le opere degli uomini siano tutte perfette, ricordando che Cristo sempre combatte per aiutare le Virtù e non sopporterà la vittoria dei Vizi.
         Finito il discorso subito si levò (XXIX) un altissimo grido che entusiasmò tutte le genti appartenenti alle Virtù spingendole a combattere. Allora una delle Virtù, (XL) con le sue genti disarmate e mal vestite, si avvicinarono allo steccato che tagliava a metà (XXIII) la pianura dividendo i Vizi dalle Virtù, e lo distrusse (XL). Quindi arrivò un cavaliere (la Fede) terribile a vedersi, con armi, nere su un gran cavallo, mentre dall'altra parte si avvicina un signore (l'Idolatria) altrettanto terribile a vedersi, dall'aspetto sformato e sconcio perché sconcio è credere che negli idoli possa risiedere la Divinità. Comincia un'aspra battaglia tra la Fede e l'Idolatria e i loro seguaci; dalla parte della Fede morirono tutti gli Apostoli, salvandosi solo San Giovanni, che corse molti pericoli, e tutti i martiri menzionati dalla Chiesa; ma alla fine vinse la Fede Cristiana per i molti miracoli che fece Dio.
         Cacciata e sconfitta l'Idolatria, crebbe il seguito della Fede Cristiana, che dovette comunque combattere contro molte altre Fedi ed Eresia. E mentre stava nel campo delle Virtù le venne incontro un cavaliere molto vecchio dalla barba bianca, armato di armi bianche, la Fede Giudea (XLI); il cavaliere è canuto perché è una antichissima fede ed ha le armi bianche perché rappresentano la legge data da Dio e fu mutata quando Cristo venne al mondo, e tanto mutò che da bianca divenne sozzissima. La Fede Giudea mandò cinquanta abili cavalieri ad osservare la Fede Cristiana; i cavalieri tornati dalla Fede Giudea dopo aver tutto osservato, riferirono ogni cosa parlando del gran numero che componeva la gente cristiana, consigliandole di non attaccare battaglia; ricevuto consiglio dai suoi saggi, mandò una ambasceria alla Fede Cristiana per chiederle di poter continuare ad usare la propria fede.
         Fatto l'accordo con la Fede Giudea, mentre torna al campo (XLII) la Fede Cristiana viene a saper che sei nuove eresie (Paterini, Gazzeri, Leoniste, Arnaldiste, Speroniste, Circoncisi) la cercavano per attaccare battaglia, provocate da sei grandi prelati della Chiesa, saggi maestri di grande cultura che trovarono leggendo la Sacra Scrittura che la salvezza dell'uomo era molto difficile. per cui ciascuno ha trovato la sua legge ma nessuna s'accorda con quella degli altri. La Fede Cristiana sconfigge le sei eresie e di buon grado accoglie coloro volle tornare sotto la vera fede mentre gli altri furono arsi in un fuoco che faceva un fumo così puzzolente che ben presto appestò tutte le contrade. Dopo questa vittoria (XLIII) furono edificate molte chiese in onore dei martiri e degli Apostoli e in tutte le chiese con molte orazioni fu lodato il Signore.
         Satana intanto vede che tutta la gente del mondo conosciuto s'era convertita al Cristianesimo, abbandonando false fedi ed eresie e decisero di dare battaglia a Dio Onnipotente e fecero arrivare nel mondo tante piaghe e molte pestilenze. Alla fine (XLIV) lo stesso Mammone, il demonio che sovrintende alle ricchezze e all'amministrazione della gloria del mondo, diede il consiglio che non sarebbe stato conveniente fare guerra a Dio, anche perché già un'altra volta erano stati sconfitti: meglio sarebbe stato seguire un'altra via: mandare nel mondo il diavolo Maometto che colla sua opera avrebbe corrotto tutte le genti. Così fu fatto (XLV) e quando fu radunata una gran quantità di gente fedele a Maometto, (XLVI) si scatenò una nuova battaglia e la Fede Cristiana fu sconfitta e cacciata da tutta la terra d'oltremare.
         La Fede Pagana, presa baldanza, conquistò la Sicilia (XLVII) mentre la Fede Cristiana era dolente perché non poteva radunare gente per fare un’altra battaglia; anzi non riuscì a difendere l’Italia, che tutta venne conquistata, tanto che dappertutto non si predicava più la Fede Cristiana. Ma il reame di Francia resistette (XLVIII) e richiese a tutti d’essere aiutato per combattere contro la Fede Pagana, perché non era possibile che la Fede dataci da Gesù Cristo Figlio di Dio potesse scomparire. Si radunarono quindi gli amici della Fede Cristiana (XLIX) soprattutto due Virtù, la Carità e la Speranza, sorelle della Fede, che sempre insieme operano. Le tre Virtù si riunirono e deliberarono di scegliere tra la loro gente dodici uomini fortissimi e valenti in guerra, chiamati paladini, coll’aiuto dei quali mettere in fuga la gente della Fede Pagana.
         Si radunò quindi la gente della fede Cristiana e i dodici Paladini, cui fu data per insegna un Leone (L), in un campo dichiarando guerra alla nemica Fede Pagana, che si trovava in Roma e aveva diviso il territorio conquistato fra i suoi Baroni, spronati a ben fare e ad essere prodi e valenti. La Fede Pagana radunò tanta gente che poteva con essa ricoprire tutto il mondo e si portò al campo dove si trovava la Fede Cristiana. Si scatenò quindi una grande battaglia, con molti morti da una parte e dall’altra; verso mezzogiorno i demoni cominciarono a diffondere la voce falsa che i baroni della Fede Cristiana erano tutti morti, diffondendo paura fra i Cristiani, che però presto si rassicurano e ringraziano Dio adorandolo e contrattaccando sconfiggendo la Fede Pagana, riconquistando (LI) le terre già perse (LII).
         La Fede Cristiana radunò allora una grande flotta (LIII) e un gran numero di fedeli per passare il mare. Di questo si accorsero le altre Virtù e decisero di mandare al campo della Speranza, della Fede e della Carità degli ambasciatori per invitarle a non combattere e guardare loro che combattevano contro i nemici e se piacerà a Dio di permettere loro dopo di passare insieme il mare per cacciare via i Vizi da quelle terre. Così fu fatto (LIV) e fu eletto un ambasciatore, la virtù Concordia, che si recò da Fede Speranza e Carità, che accordarono quanto richiesto. Fu allora ordinato che tutta la gente partecipasse (LV) al trionfo della Fede Cristiana, come avveniva nell’antichità per i vincitori consoli romani, e tutti cantarono Gloria in excelsis Deo e nel corteo la Fede andava per prima, precedendo la Carità e la Speranza.
         Abbandonato (LVI) il campo delle battaglie e tornate nell’accampamento, a guardia del quale furono poste la Religione con le sue Virtù, cui fu ordinato di attaccare battaglia il martedì seguente, ordine che fu raccolto dal Vizio della Frode, che scavò una grande fossa nel campo delle battaglie proprio dove le Virtù avrebbero attaccato, senza che nessuno se ne accorgesse, allo scopo di farvi cadere dentro le Virtù. Allo spuntare del giorno (LVII) le Virtù si muovono dall’accampamento e sfidano i Vizi non lontano dalla grande buca scavata dalla Frode; la Superbia s’adirò fortemente e montò su un cavallo grandissimo e nerissimo lanciando sozzi rimproveri contro le Virtù, dicendo (LVIII) che si sarebbero dovuto vergognare di sfidare a battaglia i Vizi dopo aver perduto tante battaglie da Adamo fino a Noè tanto che Dio scatenò un diluvio per annegare tutti gli uomini viziosi e avrebbero dovuto ricordare anche della seconda grande battaglia tanto che Dio disse di essersi pentito di aver creato l’uomo, dopo aver trovato che un solo giusto era nel mondo, Abramo; e avrebbero dovuto ricordarsi della terza grande battaglia tra i Vizi e i discendenti di Abramo, finché Dio diede a Mosè le sue leggi e che dopo Mosè Dio dovette mandare sulla terra perfino il suo figliuolo Gesù Cristo, che fu fatto morire fra atroci tormenti e fra i tormenti furono fatti morire dall’opera dei Vizi anche i discepoli; a che sarebbero servite le virtù come la Fortezza, la Prudenza, la Giustizia, la Temperanza? Infine le minaccia dicendo che durante la battaglia non avrebbero usato le loro armi o le loro mani, ma le avrebbero fatte cadere coi cavalli e poi li avrebbero fatti scalpitare sui loro corpi.
         Dopo aver detto queste cose (LIX) la Superbia diè di sprone al cavallo, ma la sua corsa si interruppe proprio nella fossa scavata dalla Frode; quando i Vizi videro la Superbia morta nella fossa e le virtù che venivano contro di loro in assetto da battaglia, cominciarono a fuggire. Grande fu la sconfitta e numerosi i morti tanto che stretta divenne la porta dell’inferno, il cui fuoco aumentò talmente che uscì fuori sulla terra, specialmente dall’Etna. Sconfitti (LX) i Vizi e la loro gente, le Virtù si avvicinarono alla fossa dov’era caduta la Superbia, tirarono fuori il corpo sul quale la Pazienza fece un piccolo discorso: molto la Superbia aveva operato contro gli uomini ed era stata punita da Dio, facendola morire per mano proprio dal Vizio (la Frode) di cui tante volte si era servita. Quindi fu fatto un grande falò sul quale venne arso il corpo della Superbia e le sue ceneri vennero sparse al vento, affinchè non riapparisse più né si potesse più ritrovare. Calmata la situazione (LXI), fu emanato un bando che obbligava tutti coloro che venissero in possesso di qualcosa dei Vizi, dovessero consegnarlo alle Virtù; quando la Carità ebbe raccolto tutto, radunò i poveri del mondo ai quali fu distribuito ogni cosa tanto che non rimase più nessun povero, e bastando le cose a tutti, nessuno si abbandonava ai Vizi. Solo allora le Virtù ritornarono nel loro accampamento. Allora parlò la Filosofia (LXII) e disse che rimaneva una sola battaglia da combattere, decisa da gran tempo, quella tra la Fede Cristiana e la Fede Pagana, che aveva ancora un gran numero di fedeli; ma poiché richiederà un gran numero di persone, bisognerà prima predicare la Fede Cristiana; invitò, quindi, Bono a montare a cavallo e andare dalle Virtù mentre si trovavano ancora radunate nell’accampamento.
         Nell’accampamento (LXIII) tutte le Virtù erano a consiglio, e quando videro arrivare la Filosofia, si gettarono in ginocchio; ma questa le fece subito rialzare e le abbracciò una per una benedicendole; quindi si misero tutte a sedere e ragionarono insieme delle passate battaglie e infine in gran letizia mangiarono insieme. Dopo il pranzo, (LXIV) parlò la Filosofia, e dicendo che Cristo era sempre molto contento quando un peccatore si converte, presentò Bono, fermo nella volontà della conquista del Paradiso: davanti alle Virtù Bono, preso per mano dalla Filosofia stessa, Maestra di tutte le Virtù, si inginocchiò.
         Per prima parlò la Prudenza, che disse a Bono di volerlo esaminare (LXV) prima di accoglierlo fra le sue fila; Bono allora le consegna una carta sulla quale erano scritti i suoi intendimenti, e la Prudenza l’accettò; quindi, (LXVI) lodando l’opera della Filosofia Maestra delle virtù, per cui chi la osserva difficilmente può perire, disse che due sono le glorie che l’uomo e la donna possono avere: quella di questo mondo e quella del paradiso perpetuale; ma, come disse San Bernardo, nessuno può avere i beni dell’uno e dell’altro mondo, perciò chi vuole avere la gloria eterna deve rinunciare alla gloria mondana. Quindi (LXVII) invita Bono a non operare se non per conquistare il Paradiso, stando attento alle opere, perché nel mondo molte cose sono fatte per ben fare e invece sono mal fatte: ma di questo le Virtù non si possono accorgere se non quando il male è stato ormai commesso, e solo in seguito possono vendicare il mal fatto. Bono allora chiede di essere aiutato solo per acquistar paradiso e di essere punito se in qualche cosa cercherà di ingannare le Virtù. A questo punto la Prudenza invita Bono a star fermo nei suoi proponimenti (LXVIII) e Bono risponde che nessun può giudicare le cose che devono ancora arrivare perché solo Dio le conosce.
         Allora la Prudenza svela a Bono (LXIX) che cinque sono le porte attraverso cui si può entrare in Paradiso:
         1) della prima tiene le chiavi la Fede Cristiana e nessuno la può aprire se non crede in Dio;
         2) della seconda tiene le chiavi la Prudenza che non apre a nessuno che non sia saggio ed esperto nelle cose del mondo e conosce il bene e il male;
         3) della terza tiene le chiavi la Giustizia che nessuna lascia passare se non è giusto e non ha dato a ciascuno quanto gli spetta;
         4) della quarta tiene le chiavi la Fortezza, che non lascia entrare nessuno che non sia d’animo forte per sostenere con pazienza i pericoli e le fatiche derivanti dalle tribolazioni e avversità del mondo;
         5) della quinta tiene le chiavi la Temperanza , che non lascia entrare nessuno che non sia capace di frenare i desideri della carne e tenere il giusto mezzo ed equilibrio in tutte le cose.
Dopo aver detto queste cose (LXX) la Prudenza meditò un poco e poi rivelò i suoi ammonimenti: di avere le chiavi della seconda porta, come abbiamo visto, e di essere all’origine di quattro virtù secondarie: buona memoria, virtù che permette di ricordare i fatti passati adattando a questi i fatti presenti; buono conoscimento, virtù che permette di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il convenevole dallo sconveniente; buono provedimento, virtù che permette di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, perché si distinguono le cose buone dalle cattive solo per il fine; buono esaminamento, virtù che permette di ben esaminare ogni cosa che si è fatta o che si deve fare.
         Dopo la Prudenza, (LXXI) fu la Giustizia ad offrire a Bono i suoi ammonimenti: tiene le chiavi della terza porta che non apre se non a chi è di animo giusto e rende giustizia a ogni persona che ne ha diritto e verso la quale quindi è obbligato. L’obbligo nasce da tre ragioni:
         a) per ragione scritta, secondo la legge romana o per qualunque altro statuto;
         b) per ragione non scritta, cioè per qualche usanza che si è tenuti ad osservare;
         c) per ragione naturale, che si presenta in sei modi
               1) per via di religione, che obbliga naturalmente a Dio; la religione ha sotto di sé tre virtù: Fede colla quale si conosce Dio, Carità colla quale s’ama Dio e gli si ubbidisce, Speranza colla quale si crede fermamente in Dio e di essere da lui guidato;
               2) per via di pietà, che obbliga il padre al figlio e il cittadino alla sua città e viceversa; il padre è tenuto a dare al figlio tre cose: nutrirlo, educarlo alla fede in Dio e dargli buoni costumi, castigarlo se pecca; il figlio deve al padre tre cose: onorarlo per i benefici ricevuti, ubbidirgli perché gli sono utili i suoi ammaestramenti, venirgli in aiuto quando è bisognoso; il cittadino è tenuto a dare alla sua città due cose: consiglio in pace e aiuto nel pericolo;
               3) per via di amore, che obbliga il parente al parente e l’amico all’amico: ciascuno deve dare due cose: consiglio e aiuto;
               4) per via di vendetta, che obbliga il nemico al nemico: ciascuno deve difendersi dal nemico e non lasciarsi fare nessuna ingiuria, ma chi vuol essere perfetto non deve usare la vendetta;
               5) per via di osservanza, che obbliga l’inferiore al suo signore o superiore, dando tre cose: onorarlo, ubbidirgli e venerarlo, perché sempre è così usato di fare;
               6) per via di verità, che obbliga ciascun uomo a un altro uomo: l’uomo è obbligato naturalmente a dire la verità ed è tenuto a fare tre cose per gli altri uomini: aiutare quando uno è bisognoso, sopportarlo quando è infermo matto, castigarlo quando vede che sbaglia o commette peccato.
         Alla Giustizia segue la Fortezza, (LXXII) che tiene le chiavi della quarta porta, che viene aperta solo a chi è d’animo forte; la Fortezza si compone di sei virtù:
         1) magnificenzia, quando l’uomo ardisce di fare grandi cose,
         2) speranza, quando l’uomo spera di ben riuscire se fa dirittamente le cose,
         3) fermezza, quando l’uomo sta fermo nei suoi propositi,
         4) pazienzia, quando sopporta in pace i pericoli e le tribolazioni,
         5) perseveranzia, quando l’uomo finisce le cose che dirittamente comincia,
         6) longanimitade, quando l’uomo pazientemente aspetta di essere premiato nella vita eterna.
Seguono gli ammonimenti della Temperanza, (LXXIII) che tiene le chiavi della quinta porta, aperta solo a chi è temperante, e lo si può essere in otto modi:
         1) contenenza, quando si astiene dai desideri non leciti,
         2) castitade, quando costringe la lussuria col freno della ragione,
         3) pudicizia, quando frena i segni esteriori della passione col freno della ragione,
         4) astinenzia, quando si astiene dal mangiare e bere ciò che non serve,
         5) parcitade, quando trattiene per sé solo ciò che gli serve,
         6) umilitade, quando nasconde il bene che fa,
         7) onestade, quando tutte le cose che servono sono fatte senza eccessi,
         8) vergogna, quando si vergogna delle soperchierie, del male fatto agli altri e delle parole volgari.
Riprende la parola (LXXIV) la Prudenza che dice a Bono che nessuno potrebbe andare in Paradiso se qualcuna delle suddette porte non fosse aperta, e lo invita a seguirle se il suo cuore è pieno di voglia di giungere al paradiso, altrimenti è meglio che lasci stare. Bono (LXXV) allora prese la Filosofia, Maestra delle Virtudi, per mano, la portò in disparte e la pregò, per l’amore e la fede che sempre le aveva portato, di consigliarlo: grande è il desiderio di arrivare in paradiso, ma durissima e asprissima la lotta per arrivarci: chi potrebbe veramente seguire il dettato di tutte le virtù? Prima viveva semplicemente della sua fede, ora, invece, dopo aver conosciuto tante cose, gli sembra di vivere come un uomo disperato che non crede di poter raggiungere il regno del cielo che aveva desiderato sopra tute le cose.
         Il trattato si conclude (LXXVI) con il consiglio che la Filosofia dà all’autore: tre sono le facoltà dell’anima che l’uomo possiede:
            1) lavorare: serve per non stare in ozio
            2) immaginare: serve a desiderare di imparare sempre
            3) desiderare: l’uomo sempre desidera e non adempie i suoi desideri;
l’uomo a queste tre facoltà non può sfuggire; e non si spaventi delle cose che ha visto e sentito, perché molte cose sembrano dure e pesanti all’inizio ma col tempo diventa facili e agevoli da seguire. Alla fine la Filosofia lo prese per mano e lo portò davanti alle Virtù, e queste lo accolsero finalmente come loro fedele dopo avergli fatto fare promesse solenni.

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Biblioteca
Biografia di Bono Giamboni
biografia

Fausernet

Edizione telematica  a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999

© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 luglio, 1999