Giuseppe Bonghi
Introduzione
a
Il servitore di due padroni
di
Carlo Goldoni
La Commedia fu inizialmente stesa a
soggetto come canovaccio a Pisa nel 1745 su invito del famoso Antonio Sacchi, attore
celebre e di grande personalità e prestigio, che impersonava sulla scena le maschere di Truffaldino
e di Arlecchino, ispirato allo scenario francese Arlequin valet
maître de deux valets di un certo Jean Pierre des Ours de Mandajors, rappresentato a
Parigi nel 1718 dalla compagnia di Luigi Riccoboni al Théatre de la Comédie italienne, e
pubblicato a Parigi nel 1729 nel primo tomo della seconda edizione del Nouveau
Théâtre Italien, che lo stesso Sacchi aveva provveduto ad inviare al Goldoni, che
preparò un canovaccio scrivendo poche scene e accennando come d'uso. Nell'edizione
Paperini di Firenze delle sue Commedie il Goldoni presenta la commedia interamente
scritta, conservando la struttura scenica del canovaccio che assume una nuova e più
profonda dignità artistica. Lo stesso Antonio Sacchi la rappresenta per la prima volta
probabilmente a Milano nel 1746 con immediato grande successo, un successo che non
mancherà mai in nessuna messa in scena fino ai giorni nostri. Lo stesso Goethe la fece
rappresentare in traduzione a Weimar per diciannove sere consecutivamente con grandi
applausi. Goldoni riesce con straordinario equilibrio a trovare una sintesi fra gli
elementi patetici e sentimentali che attraversano tutta la commedia e le irresistibili
gesta del "servitore di due padroni".
Così ne parla il Goldoni nelle sue
Memorie: (Carlo Goldoni, Memorie, vol. I, cap. XLIX, pag. 216, ed. Niccolò
Zanon Bettoni, Padova 1811)
Eccomi dunque sempre più attaccato ad una professione, che recavami nel tempo stesso molto onore, molto piacere e molto proffitto.
In mezzo alle mie occupazioni ed ai miei lavori, venne da Venezia una lettera di Sacchi a distrarmi ed a mettermi tutto il sangue e tutti gli spiriti in moto.
Questo Comico era ritornato in Italia, e sapendo ch'io mi trovava in Pisa, mi dimandava una Commedia, e davami ancora (anche, ndr) il soggetto, su cui lasciavami la libertà di lavorare a mio senno.
Oh che tentazione per me! Sacchi era eccellente Attore, e la Commedia era stata la mia passione. M'intesi a risvegliarsi nell'animo l'antico gusto, il solito fuoco, il solito entusiasmo. Il soggetto che mi proponeva era il Servitore di due Padroni. Vedeva qual buon uso poteva fare dell'argomento della Commedia, e dell'Attor principale che doveva rappresentarla. Moriva di voglia di provarmi di nuovo, e non sapeva come fare, perché le liti ed i clienti venivano in folla da me. Ma il mio povero Sacchi?... il Servitore di due Padroni?... Orsù, ancora per questa volta... ma no... ma sì... Scrivo finalmente la mia risposta, e m'impegno.
Il giorno lavorava pel Foro, e la notte per la Commedia. Finisco quest'ultima, e la mando a Venezia. Nessun lo sapeva, e nessuno era a parte di questo secreto, fuorché mia moglie, che vi aveva patito al pari di me. Vi passava le notti intiere.
Goldoni, dunque, esercitava a Pisa l'attività forense, ma era già abbastanza conosciuto nell'ambiente del teatro, tanto che un celebre attore gli chiede la scrittura di una commedia a soggetto. Fonte probabile del soggetto goldoniano, insieme ai suggerimenti del Sacchi, fu probabilmente uno scenario francese del 1718, Arlequin valet de deux maîtres, sottoscritto dal Mandajors e recitato a Parigi nello stesso anno dal capocomico italiano Luigi Riccoboni (1676-1753). La Commedia fu rappresentata nel 1746 dal Sacchi stesso, probabilmente a Milano, con un successo grande e immediato, che Goldoni così ricorda (Carlo Goldoni, Memorie, vol. I, cap. L, pag. 218, ed. Niccolò Zanon Bettoni, Padova 1811):
Sacchi dopo qualche tempo mi partecipò la buona riuscita della mia Commedia. Il servitore di due Padroni era applaudito, aveva un concorso che non poteva esser maggiore, e mi mandò un regalo che non mi aspettava; ma domandommi un'altra Commedia nel tempo stesso, lasciandomi padrone di scegliere il soggetto che più mi piaceva. L'ultima mia Commedia, però, essendo fondata solamente sul Comico, desiderava che l'altra da comporsi avesse per base una favola interessante, capace di sentimenti e di tutto il patetico convenevole ad una Commedia.
Goldoni invierà al Sacchi una commedia dal titolo Figlio d'Arlecchino perduto e ritrovato, che in Francia avrà un grande successo presso il Teatro parigino della Commedia Italiana.
Leggiamo ora ciò che di Sacchi scrive il Goldoni nelle sue Memorie: (Carlo Goldoni, Memorie, vol. I, cap. XLI, pag. 183, ed. Niccolò Zanon Bettoni, Padova 1811)
Quest'attore conosciuto sulle scene d'Italia sotto il nome di Truffaldino, aggiungeva alle grazie naturali del suo burlesco, uno studio ordinato sull'arte della Commedia e su i Teatri differenti d'Europa.
Antonio Sacchi aveva la fantasia viva e brillante. Nel rappresentare le Commedie dell'arte, se gli altri Arlecchini non facevan che ripeter sempre le parole medesime, Sacchi al fondo della scena sempre attaccato, dava co' suoi nuovi sali e colle sue inaspettate risposte una cert'aria di novità alla Commedia, e Sacchi solo andavano tutti in folla a vedere.
I suoi motti ridevoli e le sue arguzie non eran tirate né dal linguaggio del popolo, né da quello de' Comici. Aveva messi gli autori delle Commedie a contribuzione, i poeti, gli oratori, i filosofi. Nelle sue scappate improvvise si conoscevano i pensieri di Seneca, di Cicerone, di Montagne; ma egli aveva l'arte di appropriare le massime di questi grandi uomini alla semplicità del balordo; e la proposizione medesima che nell'autor serio era ammirata, faceva ridere sortendo dalla bocca di questo celebre attore.
Parlo di Sacchi come d'un uomo che fu, perché a cagione della sua troppo avanzata età non rimane all'Italia che il rammarico d'averlo perduto, senza speranza di vederne altro eguale.
Il Goldoni riprese in mano la Commedia nel 1753 per l'edizione del tipografo Paperini dello stesso anno (fu inserita nel terzo tomo) e ne scrisse tutte le parti (come spiegherà egli stesso nella prefazione alla Commedia). Di essa ci furono numerose e prestigiose messe in scena; ricordiamo quella di Weimar, con traduzione di Goethe (con 19 repliche), e di Giorgio Strehler nel 1947.
L'autore a chi legge
(compare per la prima volta nel tomo III dell'edizione Paperini del 1753)
Troverai, Lettor
carissimo, la presente Commedia diversa moltissimo dall'altre mie, che lette averai
finora. Ella non è di carattere, se non se carattere considerare si voglia quello del Truffaldino,
che un Servidore sciocco ed astuto nel medesimo tempo ci rappresenta: sciocco cioè in
quelle cose le quali impensatamente e senza studio egli opera, ma accortissimo allora
quando l'interesse e la malizia l'addestrano, che è il vero carattere del Villano.
Ella può chiamarsi piuttosto Commedia
giocosa, perché di essa il giuoco di Truffaldino forma la maggior parte.
Rassomiglia moltissimo alle Commedie usuali degl'Istrioni, se non che scevra mi pare ella
sia da tutte quelle improprietà grossolane, che nel mio Teatro Comico ho
condannate, e che dal Mondo sono ormai generalmente aborrite.
Improprietà potrebbe parere agli
scrupolosi, che Truffaldino mantenga l'equivoco della doppia sua servitù, anche in
faccia dei due Padroni medesimi, soltanto per questo, perché niuno di essi lo chiama mai
col suo nome; che se una volta sola, o Florindo, o Beatrice, nell'Atto
Terzo, dicessero Truffaldino, in luogo di dir sempre il mio Servitore,
l'equivoco sarebbe sciolto e la Commedia sarebbe allora terminata. Ma di questi equivoci,
sostenuti dall'arte dell'Inventore, ne sono piene le Commedie non solo, ma le Tragedie
ancora; e quantunque io m'ingegni d'essere osservante del verisimile in una Commedia
giocosa, credo che qualche cosa, che non sia impossibile, si posa facilitare.
Sembrerà a taluno ancora, che troppa
distanza siavi dalla sciocchezza all'astuzia di Truffaldino; per esempio: lacerare
una cambiale per disegnare la scalcherìa di una tavola, pare l'eccesso della goffaggine.
Servire a due Padroni, in due camere, nello stesso tempo, con tanta prontezza e celerità,
pare l'eccesso della furberia.Ma ecco appunto quel ch'io dissi a principio del carattere
di Truffaldino: sciocco allor che opera senza pensamento, come quando lacera la
cambiale; astutissimo quando opera con malizia, come nel servire a due tavole comparisce.
Se poi considerar vogliamo la catastrofe
della Commedia, la peripezia, l'intreccio, Truffaldino non fa la figura di
Protagonista, anzi, se escludere vogliamo la supposta vicendevole morte de' due amanti,
creduta per opera di questo Servo, la Commedia si potrebbe fare senza di lui; ma anche di
ciò abbiamo infiniti esempi, quali io non adduco per non empire soverchiamente i fogli; e
perché non mi credo in debito di provare ciò che mi lusingo non potermi essere
contraddetto; per altro il celebre Molière istesso mi servirebbe di scorta a
giustificarmi.
Quando io composi la presente Commedia,
che fu nell'anno 1745, in Pisa, fra le cure legali, per trattenimento e per genio, non la
scrissi io già, come al presente si vede. A riserva di tre o quattro scene per Atto, le
più interessanti per le parti serie, tutto il resto della Commedia era accennato
soltanto, in quella maniera che i Commedianti sogliono denominare a soggetto; cioè
uno Scenario disteso, in cui accennando il proposito, le tracce, e la condotta e il fine
de' ragionamenti, che dagli Attori dovevano farsi, era poi in libertà de' medesimi
supplire all'improvviso, con adattate parole e acconci lazzi e spiritosi concetti. In
fatti fu questa mia Commedia all'improvviso così bene eseguita da' primi Attori che la
rappresentarono, che io me ne compiacqui moltissimo, e non ho dubbio a credere che meglio
essi non l'abbiano all'improvviso adornata, di quello possa aver io fatto scrivendola. I
sali del Truffaldino, le facezie, le vivezze, sono cose che riescono più saporite,
quando prodotte sono sul fatto dalla prontezza di spirito, dall'occasione, dal brio. Quel
celebre eccellente Comico, noto all'Italia tutta pel nome appunto di Truffaldino, ha una
prontezza tale di spirito, una tale abbondanza di sali e naturalezza di termini, che
sorprende: e volendo io provvedermi per le parti buffe delle mie Commedie, non saprei
meglio farlo che studiando sopra di lui. Questa Commedia l'ho disegnata espressamente per
lui, anzi mi ha egli medesimo l'argomento proposto, argomento un po' difficile in vero,
che ha posto in cimento tutto il genio mio per la Comica artificiosa, e tutto il talento
suo per l'esecuzione.
L'ho poi veduta in altre Parti da altri
Comici rappresentare, e per mancanza forse non di merito, ma di quelle notizie che dallo
Scenario soltanto aver non poteano, parmi ch'ella decadesse moltissimo dal primo aspetto.
Mi sono per questa ragione indotto a scriverla tutta, non già per obbligare quelli che
sosterranno il carattere del Truffaldino a dir per l'appunto le parole mie, quando
di meglio ne sappian dire, ma per dichiarare la mia intenzione, e per una strada assai
dritta condurli al fine.
Affaticato mi sono a distendere tutti i
lazzi più necessari, tutte le più minute osservazioni, per renderla facile quanto mai ho
potuto, e se non ha essa il merito della critica, della morale, della istruzione, abbia
almeno quella di una ragionevole condotta e di un discreto ragionevole gioco.
Prego però quei tali, che la Parte del Truffaldino
rappresenteranno, qualunque volta aggiungere del suo vi volessero, astenersi dalle parole
sconce, da' lazzi sporchi; sicuri che di tali cose ridono soltanto quelli del vil plebe, e
se ne offendono le gentili persone.
- Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Agosto 1996
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 25 novembre 1999