Giuseppe Bonghi
Introduzione
a
La Locandiera
di
Carlo Goldoni
Introduzione
La locandiera è sicuramente
la più celebre delle commedie del Goldoni che la costruì su misura per Maddalena
Marliani, che nella compagnia Medebac aveva il ruolo della servetta col nome
di Corallina, al cui fascino certamente l'autore stesso non era insensibile,
scatenando le ire della signora Medebac che invece aveva il ruolo di prima donna, gelosa
del grande successo ottenuto nelle poche sere in cui fu replicata al Teatro Sant'Angelo
nel gennaio del 1753. La commedia, scritta fra l'ottobre e il novembre dell'anno
precedente, è l'espressione della figura emergente della donna a metà del Settecento, in
un momento in cui la filosofia illuminista stava cominciando ad avere un largo successo
culturale e di pubblico.
La metà del Settecento è un momento storico
contrassegnato:
- dalla crisi dei valori idealizzati dalla nobiltà nei
secoli precedenti e della sua forza politico-sociale, perché sempre più si rivelava
avulsa dal contesto sociale che era ormai caratterizzato dalla spaccatura tra nobili e
borghesi;
- dal divario fortemente stridente tra nobili e popolo non
solo sul piano economico ma anche su quello più semplicemente spirituale e umano;
- dalla crisi della grande borghesia mercantile, che a
Venezia era diventata particolarmente grave ed aveva ormai raggiunto il suo culmine da
quando l'asse dei traffici internazionali dal Mediterraneo si era spostato
irreversibilmente verso l'Atlantico: la Repubblica della Serenissima stava lentamente e
inesorabilmente scivolando verso il suo totale disfacimento, mentre forze nuove avanzavano
all'orizzonte, e la sua nobiltà si ancorava sempre più strettamente ad un passato sempre
più vuoto e privo di prospettive.
Le figure delle due attrici, Ortensia e Dejanira, diventano
in questo senso sintomatiche della situazione che mette in stridente contrasto realtà ed
apparenza, la realtà rappresentata dai nuovi ricchi, dalle Mirandoline, dai Fabrizi,
dalla gente per bene che bada al sodo e ai valori quotidiani senza voli di fantasia e
l'apparenza rappresentata dai due nobili, il conte d'Albafiorita e il marchese di
Forlipopoli, così tenacemente e penosamente legati a un mondo che ormai non esisteva
quasi più, fatto di parrucche e vecchi merletti. Le due attrici rappresentano nella
realtà della locanda la finzione rappresentata sul teatro, che è la stessa realtà che i
due nobili rappresentano invece nella locanda come se si trovassero sul palcoscenico di un
teatro. Si verifica, insomma, uno spostamento della finzione nella realtà e della realtà
nella finzione.
Il cavaliere di Ripafratta, noto per la sua misoginia,
un'avversione per le donne che rappresenta soprattutto le sue intime insicurezze, noto
anche per il suo successo nel mondo del lavoro e dell'imprenditoria, vive un'esistenza
disarmonica, in cui tutto è proiettato verso l'arricchimento. Quando compare sulla scena,
il cavaliere sembra irrompere con forza scompigliando i precari e noiosi equilibri creati
da una situazione ormai vecchia e sempre uguale a se stessa, con i due nobili che dicono
sempre le stesse cose vuote e prive di vita, senza mai una novità: sembra una società
armonica e felice.
Irrompe il cavaliere e rompe quell'apparente armonia,
tutti restano attoniti: solo Mirandolina capisce la realtà, perché solo lei non si
lascia abbagliare dai lustrini o dalle paillettes, dalle parrucche o dalle trine
apparentemente ricche, così come solo lei capirà la finzione dell'entrata in scena delle
due attrici che sono vestite come due grandi dame dell'alta società, perché conservano
ancora i vestiti di scena e alla locanda sono arrivate per prime aspettando i loro uomini.
La locandiera, diventa l'eroe positivo in
cotrapposizione gli eroi negativi Pantalone e soprattutto Sior Todaro,
che sembrano ormai accontentarsi del benessere immediato con l'unica prospettiva che è
quella di perpetuare all'infinito il loro potere, credendosi invincibili ed eterni: in
questa commedia questo carattere è ben rappresentato proprio dal
Cavaliere di Ripafratta, che però viene spiazzato dalle grazie di Mirandolina, una donna
così diversa dalle altre, che non lottava ma gli dava perfino ragione e della quale
avrebbe potuto fidarsi come si sarebbe fidato di un uomo; una donna che mostrava un grande
senso pratico e una profonda fiducia nei suoi mezzi uniti a una naturale civetteria che
faceva ingelosire e ammattire il povero Fabrizio.
La donna assume nella società del Settecento un ruolo
nuovo e importante, che in molti casi non solo affianca, ma addirittura sostituisce la
figura preponderante dell'uomo (pensiamo ad esempio all'imperatrice Maria Teresa
d'Austria), che sempre più spesso resta fossilizzato in limiti comportamentali che
appratengono irrimediabilmente al passato. Proprio rompendo col passato, Mirandolina non
domina la scena esibendo le sue arti di seduzione tipicamente femminile, ma utilizzando
l'ingegno, servendosi della ragione sorretta da un senso profondo di coerenza umana e
culturale che fa difetto proprio agli uomini. Il prevalere di Mirandolina sul Cavaliere di
Ripafratta è proprio dettato da questa coerenza, che non vuole tanto affermare la
superiorità di un sesso sull'altro, ma di chi usa la ragione su chi invece agisce
sciattamente seguendo modelli comportamentali superati nei fatti e irragionevoli nella
sostanza.
La commedia ci dona un personaggio che "esprime
mirabilmente l'intelligenza, l'autonomia e la consapevolezza della donna nel Setecento. Un
personaggio-simbolo di una intera civiltà, la sintesi di tutte le creature femminili
goldoniane precedenti, l'espressione di una teatralità che ha cambiato radicalmente la
storia della drammaturgia e dello spettacolo. Mirandolina è uno di quei rari personaggi
che finiscono coll'apparire paradigmatici di una condiszione esistenziale che travalica il
proprio tempo ed impersona una femminilità nella quale ogni epoca si riconosce, con
sfumature, risvolti e peculiarità spesso opposte".
La commedia è il lucido ritratto di una società complessa
nelle sue origini e nelle sue articolazioni presenti che possiamo ricondurre
essenzialmente al contrasto fra realtà e finzione, dal quale avrebbe dovuto nascere un
mondo nuovo, nel quale non avrebbero dovuto trovare facile posto i prevaricatori o
gli ipocriti che "rappresentano" una parte, ma persone che vivono nella solida
realtà quotidiana.
Sulla Locandiera leggiamo il passo dalle Memorie di Goldoni:
Arrivato alla novena di Natale dell'anno 1751, mi parve tempo di far risovvenire Medebac che il nostro impegno stava per terminare, e di prevenirlo che non facesse fondamento sopra di me per l'anno seguente.
Gliene parlai amichevolmente e senza formalità. Mi rispose con tutta pulitezza che gli dispiaceva, ma che io era il padrone della mia volontà. Fece però tutto il possibile per impegnarmi a rimanere con lui, e mi fece parlare da molte persone; ma io aveva già risoluto, e nei dieci giorni di riposo mi era accordato con S. E. Vendramini, nobile veneto e proprietario del Teatro San Luca
. Doveva lavorare ancora pel Teatro sant'Angelo sino al termine del carnevale 1752; e soddisfeci al mio dovere sì bene che diedi al Direttore più Commedie di quel che potesse nel carnevale suddetto rappresentare, e gliene restarono alcune che fece valere dopo la nostra separazione.
Madama Medebac era sempre ammalata. I suoi vapori divenivano sempre più nojosi e ridicoli: rideva e piangeva in una volta, mandava grida, faceva mille smorfie e mille contorsioni. La buona gente di sua famiglia, credendola affascinata, fece venir Esorcisti, e carica di reliquie, giuocava e scherzava con quei monumenti pii come una fanciulla di tre o quattro anni.
Vedendo la prima Attrice fuor di stato d'esporsi sopra la scena, all'apertura dal carnevale feci una Commedia per la cameriera o servetta. Madama Medebac si fece veder in piedi ed in buon essere il dì di Natale; ma quando seppe che si era affissata per giorno appresso la Locandiera, Commedia nuova fatta per Corallina. andò a rimettersi in letto con convulsioni di nuova invenzione, che facevano impazzire sua madre, suo marito, i suoi parenti ed i suoi domestici.
Aprimmo dunque lo spettacolo il dì 26 dicembre con la Locandiera. Questa vien da Locanda, che in italiano significa la stessa cosa che hôtel garni in francese. Non vi è termine proprio in lingua francese per indicar l'uomo o la donna che tien locanda. Se si volesse tradurre questa Commedia in francese, converrebbe cercar il titolo nel carattere, e questo sarebbe senza dubbio la Femme adroite. Mirandolina tiene una locanda a Firenze, e colle sue grazie e col suo spirito guadagna, ancor senza volerlo, il cuore di tutti quelli che alloggian da lei.
Di tre forestieri che sono alloggiati in questa locanda, ve ne son due che sono innamorati della bella Locandiera; ma il cavalier Ripafratta, ch'è il terzo, non essendo capace d'alcun attacco per le donne, la tratta rusticamente e si burla de' suoi compagni.
È giustamente contra quest'uomo selvatico e rustico, che Mirandolina addirizza tutte le sue batterie. Essa non l'ama; ma è punta e vuole per amor proprio e per onor del suo sesso sommetterlo, umiliarlo e punirlo.
Comincia coll'adularlo, fingendo d'approvare i suoi costumi ed il suo disprezzo per le donne: affetta ancor ella il medesimo disgusto per gli uomini, e detesta i due forestieri che l'importunano: non è che nell'appartamento del cavaliere, che essa entra con piacer grande, essendo sicura di non essere annojata da sciocchezze ridicole. Guadagna tosto con quest'astuzia la stima del cavaliere, che l'ammira e la crede degna della sua confidenza: egli la riguarda come una donna di buon senso, e vedela con piacere. La Locandiera si approfitta di questi favorevoli istanti, e raddoppia le sue attenzioni per lui.
L'uomo duro comincia a concepire sentimenti di gratitudine: divien amico d'una donna che trova straordinaria, e che gli par rispettabile. S'annoja allorchè non la vede, va in traccia di lei, in una parola, innamorasi.
Mirandolina è nel colmo della gioja, ma la sua vendetta non è ancor soddisfatta. Ella vuol vederlo ai suoi piedi. Vi giugne; ed allora tormentalo, lo desola, lo fa disperare, e finisce sposando sotto gli occhj del cavaliere un uom del suo stato, a cui ella aveva data la sua parola d'onore da lungo tempo.
L'incontro di questa Commedia fu così splendido, che la misero al pari, ed al di sopra ancora di quanto aveva fatto in tal genere, in cui l'artificio supplisce all'interesse.
Non si crederà forse, senza leggerla, che i progetti, le direzioni ed il trionfo di Mirandolina siano verisimi nello spazio di ventiquattr'ore.
Mi avran forse adulato in Italia; ma mi han fatto credere che non aveva fatta Commedia più naturale e più ben condotta, e che l'azione trovavasi perfettamente sostenuta e completa.
Dietro alla gelosia che producevano nell'animo di madama Medebac i progressi di Corallina, quest'ultima Commedia avrebbe dovuto mandarla sotterra; ma siccome i suoi vapori erano d'una specie singolare, essa abbandonò il letto due giorni dopo, e domandò che si tagliasse il corso delle rappresentazioni della Locandiera, e che si rimettesse sul Teatro Pamela.
L'attrice Corallina era Maddalena Raffi Marliani, e ottenne un grande successo, ma per intervento della stessa 'madama Teodora Medebac', attrice principale della compagnia Medebac, la recita fu interrotta dopo sole quattro repliche, per farla tornare in teatro con il suo cavallo di battaglia Pamela
L'autore a chi legge
Fra tutte le Commedie da me sinora
composte, starei per dire essere questa la più morale, la più utile, la più istruttiva.
Sembrerà ciò essere un paradosso a chi soltanto vorrà fermarsi a considerare il
carattere della Locandiera, e dirà anzi non aver io dipinto altrove una donna
più lusinghiera, più pericolosa di questa. Ma chi rifletterà al carattere e agli
avvenimenti del Cavaliere, troverà un esempio vivissimo della presunzione avvilita, ed
una scuola che insegna a fuggire i pericoli, per non soccombere alle cadute.
Mirandolina fa altrui vedere come s'innamorano gli
uomini. Principia a entrar in grazia del disprezzator delle donne, secondandolo nel modo
suo di pensare, lodandolo in quelle cose che lo compiacciono, ed eccitandolo perfino a
biasimare le donne istesse. Superata con ciò l'avversione che aveva il Cavaliere per
essa, principia a usar gli delle attenzioni, gli fa delle finezze studiate, mostrandosi
lontana dal volerlo obbligare alla gratitudine. Lo visita, lo serve in tavola, gli parla
con umiltà e con rispetto, e in lui vedendo scemare la ruvidezza, in lei s'aumenta
l'ardire. Dice delle tronche parole, avanza degli sguardi, e senza ch'ei se ne avveda, gli
dà delle ferite mortali. Il pover'uomo conosce il pericolo, e lo vorrebbe fuggire, ma la
femmina accorta con due lagrimette l'arresta, e con uno svenimento l'atterra, lo
precipita, l'avvilisce. Pare impossibile, che in poche ore un uomo possa innamorarsi a tal
segno: un uomo, aggiungasi, disprezzator delle donne, che mai ha seco loro trattato; ma
appunto per questo più facilmente egli cade, perché sprezzandole senza conoscerle, e non
sapendo quali sieno le arti loro, e dove fondino la speranza de' loro trionfi, ha creduto
che bastar gli dovesse a difendersi la sua avversione, ed ha offerto il petto ignudo ai
colpi dell'inimico.
Io medesimo diffidava quasi a principio di vederlo
innamorato ragionevolmente sul fine della Commedia, e pure, condotto dalla natura, di
passo in passo, come nella Commedia si vede, mi è riuscito di darlo vinto alla fine
dell'Atto secondo.
Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma
venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne' loro lacci
gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di
questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti, per mettere
in orrore la schiavitù che si procurano gli sciagurati, e rendere odioso il carattere
delle incantatrici Sirene. La Scena dello stirare, allora quando la Locandiera si
burla del Cavaliere che languisce, non muove gli animi a sdegno contro colei, che dopo
averlo innamorato l'insulta? Oh bello specchio agli occhi della gioventù! Dio volesse che
io medesimo cotale specchio avessi avuto per tempo, che non avrei veduto ridere del mio
pianto qualche barbara Locandiera. Oh di quante Scene mi hanno provveduto le mie vicende
medesime!... Ma non è il luogo questo né di vantarmi delle mie follie, né di pentirmi
delle mie debolezze. Bastami che alcun mi sia grato della lezione che gli offerisco. Le
donne che oneste sono, giubileranno anch'esse che si smentiscano codeste simulatrici, che
disonorano il loro sesso, ed esse femmine lusinghiere arrossiranno in guardarmi, e non
importa che mi dicano nell'incontrarmi: che tu sia maledetto! Deggio avvisarvi, Lettor
carissimo, di una picciola mutazione, che alla presente Commedia ho fatto. Fabrizio, il
cameriere della Locanda, parlava in veneziano, quando si recitò la prima volta; l'ho
fatto allora per comodo del personaggio, solito a favellar da Brighella; ove l'ho
convertito in toscano, sendo disdicevole cosa introdurre senza necessità in una Commedia
un linguaggio straniero. Ciò ho voluto avvertire, perché non so come la stamperà il
Bettinelli; può essere ch'ei si serva di questo mio originale, e Dio lo voglia, perché
almeno sarà a dover penneggiato. Ma lo scrupolo ch'ei si è fatto di stampare le cose mie
come io le ho abbozzate, lo farà trascurare anche questa comodità.
- Edizione telematica e revisione a cura di: Giuseppe Bonghi, 1994
- Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Agosto 1996
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 25 novembre 1999