Giuseppe Bonghi
Introduzione a
Le ultime lettere di Jacopo Ortis
di Ugo Foscolo
La pubblicazione
Sin dal 1796 il
Foscolo aveva tracciato l'idea di un romanzo epistolare (Laura, lettere), un misto
di realtà e finzione letteraria: l'amore infelice per una ragazza veneziana e l'emozione
indimenticata per la sorte di un giovane morto suicida, Girolamo Ortis, studente
dell'Università di Padova, dove il Foscolo ascoltava le lezioni del Cesarotti è la prima
idea del romanzo sentimentale, di gusto settecentesco, in cui la catastrofe finale doveva
avvenire per rinuncia elegiaca alla donna amata. Ma gli eventi storici, nei quali rimase
coinvolto in prima persona, Campoformio e la patria venduta e la fine della libertà e
l'esilio, insieme alla prima cocente delusione amorosa, daranno una veste nuova alla prima
idea già nel 1798.
E proprio alla fine del 1798 l'editore
Jacopo Marsigli di Bologna, dove il Foscolo si era stabilito, comincia la pubblicazione
del romanzo, un insieme di lettere che Jacopo Ortis aveva inviato all'amico Lorenzo
F.; ma l'arrivo degli austro-russi e la fuga di Foscolo ne interrompe la stampa alla
lettera XLV (l'addio di Jacopo a Teresa). Nella prima parte è contenuta la "storia
di Laura" che riprende la storia della sua passione violenta e infelice per Teresa
Pikler moglie di Vincenzo Monti. Il romanzo viene quindi a trovarsi improvvisamente senza
una conclusione. L'editore affida allora al letterato bolognese Angelo Sassoli, che la
completa con addirittura venti nuove lettere insieme ad Alcune memorie appartenute alla
storia di Teresa. La parte scritta dal Sassoli, pur ispirandosi ai temi foscoliani e
pur imitando lo stile del Foscolo, è comunque molto diversa dalla prima parte originale,
anche se qualche critico ha tentato di attribuirne sostanzialmente la paternità al
Foscolo, magari con un autore, il Sassoli appunto, che avrebbe ricucito insieme le lettere
foscoliane.
Marsigli, quindi, pubblica l'opera con il
titolo Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis e vi
aggiunge un Avviso al lettore e alcune Annotazioni destinate al nuovo
pubblico che avrebbe comprato il libro. Il titolo e le annotazioni cercano di dare risalto
al filone romanzesco dell'opera anche per ottenere più facilmente il visto della censura
degli austriaci giunti a Bologna dopo il trattato di Campoformio. Ma la vittoria di
Napoleone a Marengo, il rientro dei democratici a Bologna e il conseguente ritiro degli
Austiaci che abbandonano definitivamente la Romagna, spingono l'editore Marsigli a
ripristinare la prima veste editoriale soprattutto per guadagnarsi i favori dei nuovi
governanti.
Foscolo sconfessa comunque l'operazione
del Marsigli, e a Milano nel 1799 presso l'editore Mainardi, si appresta una nuova
edizione del romanzo, che si ferma sempre alla lettera XLV; ma per uno screzio con
l'editore le copie vanno al macero: si salvano soltanto due copie, tra cui quella che era
stata inviata a Goethe.
Nel novembre 1800 Foscolo, dopo dopo un
anno e mezzo di avventurosa vita militare, arriva a Firenze, e qui conosce la bella e
giovanissima Isabella Roncioni di cui si innamora fino al delirio rivivendo il primo
grande amore venezia e la cocente disillusione della fine. Torna a Milano e pone mano al
"suo romanzo" proprio mentre, passata la passione fiorentina, vive un'altra
travolgente passione amorosa, quella per la contessa Antonietta Fagnani-Arese. Anzi,
proprio questa nuova edizione favorì l'amore fra i due. La prima edizione completa vede
la luce nell'ottobre 1802, presso la stamperia il "Genio Tipografico" e presenta
alcune sostanziali modifiche rispetto al testo precedente: Lorenzo F. diventa Lorenzo
A. (solo dal 1817 si chiamerà Lorenzo Alderani); il numero delle lettere passa
da 45 a 67; il tempo della storia si dilata: nel primo dura dal 3 settembre 1797 alla fine
di maggio del 1798, ora va dall'11 ottobre 1797 al 25 marzo 1799. Le modifiche riguardano
comunque aspetti sostanziali dell'opera, come il tema del suicidio, la valenza della
passione politica e la valenza della passione amorosa che acquistano una più logica
collocazione. lo stesso personaggio di Odoardo, il promesso sposo di Teresa se prima
suscitava sentimenti di stima e perfino di simpatia in Ortis, ora diventa un giovane arido
dedito agli affari, che "sarà anche un bravo giovine, ma la sua faccia non dice
nulla", fino a destare qualche sentimento di ostilità. Le innovazioni, infine,
riguardano profondamente anche lo stile, ora spesso conciso e talvolta figurativo, nel
senso che porta subito il lettore a "vedere" la scena con i propri occhi.
L'edizione definitiva del romanzo
appartiene al 1816 ed avviene a Zurigo (anche se la stampa reca la falsa indicazione Londra
1814); in questa viene aggiunta la lettera datata 17 marzo, viene ritoccata la
forma ed inserita una Notizia bibliografica "preziosa sul piano critico,
inattendibile su quello informativo e documentario (Segre-Martignon). L'ultima edizione
esce nel 1817 a Londra, con qualche lieve modifica rispetto alla precedente.
La trama
La vicenda del romanzo, rimasta sostanzialmente immutata nelle varie edizioni, si può riassumere in breve. Jacopo Ortis, giovane veneziano di buona famiglia, studente e patriota di ideali giacobini, è costretto a lasciare la città dopo che Venezia è stata ceduta all'Austria col trattato di Campoformio firmato da Napoleone e ratificato il 17 ottobre 1798, per scampare alle persecuzioni politiche e cerca rifugio in una sua proprietà di campagna sui colli Euganei, dove conosce la famiglia del Signor T., padre di Teresa, la divina fanciulla di cui si innamora, pur sapendo che la ragazza è stata promessa sposa dal padre, contro la volontà della madre, al marchese Odoardo, un ricco possidente, dedito più agli affari che agli affetti familiari. Teresa ricambia il sentimento per Jacopo, ma nello stesso tempo non può opporsi alla volontà del padre, come già sua madre non ha potuto opporsi alla volontà di suo padre che l'aveva promessa sposa al Signor T***:
Ma, e perché, le diss'io, perché mai non è qui vostra madre? - Da più settimane vive in Padova con sua sorella; vive divisa da noi e forse per sempre! Mio padre l'amava: ma da ch'ei s'è pur ostinato a volermi dare un marito ch'io non posso amare, la concordia è sparita dalla nostra famiglia. La povera madre mia dopo d'avere contraddetto invano a questo matrimonio, s'è allontanata per non aver parte alla mia necessaria infelicità. Io intanto sono abbandonata da tutti! ho promesso a mio padre, e non voglio disubbidirlo - ma e mi duole ancor più, che per mia cagione la nostra famiglia sia così disunita (lettera del 20 novembre)
Il padre di Teresa viene a sapere dell'amore di Jacopo, dopo aver capito qualcosa attraverso lo strano contegno che il giovane teneva soprattutto con Odoardo durante le sue visite. Tornato a casa dopo due giorni si ammala. Il Signor T. va a trovarlo e cerca di persuaderlo ad allontanarsi dai Colli Euganei:
Ma Odoardo era ricco, e di una famiglia sotto la cui parentela il signore T*** fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de' suoi nemici, i quali lo accusavano d'avere desiderato la verace libertà del suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparentandosi all'Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, e della propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata la sua fede; e per mantenerla s'era ridotto a dividersi da una moglie a lui cara. Né i suoi bilanci domestici gli assentivano di accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri sostanze dell'Ortis. Il signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale da sé, e le ascoltò con aspetto riposatissimo...
Così, senza un addio, Jacopo parte.
La seconda parte narra
di Jacopo che cerca di distogliersi dall'amore per Teresa, viaggiando per l'Italia per le
città più significative: Bologna, Firenze e la Toscana, Milano, la Liguria fino a
Ventimiglia, la Romagna e Ravenna con la tomba di Dante. Infine ritorna ai Colli Euganei e
va a casa del Signor T. che in quel momento stava passeggiando con Odoardo preceduto da
Teresa e Isabellina; vedendo Jacopo Teresa quasi sviene, reggendosi al braccio del padre:
i saluti sono freddi e asciutti: solo Isabellina gli corre fra le braccia in un silenzio
imbarazzato. Gli eventi precipitano, finché Jacopo si suicida con un colpo di pugnale
nella notte del 25 marzo 1799.
L'Ortis è un romanzo epistolare
ed autobiografico, perché sostanzialmente Foscolo narra una parte della propria vita:
più che narrare una vicenda, Foscolo indaga sulle proprie ansie di esule, medita sulla
vita e sulla storia e sui valori e sui grandi ideali che agitano il suo tempo. I primi
anni trascorsi lontano da Venezia, l'interruzione degli studi e il forzato distacco dagli
amici e dalle compagnie in cui cresceva e imparava a maturare e a vivere, lo portano
inevitabilmente a racchiudersi in se stesso per capire meglio la vita e a restare isolato.
Spesso lo vediamo infatti passeggiare da solo in un giorno tempestoso quando il suo cuore
è straziato dall'amore irrealizzabile o in un giorno radioso quando la sua anima assapora
soltanto la grande felicità dell'amore.
Un posto importante
assume proprio il paesaggio, come proiezione dei sentimenti che
agitano l'anima dei personaggi, tenendo presente che per quanto riguarda Teresa il
paesaggio ha una funzione secondaria.
Per Jacopo il paesaggio è essenzialmente
esterno ed è lussureggiante, verde, luminoso o fosco o tempestoso a seconda dei
sentimenti che prova in quel momento; spesso vediamo il personaggio passeggiare
solitario,esprimendo quasi un senso di dominio sulla natura, nella quale può ritrovare e
sfogare il suo senso di libertà, di rifiuto di qualsiasi atto di sottomissione a un altro
uomo o alla società.
Per Teresa invece non possiamo parlare di
paesaggio vero e proprio quanto di spazio chiuso: una stanza o la casa del padre. Lo
spazio è caratterizzato dalla perpetua immobilità: una stanza è addobbata sempre allo
stesso modo, ha sempre gli stessi mobili, nel corso degli anni è illuminata sempre allo
stesso modo dal sole o dal lume delle candele. È in questo spazio che la figura della
donna assume una caratteristica fondamentale della sua esistenza: quella di essee un
elemento equilibratore di tutte le passioni che agita i frequentatori o gli abitanti della
casa: nella dolcezza della casa possiamo ritrovare la dolcezza della donna e la mitezza
delle passioni che non scoppiano mai violente.
Spazio e paesaggio caratterizzano
rispettivamente la funzione femminile e la funzione maschile nella società del tempo.
L'opera
Il romanzo epistolare
si svolge innanzitutto su due tematiche fondamentali che si intrecciano: la passione
politica e la passione amorosa.
La passione
politica, che, col suo fallimento, mette in evidenza da un lato i rapporti
negativi con il potere e dall'altro il desiderio di un'Italia che avrebbe potuto essere
unificata proprio alla luce delle idee diffuse dalla Rivoluzione francese e dagli
entusiasmi suscitati dalle imprese di Napoleone; il fallimento è controbilanciato
dall'amor di patria, dall'elogio della virtù individuale (Giuseppe Parini!) e dalla
meditazione sulla storia e sulla passata grandezza di Roma e dell'Italia.
La passione
amorosa, che col suo fallimento mette in evidenza i rapporti negativi
dell'individuo con gli usi, i costumi e le consuetudini che vogliono ancora la donna
oggetto del padre o del marito e priva di quella volontà autonoma che la
contraddistinguerebbe come persona umana: la forza non è ancora nel sentimento (o non lo
sarà se non sporadicamente), ma nel potere soprattutto economico. La forza delle idee
illuministiche non è stata in grando di liberare l'individuo dalle pastoie della potenza
di chi può disporre e della debolezza di chi è sottomesso perché nulla possiede. Ma
anche in questo caso, come per la passione politica, il romanzo e i due personaggi Teresa
e Jacopo, insieme alla madre della ragazza, rappresentano un atto di fede nel sentimento e
nel rinnegamento dell'egoismo. Il fallimento della passione amorosa è controbilanciato
proprio dalla valorizzazione del sentimento e dalla ribellione a un certo senso del
fatalismo che durante il romanticismo assegnerà alla donna un altissimo ruolo,
valorizzando il suo essere madre epunto fondamentale di unione del focolare domestico.
Il fallimento delle due passioni porta
inevitabilmente al suicidio, provocato dal dolore intensamente provato e intensamente
protratto fino al limite della rottura finale: ma questo elemento negativo è
controbilanciato dalla speranza di un mondo in cui coloro che si amano possano riunirsi
per sempre: non la morte come fine di tutto, ma come passaggio:
È poco prezzo, o mio angelo, la morte per chi ha potuto udir che tu l'ami, e sentirsi scorrere in tutta l'anima la voluttà del tuo bacio, e piangere teco - io sto col piè nella fossa; eppure tu anche in questo frangente ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra risplendi di tutta la tua bellezza... - addio - fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile eternità. Nel nulla? Sì. - Sì, sì; poiché sarò senza di te, io prego il sommo Iddio, se non ci riserba alcun luogo ov'io possa riunirmi teco per sempre, lo prego dalle viscere dell'anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perché egli m'abbandoni soltanto nel nulla.
Il suicidio è l'unico rimedio in certi tempi ai mali della vita provocati dall'uomo.
I personaggi
Jacopo
Ortis rappresenta la crisi delle speranze rivoluzionarie e di un'idea di
libertà e di patria vissuta in modo istintivo e fondata su una fiducia fondamentale che
all'atto pratico si rivela inconsistente e negativa. Egli è l'eroe romantico che lotta
inutilmente contro convenzioni ormai inattuali
Sul piano della passione politica
non rappresenta tanto la crisi delle idee rivoluzionarie, come qualcuno ha prospettato,
quando un atto di fede in un'idea straordinaria che potrà essere realizzata non con la
fiducia in un personaggio come Napoleone o altri, ma con la fede nelle proprie forze e la
volontà di una nazione di raggiungere il risultato finale
Il suicidio di Jacopo appare come un atto
di denuncia contro gli usi e le consuetudini dell'epoca e di protesta politica, ed è
motivato non soltanto dalla fine dell'infelice amore per Teresa ma anche dal tradimento
perpetrato da Napoleone Bonaparte che vende Venezia all'Austria col trattato di
Campoformio, ratificato il 17 ottobre, contro le speranze di molti nobili idealisti del
tempo, che aspiravano a una Italia unita. Soprattutto il suicidio credo che non sia
originato dal dolore che si insinua lentamente nella ragione fino a capire che ormai è
l'inevitabile conclusione dell'esistenza a causa del fallimento della sola passione
amorosa: anche il fallimento della passione politica è altrettanto importante. Non a
caso, quando il Signor T. va a casa di Jacopo per fargli visita mentre è ammalato, gli
rivela di avere anche lui le stesse idee; ma purtroppo, al contrario di Jacopo, non può
permettersi di di dare libero sfogo ai suoi sentimenti patriottici perché altre
responsabilità li limitano e soprattutto gli preme di assicurare alla figlia un partito
che comunque possa assicurarle per sempre un'esistenza agiata e senza preoccupazioni,
cercando nel contempo di assicurarla anche a se stesso con la protezione che
inevitabilmente gli avrebbe dato il futuro genero.
Il crollo degli ideali di patria e
libertà da un lato, e di quelli di famiglia e amore dall'altro, costretto com'è a vivere
ramingo lontano dall'amata Venezia e impossibilitato a formarsi una propria famiglia
perché nessun padre, come il Signor T., gli avrebbe concesso la mano della propria
figliuola, portano Jacopo a una disperazione sempre più profonda e radicale e infine al
ripudio dell'esistenza. proprio in questo possiamo trovare l'origine dell'eroe romantico.
Jacopo nel romanzo campeggia in una luce
solitaria e spesso violenta, specie nell'ultima parte, dove ogni suo gesto appare netto e
preciso come scolpito in un marmo, così come Ugo nella vita quotidiana campeggia
solitario perché nessun legame solido e duraturo gli è permesso, vivendo "ramingo
di gente in gente. Con questo romanzo Foscolo mette in chiaro i temi nuovissimi della sua
poesia, dall tomba come "corrispondenza d'amorosi affetti al concetto stesso delle
illusioni, dall'illusione della patria alla valorizzazione delle grandi gesta che rendono
eterno l'uomo permettendogli di vivere nella "mente dei suoi", gesta che sono
fonte di educazione e di imitazione per le generazioni a venire
Teresa in origine ricorda la Teresa Pikler, moglie del Monti, ma già
nell'edizione del 1802 ricorda la Isabella Roncioni, conosciuta sul finire del 1800 a
Firenze, che come Teresa appunto era stata promessa a un marito che non amava (il marchese
fiorentino Pietro Bartolomei) e reincontrata nell'aprile del 1813, ormai sposata e
corteggiata dal barone Strozzi.
Teresa rappresenta l'amore, la dolcezza,
il senso dell'infinito sul piano del sentimento, ma anche l'oggetto, come abbiamo visto,
del padre prima (che se ne serve come scambio per ottenere per sé una sostanziale
tranquillità anche sul piano poliziesco, e del marito poi: i matrimoni sono un contratto
sociale, come aveva ben scritto il Rousseau, e la vittima di questo contratto, la parte
debole è proprio la donna, così legata al focolare domestico e al decoro della casa, da
non avere per sé assolutamente nessun momento: la sua vita deve essere dedicata
interamente alla casa, ai figli e al marito... e alla preghiera, come dirà Carducci circa
settantanni dopo. All'uomo la vita pubblica, alla donna la vita privata.
Ma la sofferenza di Teresa di fronte alla
mancata realizzazione dell'amore per Jacopo, il dolore muto vissuto fra il padre e il
marito che pure per Jacopo provavano qualche simpatia e che il qualche modo si sentono
responsabili della sua morte, come sistema se non proprio come individui, è chiaramente
manifesto e non viene mai messo in discussione nemmeno da coloro che sono preposti alla
sua vigilanza: il padre e il marito. In lei non c'è odio o avversione, ma una
sottomissione alla volontà del padre e la coscienza che nel suo intimo può vivere il suo
amore per Jacopo, soffrire delle pene che soffre Jacopo, sentire la mancanza di Jacopo
assente e non lamentarsi, ma rivelare i suoi sentimenti appena lo vede da lontano
avvicinarsi perché sa che lui è lí per lei, col suo amore senza pretese.
In Teresa non c'è esasperazione dei
sentimenti, ma mitezza: soffre per la lontananza della madre ma non farebbe mai come la
madre perché non è una ribelle. In questo anticipa la funzione della donna nella
società romantica: colei che protegge il focolare domestico dalle forze disgregatrici che
provengono dall'esterno.
I seguenti due passi mi sembrano
significativi per capire la figura di Teresa:
Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella siede lavorando, ed io leggo! M'interrompo a ogni tratto, ed ella: Proseguite! Torno a leggere: dopo due carte la mia pronunzia diventa più rapida e termina borbottando in cadenza. Teresa s'affanna: Deh leggete un po' ch'io v'intenda! - io continuo; ma gli occhi miei, non so come, si sviano disavvedutamente dal libro, e si trovano immobili su quell'angelico viso. Divento muto; cade il libro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo - Teresa vorrebbe adirarsi; e sorride.
Quando leggo i suoi versi io me lo dipingo qui - malinconico - errante - appoggiato al tronco di un albero, pascersi de' suoi mesti pensieri, e volgersi al cielo cercando con gli occhi lagrimosi la beltà immortale di Laura. Io non so come quell'anima, che avea in sé tanta parte di spirito celeste, abbia potuto sopravvivere in tanto dolore, e fermarsi fra le miserie de' mortali - oh quando s'ama davvero! - E mi parve ch'essa mi stringesse la mano, e io mi sentiva il cuore che non voleva starmi più in petto.
Sono due brani che
riportano l'intimità tra Jacopo e Teresa, ma si potrebbe dire anche tra Paolo Malatesta e
Francesca da Rimini, tra Francesco Petrarca e Laura: è la fusione tra il mito e la
realtà: la realtà quotidiana viene vista da Jacopo e Teresa attraverso il mito di una
storia d'amore che non si realizzerà mai: Teresa come Laura e come Francesca sposerà un
altro uomo, Jacopo come Francesco e Paolo vivrà un amore affannoso e contrastato: solo il
finale sarà diverso, perché diversi sono i tempi, perché diversa è l'educazione e la
cultura anche se identico è il sentimento. In questo Teresa non può che essere un
personaggio secondario, non nel senso di personaggio minore e quindi di scarso
significato, ma sul piano della realtà quotidiana, perché nella vita di tutti i giorni
la donna assume una dimensione secondaria rispetto all'uomo, tutto preso da
"ideali" civili e politici che sono una cosa distinta, perché esclusivamente
maschili, dall'ideale dell'amore nel quale la donna assume sì una parte di rilievo ma
come elemento degno di contemplazione non come persona compartecipe dello stesso
sentimento. I due amanti, pur vivendo lo stesso reciproco amore, vivono una parte
autonoma, assegnata loro dalle convenzioni, rispettando le quali si rispetta non solo il
proprio ruolo ma anche all'interno della coppia ma anche all'interno della società.
Proprio per questo c'è bisogno di
continui elementi esterni di paragone per esprimere il proprio amore, come nelle due
citazioni: il libro che ricorda la vicenda dantesca di Paolo e Francesca e la scena di
Jacopo appoggiato all'albero come Francesco Petrarca e Laura in Chiare fresche dolci
acque.
L'amore per l'uomo, per Jacopo, è un
sentimento ideale che trascende la vita, e Teresa con la sua celestiale bellezza col suo
volto angelicato come quello di una Laura o di una Beatrice della fine del Settecento
rappresenta questo ideale al di sopra della storia e al di sopra dell'essere umano e
sociale. Teresa, pur essendo celestiale e angelicata, resta ancorata saggiamente alla
vita, anche se questa è intessuta di difficoltà e di amarezze, di illusioni perdute e di
dolori causati da fallimenti sentimentali e sociali e politici. E per questo, forse, è in
qualche modo da preferire, perché accetta la lotta quotidiana.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
ultimo aggiornamento: mercoledì 30 settembre 1998