Giuseppe Chiarini
Introduzione al Foscolo
DELLE POESIE LIRICHE E
SATIRICHE
DI UGO FOSCOLO
E DI QUESTA EDIZIONE DELLE "GRAZIE"
PARTE SECONDA.
LE " GRAZIE ".
(Seconda sezione)
*
* *
In qual modo potè
dunque P. Silvio Orlandini trarre da quei manoscritti il Carme Alle
Grazie compiuto e perfetto? In un modo solo, compiendolo e perfezionandolo lui.
La povera Quirina Magiotti s'era fitta in
testa che il Foscolo avesse nell'esilio finito il Carme, e lo avesse mandato in Toscana a
lei, che disgraziatamente non lo ricevè. - Se l'era sognato? - Non so: ma ho una gran
paura che a questa specie di sogno, divenuto poi fissazione, debba risalire la origine
prima delle Grazie dateci come compiuto dall'Orlandini. Nella loro sconfinata ammirazione
per il Foscolo, l'egregia donna e l'egregio uomo dovettero, io credo, suggestionarsi a
vicenda, e persuadersi che il poeta non diceva il vero quando diceva di non aver finito le
Grazie. Era la sua incontentabilità che gli faceva dire questa bugia.
Venute d'Inghiterra in Italia le carte
del Foscolo che servirono alla edizione della opere di lui curata dal Mayer e
dall'Orlandini, tutti i manoscritti delle Grazie furono nel 1843 dati da esaminare alla
Donna Gentile, la quale con infinita diligenza e pazienza copiò più volte tutti i
frammenti del Carme e ne tentò essa la prima un riordinamento con la convinzione, credo,
che il poema dovesse essere compiuto, se anche a lei non fosse riuscito metterlo insieme.
Manoscritti e copie passarono poi all'Orlandini, che doveva dare lui l'ultima mano al
lavoro e prepararne la stampa. Quei manoscritti contenevano un mucchio di cinquemila e
più versi; mentre tutto ciò che si conosceva fino allora delle Grazie erano le poche
centinaia di versi pubblicati dallo Scalvini, dal Silvestri, dal Caleffi, e dal Carrer,
senza dire che da quegli sparsi e confusi frammenti non era dato farsi un'idea di ciò che
dovesse essere il Carme. - Possibile che non si potesse dai cinquemila e più versi dei
manoscritti venuti da Londra cavarne fuori un migliaio e mezzo circa, da comporre intero
il Carme? Possibile anzi che in quei cinquemila versi non ci dovesse essere il Carme
intero quale il Foscolo lo aveva voluto? E se c'era, il trarnelo fuori non sarebbe stata
una novità letteraria d'importanza grandissima? Un onore per chi vi riuscisse?
Guidato da questa ambiziosa speranza,
l'Orlandini si mise all'opera della ricostruzione del Carme, e fisso nella sua idea, non
si sgomentò delle difficoltà che ad ogni piè sospinto gli si paravano dinanzi. Prova
oggi, prova domani, le difficoltà le avrebbe pur vinte.
Chi ha letto l'Avvertenza che egli mise
innanzi alla sua edizione delle Grazie, s'inganna di molto se crede di essersi per
essa fatto un'idea delle enormi fatiche da lui spese nell'arduo lavoro. Solo chi lo
conobbe, chi gli parlò nel tempo che egli vi attendeva, sa come quello fosse per alcuni
anni la sua occupazione di ogni giorno, il suo pensiero di ogni ora, di ogni minuto.
Pensare che il frutto di tanto amore e di
tante fatiche è un'opera che oggi la critica non può altro che disfare è, non lo
nascondo, cosa che fa pena. Ma fa anche pena e meraviglia pensare che gl'Italiani hanno
per più di trenta anni letto, ammirato, magnificato come una delle più belle e perfette
opere del Foscolo, una poesia ch'era in gran parte lavoro dell'Orlandini; l'hanno ammirata
e magnificata, senza sospettare che ella potesse non rispondere, anzi talora essere
contraria, agl'intendimenti di cui l'autore aveva lasciato traccia nei manoscritti, senza
accorgersi degli errori che la deturpavano.
Dalle scarsissime e non esatte notizie
che l'Orlandini dà dei manoscritti del Carme, niuno certo potò farsi un'idea di ciò
ch'essi sono; mancò quindi a tutti il dato più importante per giudicare quanto
arbitrariamente l'editore procedè nell'opera sua: ma ch'ei procedè arbitrariamente
(bisogna rendergli questa giustizia) lo disse molto chiaro da sè; disse chiaro che nel
collegare i frammenti del Carme e nella scelta tra le varie lezioni si era lasciato
unicamente guidare dal suo giudizio e dal suo gusto; e lasciò anche un pocolino capire
che insomma l'ultima mano al Carme glie l'aveva data lui.
Lasciamo parlare l'Orlandini.
"In quanto alle norme da me segnite nello scegliere fra le moltissime lezioni dei manoscritti, nell'adottare o nel rifiutare questo o quello squarcio, nel cogliere i nessi più artificiosi fra tanti e sì diversi quadri ed imagini, affine che il cercato effetto del chiaroscuro non nuocesse alla semplicità, nè questa a quello, nel ritessere insomma la bella e magnifica tela del Carme, mi sarebbe oltremodo difficile, per non dire impossibile, il renderne minuto conto ai lettori. Sappiano essi, che l'autore, circa alla economia del suo lavoro, oltre quanto genericamente accenna nella Ragione poetica, non ne lasciò alcun lume fidato. È vero che in un suo copialettere militare si rinviene una specie d'indice o sommario delle moltissime materie onde doveano constare i due primi inni; ma anch'esso è talmente pieno di pentimenti, d'incertezze e di contraddizioni, da non poterne trarre alcun reale vantaggio. Nè ti avvisassi mai di seguire con fiducia la via che il poeta ti apre co' suoi versi, voglio dire coll'addentellato di quelle mille frazioni (ora sei, ora due, ora dieci o al più quindici versi per volta) con che, al pari di chi lavora in mosaico, andò formando quest'inni, e credo ogni altra sua poesia. Tu ne rimarresti forte beffato, poichè, quando piú tu credessi di essere sicuro di lui e di te stesso, vedresti a un tratto che per quel sentiero ei non va più avanti; e, leggendo altrove, ti accorgeresti ch'egli ha creduto più utile prenderne un altro, per abbandonare poi fors'anche questo; e così, di mano in mano, finchè l'animo suo inquieto e anelante alla perfezione dell'arte non trovi ove riposarsi. Ora se oltre a tutto ciò tu rifletti quanti cangiamenti e modificazioni, quali derivanti da più maturo consiglio, quali da transitoria allucinazione d'intelletto, quali da capriccio e bizzarria di carattere (io ne ho ravvisati molti di ogni genere in quei preziosi scartafacci) debbano essere stati indotti nella composizione del Carme dalla diuturnità del tempo in che è stato dettato, dalle procellose passioni o dalle fiere vicende che perpetuamente agitarono l'anima del poeta, tu potrai farti una sufficiente idea delle infinite difficoltà con cui ho dovuto lottare. E per nutrire qualche fiducia di uscirne vincitore, mi parve di dovermi proporre cinque cose:
1a leggere e rileggere tutti gli scritti d'Ugo sino allora pubblicati sì in verso che in prosa, onde tentare di addentrarmi nelle viscere non meno dell'uomo che dello scrittore;
2a scolpirmi fortemente nella memoria tutti i versi degl'inni con le varianti loro, senza tralasciare cosa alcuna, affine di POTER PROVARE IL RIORDINAMENTO DEL CARME, QUASI CONVERSANDO NELLA SOLITUDINE DEL PENSIERO COLLO SPIRITO DELL'AUTORE;
3a non riconoscere alcuna autorità dei precedenti editori, SE NON CONSUONASSE COL MIO INTIMO CONVINCIMENTO;
4a non istancarmi di prender copia di quei ricomposti frammenti, circa ai quali mi sembrasse di aver colto nel segno;
5a finalmente di non lasciarmi adescare dalle varianti, ancorchè bellissime, ove, tutto ponderato, cospirassero meno alla economia ed all'effetto generale del poema.
Queste, eccetto due o tre di cui rendo ragione nelle note, le lascio agli spigolatori avvenire; ma sì gli spigolatori che i critici in generale, io voglio fin d'ora avvertiti a non arrischiarsi a censurare le lezioni da me prescelte, per anteporre ad esse altra che più a loro andassero a talento, se prima non hanno speso sugli autografi quanto tempo e quanta diligenza vi ho speso io; altrimenti temo assai che non sieno per avere il torto presso la posterità".
Risulta, parmi, evidente dalle parole dell'Orlandini, che egli non fu,
e non volle essere, l'editore dello Grazie del Foscolo, ma il continuatore e il
perfezionatore.
Che, messosi con questa idea a lavorare
sulle Grazie, non facesse nessuna distinzione fra' manoscritti, non cercasse di
rintracciare in essi la genesi e lo svolgimento del lavoro, non istudiasse di capire quali
delle molte redazioni di un pezzo fosser le prime e quali le ultime, anzi non tenesse
neppur conto della cancellatura di alcune prime redazioni, è cosa che s'intende; e della
quale non si può fargli carico, perchè è conseguenza naturale e necessaria del sistema
da lui seguito nel suo lavoro. Dal momento ch'egli evocava dentro di sè, lo spirito del
Foscolo, egli era padrone di fare o disfare come più gli pareva e piaceva; perchè a
qualunque osservazione altri ardisse fargli egli poteva rispondere: lo spirito del poeta
m'ha detto così.
Il peggio si è che, nelle sue solitarie
conversazioni con lo spirito del poeta, l'Orlandini par che talora non vedesse o
dimenticasse i manoscritti che aveva sotto gli occhi; par che talora, stando tutto in
orecchi per cogliere a volo i misteriosi responsi dello spirito d'Ugo, non aguzzasse ben
gli occhi sui manoscritti che gli stavan dinanzi; par che talora patisse egli di quelle
transitorie allucinazioni d'intelletto, che attribuisce al Foscolo, e delle quali io non
ho saputo ritrovare negli autografi foscoliani traccia alcuna.
Se dopo ciò qualcuno domandasse: Ma
dunque le Grazie dell'Orlandini non sono propriamente tutta opera del Foscolo? - la
domanda, dico il vero, mi parrebbe un po' ingenua. È egli possibile riunire insieme una
quantità straordinaria di frammenti di poesia (ma non è vero che i più lunghi siano di
quindici versi, come dice l'Orlandini), riunirli in un poemetto di ben 1548 versi, senza
dovere, perchè tornino le commettiture, qua correggere un verso, là togliere un
emistichio od aggiungerlo, là modificare una parola, una frase? E la riunione dei
frammenti, per la quale il poeta non lasciò alcun lume fidato, non è ella di per sè una
parte molto importante, e certo non la meno ardua, del lavoro poetico? poichè da essa dee
risultare l'architettura e l'armonia dell'opera intiera. E i passaggi sono essi forse una
cosa secondaria e di poco rilievo in un poema in gran parte lirico?
*
* *
Diamo un breve saggio
del modo tenuto dall'Orlandini nel restituire il testo del Carme: ma prima diciamo due
parole dei manoscritti.
I manoscritti delle Grazie si possono
dividere in tre classi. Viene primo per importanza (ed io perciò ho formato di esso la
classe prima) un fascicolo di 16 pagine in foglio grande, battezzato non so da chi col
nome di Fascicolo I o quadernone; nello grandi
pagine del quale, diviso a tre colonne, l'autore veniva copiando via via i frammenti del
Carme che gli pareva di aver condotti a perfezione. Non ho bisogno di dire che questo è
il manoscritto che ha servito di fondamento alla mia edizione. Ho messo nella seconda
classe tutti quei fascicoli e fogli staccati (e son molti, e formano la più gran massa
dei manoscritti delle Grazie), che mi son parsi
anteriori o contemporanei al Fascicolo I. Una gran
parte dei frammenti contenuti nei più vecchi di questi manoscritti sono cancellati con
lunghi freghi verticali; e le cancellature indicano, secondo me, chiaramente che il poeta
non voleva tener più conto di codeste redazioni di pezzi, ch'egli o aveva rifatti, o
voleva recidere dal Carme. Ho compreso nella terza classe alcuni pochi manoscritti, da me
giudicati posteriori al Fasc. I e gli ultimi di tutti,
i quali contengono alcuni rifacimenti di pezzi già fatti, alcuni frammenti affatto nuovi,
e lunghi appunti in prosa di nuovi pezzi da fare o da rifare: ma i rifacimenti e i nuovi
pezzi versificati son prime stesure molto imperfette con versi talora incompiuti, o appena
accennati. E i pezzi scritti in prosa sono spesso indecifrabili.
Nei manoscritti che ho posti nella
seconda classe leggonsi, fra parecchie altre prime prove e stesure cancellate dei pezzi,
ove è descritto l'approdare di Venere con le Grazie all'isola di Citera, questi versi:
Con mezze in mar le rote era
frattanto Ancor dal lungo Del laconio paese. Ancor disgiunta |
Il Foscolo rifece poi tutto il pezzo così:
Con mezze in mar le rote
iva frattanto |
Questa è la lezione del Fascicolo I, con la quale, salvo la variante di una parola, si accordano tutte le edizioni precedenti a quella dell'Orlandini: o tale lezione è nel modo più evidente l'ultima lasciata dall'autore. L'Orlandini, attratto forse da alcune immagini che sono nei versi da me riferiti delle prime stesure cancellate, la mutò, nel principio e nella fine del pezzo, così, introducendovi appunto le rifiutate lezioni di quelle prime stesure e correggendo alcuni versi di sua testa
Con mezze in mar le rote era
frattanto Ancor disgiunta |
[(1) Ciò che è stampato in corsivo non trovandosi nei manoscritti, dobbiamo inferirne che appartiene all'Orlandini. nda.]
Io non cercherò se
nel testo dell'Orlandini il passo abbia guadagnato di bellezza; mi basta di porre in sodo
che quando il Foscolo abbandonò il lavoro delle Grazie,
l'ultima lezione di quel pezzo da lui lasciata era il testo del Fascicolo
I.
Chi volesse un altro esempio anche più
notevole del sistema dell'Orlandini nel restituire il testo delle Grazie,
vegga i versi da 102 a 117 dell'Inno I nella nostra edizione, vegga fra la varianti tutte
le prime prove o redazioni di que' versi rifiutate dall'autore; poi confronti col testo
dell'Orlandini, e si accorgerà come questi, a forza d'introdurre nel testo del Fascicolo I quanto più gli fosse possibile di versi,
emistichi e frasi di quelle prime redazioni rifiutate, riuscisse ad allungare fino a
ventitre versi quel frammento che doveva essere di non più che sedici.
Assumendosi l'ufficio di compiere e
perfezionare il Carme del Foscolo, l'Orlandini si
tirava sulle spalle un grande carico di correzioni; carico ch'egli accrebbe col suo
proposito manifesto di allungare il Carme quanto più gli venisse fatto. Spinto
dall'ammirazione per il Foscolo e per tutto quello che era caduto dalla penna di lui,
l'Orlandini pare si proponesse di non voler defraudare i lettori di neppure un verso dei
frammenti delle Grazie; e perciò con una fatica, qualche volta sotto un certo rispetto
ammirabile, si studiò di ricacciare nel Carme ciò che l'autore n'aveva cacciato fuori.
Presa poi la mano a correggere, corresse anche quando non ce n'era necessità.
Nei manoscritti della terza classe
leggonsi, fra gli altri, questi versi di un rifacimento di un pezzo dell'Inno I:
Ah
non ti fossi |
In questo luogo, col sistema seguìto dall'Orlandini, correggere era una necessità; ed egli corregge così:
Per te all'arti eleganti, ed a'
felici |
Ma qual necessità c'era di correggere in altra parte del citato rifacimento (pag. 141, v. 204) questo verso,
Nè la maremma elea ricca di pesce, |
trasformandolo in quest'altro,
Nè la ricca di pesci elòa marina? |
Ma qual necessità e qual ragione di correggere altri luoghi, come questi,
alle Grazie |
che l'Orlandini rifece così:
Ch'or di tua mano escon
dal marmo |
Oltre che correggere i versi delle Grazie, l'Orlandini dovè talvolta anche farne da sè. Della seconda parte del pezzo d'Ifianea (versi da 277 a 291 della edizione Orlandini) non c'è ne' manoscritti che i pochi versi ed appunti da me riferiti in nota a pag. 142 e 143 di questa edizione: la versificazione dataci dall'editore è in gran parte fatica sua.
*
* *
Tocchiamo tasti che
mandan note anche più dolenti. L'Orlandini, abbiam visto, parla di un copialettere
militare del poeta, nel quale si rinviene una specie d'indice o
sommario delle moltissime materie onde doveano constare i due primi inni, ma talmente
pieno di pentimenti, d'incertezze e di contraddizioni da non poterne trarre alcun reale
vantaggio. Ora, chi lo crederebbe? nei manoscritti delle Grazie si
trova, come già accennai, non pure un altro breve sommario degl'inni, anteriore di tempo
a questo di cui parla l'Orlandini, ma nel Fasc. I è
un lungo e particolareggiato sommario dei tre inni, posteriore a quello del copialettere
militare. Paragonando con questo importante sommario, che contiene il disegno ultimo del
Carme foscoliano come fu lasciato dall'autore, la Grazie rifatte dall'Orlandini, il
lettore vedrà facilmente le differenze. Disgraziatamente la scrittura del sommario, come
in generale di tutti gli autografi delle Grazie, ed in
particolar modo degli ultimi rifacimenti, è così difficile a decifrare, ch'io non ci son
sempre riuscito; ma i pochi vuoti da me lasciati non impediscono che si vegga intero il
disegno dell'opera.
Nessuno vorrà fare troppo grave carico
all'Orlandini del non aver egli talora saputo leggere i manoscritti del Foscolo,
dell'essere stato preso, durante il suo lavoro, da strane allucinazioni, che gli hanno
impedito di vedere ciò che egli aveva sotto gli occhi. Io poi, che so per prova come in
lavori di questo genere sia quasi impossibile aver sempre la mente desta e vigilante, io
che ho dovuto tornare dieci e più volte sopra una frase o una parola per poterla
decifrare, io a cui le fatiche e gli errori stessi dell'Orlandini sono stati avvertimento
ed aiuto, io e posso e debbo essere men severo d'ogni altro verso di lui. Ma ciò non mi
dispensa dall'obbligo di dire quella che parmi la verità.
Come può spiegarsi altrimenti che con
una allucinazione ciò che l'Orlandini in una nota dell'Avvertenza da lui premessa alle Grazie, dice di un triplice abbozzo di lettera del Foscolo
alla contessa d'Albany, da lui rinvenuto fra i manoscritti
del Carme? Quella è, secondo l'Orlandini, una lettera
preparata dall'autore, il quale vagheggiava in fantasia già
pubblicato il suo Carme, per accompagnarne tre esemplari alla d'Albany, la
quale, ritenuto per sè il primo, inviasse il secondo al Canova e desse il terzo al Fabro.
Al lettore, se ci riflette, parrà un po' strano che al Foscolo venisse l'idea di scrivere
cotesta lettera prima d'aver finito le Grazie, prima
di sapere se e quando e dove le stamperebbe; di scriverla proprio nei quinterni del Carme, e di rifarsi a scriverla per ben tre volte. Ma il
fatto sta che quella, invece di una lettera privata, è una vera e propria lettera
dedicatoria; come apparisce chiaro da tutto il contesto, e chiarissimo dalle parole con le
quali incomincia nel primo e nel secondo abbozzo. Le parole dei primo abbozzo sono: "Sebbene questo Carme sia intitolato allo scultore artefice di Numi,
io devo, mia signora, consecrarlo ancho a lei" . ecc.; quella del secondo:
"Benchè questo poema lirico sia intitolato allo scultore
artefice di Numi, egli, se pure non lo crede indegno di tanto onore, bramerà senza dubbio
ch'io lo consacri primamente a lei, mia signora", ecc. E quasi ciò non
bastasse, sopra il secondo abbozzo è scritta di mano del Foscolo la parola Dedica. I tre abbozzi corrispondono, molto probabilmente,
come già accennai, a tre vari periodi di elaborazione del Carme. Degli ultimi due
paragrafi del terzo abbozzo l'Orlandini si servì per conchiudere la Ragione poetica del Carme;
la quale Ragione poetica egli mise insieme coi
disordinati e scorretti, e spesso indecifrabili, frammenti del poeta, ch'io ristampo nella
loro genuina lezione.
Ma raccozzando e correggendo questi
frammenti l'editore errò talvolta nel leggere il manoscritto. Il Foscolo, parlando
dall'abate Antonio Conti, scrisse: "filosofo, che letto farebbe
vergognare solennemente la moltitudine dei poeti, i quali dirizzando il loro
ingegno a un segno umile e vano, avviliscono sè medesimi e l'arte";
l'Orlandini lesse e stampò: "i quali disperdono il loro ingegno ad un tempo
umile e vano". Il Foscolo, parlando del velo delle Grazie, scrisse: "che
le preserva dai delirii funesti dall'autore e dell'altre umane passioni e le fa ospiti
della terra, senza che siano avvicinate dall'uomo; in guisa che non possano più dargli le
consolazioni, per cui furono unicamente mandate in terra dal cielo";
l'Orlandini lesse e stampò: "non possano più dargli le
consolazioni, ma le facciano unicamente scendere in terra dal cielo".
L'ultimo paragrafo del terzo abbozzo
della lettera dedicatoria, del quale L'Orlandini ha, come dissi, fatto la conclusione
della Ragione poetica del Carme, è stato dall'Orlandini stampato così: "Forse un giorno in altri miei versi non torneranno le Deità de' gentili;
ma cantando le Grazie non poteva dimenticare la loro patria e non temere d'inimicarmelo, e
con esso i maestri delle belle arti, i quali a' loro allievi presentano sempre i monumenti
dell'antichità, e i poeti che sospirano que' lauri". Invece nel manoscritto
si legge: "i poeti che suggerirono quei lavori".
Citiamo anche qualche errore
dell'Orlandini nel leggere i versi del Carme; diamo un
esempio della poca fortuna sua nel raccozzarne insieme i frammenti; e basterà.
Il Foscolo scrisse:
fin che il rito |
Poi sopra la parola sacro scrisse come variante caro; l'Orlandini lesse coro e stampò: "Sacro coro è il silenzio; e vi fa belle" ecc. Il Foscolo scrisse:
I pregi che dal Cielo, |
L'Orlandini lesse e stampò:
non a voi li danno; |
Quanto alla poca
fortuna dell'Orlandini nel raccozzare insieme i frammenti del Carme, e supplire ai pezzi
che mancavano, ecco l'esempio.
Alla descrizione di Sparta, che nel testo
dell'Orlandini finisce col verso 236 dell'Inno I, doveva nel disegno del Foscolo seguitare
la descrizione d'Arcadia e del Dio Pane, e poi il pezzo di Calliroe e Ifianeo. Della
descrizione d'Arcadia l'autore lasciò soltanto nei manoscritti della classe terza un
appunto in prosa, tramezzato da alcuni versi, e del passo di Calliroe e Ifianeo niente,
cioè pochi versi di una prima redazione cancellati e un vecchio appunto, nei manoscritti
della classe seconda, versi e appunto nei quali non si parla di Calliroe e Ifianeo, ma
semplicemente di Ifianea. Poi doveva seguitare -. Ma dove ebbero le Grazie il primo
altare? In Orcomeno; ed ivi esse udirono il cantico sacro alternato da fanciulle e
garzoni. - Qui doveva venire l'inno cantato, che il Foscolo non compose, e poi riprendere
col verso:
Così cantaro, e Citerea svelossi, |
che l'Oriandini rifà cosí:
Udì Cipria que' cori, e disvelossi. |
Ora, che ha fatto l'Orlandini? Ha saltato a piè pari, senza dir nulla, il pezzo d'Arcadia e del Dio Pane, e nel luogo ove doveva andare l'inno cantato alternativamente dalle fanciulle e da' garzoni ha messo il racconto d'Ifianea, ricomposto da lui con que' pochi versi d'una prima redazione cancellata e con quel vecchio appunto ch'egli finì di versificare. Quanto ciò sia conforme agli intendimenti del poeta può giudicare anche chi non è poeta.
*
* *
Io confesso
candidamente che quando la prima volta mi posi ad esaminare i manoscritti delle Grazie, provai, dopo alcone settimane di studio, un grande
sgomento. Innanzi tutto mi nacque il sospetto che i manoscritti pervenuti alla biblioteca
labronica non fossero tutti quelli che l'Orlandini aveva avuto nelle mani, perchè io
aveva un bel cercare nei manoscritti il testo dell'Orlandini, spesso e volentieri non ce
lo trovavo; avevo un bel cercare qual filo avesse l'Orlandini seguìto nell'ordinamento
del Carme; se l'Orlandini era ito da una parte, i
manoscritti tiravano me dalla parte opposta. Ció che m'impacciava soprattutto e
m'impediva di trovare la via da andare innanzi erano due storte idee con le quali mi ero
messo a lavorare; l'idea che il testo dell'Orlandini m'avesse a servire di guida
attraverso i manoscritti e l'idea che gl'indici o sommarii del Carme
lasciati dal poeta fossero tali da non poterne, come l'Orlandini aveva detto, trarre
alcun reale vantaggio.
Finalmente, seguitando a lavorare,
m'accorsi della stortura di quelle idee; m'accorsi ch'era necessario tentare una
classificazione ragionata dei manoscritti; m'accorsi della importanza grandissima di
quegli indici o sommarii ch'io aveva trascurati; e modificai il mio primo disegno.
Quel che allora mi proposi di fare,
ed oramai o bene o male è fatto, fu questo: stampare fino a una parola, tutto quel che
era nei manoscritti e nelle edizioni anteriori a quella dell'Orlandini; stampar tutto con
fedeltà scrupolosa, e per tal modo che il lettore curioso e paziente potesse nella mia
edizione dei frammenti delle Grazie rintracciare la genesi, il procedimento e tutti gli
svolgimenti successivi del lavoro del poeta, fino al giorno ch'egli abbandonò il Carme per non rimetterci più le mani.
A conseguir ciò, posi il mio
studio principale nel rintracciare io stesso sui manoscritti quella genesi e quel
procedimento, non fidandomi ad altra guida, non cercando altri aiuti che i manoscritti
stessi, e ciò che il poeta aveva lasciato scritto del Carme nelle
sue lettere. Deliberai di restituire il testo del Carme,
riunendo i frammenti in quell'ordine che i sommarii e tutte le altre indicazioni lasciate
dall'autore mi mostrassero più conforme agli ultimi intendimenti di lui; stabilii di
accogliere nel testo quelle lezioni che mi paressero, non le più belle, ma le ultime e
fra le ultime quelle che fossero più corrette e meglio contribuissero a presentare il Carme nella sua forma meno incompiuta; e perciò delle
modificazioni posteriori al Fascicolo I mi parve non
dovere accogliere che que' pochi versi che potessero entrare nel testo in ordine al
concetto che ho accennato; delle altre molte, che sono, come dissi, prime stesure molto
imperfette, o appunti in prosa spesso indecifrabili, stimai dover render conto al lettore
nelle note; le varianti, che sono materia quasi tre volte maggiore del testo, giudicai
buono disporle, al seguito di ciascuno dei tre inni, nell'ordine dato ai frammenti
degl'inni stessi, con i necessari richiami ai versi del testo, e con la indicazione del
fascicolo e della pagina del manoscritto onde son tolte.
Vede il lettore che il mio lavoro
è quanto di più opposto si poteva immaginare a quello dell'Orlandini; e dovrà, spero,
contentare quelli almeno che del sistema tenuto dall'Orlandini non si sentirono paghi. Chi
avrà la curiosità di certificarsi se il nuovo edìtore delle Grazie
ha fatto bene o male la tal cosa o la tal'altra, ha letto bene o male la tale o la
tal'altra frase o parola, ha corretto bene o male l'Orlandini, potrà, senza nessuna
perdita di tempo, fare sui manoscritti quanti riscontri gli piaccia. L'Orlandini volle
sfuggire la critica; io le vado incontro e le spiano la strada.
Tuttavia non m'illudo: all'apparire
di questa edizione ci saranno molti disinganni. Certa buona gente, che non considera le
cose troppo per la sottile, chi sa che cosa s'aspetta che debba essere il Carme delle Grazie da me ripubblicato sugli
autografi, ed annunziato tanto tempo fa! Cotesta buona gente, che ricorda lo scoppio
d'ammirazione col quale fu accolto il poema del Foscolo ricostruito dall'Orlandini, che è
avvezza ormai da più di trent'anni a vederselo davanti tutto finito dal primo verso fino
all'ultimo, tutto pomiciato e lustrato, che è avvezza a leggerselo e ad ammirarselo
così, quando se lo vedrà rimettere sotto gli occhi scorciato quasi di un terzo, e, quel
che è peggio, tutto mutilato e a frammenti, quando non ci troverà più certi bei versi
che c'erano e le pareva ci facessero tanto bella figura, dirà, o, se non lo dirà, certo
lo penserà, che non metteva il conto di durar tanta fatica per dare un nuovo testo delle
Grazie, che, sia pure più genuino, è men bello di quello dell'Orlandini. E non mancherà
neppure qualcuno, in tanta luce di critica, come oggi si dice, il quale a dirittura pensi
che l'opera mia è stata una profanazione.
Ma cotesta buona gente non saranno,
spero, tutto il pubblico degli studiosi. Ci sarà pure fra questi qualche malinconico come
me, che preferisca la verità all'impostura, che preferisca un'opera d'arte frammentaria e
imperfetta, ma genuina, alle rifiniture di un abile restauratore.
*
* *
Io accennai già in
questo discorso al modo come il Foscolo venne componendo il suo Carme, ed espressi
l'opinione che cotesto modo non fosse lo svolgimento naturale di un primo concetto
organico chiaramente veduto e fermato dall'autore nella mia mente. Chi ama ricercare le
vie per le quali uno scrittore procedè, i principii che seguì, gli espedienti che usò,
nel dar forma e ordine ai suoi concetti e fantasmi o nel comporre un'opera d'arte, avrà
nei frammenti delle Grazie, che ora si pubblicano, ampia e non ingrata materia di
studio. Cotesto curioso vedrà nel libro che io gli presento un nuovo e strano modo di
comporre del quale credo non ci sia esempio in tutta la nostra letteratura poetica, e
forse neppure in quelle delle altre nazioni. A me i frammenti della Grazie fanno l'effetto
d'uno di quei giochi composti di tanti piccoli pezzettini di legno o cartone dipinti, che
accozzati insieme in cento modi diversi ti presentano cento diverso figure.
Nella prima redazione del Carme in
un solo inno era naturale che fosse il germe dei tre Inni delle redazioni successive: ma
è curioso vedere come i versi di quella prima redazione si sparpaglino a gruppi di tre,
di cinque, di dieci, di venti, qua e là pei tre Inni della redazione ultima. Il primo
Inno di questa comincia coi primi tre versi della redazione prima, ai quali dopo breve
spazio si rappiccano i versi da 91 a 97, poi quelli da 28 a 39. I versi da 118 a 122
diventano i primi cinque dell'Inno secondo, e ad essi seguono dopo lo spazio di due versi,
i versi da 99 a 117; intanto che i versi da 4 a 25 diventano il principio dell'Inno terzo.
Con questo sistema tutti gli altri versi della prima redazione sono stati sparsi qua e là
pei tre Inni della redazione ultima, senza che quasi uno ne manchi; con questo sistema
furono poi sparsi, parte nel secondo parte nel terzo inno, i versi del frammento
dell'archivio di stato di Milano; con questo sistema fu composto tutto quel che abbiamo
del Carme, che con questo sistema doveva essere compiuto. Di qui le incertezze, i
pentimenti, le mutazioni continue; di qui un frammento mutato di luogo due, tre, cinque
volte; un altro rifatto cinque, sei, dieci volte. Il frammento dei Silvani nell'Inno
primo, che nel testo è di 55 versi, ne ha 500 e più di varianti, e la redazione ultima
di esso non è ancora la definitiva.
Il Foscolo ha un'abilità
grandissima nel lavorare a questo modo; ma nessun'abilità poteva bastare, credo io, a
fare in questo modo un'opera organica. Quando avesse finito il Carme, l'avrebbe, diceva
lui, ridipinto; ma nessuna ridipintura, per quanto abile, sarebbe, secondo me, stata
bastante a nascondere tutte le commettiture. Chi non sente che il pezzo de la Dea
ornata nell'Inno primo, vv. 92-101, che l'autore aveva più volte mutato di posto (e
forse era sempre incerto del luogo ove metterlo definitivamente), chi non sente, dico, che
lì dove è, c'è stato abilmente incastrato, ma non c'è nato spontaneamente? Lo stesso
dicasi dei bei versi sul Lario nell'Inno secondo, vv. 124-138, e di molti altri frammenti.
Un altro difetto del Carme mi pare
la troppa estensione ch'era venuto prendendo nelle redazioni che succedettero alla prima;
benchè queste possano parere lo svolgimento naturale del soggetto. Le sacerdotesse delle
Grazie suggeriscono prima i tre inni, poi la divisione del secondo in tre parti, e di qui
tutto il resto. L'aver troppo amato le donne, e troppo meditato e metafisicato su la
bellezza e la grazia femminile fu forse cagione che il Foscolo idoleggiasse un po' troppo
il suo soggetto, e ne allargasse soverchiamente il disegno, fondendo in quello le parti
già composte o pensate degli altri Carmi.
La troppa estensione nocque tanto
più al Carme, quanto l'argomento era troppo metafisico, e troppo lontano dalle idee e
dalle usanze dei tempi nostri. Un signore, che faccia accanto ad una sua villa fabbricare
una cappellina, e ci faccia tutte le domeniche dire la messa, è cosa che potrà a
qualcuno parere poco poetica, ma che si capisce da tutti, che ha per tutti un significato
ben chiaro: ma un poeta che nel secolo decimonono alzi sul poggio di Bellosguardo un
altare alle Grazie e vi guidi sacerdotesse tre belle donne amiche sue, una a suonar
l'arpa, l'altra a portare un favo di miele, la terza a ballare, è cosa che, se potrà a
qualcuno parere più poetica di quell'altra, dai molti non si capisce, non ha pei molti
significato nessuno. La ragione di ciò è chiara: se uno oggi facesse codesto, sarebbe
preso per matto. Il significato chiuso nella invenzione del poeta non può essere veduto
che da pochi, non può interessare che pochissimi quei pochissimi che per lo studio degli
antichi si sono ricreati nella mente, come cosa viva, il mondo greco e romano. Il poeta
colorisce di splendidi fantasmi, circonda di una musica varia e dolcissima i suoi pensieri
e le sue idee; ma queste idee sono quasi sempre così astratte, che ci vuol grande sforzo
di mente per afferrarlo e seguirle. Perciò io credo col Carrer che, quand'anche il
Foscolo avesse avuto ozio e serenità di mente da finire, come voleva, il suo poema egli
sarebbe stato sempre chiamato dalla posterità il cantore dei Sepolcri. (1)
Livorno, marzo 1882.
(1) V. CARRER, Prose, Vol. II, pag. 354.
G. CHIARINI.
© 1998 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 16 dicembre 1998