Giuseppe  Chiarini

Introduzione al Foscolo

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DELLE  POESIE  LIRICHE  E   SATIRICHE
DI 
UGO FOSCOLO
E  DI   QUESTA EDIZIONE  DELLE  "GRAZIE"

PARTE SECONDA.

LE " GRAZIE ".

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(Seconda sezione)

*

*     *

         In qual modo potè dunque P. Silvio Orlandini trarre da quei manoscritti il Carme Alle Grazie compiuto e perfetto? In un modo solo, compiendolo e perfezionandolo lui.
         La povera Quirina Magiotti s'era fitta in testa che il Foscolo avesse nell'esilio finito il Carme, e lo avesse mandato in Toscana a lei, che disgraziatamente non lo ricevè. - Se l'era sognato? - Non so: ma ho una gran paura che a questa specie di sogno, divenuto poi fissazione, debba risalire la origine prima delle Grazie dateci come compiuto dall'Orlandini. Nella loro sconfinata ammirazione per il Foscolo, l'egregia donna e l'egregio uomo dovettero, io credo, suggestionarsi a vicenda, e persuadersi che il poeta non diceva il vero quando diceva di non aver finito le Grazie. Era la sua incontentabilità che gli faceva dire questa bugia.
         Venute d'Inghiterra in Italia le carte del Foscolo che servirono alla edizione della opere di lui curata dal Mayer e dall'Orlandini, tutti i manoscritti delle Grazie furono nel 1843 dati da esaminare alla Donna Gentile, la quale con infinita diligenza e pazienza copiò più volte tutti i frammenti del Carme e ne tentò essa la prima un riordinamento con la convinzione, credo, che il poema dovesse essere compiuto, se anche a lei non fosse riuscito metterlo insieme. Manoscritti e copie passarono poi all'Orlandini, che doveva dare lui l'ultima mano al lavoro e prepararne la stampa. Quei manoscritti contenevano un mucchio di cinquemila e più versi; mentre tutto ciò che si conosceva fino allora delle Grazie erano le poche centinaia di versi pubblicati dallo Scalvini, dal Silvestri, dal Caleffi, e dal Carrer, senza dire che da quegli sparsi e confusi frammenti non era dato farsi un'idea di ciò che dovesse essere il Carme. - Possibile che non si potesse dai cinquemila e più versi dei manoscritti venuti da Londra cavarne fuori un migliaio e mezzo circa, da comporre intero il Carme? Possibile anzi che in quei cinquemila versi non ci dovesse essere il Carme intero quale il Foscolo lo aveva voluto? E se c'era, il trarnelo fuori non sarebbe stata una novità letteraria d'importanza grandissima? Un onore per chi vi riuscisse?
         Guidato da questa ambiziosa speranza, l'Orlandini si mise all'opera della ricostruzione del Carme, e fisso nella sua idea, non si sgomentò delle difficoltà che ad ogni piè sospinto gli si paravano dinanzi. Prova oggi, prova domani, le difficoltà le avrebbe pur vinte.
         Chi ha letto l'Avvertenza che egli mise innanzi alla sua edizione delle Grazie, s'inganna di molto se crede di essersi per essa fatto un'idea delle enormi fatiche da lui spese nell'arduo lavoro. Solo chi lo conobbe, chi gli parlò nel tempo che egli vi attendeva, sa come quello fosse per alcuni anni la sua occupazione di ogni giorno, il suo pensiero di ogni ora, di ogni minuto.
         Pensare che il frutto di tanto amore e di tante fatiche è un'opera che oggi la critica non può altro che disfare è, non lo nascondo, cosa che fa pena. Ma fa anche pena e meraviglia pensare che gl'Italiani hanno per più di trenta anni letto, ammirato, magnificato come una delle più belle e perfette opere del Foscolo, una poesia ch'era in gran parte lavoro dell'Orlandini; l'hanno ammirata e magnificata, senza sospettare che ella potesse non rispondere, anzi talora essere contraria, agl'intendimenti di cui l'autore aveva lasciato traccia nei manoscritti, senza accorgersi degli errori che la deturpavano.
         Dalle scarsissime e non esatte notizie che l'Orlandini dà dei manoscritti del Carme, niuno certo potò farsi un'idea di ciò ch'essi sono; mancò quindi a tutti il dato più importante per giudicare quanto arbitrariamente l'editore procedè nell'opera sua: ma ch'ei procedè arbitrariamente (bisogna rendergli questa giustizia) lo disse molto chiaro da sè; disse chiaro che nel collegare i frammenti del Carme e nella scelta tra le varie lezioni si era lasciato unicamente guidare dal suo giudizio e dal suo gusto; e lasciò anche un pocolino capire che insomma l'ultima mano al Carme glie l'aveva data lui.
         Lasciamo parlare l'Orlandini.

"In quanto alle norme da me segnite nello scegliere fra le moltissime lezioni dei manoscritti, nell'adottare o nel rifiutare questo o quello squarcio, nel cogliere i nessi più artificiosi fra tanti e sì diversi quadri ed imagini, affine che il cercato effetto del chiaroscuro non nuocesse alla semplicità, nè questa a quello, nel ritessere insomma la bella e magnifica tela del Carme, mi sarebbe oltremodo difficile, per non dire impossibile, il renderne minuto conto ai lettori. Sappiano essi, che l'autore, circa alla economia del suo lavoro, oltre quanto genericamente accenna nella Ragione poetica, non ne lasciò alcun lume fidato. È vero che in un suo copialettere militare si rinviene una specie d'indice o sommario delle moltissime materie onde doveano constare i due primi inni; ma anch'esso è talmente pieno di pentimenti, d'incertezze e di contraddizioni, da non poterne trarre alcun reale vantaggio. Nè ti avvisassi mai di seguire con fiducia la via che il poeta ti apre co' suoi versi, voglio dire coll'addentellato di quelle mille frazioni (ora sei, ora due, ora dieci o al più quindici versi per volta) con che, al pari di chi lavora in mosaico, andò formando quest'inni, e credo ogni altra sua poesia. Tu ne rimarresti forte beffato, poichè, quando piú tu credessi di essere sicuro di lui e di te stesso, vedresti a un tratto che per quel sentiero ei non va più avanti; e, leggendo altrove, ti accorgeresti ch'egli ha creduto più utile prenderne un altro, per abbandonare poi fors'anche questo; e così, di mano in mano, finchè l'animo suo inquieto e anelante alla perfezione dell'arte non trovi ove riposarsi. Ora se oltre a tutto ciò tu rifletti quanti cangiamenti e modificazioni, quali derivanti da più maturo consiglio, quali da transitoria allucinazione d'intelletto, quali da capriccio e bizzarria di carattere (io ne ho ravvisati molti di ogni genere in quei preziosi scartafacci) debbano essere stati indotti nella composizione del Carme dalla diuturnità del tempo in che è stato dettato, dalle procellose passioni o dalle fiere vicende che perpetuamente agitarono l'anima del poeta, tu potrai farti una sufficiente idea delle infinite difficoltà con cui ho dovuto lottare. E per nutrire qualche fiducia di uscirne vincitore, mi parve di dovermi proporre cinque cose:
1a leggere e rileggere tutti gli scritti d'Ugo sino allora pubblicati sì in verso che in prosa, onde tentare di addentrarmi nelle viscere non meno dell'uomo che dello scrittore;
2a scolpirmi fortemente nella memoria tutti i versi degl'inni con le varianti loro, senza tralasciare cosa alcuna, affine di POTER PROVARE IL RIORDINAMENTO DEL CARME, QUASI CONVERSANDO NELLA SOLITUDINE DEL PENSIERO COLLO SPIRITO DELL'AUTORE;
3a non riconoscere alcuna autorità dei precedenti editori, SE NON CONSUONASSE COL MIO INTIMO CONVINCIMENTO;
4a non istancarmi di prender copia di quei ricomposti frammenti, circa ai quali mi sembrasse di aver colto nel segno;
5a finalmente di non lasciarmi adescare dalle varianti, ancorchè bellissime, ove, tutto ponderato, cospirassero meno alla economia ed all'effetto generale del poema.
      Queste, eccetto due o tre di cui rendo ragione nelle note, le lascio agli spigolatori avvenire; ma sì gli spigolatori che i critici in generale, io voglio fin d'ora avvertiti a non arrischiarsi a censurare le lezioni da me prescelte, per anteporre ad esse altra che più a loro andassero a talento, se prima non hanno speso sugli autografi quanto tempo e quanta diligenza vi ho speso io; altrimenti temo assai che non sieno per avere il torto presso la posterità".

Risulta, parmi, evidente dalle parole dell'Orlandini, che egli non fu, e non volle essere, l'editore dello Grazie del Foscolo, ma il continuatore e il perfezionatore.
         Che, messosi con questa idea a lavorare sulle Grazie, non facesse nessuna distinzione fra' manoscritti, non cercasse di rintracciare in essi la genesi e lo svolgimento del lavoro, non istudiasse di capire quali delle molte redazioni di un pezzo fosser le prime e quali le ultime, anzi non tenesse neppur conto della cancellatura di alcune prime redazioni, è cosa che s'intende; e della quale non si può fargli carico, perchè è conseguenza naturale e necessaria del sistema da lui seguito nel suo lavoro. Dal momento ch'egli evocava dentro di sè, lo spirito del Foscolo, egli era padrone di fare o disfare come più gli pareva e piaceva; perchè a qualunque osservazione altri ardisse fargli egli poteva rispondere: lo spirito del poeta m'ha detto così.
         Il peggio si è che, nelle sue solitarie conversazioni con lo spirito del poeta, l'Orlandini par che talora non vedesse o dimenticasse i manoscritti che aveva sotto gli occhi; par che talora, stando tutto in orecchi per cogliere a volo i misteriosi responsi dello spirito d'Ugo, non aguzzasse ben gli occhi sui manoscritti che gli stavan dinanzi; par che talora patisse egli di quelle transitorie allucinazioni d'intelletto, che attribuisce al Foscolo, e delle quali io non ho saputo ritrovare negli autografi foscoliani traccia alcuna.
         Se dopo ciò qualcuno domandasse: Ma dunque le Grazie dell'Orlandini non sono propriamente tutta opera del Foscolo? - la domanda, dico il vero, mi parrebbe un po' ingenua. È egli possibile riunire insieme una quantità straordinaria di frammenti di poesia (ma non è vero che i più lunghi siano di quindici versi, come dice l'Orlandini), riunirli in un poemetto di ben 1548 versi, senza dovere, perchè tornino le commettiture, qua correggere un verso, là togliere un emistichio od aggiungerlo, là modificare una parola, una frase? E la riunione dei frammenti, per la quale il poeta non lasciò alcun lume fidato, non è ella di per sè una parte molto importante, e certo non la meno ardua, del lavoro poetico? poichè da essa dee risultare l'architettura e l'armonia dell'opera intiera. E i passaggi sono essi forse una cosa secondaria e di poco rilievo in un poema in gran parte lirico?

*

*     *

         Diamo un breve saggio del modo tenuto dall'Orlandini nel restituire il testo del Carme: ma prima diciamo due parole dei manoscritti.
         I manoscritti delle Grazie si possono dividere in tre classi. Viene primo per importanza (ed io perciò ho formato di esso la classe prima) un fascicolo di 16 pagine in foglio grande, battezzato non so da chi col nome di Fascicolo I o quadernone; nello grandi pagine del quale, diviso a tre colonne, l'autore veniva copiando via via i frammenti del Carme che gli pareva di aver condotti a perfezione. Non ho bisogno di dire che questo è il manoscritto che ha servito di fondamento alla mia edizione. Ho messo nella seconda classe tutti quei fascicoli e fogli staccati (e son molti, e formano la più gran massa dei manoscritti delle Grazie), che mi son parsi anteriori o contemporanei al Fascicolo I. Una gran parte dei frammenti contenuti nei più vecchi di questi manoscritti sono cancellati con lunghi freghi verticali; e le cancellature indicano, secondo me, chiaramente che il poeta non voleva tener più conto di codeste redazioni di pezzi, ch'egli o aveva rifatti, o voleva recidere dal Carme. Ho compreso nella terza classe alcuni pochi manoscritti, da me giudicati posteriori al Fasc. I e gli ultimi di tutti, i quali contengono alcuni rifacimenti di pezzi già fatti, alcuni frammenti affatto nuovi, e lunghi appunti in prosa di nuovi pezzi da fare o da rifare: ma i rifacimenti e i nuovi pezzi versificati son prime stesure molto imperfette con versi talora incompiuti, o appena accennati. E i pezzi scritti in prosa sono spesso indecifrabili.
         Nei manoscritti che ho posti nella seconda classe leggonsi, fra parecchie altre prime prove e stesure cancellate dei pezzi, ove è descritto l'approdare di Venere con le Grazie all'isola di Citera, questi versi:

Con mezze in mar le rote era frattanto
La conchiglia nel lito, ove tendendo
Alte le braccia la spingean le belle
Nettunine.

Ancor dal lungo
Golfo non era l'isola divisa
Dal continente; e dove oggi da lunge
L'agricoltor lacone ardere i fochi
Mira se al pescator buja è la notte,

Del laconio paese. Ancor disgiunta
Dal continente l'isola non era,
Nè tutta sola la sacra Citera
Sedea regina di quel golfo; or dove
Sotto i monti veleggiano le navi,
Solitaria pendea negra una selva
Agitata dagli Euri;

Il Foscolo rifece poi tutto il pezzo così:

  Con mezze in mar le rote iva frattanto
Lambendo il lito la conchiglia, e al lito
Pur con le braccia la spingean le molli
Nettunine. Spontanee s'aggiogarono
Alla biga gentil due delle cerve
Che ne' boschi dittei, schive di nozze,
Cintia a' freni educava; e poi che dome
Aveale a' cocchi suoi, pasceano immuni
Da mortale saetta. Ivi per sorte,
Vagolando fuggiasche, eran venute
Le avventurose, e corsero ministre
Al viaggio di Venere. Improvvisa
Iri che segue i Zefiri col volo
S'assise auriga, e drizzò '1 corso all'istmo
Del Laconio paese. Ancor Citera
Del golfo intorno non sedea regina
Dove or miri le vele alte su l'onda,
Pendea negra una selva, ed esiliato
N'era ogni Dio da' figli della terra
Duellanti a predarsi; i vincitori
D'umane carni s'imbandian convito.

         Questa è la lezione del Fascicolo I, con la quale, salvo la variante di una parola, si accordano tutte le edizioni precedenti a quella dell'Orlandini: o tale lezione è nel modo più evidente l'ultima lasciata dall'autore. L'Orlandini, attratto forse da alcune immagini che sono nei versi da me riferiti delle prime stesure cancellate, la mutò, nel principio e nella fine del pezzo, così, introducendovi appunto le rifiutate lezioni di quelle prime stesure e correggendo alcuni versi di sua testa

Con mezze in mar le rote era frattanto
La conchiglia sul lito, ove tendendo
Alte le braccia, la spingean le belle
Nettunine, ecc.

Ancor disgiunta
Dal continente l'isola non era,
Nè tutta sola di quel golfo intorno
Sedea regina
: e dove oggi da lunge
L'agricoltor lacone ardere i fochi
Mira, se al pescator buia è la notte,
Pendea negra una selva. Esilïato
N'era ogni Dio dai figli della terra
Duellanti a predarsi: i vincitori
D'umane carni s'imbandian le cene.
(1)

[(1) Ciò che è stampato in corsivo non trovandosi nei manoscritti, dobbiamo inferirne che appartiene all'Orlandini. nda.]

         Io non cercherò se nel testo dell'Orlandini il passo abbia guadagnato di bellezza; mi basta di porre in sodo che quando il Foscolo abbandonò il lavoro delle Grazie, l'ultima lezione di quel pezzo da lui lasciata era il testo del Fascicolo I.
         Chi volesse un altro esempio anche più notevole del sistema dell'Orlandini nel restituire il testo delle Grazie, vegga i versi da 102 a 117 dell'Inno I nella nostra edizione, vegga fra la varianti tutte le prime prove o redazioni di que' versi rifiutate dall'autore; poi confronti col testo dell'Orlandini, e si accorgerà come questi, a forza d'introdurre nel testo del Fascicolo I quanto più gli fosse possibile di versi, emistichi e frasi di quelle prime redazioni rifiutate, riuscisse ad allungare fino a ventitre versi quel frammento che doveva essere di non più che sedici.
         Assumendosi l'ufficio di compiere e perfezionare il Carme del Foscolo, l'Orlandini si tirava sulle spalle un grande carico di correzioni; carico ch'egli accrebbe col suo proposito manifesto di allungare il Carme quanto più gli venisse fatto. Spinto dall'ammirazione per il Foscolo e per tutto quello che era caduto dalla penna di lui, l'Orlandini pare si proponesse di non voler defraudare i lettori di neppure un verso dei frammenti delle Grazie; e perciò con una fatica, qualche volta sotto un certo rispetto ammirabile, si studiò di ricacciare nel Carme ciò che l'autore n'aveva cacciato fuori. Presa poi la mano a correggere, corresse anche quando non ce n'era necessità.
         Nei manoscritti della terza classe leggonsi, fra gli altri, questi versi di un rifacimento di un pezzo dell'Inno I:

                             Ah non ti fossi
Irato Amor, e ben di te sovente
Io mi dorrò da che le Grazie affliggi.
Per te all'arti eleganti ed a' felici
Ozi per te lascivi affetti, e molli
Ozi, e spergiuri a' greci; e poi la dura
Vita e nude a sudar nella palestra
Le fanciulle, onde salvarsi
Amor da te. Ma quando eri per anche
Delle Grazie non invide fratello,
Sparta fioriva. Qui di
Nè a più paese di costumi gentili
Splendeva il sole.
Illuminava. Qui di Fare il golfo
ecc.

In questo luogo, col sistema seguìto dall'Orlandini, correggere era una necessità; ed egli corregge così:

Per te all'arti eleganti, ed a' felici
Ozi lascivie sottentraro, e molli
Ozi e spergiuri a' Greci: indi la dura
Vita, o nudo a sudar nella palestra
Le maschili fanciulle, onde salvarsi,
Amor, da te. Ma quando eri peranco
Alle Grazie non invido fratello,
Non a più lieta il sol, nè a più gentile
Terra splendeva.

Ma qual necessità c'era di correggere in altra parte del citato rifacimento (pag. 141, v. 204) questo verso,

Nè la maremma elea ricca di pesce,

trasformandolo in quest'altro,

Nè la ricca di pesci elòa marina?

Ma qual necessità e qual ragione di correggere altri luoghi, come questi,

alle Grazie
Ch'or di tua man sorgon dal marmo.
L'una tosto alla Dea col radïante
Pettine asterge ecc.?

che l'Orlandini rifece così:

Ch'or di tua mano escon dal marmo
L'una tosto alla madre col gemmato
Pettine asterge ecc.

         Oltre che correggere i versi delle Grazie, l'Orlandini dovè talvolta anche farne da sè. Della seconda parte del pezzo d'Ifianea (versi da 277 a 291 della edizione Orlandini) non c'è ne' manoscritti che i pochi versi ed appunti da me riferiti in nota a pag. 142 e 143 di questa edizione: la versificazione dataci dall'editore è in gran parte fatica sua.

*

*     *

         Tocchiamo tasti che mandan note anche più dolenti. L'Orlandini, abbiam visto, parla di un copialettere militare del poeta, nel quale si rinviene una specie d'indice o sommario delle moltissime materie onde doveano constare i due primi inni, ma talmente pieno di pentimenti, d'incertezze e di contraddizioni da non poterne trarre alcun reale vantaggio. Ora, chi lo crederebbe? nei manoscritti delle Grazie si trova, come già accennai, non pure un altro breve sommario degl'inni, anteriore di tempo a questo di cui parla l'Orlandini, ma nel Fasc. I è un lungo e particolareggiato sommario dei tre inni, posteriore a quello del copialettere militare. Paragonando con questo importante sommario, che contiene il disegno ultimo del Carme foscoliano come fu lasciato dall'autore, la Grazie rifatte dall'Orlandini, il lettore vedrà facilmente le differenze. Disgraziatamente la scrittura del sommario, come in generale di tutti gli autografi delle Grazie, ed in particolar modo degli ultimi rifacimenti, è così difficile a decifrare, ch'io non ci son sempre riuscito; ma i pochi vuoti da me lasciati non impediscono che si vegga intero il disegno dell'opera.
         Nessuno vorrà fare troppo grave carico all'Orlandini del non aver egli talora saputo leggere i manoscritti del Foscolo, dell'essere stato preso, durante il suo lavoro, da strane allucinazioni, che gli hanno impedito di vedere ciò che egli aveva sotto gli occhi. Io poi, che so per prova come in lavori di questo genere sia quasi impossibile aver sempre la mente desta e vigilante, io che ho dovuto tornare dieci e più volte sopra una frase o una parola per poterla decifrare, io a cui le fatiche e gli errori stessi dell'Orlandini sono stati avvertimento ed aiuto, io e posso e debbo essere men severo d'ogni altro verso di lui. Ma ciò non mi dispensa dall'obbligo di dire quella che parmi la verità.
         Come può spiegarsi altrimenti che con una allucinazione ciò che l'Orlandini in una nota dell'Avvertenza da lui premessa alle Grazie, dice di un triplice abbozzo di lettera del Foscolo alla contessa d'Albany, da lui rinvenuto fra i manoscritti del Carme? Quella è, secondo l'Orlandini, una lettera preparata dall'autore, il quale vagheggiava in fantasia già pubblicato il suo Carme, per accompagnarne tre esemplari alla d'Albany, la quale, ritenuto per sè il primo, inviasse il secondo al Canova e desse il terzo al Fabro. Al lettore, se ci riflette, parrà un po' strano che al Foscolo venisse l'idea di scrivere cotesta lettera prima d'aver finito le Grazie, prima di sapere se e quando e dove le stamperebbe; di scriverla proprio nei quinterni del Carme, e di rifarsi a scriverla per ben tre volte. Ma il fatto sta che quella, invece di una lettera privata, è una vera e propria lettera dedicatoria; come apparisce chiaro da tutto il contesto, e chiarissimo dalle parole con le quali incomincia nel primo e nel secondo abbozzo. Le parole dei primo abbozzo sono: "Sebbene questo Carme sia intitolato allo scultore artefice di Numi, io devo, mia signora, consecrarlo ancho a lei" . ecc.; quella del secondo: "Benchè questo poema lirico sia intitolato allo scultore artefice di Numi, egli, se pure non lo crede indegno di tanto onore, bramerà senza dubbio ch'io lo consacri primamente a lei, mia signora", ecc. E quasi ciò non bastasse, sopra il secondo abbozzo è scritta di mano del Foscolo la parola Dedica. I tre abbozzi corrispondono, molto probabilmente, come già accennai, a tre vari periodi di elaborazione del Carme. Degli ultimi due paragrafi del terzo abbozzo l'Orlandini si servì per conchiudere la Ragione poetica del Carme; la quale Ragione poetica egli mise insieme coi disordinati e scorretti, e spesso indecifrabili, frammenti del poeta, ch'io ristampo nella loro genuina lezione.
         Ma raccozzando e correggendo questi frammenti l'editore errò talvolta nel leggere il manoscritto. Il Foscolo, parlando dall'abate Antonio Conti, scrisse: "filosofo, che letto farebbe vergognare solennemente la moltitudine dei poeti, i quali dirizzando il loro ingegno a un segno umile e vano, avviliscono sè medesimi e l'arte"; l'Orlandini lesse e stampò: "i quali disperdono il loro ingegno ad un tempo umile e vano". Il Foscolo, parlando del velo delle Grazie, scrisse: "che le preserva dai delirii funesti dall'autore e dell'altre umane passioni e le fa ospiti della terra, senza che siano avvicinate dall'uomo; in guisa che non possano più dargli le consolazioni, per cui furono unicamente mandate in terra dal cielo"; l'Orlandini lesse e stampò: "non possano più dargli le consolazioni, ma le facciano unicamente scendere in terra dal cielo".
         L'ultimo paragrafo del terzo abbozzo della lettera dedicatoria, del quale L'Orlandini ha, come dissi, fatto la conclusione della Ragione poetica del Carme, è stato dall'Orlandini stampato così: "Forse un giorno in altri miei versi non torneranno le Deità de' gentili; ma cantando le Grazie non poteva dimenticare la loro patria e non temere d'inimicarmelo, e con esso i maestri delle belle arti, i quali a' loro allievi presentano sempre i monumenti dell'antichità, e i poeti che sospirano que' lauri". Invece nel manoscritto si legge: "i poeti che suggerirono quei lavori".
         Citiamo anche qualche errore dell'Orlandini nel leggere i versi del Carme; diamo un esempio della poca fortuna sua nel raccozzarne insieme i frammenti; e basterà.
         Il Foscolo scrisse:

fin che il rito
V'appelli al canto, tacito sedete:
Sacro è il silenzio a' vati; e vi fa belle
Più del sorriso.

Poi sopra la parola sacro scrisse come variante caro; l'Orlandini lesse coro e stampò: "Sacro coro è il silenzio; e vi fa belle" ecc. Il Foscolo scrisse:

I pregi che dal Cielo,
Per pietà della terra, han la divino
Vergini casto, non a voi li danno,
Giovani vati e artefici eleganti,
Bensì a qual più gentil donna le imita

L'Orlandini lesse e stampò:

non a voi li danno;
Li danno a’ vati e artefici eleganti
Ed a qual più gentil donna la imita.

         Quanto alla poca fortuna dell'Orlandini nel raccozzare insieme i frammenti del Carme, e supplire ai pezzi che mancavano, ecco l'esempio.
         Alla descrizione di Sparta, che nel testo dell'Orlandini finisce col verso 236 dell'Inno I, doveva nel disegno del Foscolo seguitare la descrizione d'Arcadia e del Dio Pane, e poi il pezzo di Calliroe e Ifianeo. Della descrizione d'Arcadia l'autore lasciò soltanto nei manoscritti della classe terza un appunto in prosa, tramezzato da alcuni versi, e del passo di Calliroe e Ifianeo niente, cioè pochi versi di una prima redazione cancellati e un vecchio appunto, nei manoscritti della classe seconda, versi e appunto nei quali non si parla di Calliroe e Ifianeo, ma semplicemente di Ifianea. Poi doveva seguitare -. Ma dove ebbero le Grazie il primo altare? In Orcomeno; ed ivi esse udirono il cantico sacro alternato da fanciulle e garzoni. - Qui doveva venire l'inno cantato, che il Foscolo non compose, e poi riprendere col verso:

Così cantaro, e Citerea svelossi,

che l'Oriandini rifà cosí:

Udì Cipria que' cori, e disvelossi.

         Ora, che ha fatto l'Orlandini? Ha saltato a piè pari, senza dir nulla, il pezzo d'Arcadia e del Dio Pane, e nel luogo ove doveva andare l'inno cantato alternativamente dalle fanciulle e da' garzoni ha messo il racconto d'Ifianea, ricomposto da lui con que' pochi versi d'una prima redazione cancellata e con quel vecchio appunto ch'egli finì di versificare. Quanto ciò sia conforme agli intendimenti del poeta può giudicare anche chi non è poeta.

*

*     *

         Io confesso candidamente che quando la prima volta mi posi ad esaminare i manoscritti delle Grazie, provai, dopo alcone settimane di studio, un grande sgomento. Innanzi tutto mi nacque il sospetto che i manoscritti pervenuti alla biblioteca labronica non fossero tutti quelli che l'Orlandini aveva avuto nelle mani, perchè io aveva un bel cercare nei manoscritti il testo dell'Orlandini, spesso e volentieri non ce lo trovavo; avevo un bel cercare qual filo avesse l'Orlandini seguìto nell'ordinamento del Carme; se l'Orlandini era ito da una parte, i manoscritti tiravano me dalla parte opposta. Ció che m'impacciava soprattutto e m'impediva di trovare la via da andare innanzi erano due storte idee con le quali mi ero messo a lavorare; l'idea che il testo dell'Orlandini m'avesse a servire di guida attraverso i manoscritti e l'idea che gl'indici o sommarii del Carme lasciati dal poeta fossero tali da non poterne, come l'Orlandini aveva detto, trarre alcun reale vantaggio.
          Finalmente, seguitando a lavorare, m'accorsi della stortura di quelle idee; m'accorsi ch'era necessario tentare una classificazione ragionata dei manoscritti; m'accorsi della importanza grandissima di quegli indici o sommarii ch'io aveva trascurati; e modificai il mio primo disegno.
          Quel che allora mi proposi di fare, ed oramai o bene o male è fatto, fu questo: stampare fino a una parola, tutto quel che era nei manoscritti e nelle edizioni anteriori a quella dell'Orlandini; stampar tutto con fedeltà scrupolosa, e per tal modo che il lettore curioso e paziente potesse nella mia edizione dei frammenti delle Grazie rintracciare la genesi, il procedimento e tutti gli svolgimenti successivi del lavoro del poeta, fino al giorno ch'egli abbandonò il Carme per non rimetterci più le mani.
          A conseguir ciò, posi il mio studio principale nel rintracciare io stesso sui manoscritti quella genesi e quel procedimento, non fidandomi ad altra guida, non cercando altri aiuti che i manoscritti stessi, e ciò che il poeta aveva lasciato scritto del Carme nelle sue lettere. Deliberai di restituire il testo del Carme, riunendo i frammenti in quell'ordine che i sommarii e tutte le altre indicazioni lasciate dall'autore mi mostrassero più conforme agli ultimi intendimenti di lui; stabilii di accogliere nel testo quelle lezioni che mi paressero, non le più belle, ma le ultime e fra le ultime quelle che fossero più corrette e meglio contribuissero a presentare il Carme nella sua forma meno incompiuta; e perciò delle modificazioni posteriori al Fascicolo I mi parve non dovere accogliere che que' pochi versi che potessero entrare nel testo in ordine al concetto che ho accennato; delle altre molte, che sono, come dissi, prime stesure molto imperfette, o appunti in prosa spesso indecifrabili, stimai dover render conto al lettore nelle note; le varianti, che sono materia quasi tre volte maggiore del testo, giudicai buono disporle, al seguito di ciascuno dei tre inni, nell'ordine dato ai frammenti degl'inni stessi, con i necessari richiami ai versi del testo, e con la indicazione del fascicolo e della pagina del manoscritto onde son tolte.
          Vede il lettore che il mio lavoro è quanto di più opposto si poteva immaginare a quello dell'Orlandini; e dovrà, spero, contentare quelli almeno che del sistema tenuto dall'Orlandini non si sentirono paghi. Chi avrà la curiosità di certificarsi se il nuovo edìtore delle Grazie ha fatto bene o male la tal cosa o la tal'altra, ha letto bene o male la tale o la tal'altra frase o parola, ha corretto bene o male l'Orlandini, potrà, senza nessuna perdita di tempo, fare sui manoscritti quanti riscontri gli piaccia. L'Orlandini volle sfuggire la critica; io le vado incontro e le spiano la strada.
          Tuttavia non m'illudo: all'apparire di questa edizione ci saranno molti disinganni. Certa buona gente, che non considera le cose troppo per la sottile, chi sa che cosa s'aspetta che debba essere il Carme delle Grazie da me ripubblicato sugli autografi, ed annunziato tanto tempo fa! Cotesta buona gente, che ricorda lo scoppio d'ammirazione col quale fu accolto il poema del Foscolo ricostruito dall'Orlandini, che è avvezza ormai da più di trent'anni a vederselo davanti tutto finito dal primo verso fino all'ultimo, tutto pomiciato e lustrato, che è avvezza a leggerselo e ad ammirarselo così, quando se lo vedrà rimettere sotto gli occhi scorciato quasi di un terzo, e, quel che è peggio, tutto mutilato e a frammenti, quando non ci troverà più certi bei versi che c'erano e le pareva ci facessero tanto bella figura, dirà, o, se non lo dirà, certo lo penserà, che non metteva il conto di durar tanta fatica per dare un nuovo testo delle Grazie, che, sia pure più genuino, è men bello di quello dell'Orlandini. E non mancherà neppure qualcuno, in tanta luce di critica, come oggi si dice, il quale a dirittura pensi che l'opera mia è stata una profanazione.
          Ma cotesta buona gente non saranno, spero, tutto il pubblico degli studiosi. Ci sarà pure fra questi qualche malinconico come me, che preferisca la verità all'impostura, che preferisca un'opera d'arte frammentaria e imperfetta, ma genuina, alle rifiniture di un abile restauratore.

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*     *

         Io accennai già in questo discorso al modo come il Foscolo venne componendo il suo Carme, ed espressi l'opinione che cotesto modo non fosse lo svolgimento naturale di un primo concetto organico chiaramente veduto e fermato dall'autore nella mia mente. Chi ama ricercare le vie per le quali uno scrittore procedè, i principii che seguì, gli espedienti che usò, nel dar forma e ordine ai suoi concetti e fantasmi o nel comporre un'opera d'arte, avrà nei frammenti delle Grazie, che ora si pubblicano, ampia e non ingrata materia di studio. Cotesto curioso vedrà nel libro che io gli presento un nuovo e strano modo di comporre del quale credo non ci sia esempio in tutta la nostra letteratura poetica, e forse neppure in quelle delle altre nazioni. A me i frammenti della Grazie fanno l'effetto d'uno di quei giochi composti di tanti piccoli pezzettini di legno o cartone dipinti, che accozzati insieme in cento modi diversi ti presentano cento diverso figure.
          Nella prima redazione del Carme in un solo inno era naturale che fosse il germe dei tre Inni delle redazioni successive: ma è curioso vedere come i versi di quella prima redazione si sparpaglino a gruppi di tre, di cinque, di dieci, di venti, qua e là pei tre Inni della redazione ultima. Il primo Inno di questa comincia coi primi tre versi della redazione prima, ai quali dopo breve spazio si rappiccano i versi da 91 a 97, poi quelli da 28 a 39. I versi da 118 a 122 diventano i primi cinque dell'Inno secondo, e ad essi seguono dopo lo spazio di due versi, i versi da 99 a 117; intanto che i versi da 4 a 25 diventano il principio dell'Inno terzo. Con questo sistema tutti gli altri versi della prima redazione sono stati sparsi qua e là pei tre Inni della redazione ultima, senza che quasi uno ne manchi; con questo sistema furono poi sparsi, parte nel secondo parte nel terzo inno, i versi del frammento dell'archivio di stato di Milano; con questo sistema fu composto tutto quel che abbiamo del Carme, che con questo sistema doveva essere compiuto. Di qui le incertezze, i pentimenti, le mutazioni continue; di qui un frammento mutato di luogo due, tre, cinque volte; un altro rifatto cinque, sei, dieci volte. Il frammento dei Silvani nell'Inno primo, che nel testo è di 55 versi, ne ha 500 e più di varianti, e la redazione ultima di esso non è ancora la definitiva.
          Il Foscolo ha un'abilità grandissima nel lavorare a questo modo; ma nessun'abilità poteva bastare, credo io, a fare in questo modo un'opera organica. Quando avesse finito il Carme, l'avrebbe, diceva lui, ridipinto; ma nessuna ridipintura, per quanto abile, sarebbe, secondo me, stata bastante a nascondere tutte le commettiture. Chi non sente che il pezzo de la Dea ornata nell'Inno primo, vv. 92-101, che l'autore aveva più volte mutato di posto (e forse era sempre incerto del luogo ove metterlo definitivamente), chi non sente, dico, che lì dove è, c'è stato abilmente incastrato, ma non c'è nato spontaneamente? Lo stesso dicasi dei bei versi sul Lario nell'Inno secondo, vv. 124-138, e di molti altri frammenti.
          Un altro difetto del Carme mi pare la troppa estensione ch'era venuto prendendo nelle redazioni che succedettero alla prima; benchè queste possano parere lo svolgimento naturale del soggetto. Le sacerdotesse delle Grazie suggeriscono prima i tre inni, poi la divisione del secondo in tre parti, e di qui tutto il resto. L'aver troppo amato le donne, e troppo meditato e metafisicato su la bellezza e la grazia femminile fu forse cagione che il Foscolo idoleggiasse un po' troppo il suo soggetto, e ne allargasse soverchiamente il disegno, fondendo in quello le parti già composte o pensate degli altri Carmi.
          La troppa estensione nocque tanto più al Carme, quanto l'argomento era troppo metafisico, e troppo lontano dalle idee e dalle usanze dei tempi nostri. Un signore, che faccia accanto ad una sua villa fabbricare una cappellina, e ci faccia tutte le domeniche dire la messa, è cosa che potrà a qualcuno parere poco poetica, ma che si capisce da tutti, che ha per tutti un significato ben chiaro: ma un poeta che nel secolo decimonono alzi sul poggio di Bellosguardo un altare alle Grazie e vi guidi sacerdotesse tre belle donne amiche sue, una a suonar l'arpa, l'altra a portare un favo di miele, la terza a ballare, è cosa che, se potrà a qualcuno parere più poetica di quell'altra, dai molti non si capisce, non ha pei molti significato nessuno. La ragione di ciò è chiara: se uno oggi facesse codesto, sarebbe preso per matto. Il significato chiuso nella invenzione del poeta non può essere veduto che da pochi, non può interessare che pochissimi quei pochissimi che per lo studio degli antichi si sono ricreati nella mente, come cosa viva, il mondo greco e romano. Il poeta colorisce di splendidi fantasmi, circonda di una musica varia e dolcissima i suoi pensieri e le sue idee; ma queste idee sono quasi sempre così astratte, che ci vuol grande sforzo di mente per afferrarlo e seguirle. Perciò io credo col Carrer che, quand'anche il Foscolo avesse avuto ozio e serenità di mente da finire, come voleva, il suo poema egli sarebbe stato sempre chiamato dalla posterità il cantore dei Sepolcri. (1)

Livorno, marzo 1882.

(1) V. CARRER, Prose, Vol. II, pag. 354.

G. CHIARINI.


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Ultimo aggiornamento: 16 dicembre 1998