Giuseppe Bonghi
Introduzione
a
Sior Todero brontolon
di
Carlo Goldoni
PERSONAGGI
TODERO mercante vecchio
PELLEGRIN figliuolo di Todero
MARCOLINA moglie di Pellegrin
ZANETTA figlia di Pellegrin e di Marcolina
DESIDERIO agente di Todero
NICOLETTO figliuolo di Desiderio
CECILIA cameriera di Marcolina
FORTUNATA vedova
MENEGHETTO cugino di Fortunata
GREGORIO servitore
PASQUAL facchino (questo personaggio non compare negli elenchi di tutte le edizioni
originali, ndr)
La scena si rappresenta in Venezia, in casa di Todero.
Aspetto generale
In questa commedia
Goldoni da un lato sembra sviluppare, portandolo all'estreme conseguenze, il tema del rustego,
già affrontato nella commedia omonima, dallaltro, come egli stesso afferma nelle Memorie,
nel brano sotto riportato, porta sulla scena due caratteri che aveva realmente conosciuto,
quelli di Todero e Pellegrin, appartenenti a una famiglia che in quel periodo aveva spesso
frequentato. Grande perciò dovette essere la gioia di questa nuora reale non tanto nel
vedersi dipinta in Marcolina, quanto nella riuscita rappresentazione di un dispotico
suocero brontolone e di un marito remissivo e senza nerbo, che tremava davanti al padre
come un bambino.
Al centro della commedia vi è Sior
Todero un vecchio avaro e brontolone, che vuole avere tutti al proprio servizio,
sentendosi il paron incontrastato e indiscusso della famiglia e di tutti coloro che
in un modo o nell'altro sono o saranno legati ad essa. Ha una nipote, Zanetta, che i
genitori (Marcolina e Pellegrin) vorrebbero veder sposata con Meneghetto, un giovane ricco
e di buona famiglia. Ma il nonno, pur di non perdere la dote che deve dare alla nipote, la
promette in sposa a Nicoletto, un giovane alocco e pampalugo, figlio del suo
massaro Desiderio. Lo scontro viene risolto da Fortunata (amica di Marcolina) che con un
colpo da maestro fa sposare Nicoletto con Cecilia sgombrando così il campo favorendo il
cugino Meneghetto, che una volta sposato aiuterà Sior Todero e il suocero Pellegrin, fa
andar via il furbastro Desiderio e provvede ad assumere Cecilia e Nicoletto non facendo
così mancar loro da mangiare.
Qualche contemporaneo di Goldoni ha
sostenuto che Sior Todero brontolon osia il vecchio fastidioso sia stato
ispirato al al comico veneziano da una commedia del francese Brueys, Le grondeur
del 1691, assai fortunata in Francia e in vari altri paesi europei: ma è stato dimostrato
che fra le due opere teatrali non vi è alcun nesso.
La commedia venne messa in scena nel
gennaio del 1762 al teatro San Luca, e venne rappresentata per dieci sere consecutive
riscuotendo un buon successo, tanto da essere messo in scena anche in una sera di
febbraio. Contemporaneamente al teatro San Samuele trionfava in esplicita concorrenza la
tragicommedia fiabesca Re Cervo di Carlo Gozzi, che ebbe la sua prima
rappresentazione il 22 gennaio. Verrà data alle stampe per la prima volta nell'edizione
Pasquali del 1774. Ancora oggi è una delle commedie goldoniane più note e fortunate,
anche se la comprensione del dialetto ha reso difficile la sua traduzione nelle varie
lingue straniere e la sua comprensione .
Alla ripresa della stagione teatrale,
nellautunno di quello stesso anno 1762, precisamente nel mese di ottobre, venne di
nuovo recitata, a richiesta di molti, e questo dimostra il suo buon successo. Anche
nell'Ottocento e nel Novecento la commedia ha avuto buone accoglienze, soprattutto là
dove la parte del protagonista era sostenuta da un attore che sapesse far esaltare le
proprie capacità di mattatore. Celebre e indimenticabile è rimasta l'interpretazione di
Cesco Baseggio.
Sior Todero brontolon è stata una
commedia fortunatissima anche presso i critici, oggetto di attente analisi, tanto da
essere avvicinata presto al grande Molière e ai modelli scenici del grande commediografo
francese. In realtà, se è vero che Sior Todero è un personaggio non lontano da quelli
di Molière con la sua volontà di dominio, con il suo rifiuto del mondo, con la sua
superbia e avarizia, è altrettanto vero che esso vive in un rapporto stretto,
inestricabile con i personaggi che lo circondano e con la società in cui è nato, ed è
la stessa società dei campielli, della media borghesia, di quella gente che un tempo
povera oggi ha conquistato un posto al sole e che non ha nessuna intenzione di perderlo.
Ma i tempi sono cambiati, e la nuova
generazione oppone una resistenza insospettabile in chi con le sue mani ha racimolato una
fortuna tanto elevata che avrebbe potuto permettersi di vivere di rendita: Todero trova,
insomma, resistenza a quell'egocentrismo che gli ha permesso di accumulare roba creandosi
la beata illusione di possedere una forza sovrumana che gli permette di poter gestire in
autonomia e con piena autorità la vita dei suoi familiari, asservendo tutti alla sua
grande volontà di possedere tutto e tutti.
Il Son paron mi è è la norma che
regge l'universo della sua esistenza, è la norma che regola ogni suo comportamento, che
prevede assoluta ubbidienza in tutti coloro che vengono a contatto con lui, che lavorano
per lui o che sono suoi parenti di sangue o parenti acquisiti. È questa concezione che lo
avvicina al credersi una sorta di divinità che, anche se non può essere eterna (ha
sentito di altri che sono vissuti fino a centoquindici/centoventi anni, a tanto arriva il
suo desiderio di eternità), gli consente comunque di vivere molto più a lungo degli
altri e di averli comunque alle sue dipendenze: per questo cerca di dare in sposa sua
nipote Zanetta a Nicoletto, senza accettarlo direttamente nella sua famiglia ma facendo in
modo che impari dal padre l'arte della sottomissione.
Il Son paron mi, alla fine viene
disintegrato dalla realtà nuova che avanza, anche se egli non è disposto ad ammetterlo,
come conferma in una battuta del terzo atto, scena XIV: Co son contento mi, basta:
gli altri possono essere contenti o non contenti non ha nessuna importanza: l'importante
è che sia contento il paron, cioè il padrone che tutto possiede e che tutto
comanda. Alla fine Marcolina ha raggiunto il suo scopo: la figlia Zanetta sposerà
Meneghetto che è proprio il nuovo che avanza, che invece di litigare lavora e deve
rendere conto di quel che fa; ma ha anche una preghiera da rivolgere al pubblico: visto
quel che ho sofferto io con un uomo dal brutto carattere, indiscreto e brontolone, e che
tutto è passato, vorrei che non ci fossero più indiscreti e brontoloni a farmi soffrire.
Caratteristiche dei personaggi
I personaggi della commedia appartengono a quel mondo piccolo borghese che nella sua organizzazione ha diviso il mondo in coloro che sottomettono gli altri e coloro che vengono sottomessi, perché i primi posseggono la roba e i secondi no, e i primi devono anche fare in modo che i secondi non avranno mai le capacità e le possibilità di accumulare roba. Da questo dipendono i caratteri degli uomini e delle donne, gli astii e gli odii, le disavventure e le incomprensioni. Ma tutti, a parte Sior Todero e coloro che sono legati, come Desiderio (bello anche il nome che esprime di per sè tutto il carattere di questo uomo avido e servile) a un passato (l'ancien régime) che sta per essere spazzato via dal nuovo, dalle idee illuministiche e borghesi che tanta luce diversa getteranno sulla vita quotidiana. |
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TODERO |
Tutta la
commedia ruota intorno a questo personaggio, che è ben definito da Marcolina nell'ultima
scena dell'atto II: è un vecchio che ha tre piccole qualità: avaro, superbo e ostinato;
ma senza questi tre difetti potrebbe essere l'uomo più buono del mondo. È un uomo che
pensa che tutti sono cattivi e che soltanto lui è buono, perchè per essere buoni non
bisogna avere questi tre vizi: non rubare, non giocare, non fare all'amore da intendere
nel senso più lato. La cattiveria degli altri si manifesta soltanto in un contesto:
quando si vuole in qualche modo appropriare della sua roba. Per lui gli altri devono solo
lavorare, senza ricevere il salario dovuto, perché tanto c'è lui che lo amministra. |
MARCOLINA |
È l'antagoista principale e assoluta del paron, cioè di colui che crede di possedere tutti, uomini bestie e cose, una donna dagli atteggiamenti risoluti e quasi virili (e forse non è un caso che si chiami Marcolina, che richiama un che di battagliero insito nel suo costume e nei suoi atteggiamenti). Dopo tanti anni di sottomissione completa anche se mai del tutto cieca, il caso della figlia Zanetta, che negli stessi giorni viene promessa in sposa sia da Marcolina (a Meneghetto) che dal paron suocero (a Nicoletto) fa entrare in rotta di collisione suocero e nuora: e non è soltato una questione di comprensione o di semplice sottomissione, ma di una intera filosofia di vita, di un nuovo modello esistenziale in base al quale organizzare la propria vita: non più il principio della semplice sottomissione che hanno caratterizzato gli ultimi mille e passa anni della vita della società europea, ma il modello nuovo dell'Illuminismo, che vede una compartecipazione di tutti, una collaborazione che coinvolge in primo luogo anche le donne che diventano in molti casi le vere protagoniste della famiglia e del nuovo modello di vita, come Mirandolina. Marcolina e Mirandolina appartengono appunto alla nuova famiglia/categoria di donne che si affacciano alla seconda metà dell'Ottocento e che in Francia spesso verranno viste in prima fila nel combattere per i nuovi diritti, vecchi di decine di secoli, per i quali gli scioperi erano già scoppiati tremila anni prima dell'avvento di Cristo. |
PELLEGRIN
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Figlio
inetto e incapace di vivere, dipendente in tutto e per tutto dal padre, contro il quale
non muove mai un dito nè per difendere la moglie Marcolina, che non può maneggiare
neanche una lira per comprarsi un vestito o altro nemmeno della sua dote personale, né
per salvaguardare la figlia Zanetta che il padre dispotico vuole sposare con Nicoletto,
figlio di Desiderio a sua volta dipendente del sior Todero, per evitare che la dote da
sborsare vada a finire fuori dalla casa in mani non più sue e che quindi non avrebbe più
potuto amministrare. Vorrebbe ribellarsi allo strapotere del padre (I,7), ma non sa nè
può controbattere: |
ZANETTA |
Parte
sicuramente secondaria, questa della amorosa giovane, che non si ritaglia mai un suo
spazio e una sua autonomia: nella commedia compare solo tre volte: |
MENEGHETTO |
Innamorato
di Zanetta, ragazza che gli viene fatta conoscere dalla cugina Fortunata che è grande
amica di Marcolina, rappresenta la nuova generazione che avanza, il borghese razionale che
sa come fare soldi, pieno di intelligenza e di intraprendenza, di saper fare e di rispetto
per gli altri, che sa come trattare gli altri, soprattutto quando vuole raggiungere uno
scopo: straordinaria la scena III,2 in cui si trova a tu per tu con Sior Todaro,
consapevole del suo valore: La prego, la prego; no la se altera, per carità. Son un
galantomo, son un omo d'onor; esclama con tutto il sangue freddo che può avere; e
subito dopo soggiunge a un Todero sempre più chiuso nella torre della sua convinzione che
chi crede di non dover dar conto a nessuno, una torre che comincia a sbriciolarsi quando
viene scoperto nei suoi disegni più nascosti: no solo mi so quel che la fa, ma anca
quel che la pensa: e per tranquillizzarlo gli dice di non essere uno stregone, ma un
zovene che, per grazia del cielo, gh'ha tanto lume che basta per conosser i omeni, e
arguir dalle operazion i pensieri e i sentimenti interni che le ha prodotte. |
NICOLETTO |
Giovane
bravo e un po' sciocco, che si ritiene superiori ai meriti che ha e crede di meritare e
poter aspirare alla mano di Zanetta, nipote del paron, ricca e importante perché
così gli era stato detto dallo stesso Sior Todero e lo confessa proprio a Cecilia
(III,4), in un dialogo rapido e serrato che fa ben capire l'intelligenza dei due
protagonisti della scena: |
CECILIA
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Cecilia, innamorata di Nicoletto, per un attimo se lo sente portar via dalla promessa fatta da Sior Todero a Desiderio. Ma è una donna di grande buon senso e sa che prima o poi capita qualcosa che riporta tutto alla sua dimensione originaria e logica: e nella società c'è sempre una logica spietata e naturale che sfugge alla logica degli uomini (III,5): (Eh! come che nasse i casi, quando che manco i s'aspetta.) |
FORTUNATA |
Amica di
Marcolina e cugina di Meneghetto, è la persona fedele di cui tutti noi avremmo bisogno
nei momenti del bisogno, che condivide con noi le stesse esigenze, che sente e approva i
nostri pensieri, dei quali a volte predispone la realizzazione, perché essendo meno
emotivamente coinvolta può pensare con razionalità (No, siora Marcolina, la me
compatissa, no la gh'ha rason de andar in colera co sto putto. Elo no ghe n'ha colpa. N'è
vero, fio mio? Vu no ghe n'avè colpa. (fingendo dolcezza) (III,5), dice
rivolta a Marcolina avendo già capito come sbrogliare tutta l'intricata matassa) ed agire
con tempestività: Sentì, fioi: quel che s'ha da far, bisogna farlo presto, perché se
i lo vien a saver... e il matrimonio tra Cecilia e Nicoletto è combinato. E quando
Sior Todero si rivolge a lei per chiederle lumi e conferme, non risponde altro: Oh, mi
no me n'impazzo! |
DESIDERIO |
Desiderio
(indovinato anche il nome che esprime già di per sè tutto il carattere di questo uomo
avido e servile), due condizioni difficili da mettere insieme, e che si sente tradito
dallo stupido figlio quando viene a scoprire che questi aveva sposato Cecilia: in tre
verbi ha dipinto un'intera complessa situazione e ha diretto il suo destino verso altri
lidi, perché impossibile sarebbe stato continuare ad imbrogliare sior Todero rubacchiando
un po' di qua e un po' di là: El m'ha tradìo, el m'ha sassinà, el s'ha maridà.
Quell'alocco pampalugo del figlio gliel'ha combinata davvero grossa. Quando il paron
lo scaccia di casa recalcitra, non vorrebbe andar via assolutamente (Ghe torno a dir,
sangue de mi, che no voggio andar.), ma bastano due parole di Meneghetto per fargli
cambiare idea: |
Per approfondire
L'autore a chi legge
(Edizione Pasquali, tomo XIV, 1774)
Todero
è il nome proprio della persona, e vuol dire Teodoro: Brontolon non è il nome di
famiglia di Todero, ma un adiettivo che deriva da brontolare, soprannome datogli dalle
persone che lo conoscono a fondo, e che spiega e mette in ridicolo il di lui carattere
inquieto, fastidioso, indiscreto. Usavasi un tempo dare ai personaggi delle Commedie de'
nomi e de' cognomi tratti dal loro carattere, o dai loro difetti. Per esempio Coviello,
Spaccamonti, Asdrubale, Tagliaferro, Gelsomino degli Affettati, e simili; e i personaggi
medesimi si chiamavano eglino stessi con questi nomi e con questi cognomi, come se si
vantassero delle loro caricature: anche a' giorni nostri vi sono de' Comici che cadono in
questo errore. Il bravo, eccellente Tartaglia, che dopo aver fatto per tanti anni il
piacere di Roma, è passato a far quello di Venezia, quando parla di se medesimo sulla
scena, si chiama il signor Tartaglia: domandate il signor Tartaglia: avete a far con
Tartaglia, lasciate fare a Tartaglia ecc. Come mai un uomo può denominarsi egli stesso
dal proprio difetto? O come può darsi ad intendere che l'accidente (il caso, ndr.) abbia
dato ad un uomo un nome o un cognome che combini col suo difetto? In tal caso, credo che
un tale cambierebbe il nome, e sfuggirebbe di mettersi da se stesso in ridicolo.
Todero, se fosse anche della famiglia
Brontoloni, per poco che conoscesse il proprio carattere non soffrirebbe esser così
chiamato, e cambierebbe di nome. Non vi è niente di più fastidioso, di più molesto alla
Società, di un uomo che brontola sempre; cioè che trova a dire su tutto, che non è mai
contento di niente, che tratta con asprezza, che parla con arroganza e si fa odiare da
tutti. Todero in questa commedia non è brontolon solamente, ma avaro e superbo. L'avrei
potuto intitolare o il Superbo o l'Avaro; ma come la sua superbia consiste solamente nel
comandar con durezza a' suoi dipendenti, e la sua avarizia è accompagnata da un taroccare
fastidioso, insolente, ho creduto bene d'intitolarlo dal difetto suo più molesto ch'è il
Brontolone, o sia il Vecchio fastidioso. Tutta la morale di questa Commedia consiste
nell'esposizione di un carattere odioso, affinché se ne correggano quelli che si trovano,
per loro disgrazia, da questa malattia attaccati. E in fatti qual maggiore disgrazia per
un uomo, che rendersi l'odio del pubblico, il flagello della famiglia, il ridicolo della
servitù? Eppure non è il mio Todero un carattere immaginario. Pur troppo vi sono al
mondo di quelli che lo somigliano; e in tempo che rappresentavasi questa Commedia, intesi
nominare più e più originali, dai quali credevano ch'io lo avessi copiato. Dio mi guardi
da esporre in pubblico il difetto di chi che sia in particolare; ma in verità, quando
scorgo tai caratteri odiosi, faccio forza a me stesso, e vi vuole tutto quel principio di
onestà che mi sono prefisso, per risparmiar loro quel ridicolo che si danno da se
medesimi. Senza aver in vista persona alcuna, ho colto bene nel segno, e la Commedia, non
ostante l'odiosità del Protagonista, ha incontrato moltissimo, ed è stata con fortuna
più volte rappresentata.
Dai Mémoires
(parte II cap. XLIII, pag. 419 ed. BUR, Milano 1985)
A
Venezia ci fu un vecchio, non so in che epoca, che si chiamava Teodoro; era il più
rustico uomo del mondo, scontroso e difficile, che lasciò di sé così buona fama che
quando a Venezia si trova un brontolone lo si chiama sempre Todaro brontolon.
Conoscevo uno di quei vecchi di cattivo
umore, che faceva ammattire la famiglia e specialmente la nuora, assai bellina e
piacevole, il cui marito tremava davanti al padre e la faceva anche più infelice.
Volli vendicare quella brava donna che
vedevo molto spesso. Nello stesso quadro delineai il ritratto del marito e del suocero;
lei era al corrente della cosa e godette più di tutti del successo della commedia;
perché i modelli s'erano riconosciuti, e lei li vide tornare da teatro, uno furibondo e
l'altro umiliato.
Ecco un riassunto della favola, che avevo
immaginato sulla base dei caratteri storici.
Teodoro è un ricco mercante che tiene
nella più dura e umiliante soggezione il figlio Pellegrin e la nuora Marcolina, che non
sono più ragazzi: hanno una figlia da marito, Zanetta.
Il capo assoluto e dispotico della
famiglia ha in casa un commesso di nome Desiderio, suo favorito e uomo di fiducia; costui,
uomo scaltro e malvagio, s'é impadronito dell'animo del vecchio e domina in casa quanto
il padrone; il selvatico Teodoro lo sgrida e lo maltratta come gli altri, ma Desiderio sa
sopportare come sa rubare.
Quell'impertinente commesso spinge così
avanti l'impudenza che induce Teodoro ad accordare in sposa Zanetta a un suo figlio di
nome Nicoletto; all'insaputa dei genitori di lei.
A quell'estremo atto di insensata
autorità del padrone e di sfrontatezza del commesso, Marcolina non sa più trattenersi:
è madre, è moglie, riesce a scaldare l'indolenza del marito, si oppone al sacrificio
della figlia e. tanto fa che scopre al padron di casa le birbonate del suo preferito;
riesce a farlo scacciare; persuade il marito a rendersi utile al vecchio; e accasa in modo
onorevole la figliuola. Il brontolone ammette che la nuora è donna di spirito, e
l'abbraccia brontolando.
La commedia piacque talmente che andò
fino alla chiusura d'autunno del 1760.
© 2000 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 23 giugno 2000