Giuseppe  Bonghi

Introduzione
a
Il burbero benefico
di
Carlo Goldoni

o sia
Il bisbetico di buon cuore

Commedia in tre atti in prosa
Rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1771

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PERSONAGGI

il Signor GERONTE
Il Signor DALANCOUR, nipote di Geronte
DORVAL, amico di Geronte
VALERIO, amante di Angelica
PICCARDO, lacchè di Geronte
Un lacchè di Dalancour
MADAMA DALANCOUR
ANGELICA, sorella del signor Dalancour
MARTUCCIA, donna di governo del signor Geronte

La scena stabile si rappresenta in Parigi, in una sala in casa dei signori Geronte e Dalancour. Ella ha tre porte: l'una delle quali introduce nell'appartamento del signor Geronte, l'altra dirimpetto, in quello del signor Dalancour, e la terza in fondo, serve di porta comune. Vi saranno delle sedie, de' sofà, ed un tavolino con uno scacchiere.

Introduzione

        La commedia fu scritta tutta in Francese (con il titolo Le bourru bienfaisant) in occasione del matrimonio tra Maria Antonietta e il Delfino di Francia (le nozze furono celebrate il 16 maggio 1770; il delfino veva sedici anni, la principessa quattordici e mezzo) futuro Luigi XVI e fu rappresentata per la prima volta il 4 novembre 1771 al teatro della Comédie française ottenendo un trionfo straordinario, soprattutto se si pensa che Goldoni al momento della sua partenza da Venezia per la Francia nel 1762 non conosceva che qualche parola di francese. La replica avvenne a Fontainebleau alla presenza dello stesso re Luigi XV.
         L’opera fu scritta interamente in francese e, come scrisse lo stesso Goldoni, pensata in francese: la grande capacità di osservazione delle cose del mondo, che sempre lo aveva guidato nella composizione delle sue commedie, unita a un inguaribile ottimismo esistenziale e vitalistico gli aveva permesso di capire il mondo sociale francese, così diverso non solo nelle sfumature da quello italiano e veneziano in particolare, ma anche nella sostanza. Della commedia si fece un gran discorrere sia a Parigi che presso la Corte Reale, che in quel frangente si trovava a Fontainebleau: “ alcuni credevano, - scrive Goldoni, - che fosse una commedia del mio teatro italiano; altri pensavano che l’avessi scritta qui, ma in italiano, e poi scritta in francese. La collezione delle mie opere poteva dimostrare il contrario a quelli; e io disingannerò questi ultini, se ancora ne rimangono. Non soltanto ho scritto la commedia in francese, ma pensavo in francese immaginandola”. Ed il suo francese, in effetti risulta privo di italianismi e di quei costrutti che sono tipici di chi pensa in una lingua e per un motivo o per l’altro è costretto a scrivere in un’altra.
        Proprio quest’opera, come abbiamo evidenziato nella biografia (v. 2a parte), venne rappresentata al “Theâtre National”, il 18 giugno 1793, per alleviare le penose condizioni economiche che, alla morte di Goldoni avvenuta il 6 febbraio all’età di 86 anni, ma anche negli ultimi anni di vita del commediografo veneziano, in cui versava la moglie Nicoletta, alla quale fu versato l’intero incasso.
        L’intreccio e la parte del primo attore (Géronte) richiama alla mente, almeno superficialmente, la commedia d’ambientazione veneziana La casa nova, con la differenza che qui il Géronte-Cristofolo riveste i panni del protagonista e la sua condizione sociale non viene agganciata a nessuna origine di tipo economico (borghese o piccolo-nobiliare che sia). Géronte ha nella sua asprezza una sensibilità che è quasi sconosciuta al Cristofolo veneziano, non si impone come questi in maniera assoluta e non impone soluzioni, ma un consiglio: “Siate cauti per l’avvenire, e se non siete spinti dalla riconoscenza, fate che l’onore vi impegni”. Mentre in Cristofolo non troviamo tenerezza anche quando burbero risolve i problemi economici del nipote, in Géronte c’è netta la consapevolezza che la rusticità dura un attimo: “Ma che carattere è il mio! Non posso far durar la mia collera; due parole dolci, due lagrime, eccomi avvilito.”
        La scena si svolge a Parigi: Géronte ha due nipoti, Leandro sposato con Costanza e la sedicenne Angelica innamorata segretamente di Valerio ed in età ormai di matrimonio. Géronte decide di darla in moglie all’amico Dorval, attempato e maturo signore di quarantacinque anni, che quando sente la proposta è tentato di rinunciare e metterne in evidenza l’assurdità: cerca di far capire a Géronte la differenza degli anni (16 a 45), di mettere avanti un segreto innamoramento della ragazza, ma tutto è inutile. Allora accetta, ponendo una piccola condizione: l’accettazione di Angelica, fatto nuovo ed importante per i tempi (nel Settecento la volontà della donna contava poco o nulla). Si manda a chiamare il notaio per scrivere il contratto, Géronte promette 100.000 lire di dote. Fra una serie e l’altra di equivoci, che riguardano proprio Dorval, Angelica e Géronte, si arriva al finale: la vita può riprendere a scorrere trascinando con sè le solite cose e le solite occupazioni, così che Géronte può ritornare a giocare la sua partita a scacchi con Dorval che era stata interrotta proprio all’inizio della commedia.
        L’opera ci presenta un Goldoni indubbiamente letterario ma ormai distaccato dai suoi personaggi più vivi, proprio perché più “popolari”, che acquistavano la loro ragion d’essere in una città tutta particolare, Venezia, che nel Settecento conservava tutto il suo fascino conquistato in secoli di predominio sul Mediterraneo, ma che negli ultimi decenni presentava gravi difficoltà ad adattare la propria vita e la propria sopravvivenza ai nuovi tempi che a grandi passi stavano prendendo il sopravvento su tutto e che spazzavano impietosamente tutto un sistema di vita basato sostanzialmente su due classi sociali, i nobili e il popolo, ed una terza classe, la borghesia, che da un lato restava ancorata al popolo e dall’altro cullava velleità di aspirazioni a un livello superiore (quello appunto nobiliare).

per approfondire

         Il burbero benefico, come abbiamo visto, è stato rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1771: così ne parla lo stesso Goldoni nella Parte Terza, Cap. XV delle sue Memorie:

        Il mio Burbero benefico non poteva incontrare migliore fortuna di quella che incontrò, ed io ebbi veramente sorte nel trovare in natura un carattere nuovo per il teatro, un carattere che si presenta ovunque, e che nondimeno era sfuggito alle ricerche degli autori antichi e moderni. Ne sarà stata forse causa l'opinione che un uomo burbero, siccome riesce tedioso alla civile società, sia per essere sgradevole anco sulla scena, e certamente, quando si voglia riguardare sotto questo aspetto, convien dire che abbian fatto benissimo a non valersene punto nelle loro opere: anzi me ne sarei astenuto io medesimo, se altre mire non mi avessero fatto sperare di trarne profitto. L'oggetto principale della mia commedia è la beneficenza; e la vivacità dell'uomo benefico somministra la parte comica, inseparabile nella commedia. Virtù dell'animo è la beneficenza; difetto di temperamento è il rozzo e scortese tratto; l'uno e l'altro però son benissimo conciliabili in un istesso soggetto; dimodochè secondo questi principii architettai il mio disegno; ed è la sensibilità, quella che ha reso sopportabile il mio Burbero.
        Alla sua prima rappresentazione io mi era nascosto, come aveva sempre fatto in Italia, dietro la tela che chiude la decorazione, dimanierachè nulla vedevo, ma udivo i miei attori, e gli applausi del pubblico. Me ne stavo passeggiando nel tempo dello spettacolo da un lato all'altro, accelerando il passo nelle scene più vivaci, ed allentandolo nei momenti di maggior effetto e passione, contentissimo de' miei attori e facendo ancora io eco agli applausi del pubblico. Terminata la rappresentazione, sento battimani e grida senza fine. Mi si appressa il signor Dauberval, quegli appunto che doveva condurmi a Fontainebleau; al primo vederlo, credo che egli mi cerchi per farmi partire; ma niente affatto; mi dice anzi: - Signore, venite, bisogna farsi vedere. - Farmi vedere? a chi? Al pubblico, che assolutamente vi domanda. - No, no certamente, amico caro; partiamo piuttosto, partiamo subito; non sarebbe possibile che io sostenessi... Sopraggiungono i signori le Kain e Brizard, che mi prendono per le braccia, e mi tirano per forza sul palcoscenico. Contuttochè avessi veduto molti altri autori sostenere con coraggio una simile cerimonia, io per altro non vi era punto assuefatto, non essendovi uso in Italia di congratularsi con i poeti in pubblico. Non potevo concepire come un uomo potesse tacitamente dire agli spettatori: Signori, eccomi qua, applauditemi. Dopo avere sostenuto adunque per alcuni minuti secondi quella condizione per me singolare ed incomoda, rientro fra le scene, attraverso le sale d'aspetto e vado a trovare una carrozza che mi attendeva, ed in questo passaggio incontro un'infinità di gente che veniva in cerca di me. Senza che io conoscessi alcuno, discendo con la persona che mi accompagna, entro nella mia carrozza ove la moglie ed il nipote avean già preso posto. Piangevano entrambi di consolazione per il felice successo della mia commedia, e li faceva ridere come matti l'aneddoto della mia comparsa sul palcoscenico.

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Ultimo aggiornamento: 01 marzo 2000