Giuseppe  Bonghi

Introduzione
a
Una delle ultime sere di carnovale
di
Carlo Goldoni

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         La commedia, d'ambiente veneziano, annunciata già da qualche settimana col titolo Un giorno di Carnevale, venne rappresentata per la prima volta il 16 febbraio 1762, la sera di martedì grasso nel Teatro San Luca a Venezia, con grande concorso di pubblico ed ebbe soltanto tre repliche, tutte di gran successo, e si racconta che al celebre saluto di Goldoni alla sua patria, presente nell'ultima scena del terzo atto per bocca di Anzoletto:

Cossa dìsela mai, caro sior Bastian? Mi scordarme de sto paese? De la mia adoratissima patria? Dei mii patroni? Dei mii cari amici? No xè questa la prima volta, che vago; e sempre, dove son stà, ha portà el nome de Venezia scolpìo nel cuor; m'ho recordà delle grazie, dei benefizi, che ho recevesto; ho sempre desiderà de tornar; co son tornà, me xè stà sempre de consolazion. Ogni confronto, che ho avù occasion de far, m'ha sempre fatto comparir più belo, più magnifico, più respetabile el mio paese; ogni volta, che son tornà, ho scoverto de le belezze maggior; e cussì sarà anca sta volta, se 'l Cielo me concederà de tornar. Confesso, e zuro su l'onor mio, che parto col cuor strazzà; che nissun allettamento, che nissuna fortuna, se ghe n'avesse, compenserà el despiaser de star lontan da chi me vol ben. Conservème el vostro amor, cari amici, el Cielo ve benedissa, e ve lo diga de cuor.

gli spettatori, a loro volta commossi, rispondessero con grido unanime: Bon viazo! Tornè presto.
         Pur essendo stata replicata più volte nel corso dell'Ottocento e del Novecento, solo nella seconda metà del Novecento (a cominciare da Luigi Squarzina colla compagnia degli attori del Teatro Stabile di Genova) ha avuto quel successo che merita. L'imminente partenza da Venezia, la coscienza di affrontare un viaggio faticoso e lungo all'età di cinquantacinque anni, un po' troppi per quei tempi perchè potesse prevedere un facile ritorno dopo i due anni che avrebbe dovuto impiegare in Francia per il lavoro che gli era stato commissionato, danno a questa commedia quella tristezza e quella malinconia che sono alla base di un "atteggiamento fatto di equilibrio, di misura" che denotano la maturità artistica e umana, oltre che tecnica, raggiunta dall'autore.
         La commedia rappresenta proprio l'ultimo atto di Goldoni, attraverso il personaggio Anzoletto, che sta per partire per la Moscovia per un impegno commerciale (è venditore di stoffe), e che è festeggiato in modo triste dai suoi amici e parenti (i viaggi erano sempre un'incognita) con l'augurio di un felice ritorno. Eppure la commedia possiede una sua intima vivacità, e corre via leggera tra le anime dei due paesi (Venezia dove vive con Anzoletto e la Moscovia dove deve recarsi con Madama Gatteau che non a caso parla francese ed è una anziana signora proprio di origini francese ma che da tanti anni risiede a Venezia e fa la merlettaia) e i due atteggiamenti della malinconia da un lato e della gioia dall'altro, che sono i due atteggiamenti che sempre troviamo nella vita di Goldoni, in cui si mescolano con rapidità incredibile fatti lieti e fatti non lieti, fortune e sfortune che in un fluire senza fine si incastrano vicedevolmente.
         Goldoni è un uomo innamorato della vita: "se qualche scrittore volesse occuparsi di me, non per altro che per farmi dispiacere, perderebbe il suo tempo. Io sono nato pacifico, ho conservato sempre il mio sangue freddo... e non leggo che libri di divertimento". Sono le parole che sigillano le sue Memorie, e racchiudono sicuramente il significato profondo della sua vita avventurosa e della sua arte, del suo modo di affrontare le polemiche (con Chiari e Gozzi) e le innumerevoli difficoltà (a cominciare da quelle col Medebach e col finto capitano che gli truffa l'ingente somma di seimila lire del tempo). Sempre di fronte alle avversità più nere, confortato anche dalla presenza dolce e discreta della moglie Nicoletta Conio, ha mantenuto un certo sangue freddo, e piuttosto che combattere e far del male, ha cercato di lasciar perdere e di passare sopra le difficoltà e il male che gli altri cercavano di fargli.

Personaggi

Sior Zamaria testor, cioè fabbricatore di stoffe
Siora Domenica, figlia di Zamaria
Sior Anzoletto, disegnatore di stoffe
Sior Bastian, mercante di seta
Siora Marta, moglie di Bastian
Sior Lazaro, fabbricatore di stoffe
Sior'Alba, moglie di Lazaro
Sior Agustin, fabbricatore di stoffe
Siora Elenetta, moglie di Agustin
Siora Polonia, che fila oro
Sior Momolo, manganaro
Madama Gatteau, vecchia francese ricamatrice
Cosmo, garzone lavorante di Zamaria
Baldissera, garzone lavorante di Zamaria
Martin, garzone lavorante di Zamaria

La scena si rappresenta in venezia in casa di Zamaria


L’AUTORE A CHI LEGGE

         In fondo di questa Commedia è un’allegoria, che ha bisogno di spiegazione. Essendo io in quell’anno chiamato in Francia, e avendo risolto di andarvi, per lo spazio almeno di due anni, immaginai di prender congedo dal Pubblico di Venezia col mezzo di una commedia; e come non mi pareva ben fatto di parlare sfacciatamente ed alla scoperta di me, e delle cose mie, ho fatto de’ Commedianti una società di Tessitori, o sia di fabbricanti di stoffe, e mi sono coperto col titolo di Disegnatore.
         L’allegoria non è male adattata. I Comici eseguiscono le opere degli Autori, ed i Tessitori lavorano sul modello de’ loro Disegnatori.
         La similitudine sarebbe più vera, se si trattasse di Commedie a soggetto, nelle quali i Comici ci mettono più del loro, ma può passare anche per le Commedie scritte; e l’allegoria fu ben compresa, e gustata. Vero è, che la Commedia non potea passare che in quella tale occasione, e credo, dopo quel tempo, non sia stata rappresentata; ma vi sono delle cose in essa, che anche senza l’allegoria possono recare qualche diletto, e credo non dispiacerà ai Leggitori d’averla. I caratteri sono veri, semplici e piacevoli, indipendentemente dal fondo della Commedia: un Marito e una Moglie che si amano, e taroccano sempre insieme. Una Donna, che sa essere ammalata, quando s’annoia; e diventa sanissima quando trova da divertirsi. Un giovane brillante, faceto, che diverte gli altri, divertendo se stesso: un buon uomo, capo di famiglia, che sa unire alla più esatta condotta l’allegria e l’onesto divertimento.
         La caricatura di una vecchia, che vuol fare la spiritosa: due Amanti, infine, che alla vista di una società numerosa trovano i momenti per intendersi insieme, e procurarsi onestamente il fine dei loro amori. Tutto ciò, aggiunto alla pittura del sistema e del costume di quel ceto di persone, che ho introdotte in quest’opera, basta, mi pare, per dar materia ad una Commedia, anche senza il merito dell’allegoria.
         Vi ho introdotto, per adornarla, il giuoco detto della Meneghella, giuoco di carte particolar di Venezia, che non giuocasi in altre parti, e serve di trattenimento alle Società che si trovano numerose e si compiacciono di giuocar tutti insieme, potendo giuocare fino in sedici, alla stessa tavola, e nella medesima compagnia. Come la scena, in cui giuocano i miei personaggi, è lunga, ed i termini di cui si servono non possono essere compresi da quelli che non conoscono un simil giuoco, m’ingegnerò di darne un’idea; e non credo fatica inutile, facendo conoscere il giuoco favorito delle belle giovani Veneziane.
         Principiando dall’etimologia del nome, dirò che Menega in Veneziano vuol dire Domenica e Meneghella è il diminutivo, come chi dicesse Domenichella, o Domenichina. La carta che chiamasi la Meneghella, è il due di spade. Quei che conoscono le carte italiane, sapranno che i quattro semi che le compongono formano: Spade, Coppe, Bastoni e Danari. Le figure di questi semi variano secondo i paesi. Le Spade, per esempio, in varie parti sono impresse diritte, ed in Venezia ritorte, a guisa di sciabole. Il due di Spade è composto di due di queste sciabole, che incrocicchiando le guardie e le punte, formano un ovale nel mezzo, nel cui vacuo è scritto il nome del fabbricatore, ed ordinariamente vi si legge: Messer Domenico Cartoler, all’insegna della Perletta.
         Io credo che il nome di Domenico abbia dato il nome di Domenichina, o Domenichella, e in Veneziano di Meneghella: almeno questa etimologia è molto più onesta di quella che alcuni libertini ritrar pretendono dalla figura. Questa dunque è la carta trionfante, la carta superiore di questo gioco; e dopo di essa gli Assi, i Cavalli, i Fanti, i Dieci, i Nove ecc. impiegandosi tutte le cinquantadue carte che formano il mazzo. I Giuocatori si distribuiscono a due per due, i quali devono esser vicini, veggendosi le carte fra di loro,. E facendo banco comune di quel denaro che mettono sopra la tavola, metà per uno, e dividendo alla fine il resto, se perdono, o la vincita oltre il capital, se guadagnano, e rimettendone fuori di nuovo, se il primo capitale è perduto, prima che il giuoco finisca. Le coppie de' Giuocatori sono per lo più composte di un uomo e di una donna, e la Padrona di casa ha la prudente attenzione di unire le persone che stanno volentieri insieme, cosa che rende oltremodo piacevole questo giuoco all'onesta ma tenera gioventù. Nel mezzo della tavola si mette un tondino, dove ciascheduno dee porre quella moneta ch'è destinata per il fondo del giuoco; per esempio, un soldo. Se i Giuocatori sono dodici, come nella mia Commedia, ecco dodici soldi nel tondo. Come, e da chi si guadagnano, lo vedremo in appresso.
         Per vedere chi è quegli, o quella, che dee dar le carte la prima volta, qualcheduno prende il mazzo, mescola, fa alzare, dà una carta scoperta a ciascheduno, e quegli a cui tocca la Meneghella, è il primo a dar le carte. Questi dunque mescola, fa alzare il suo vicino, e se questi alza, per ventura, e fa vedere la Meneghella, tira i dodici soldi del tondo; passano la mano, e tutti rimettono nel tondino un soldo per ciascheduno. Se non alzasi la Meneghella, quegli che fa le carte, ne dà tre a ciascheduno e ne prende sei per se stesso, delle quali sceglie le tre migliori; e questo chiamasi far "lissia", cioè fare il "bucato". Volta poi la quarantesima carta, s'ella è la Meneghella, tira il tondo, come quegli che l'alza, e passa avanti il mazzo. Colui che ha la mano, giuoca la carta che più gli torna conto, e come vede le carte del suo Compagno, o giuoca un Asso, s'egli ne ha, o giuoca nell'Asso del suo compagno.
         Gli Assi, come abbiamo detto, sono le prime carte dopo la Meneghella. La Meneghella può prender l'Asso, e si chiama "tagliare"; e questo succede, se quegli, per esempio, che ha la Meneghella ha tre carte sicure, e teme di doverne perdere due, rispondendo a quei Semi ch'egli non ha, ma rade volte si fa, mentre per lo più l'ultima carta è la più interessante.
         Chi prende dunque la prima mano, tira quattro soldi dal tondo, e giuoca poi la carta che vuole, la più utile al suo giuoco, o a quello del suo Compagno; e chi prende la seconda mano, tira ancor quattro soldi. I quattro che restano, dopo le due mani suddette, si dice che restano per l'invito; ed ecco come si fa l'invito. La persona che ha guadagnato la seconda mano, se resta con una terza carta, giudicata buona, o perché sia un Asso, o un Re, o perché sia di un Seme, del quale se ne vedono molte sulla tavola, invita, e si dice "un soldo, o due soldi, o tre ecc. chi vuol veder la mia carta", e mette la somma nel tondino. Quelli che hanno carte buone, e sperano che siano dello stesso Seme, e superiori in valore alla carta coperta dell'invito, tengono l'invito, e mettono la somma invitata.
         Quegli che ha la Meneghella, tiene sicuramente, ed è certo di vincere; per questa ragione rade volte si tagliano gli Assi colla Meneghella, sperando di far miglior giuoco alla fine. Il giuoco è più bello, quando la Meneghella è stata forzata; cioè quando qualcheduno, per necessità o per elezione, giuocando Spade, trova la Meneghella in mando di qualcheduno senz'altre Spade, e la fa cadere: allora chi l'ha, e la giuoca forzata, si fa dare un soldo da ciascheduno, e tira i quattro soldi dal tondo; ma questo premio qualche volta non vale quello che si può guadagnare nell'invito. Quando l'invito è fatto, e tenuto, quegli che ha invitato, scopre, e fa veder la sua carta.- Allora quei che han tenuto l'invito, se si trovano aver la carta in mano di quel Seme, e che sia superiore, dicono: "io ci fo su quella carta", per esempio, "dieci, quindici, o venti soldi". Qualche volta saranno in due o in tre a far lo stesso, perché la carta scoperta sarà, mettiamo, il Fante o il Cavallo di bastoni, ed uno avrà il Re, e l'altro avrà l'Asso; e quegli che ha la Meneghella, tiene sempre, perché è sicuro di vincere; se gli altri si piccano, tanto meglio per lui, anzi non solo tiene tutto quello che invitano, ma aumenta quando può davantaggio, e l'ultimo a scoprire è sempre l'ultimo ad aumentare. Sovente accade, che un Giuocatore non avrà carta buona, o non l'avrà del Seme della carta scoperta, e non ostante rinforza, ed aumenta l'invito. Questa si chiama "Cazzada", una bravata per far ritirare gli altri, e guadagnare il resto del tondo, e la somma del primo o del secondo invito; e chi ha la Meneghella ride, e profitta delle Cazzade.
         Ecco a poco presso tutto il famoso giuoco della Meneghella. Dirà qualcheduno, ch'esso non meritava una sì esatta descrizione. Spero che questo tale me la perdonerà, poiché non gli costa gran cosa. Altri aspettano forse, ch'io faccia parola sull'articolo della promessa del Disegnatore, con cui si era impegnato a mandar di Moscovia de' suoi Disegni ai fabbricatori di stoffe in Venezia. Levate il velo dell'allegoria, e preso me in impegno di mandar Commedie in Italia durante il mio soggiorno in Francia, pretendono forse ch'io qui renda conto di quel che ho fatto, o ch'io mi abbia a giustificare di quello ch'io non ho fatto. Ma questo non è il luogo, né il tempo. Mi riserbo di farlo in altra occasione, allora quando col racconto della mia vita, arriverò a parlare della mia andata e del mio soggiorno in Francia.

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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 18 novembre 1999