Giuseppe Bonghi
Introduzione
a
I RUSTEGHI
di
Carlo Goldoni
Commedia in tre atti in prosa
Rappresentata per la prima volta in Venezia
il carnovale dellanno 1760
Introduzione
La commedia è stata scritta
nel gennaio 1760 a chiusura del carnevale teatrale e rappresentata per la prima
volta al teatro San Luca il 16 febbraio con il titolo La compagnia dei
salvadeghi, o sia I rusteghi, incontrando un grande successo di pubblico,
tanto che nell’edizione Pasquali del 1762 il Goldoni stesso scrisse: posso
dire che quest’opera [è] una delle mia più fortunate; perché
non solo in Venezia riuscì
gradita, ma da per tutto, dove finora fu dai comici rappresentata.
L’opera, ritenuta da molti
critici il grande capolavoro dell’arte goldoniana, nella sua complessità
richiede una oculata distribuzione dei ruoli che devono essere affidati ad
attori di sicura bravura: grandi compagnie dell’Ottocento e del Novecento
l’hanno spesso messa nel proprio cartellone e grandi registi e direttori, fra
i quali ricordiamo almeno Luigi Squarzina del 1969, l’hanno messa in scena,
sempre con immutato successo.
Due le interpretazioni
principali che molti critici e interpreti ne hanno data:
1) interpretazione in chiave poetica e
musicale, da allegra opera buffa, che non ha altra finalità che quella di
divertire, mentre il teatro goldoniano ha l’ambizione di portare il lettore e
lo spettatore a un ripensamento cosciente dopo il divertimento;
2) interpretazione in chiave ideologica e
addirittura psicanalitica che metteva in evidenza il contrasto generazionale e
la differenza di posizione delle donne da una parte e de i omeni
dall’altra.
In Goldoni non c’è la
volontà satirica contro i quattro uomini che pensano ed agiscono in modo troppo
all’antica, ma nel contempo non manifesta neanche una eccessiva simpatia per
l’elemento femminile, che viene colto nelle sue più comuni sfaccettature
(dall’adorabile Siora Felice e alla sciocca Marina), e che comunque
resta un elemento di completamento e di moderazione della figura maschile: la
donna, non solo in questa commedia, ma nemmeno nell’arte goldoniana in
generale, mai assume un ruolo di superiorità, crediamo neanche ne La
locandiera.
Certamente Goldoni sta sul
piano umano e sociale dalla parte dei giovani, di donne come Siora
Felice, di tutti coloro che colgono il cambiamento che sta interessando la
società veneziana e che forze retrograde cercano di tenere lontano; ma sul
piano dell’arte e della creazione di personaggi e caratteri non
può che stare dalla parte di Lunardo Maurizio Canciano e Simon, perché proprio
questi offrono le possibilità di sviluppo della commedia e fanno ridere per il
loro anacronismo e per il loro attaccamento a comportamenti divenuti vecchi e
sciocchi, un anacronismo che Siora Felice esprime che prontezza ed estrema
chiarezza: Siè un poco civili, tratabili, umani. Esaminè le azion de le vostre
muggier, e co le xe oneste, donè qualcossa, soportè qualcossa … e se volè
viver quieti, se volè star in bon co le muggier, fè da pmeni, no da salvadeghi
… e amè, se volè esser amai” (Atto III, ultima scena).
Ancora una volta sono le
donne, più duttili, più pronte a cogliere le sfumatura, a risolvere un
problema che se i rusteghi avessero continuato a trattare a modo loro,
cioè con quella chiusura mentale, con quella mentalità ancorata alle vecchie
leggi del passato, sicuramente sarebbe sfociato nella tragedia, o, peggio, nella
farsa. L’invito ai rusteghi ad essere più umani e trattabili avviene
dall’interno stesso di quel mondo, ed è un invito non
riservato a un mondo preciso, a uno spicchio di società, ma all’umanità
intera: “amè, se volè esser amai”. E amare significa anche aprire le porte
serrate, schiodare i balconi inchiodati per proteggere e tener richiuse
le donne.
Il modello ideato in questa
commedia da Goldoni nasce dalla quotidiana
osservazione della piccola borghesia, da quel mondo che si alza appena dalla
miseria comune della plebe, da una visione lucida del
mondo e di quella società piccolo borghese che non ha posto nella storia dei
grandi eventi dell’umanità, retti dai grandi personaggi che hanno il diritto
alle grandi azioni e alle grandi passioni; ed è una piccola società colta
proprio nelle sue contraddizioni e nei suoi meriti, nelle sue fobie e nei suoi
slanci umanissimi che con un tocco risolvono questioni diventate
all’improvviso intricatissime
- riassunto -
A Venezia, durante il
carnevale: Sior Lunardo Cròzzola e sior Maurizio da le Strope (due rusteghi,
attaccati ai vecchi costumi, all'ideale delle porte chiuse e dei balconi
inchiodati, nemici di ogni libertà e conversazione, legati alle loro manie,
brontoloni e scontrosi, insofferenti d’ogni cosa nuova) hanno concordato tra
loro il matrimonio dei figli, Lucietta e Filippetto. I due giovani non si sono
mai veduti, né si dovranno incontrare se non al momento di stringere il
contratto di matrimonio. Lucietta, figlia del Sior Lunardo, non è ancora stata
informata del progetto nuziale, ma fin dall’inizio intuisce che qualcosa si
sta preparando.
Su questo punto i due rusteghi non hanno dubbi di sorta.
Mia fìa no vói che nissun possa dire d'averla vista, e quel che la
vede l'ha da sposar. Ma non hanno fatto i conti con lo spirito più liberale
e desmestego delle donne e dei giovani, desiderosi di un più franco
tenore di vita. Nel secondo atto abbiamo l’esaltazione della vita di una volta
mentre i nuovi tempi sono così corrotti: ed è un’esaltazione introdotta
proprio dal fatto che Filippetto, il promesso sposo, non ha saputo mantenere il
segreto ed ha confidato qualcosa allo zio che inavvertitamente ne ha parlato con
il Sior Lunardo, padre della sposa Lucietta e futuro suocero di Filippetto.
La situazione è ormai pronta: da un lato i omeni, ancorati al passato, e
dall’altra le donne che tra un pettegolezzo e l’altro, pettegolezzi comunque
mai cattivi, si augurano tempi diversi e più felici. In questa atmosfera, la
siora Felice, zia di Filippetto, tanto fa che riesce ad introdurre di nascosto
il putelo in casa di Lunardo, approfittando del carnevale, mascherato da
donna, per permettere a Lucietta di vederlo appena un momento, di sfuggita. Ma
sior Lunardo e sior Maurizio sopraggiungono proprio nel momento dell'incontro,
quando Lucietta ha avuto appena il tempo di ammirare Filippetto senza la bautta
sugli occhi e ne resta abbagliata (Oh che belo!).
Scoppia lo scandalo in casa del rustego. Sior Maurizio, sdegnatissimo, si
allontana col figlio e promette il finimondo al ragazzo. A casa mia la
giustaremo. Di matrimonio neppure parlare. Anzi si tratta di prendere le
decisioni più gravi, di punire come si deve le donne. Si tratta di onore, si
tratta di reputazione! Ma invano i tre rusteghi riuniti a consiglio
studiano l'una o l'altra proposta (mandarle dai loro genitori, chiudere a chiave
vestiti e gioielli, addirittura coparle); ma tutte si rivelano
inattuabili, ognuna di esse è scartata. La conclusione a cui giungono è la
stessa alla quali prima di loro sin da Adamo sono giunti tutti gli uomini: le
donne bisogna tenersele così come sono: godevela come ghe la xè, dice
Simon a Lunardo, che come sconsolato risponde: Vedo anca mi, che co l’è
fata, no ghe xè più remedio. Le donne sono un gran male, è vero, ma sono
un male inevitabile, al quale nessun uomo può sfuggire.
È in questa situazione di stallo, un po’ drammatica, che giunge la siora
Felice, e li convincerà a riprendere le fila del matrimonio, ad acconsentire
alle nozze, a farsi più desmesteghi, più umani. E alla fine della
Commedia, rivolgendosi al pubblico, proclamerà la vittoria della cordialità
sulla rustichezza, cioè la vittoria medesima di Goldoni. Semo tuti
desmestegbi, tuti buoni amici, con tanto de cuor.
Per approfondire
Da “Le memorie”
(parte III, cap. XXXIV)
Dopo un lavoro di alto
comico che era piaciuto molto, ne diedi uno veneziano che, non che raffreddare
il teatro, lo accese in modo che quel lavoro solo riempì da sé tutto il resto
della stagione d'autunno. I rusteghi era il titolo di quella commedia.
Sono quattro borghesi veneziani, della stessa condizione, della stessa fortuna,
e tutti e quattro dello stesso carattere: uomini difficili, selvatici, che
seguono il costume dei tempi andati e detestano le mode, i piaceri e le
compagnie del secolo.
Questa conformità di carattere, invece di spander monotonia nella commedia,
forma un quadro affatto nuovo e assai piacevole: perché ciascuno di loro si
mostra con sfumature personali, e con quest'esperienza ho dimostrato che i
caratteri sono inesauribili.
L'educazione e le varie abitudini e le diverse condizioni ci fanno vedere gli
uomini dello stesso carattere sotto aspetti diversi.
Le donne, per esempio, contribuiscono validamentea raddolcire la rusticità dei
mariti, o a farli più ridicoli. Tre dei miei rusteghi sono sposati. Margherita,
donna agra, rabbiosa, testarda, rende insopportabile il marito Lunardo; Marina,
con la sua sciocchezza, non riesce a nulla con Simone suo sposo; e Felicita,
premurosa e scaltra, fa quello che le pare di Cancian, lo sa adulare in modo
che, selvatico come è, non le può rifiutare niente.
Felicita riesce persino a far accettare al marito che ella frequenti e riceva in
casa il conte Riccardo. Cancian, che da una parte è rimbrottato dai rusteghi
suoi compagni, e dall'altra è dominato dalla moglie, e che vorrebbe compiacere
a questa senza rinunciare alla compagnia di quelli, è il personaggio più
comico della commedia: aduna in sé il ridicolo dell'austerità e quello della
debolezza.
Felicita non limita la sua ambizione a addomesticare il marito, ce l'ha con
tutta la compagnia dei rusteghi. Si tratta di maritare la figlia di Lunardo e di
Margherita con il figlio di Maurizio, che è il quarto originale della commedia.
I padri dei giovani combinano il matrimonio all'antica. Cancian deve partecipare
al matrimonio e ne informa la moglie, che pure deve assistere alla cerimonia.
Felicita va dagli uni e dagli altri e tanto dice e tanto fa che le disposizioni
sono cambiate: ci sarà un bel pranzo, una buona cena, un ballo, e il conte
Riccardo sarà tra gli invitati. I rusteghi consentono e sono stupiti loro
stessi e costretti ad ammettere che Felicita è donna di spirito.
È donna fondamentalmente savia e onesta; non cerca che di ispirar loro il gusto
d'una dolce compagnia; ha potuto ammansire non poco la rozzezza degli amici di
suo marito, la sua vita non sarà più infastidita, godrà il piacere di aver
incivilito il marito.
La morale di questa commedia non è estremamente necessaria nel tempi nostri;
non esistono più questi adoratori dell'antica semplicità. Tuttavia ci sono
uomini che fanno il difficile in casa, e che dappertutto altrove fanno
l'amabile. Li compiango se hanno a che fare con una donna. come Marina; anche più
se ne hanno una come Margherita; e gliene auguro una che somigli a Felicita.
L'AUTORE A CHI LEGGE
I Rusteghi in lingua Veneziana non è lo stesso che i Rustici
in lingua Toscana. Noi intendiamo in Venezia per uomo Rustego un uomo aspro,
zottico, nemico della civiltà, della cultura, del conversare. Si scorge dal titolo della
Commedia non essere un solo il Protagonista, ma varii insieme, e in fatti sono eglino
quattro, tutti dello stesso carattere, ma con varie tinte delineati, cosa per dire il vero
dificilissima, sembrando che più caratteri eguali in una stessa Commedia possano più
annoiare che dilettare.
Questa volta mi è riuscito tutto al contrario: il Pubblico si è
moltissimo divertito, e posso dire quest'opera una delle mie più fortunate; perché non
solo in Venezia riuscì gradita, ma da per tutto, dove finora fu dai comici rappresentata.
Ciò vuol dire, che il costume ridicolo delle Persone è conosciuto da tutti, e poco
scapita la Commedia per il linguaggio particolare. Quantunque per altro sia stata fuor di
qui recitata con buona sorte, son sicurissimo che tutti i termini, e tutte le frasi nostre
non possono esser capite, però con quanto studio ho potuto, ne ho posta in piè di pagina
la spiegazione.
Molti bramerebbero un Dizionario Veneziano per intendere questa lingua,
ed io stesso ho pensato di farlo; ma credo sieno meglio i Leggitori serviti dando loro la
spiegazione sul fatto, anzicché distrarli dalla lettura, per ricorrere al Dizionario, il
quale non si può aver sempre vicino quando bisogna.
Io non credea veramente dover sì presto annicchiare ne' primi Tomi di
quest'edizione Commedie in Veneziana favella. L'ho fatto per la ragione accennata nella
precedente epistola dedicatoria, e non mi pento d'averlo fatto, dacché parmi colle
annotazioni più necessarie aver chiarito il più difficile da capirsi. Ho data la
spiegazione a tutti quei termini, e a quelle frasi, che non possono dagli stranieri
rinvenirsi nei Vocabolari Italiani; ma quelle voci, che hanno in qualche modo
dell'analogia colle dizioni Toscane, le ho lasciate com'erano, potendo chi ha un po' di
talento conoscerne la derivazione, e superare la picciola diferenza. Per esempio, le
coniugazioni de' verbi sono alquanto diverse, ma si capiscono facilmente:
"farave" per "farei"; "son andà" per "sono
andato"; "se savessi" in luogo di "se sapeste", non sono modi sì
strani, che abbino bisogno di spiegazione, né basterebbe il Dizionario a spiegarli, ma vi
vorrebbe ancor la Grammatica.
Anche l'ortografia Veneziana altera talvolta il significato, ma chi vi
abbada l'intende, ed è l'ortografia regolata secondo il suono della pronuncia. Noi, per
esempio, non diciamo "bello", ma "belo", non "perfetto", ma
"perfeto"; e per regola generale quasi tutte le consonanti doppie da noi si
pronunciano semplici. Però in alcune voci le lettere semplici da noi si raddoppiano, come
in luogo di "cosa" noi diciamo "cossa", ma queste sono pochissime.
I pronomi hanno qualche diversità dai Toscani: i più osservabili sono
"io", che si dice "mi", "tu", che si dice "ti",
"egli", che dicesi "elo". Così è osservabile nella espressione dei
verbi, che tanto nel singolare, che nel plurale, si dice nella stessa maniera. Per
esempio: "io andava: mi andava"; "quelli andavano: queli andava".
Molto vi vorrebbe per dir tutto su tal proposito. Per ora basti così. Può essere che in
altra occasione dirò qualche cosa di più.
Personaggi
Canciano, cittadino
Felice, moglie di Canciano
Il conte Riccardo
Lunardo, mercante
Margarita, moglie di Lunardo in seconde nozze
Lucietta, figliuola di Lunardo del primo letto
Simon, mercante
Marina, moglie di Simon
Maurizio, cognato di Marina
Filippetto, figliuolo di Maurizio
La scena si rappresenta in Venezia
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 27 gennaio 2000