Giuseppe Bonghi
Introduzione
a
La Famiglia dell'Antiquario
di
Carlo Goldoni
Edizione elettronica, impaginazione, revisione, edizione HTML a cura di
Giuseppe Bonghi
Testo da: Carlo Goldoni, Commedie, Garzanti Grandi Libri, Milano 1976
Personaggi:
Il Conte Anselmo Terrazzani antiquario
La Contessa Isabella sua moglie
Il Conte Giacinto loro figliuolo
Doralice sposata al conte Giacinto, figlia di Pantalone
Pantalone de' Bisognosi mercante, ricco veneziano
I Cavaliere Del Bosco
Il Dottor Anselmi uomo d'età avanzata, e confidente della contessa Isabella
Colombina cameriera della contessa Isabella
Brighella servitore del conte Anselmo
Arlecchino amico e paesano di Brighella
Pancrazio intendente di antichità
Servitori del conte Anselmo
La scena si rappresenta in Palermo.
Presentazione
Col sottotitolo La
suocera e la nuora, questa commedia fu messa in scena al teatro Sant'Angelo nel
carnevale del 1750. All'origine dell'ispirazione goldoniana erano forse certi scandali,
scoppiati in seno ad alcune famiglie della buona borghesia veneziana, per contrasti tra
diverse generazioni, e certamente anche l'eco delle polemiche tra intellettuali del tempo
sui guasti del collezionismo maniaco, della vana erudizione. La famiglia dell'antiquario
venne pubblicatata per la prima volta nel terzo tomo dell'edizione Bettinelli (1752): per
l'edizione Pasquali (1764) Goldoni ne corresse alcune scene. Tradotta in sette lingue,
messa in scena a Vienna e Leningrado, questa commedia fu più volte rappresentata sui
nostri palcoscenici. In sintesi possiamo dire che la Commedia rappresenta da un lato il
decadimento del ceto nobiliare, che si perde tra consiglieri e cicisbei (Isabella),
rendite povere e dedizione ad attività assolutamente inutili e perdenti (l'Antiquario),
servi malfidati che sfruttano spesso la dabbenaggine per tornaconto personale e dall'altro
il progressivo affermarsi della produttività imprenditoriale (Pantalone) che fa
piazza pulita degli elementi negativi per instaurare un nuovo modello comportamentale,
fatto di regole precise che non possono prescindere da un sostanziale rispetto della
persona umana, nel seno di un'ideologia illuministica e razionale.
L'azione della commedia si svolge a
Palermo, nel palazzo del Conte Anselmo Terrazzani, un vecchio che ha perso il senso della
realtà e presume di essere un intenditore di antichità, per cui, tutto preso dalla sua
passione per la raccolta di oggetti antichi, si lascia portar via buona parte del suo
patrimonio nell'acquisto di stracci, di roba vecchia e di strani oggetti logori e fuori
uso, che vengono spacciati come cose antiche e di valore storico.
L'astuto Brighella, servo del vecchio
conte, pensa di trarre profitto dalla folle mania del padrone e gli offre come antichi
cimeli, molti oggetti di uso comune e già consumati dal tempo. Egli giunge persino ad
introdurre in casa del conte il suo amico e complice Arlecchino, travestito da mercante
armeno, per vendere al vecchio antiquario un comune lume ad olio, facendogli credere che
si tratti dell'antico lume eterno del sepolcro di Tolomeo.
La truffa dei due furfanti imbroglioni
viene scoperta da Pantalone, ricco mercante veneziano, la cui unica figliuola, Doralice,
vive nel palazzo Terrazzani avendo sposato il Conte Giacinto, figlio del Conte Anselmo e
della Contessa Isabella. A complicare la situazione c'è anche lo scontro fra nuora e
suocera, resa confusa dall'opera della servetta Colmbina e dai due cavalier serventi (o
cicisbei) , il Cavalier del Bosco e il Dottor Anselmi.
Pantalone è, in fondo, l'unico a fare le
spese della mania del Conte Anselmo, giacchè vede dilapidare, negli strani acquisti
dell'antiquario, la dote di ventimila scudi che Doralice ha portato in casa Terrazzani e
che ne hanno sensibilmente migliorato le condizioni finanziarie.
A rendere ancora più complicata la
situazione familiare contribuisce la reciproca antipatia che si è stabilita fra la
Contessa Isabella e la nuora Doralice: la prima disprezza la giovane perchè di origine
modesta; questa, a sua volta, rinfaccia alla suocera il suo denaro che è valso a
sollevare le finanze dissestate della famiglia.
Al fianco della vecchia Contessa sono due
cavalieri serventi: il Cavaliere del Bosco e il Dottor Anselmi, nonchè la cameriera
Colombina la quale,. pur godendo della fiducia e della protezione della Contessa, non
esita, per amore degli zecchini, a passare poi dalla parte di Doralice e a tradire la sua
vecchia padrona.
A mettere in chiaro le cose e a smascherare i
furbi e infidi servitori interviene, energicamente e con autorità, Pantalone il quale,
dopo aver tentato invano di distrarre il Conte dalla sua passione di antiquario e, dopo
altrettanto vani tentativi di mettere d'accordo le due donne, finisce con l'assumere, col
consenso del Conte Anselmo, l'amministrazione e la. direzione della casa. Egli stabilisce
pertanto che vengano allontanati dal palazzo i cavalieri serventi, nonchè Brighella e
Colombina; il Conte Terrazzani riceverà cento scudi l'anno per soddisfare la sua mania di
antiquario; la Contessa Isabella occuperà il piano superiore della casa, mentre quello
inferiore toccherà a Doralice e a suo marito Giacinto. Pantalone spera così di dare un
nuovo assetto alla famiglia e di evitare la catastrofe finanziaria.
Dalle Memorie
Riportiamo ciò che Goldoni scrisse nelle sue Memorie, da Scelte Commedie di Carlo Goldoni, Padova, per Nicolò Zanon Bettoni, 1811, vol. I, cap. LXI, pp. 267-269
Ma ecco una Commedia di
un genere affatto diverso da quello della precedente (L'adulatore, ndr.), essendo
questa presa nella classe dei ridicoli, alternativa, non inutile alla successiva
produzione di molte rappresentazioni teatrali. Questa è la Famiglia dell'Antiquario,
che fu la sesta delle 16 progettate Commedie. Dapprima l'aveva intitolata semplicemente l'Antiquario,
che n'è il Protagonista; ma temendo che i contrasti fra sua moglie e sua nuora
producessero un doppio interesse, diedi un titolo alla Commedia, che abbraccia in una
volta tutti i soggetti, tanto più che il ridicolo delle due donne, e quello del Capo di
famiglia si danno la mano, e contribuiscono egualmente alla condotta comica ed alla
moralità della rappresentazione. Il nome d'Antiquario s'applica del pari in Italia
a quelli che dànnosi allo studio dell'antichità, che a quelli che senza intelligenza
raccolgono copie per originali, e cose inutili per preziosi monumenti; ed è appunto fra
questi ultimi che il mio soggetto fu preso.
Il Conte Anselmo più ricco di
danaro, che di cognizioni, fassi dilettante di quadri, di medaglie, di pietre incise, e di
tutto ciò che ha l'apparenza di raro e di antico. Si fida nel farne acquisto di certi
truffatori che sempre lo ingannano, e formasi a grandi spese una ridicola galleria. Questi
ha una moglie, che in età d'esser nonna ha tutte le pretensioni della gioventù, ed una
nuora, che non potendo soffrir la subordinazione, freme di non essere l'assoluta padrona.
Il Conte Giacinto, figlio dell'una e marito dell'altra, non osando fare alcun
dispiacere a sua madre per contentare sua moglie, trovasi imbarazzatissimo, e ne porta le
sue lagnanze al Capo di casa. L'Antiquario essendo tutto occupato nell'osservazione
d'un Pescenio, medaglia rarissima, che aveva allora comprato a carissimo prezzo, e
che vedevasi contraffatta, rimanda indietro bruscamente suo figlio, senza curarsi delle
contese domestiche. Intanto le cose van tanto innanzi, che l'Antiquario non può
fare a meno d'entrarci. Egli teme di parlare a tu per tu con donne così poco ragionevoli,
e domanda un congresso di tutta la sua famiglia. Stabilito il giorno, vi si portano ancora
diversi comuni amici. Il figlio è uno de' primi che compariscono, e le Dame vengono
l'ultime, accompagnate ciascuna dal suo cicisbeo. Posti tutti a sedere, il Conte Anselmo,
che aveva il suo posto in mezzo del circolo, comincia il suo discorso sulla necessità
della pace domestica. Voltandosi da dritta a sinistra, getta gli occhi sopra una
bagattella attaccata all'orologio di sua nuora, e crede di riconoscere in essa
un'antichità preziosa. Vuol vederla più da vicino, scioglie il cordone, tira fuor la sua
lente, esamina il giojello, e si vede una testa bellissima. Mostrasi desideroso d'averla,
e gli viene accordata. Esultante di tal acquisto ne ringrazia distintamente sua nuora, e
la moglie offendendosene, si leva dispettosa e va via. Ecco dunque l'assemblea finita, e
rimesso l'affare ad un'altra sessione. In questo frattempo succedono molte cose spiacevoli
per l'Antiquario. Fa vedere a persone intendenti la sua galleria, e queste lo illuminano e
lo disingannano. Rimanendone convinto, rinunzia alla sua follia. Vede il bisogno estremo
di ristabilire la tranquillità della sua famiglia, e dimanda un secondo congresso, a cui
tutti si portano. Si propongono molti accomodamenti, ma gli uni dispiacciono alla suocera,
e gli altri alla nuora. Finalmente ne trovan uno, che rende l'una e l'altra contenta; ed
è quello di stabilire due governi domestici, e di separarle per sempre. Tutti si
contentano, e la Commedia finisce. Dopo alcuni anni vidi dare a Parma questa Commedia
tradotta in francese dal Signor Collet, Secretario degli ordini di Madama
l'Infanta. Questo Autore per tutti i riguardi stimabilissimo, e notissimo a Parigi per le
graziosissime rappresentazioni date alla Commedia francese, ha ottimamente tradotta questa
mia Commedia, e fu egli senza dubbio che la fece valere. Ma cambiò lo sviluppo; egli
credette che la mia Commedia finisse male, lasciando partir disgustate insieme suocera e
nuora, e le riconciliò sulla scena. Se questo accomodamento potesse esser solido, avrebbe
ben fatto: ma chi può assicurare che queste due Dame ritrose non rinnovassero nel giorno
appresso le lor contese? Posso ingannarmi; ma il mio sviluppo parmi più naturale.
L'autore a chi legge
In questa commedia non
ho fatto che scrivere la parte del Brighella e dell'Arlecchino, li quali furono da me
prima lasciati in libertà, acciocché si sfogassero questi due personaggi, malcontenti
forse di me, siccome io non di essi, ma delle loro maschere, non son contento. Osservate
però che dopo il primo e secondo anno non ho lasciato le Maschere in libertà, ma dove ho
creduto doverle introdurre, le ho legate a parte studiata, mentre ho veduto per esperienza
che il personaggio talora pensa più a se medesimo che alla commedia; e pur che gli riesca
di far ridere, non esamina se quanto dice convenga al suo carattere e alle sue
circostanze; e sovente, senza avvedersene, imbroglia la Scena e precipita la Commedia.
Io sono costantissimo a non voler dir
nulla sopra le mie Commedie; e molto meno a volerle difendere dalle critiche, che hanno
con ragione o senza ragione sofferte. Ho letto il libro ultimamente uscito alla luce, e
con una risata ho terminato di leggerlo. Può bene parlar degli altri chi non la perdona a
se stesso, ed io sono molto contento di trovarmi colà in un fascio con Plauto, con
Terenzio, con Aristofane e con cent'altri ch'io non ho letto, siccome letti non li averà
né tampoco quel medesimo che li ha citati. Circa il titolo della Commedia, io l'ho
intitolata in due maniere, cioè: La famiglia dell'antiquario, o sia La Suocera
e la Nuora, lo stesso trovandosi in quasi tutte le Commedie di Molier e in altre
d'antichi Autori. I due titoli mi pare che convengano perfettamente. La Suocera e la Nuora
sono le due persone che formano l'azione principale della Commedia; e l'Antiquario, capo
di casa, per ragione del suo fanatismo per le antichità, non badano agl'interessi della
famiglia, non accorgendosi de' disordini, e non prendendosi cura di correggere a tempo la
Moglie e la Nuora, dà adito alle loro pazzie e alle loro dissensioni perpetue, onde e
nell'una e nell'altra maniera la Commedia può essere intitolata.
Aggiungerò soltanto aver io rilevato che
alcuni giudicano la presente Commedia terminar male, perché non seguendo alcuna
pacificazione fra Suocera e Nuora, manca, secondo loro, il fine della morale istruttiva,
che dovrebbe essere, nel caso nostro, d'insegnar agli uomini a pacificare queste due
persone, per ordinario nemiche. Ma io rispondo, che quanto facile mi sarebbe stato il
renderle sulla scena pacificate, altrettanto sarebbe impossibile dar ad intendere agli
Uditori che fosse per essere la loro pacificazione durevole; e desiderando io di preferire
la verità disaggradevole ad una deliziosa immaginazione, ho voluto dar un esempio della
costanza femminile nell'odio. Ciò però non sarà senza profitto di chi si trovasse nel
caso. I Capi di famiglia si specchieranno nell'Antiquario, e trovandosi disattenti alle
case loro, se non per ragione della Galleria, per qualche altra, o di conversazione, o di
giuoco, potranno rimediare per tempo alle discordie domestiche, alle pretensioni delle
donne, e soprattutto ai rapporti maligni della servitù.
- Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Agosto 1996
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 23 giugno 2000