Carlo Goldoni

Il burbero benefico

ATTO TERZO

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SCENA PRIMA

Piccardo entra per la porta di mezzo, Martuccia per quella di Dalancour.

Martuccia: Come! siete già ritornato?
Piccardo:
(con la canna del suo padrone) Sì; vado un po' zoppicando, ma non è nulla. La paura è stata più grande del male: ciò non meritava il danaro che mi dette il padrone per farmi curare.
Martuccia:
Via, via: anche le disgrazie talvolta sono giovevoli.
Piccardo:
. Povero padrone! (con aria contenta) Per mia fe', questo tratto di bontà mi ha intenerito sino a cavarmi le lagrime dagli occhi. Se m'avesse anche rotta una gamba, glie l'avrei perdonato.
Martuccia:
Egli è d'un cuore!... Peccato ch'abbia sì brutto difetto.
Piccardo:
E qual è quell'uomo che sia senza difetti?
Martuccia:
Andate, andate a trovarlo. Sapete voi ch'ei non ha ancor pranzato?
Piccardo:
E perchè?
Martuccia:
Vi sono, figlio mio, delle cose!.. delle cose terribili in questa casa.
Piccardo:
So tutto; ho incontrato vostro nipote, e mi ha raccontato tutto. Questo è il motivo, per cui mi vedete di ritorno sì presto. Il padrone lo sa?
Martuccia:
Credo di no.
Piccardo:
Ah! quanto ne sarà travagliato!
Martuccia:
Certamente... E la povera Angelica?
Piccardo:
Ma Valerio?...
Martuccia:
Valerio? Valerio è qui tuttavia. Egli non ha voluto partire. È ancora nell'appartamento del signor Dalancour; fa coraggio al fratello; guarda la sorella; consola Madama. L'uno piange; l'altra sospira; l'altra si dispera. Questa è una confusione, una vera confusione.
Piccardo:
Non v'eravate voi impegnata di parlare al padrone?
Martuccia:
Sì, gli avrei parlato; ma in questo momento è troppo in collera.
Piccardo:
Vado a ritrovarlo; vado a riportargli il suo bastone.
Martuccia:
Andate; e se vedete la burrasca alquanto calmata, ditegli qualche cosa dello stato infelice di sua nipote.
Piccardo:
Sì, gliene parlerò, e vi saprò dir qualche cosa. (apre piano, entra nell'appartamento di Geronte, e chiude la porta)
Martuccia:
Sì, mio caro amico. Andate piano.


SCENA II

Martuccia sola

Questo Piccardo è un giovane dabbene, docile, civile, servizievole; egli è il solo che mi piaccia in questa casa. Io non fo sì facilmente amicizia con chicchessia.


SCENA III

Dorval, e detta

Dorval: (parlando basso e sorridendo) Ebbene, Martuccia?
Martuccia:
Umilissima serva, signore.
Dorval:
(sorridendo) Il signor Geronte è più in collera?
Martuccia:
La non sarebbe cosa straordinaria se gli fosse passata. Voi. lo conoscete meglio d'ogni altro.
Dorval:
Egli si è sdegnato contro di me.
Martuccia:
Contro di voi, signore? Egli si è adirato contro di voi?
Dorval:
Senza dubbio. (ridendo e parlando sempre) Ma non è nulla; io lo conosco. Scommetto che se vado a trovarlo, egli sarà il primo a gettarmisi al collo.
Martuccia:
Niente di più facile; vi ama, vi stima, voi siete il suo unico amico... La è una cosa singolare: lui tutta furia. E voi, sia detto con rispetto, l’uomo più flemmatico di questo mondo.
Dorval:
Appunto per questa ragione la nostra amicizia si è conservata lungo tempo.
Martuccia:
Andate, andate a trovarlo.
Dorval:
No, è troppo presto. Io vorrei prima vedere madamigella Angelica. Dov'è?
Martuccia:
Con suo fratello. (con passione) Le sapete voi tutte le disgrazie di suo fratello?
Dorval:
(con pena) Ah, pur troppo! Tutto il mondo ne parla.
Martuccia:
E che si dice?
Dorval:
È cosa da chiedere? I buoni lo compiangono, i malvagi se ne prendono giuoco, e gl'ingrati l'abbandonano.
Martuccia:
Oh cielo! E quella povera ragazza?
Dorval:
È necessario che io le parli.
Martuccia:
Potrei domandarvi di che si tratta? io m'interesso tanto per lei, che spero di meritare questa compiacenza.
Dorval:
Ho saputo che un certo Valerio...
Martuccia:
Ah, ah! Valerio? (ridendo)
Dorval:
Lo conoscete?
Martuccia:
Molto, signore; questa faccenda è tutta opera mia.
Dorval:
Tanto meglio; mi seconderete?
Martuccia:
Più che volentieri.
Dorval:
Conviene ch'io vada ad assicurarmi, se Angelica...
Martuccia:
E poi, se Valerio...
Dorval:
Sì, andrò parimente in traccia di lui.
Martuccia:
(sorridendo) Andate, andate nell'appartamento di Dalancour. Voi farete due cose in un colpo.
Dorval:
Ma come?
Martuccia:
Egli è colà.
Dorval:
Valerio?
Martuccia:
Sì.
Dorval:
Ne ho ben piacere. Vado subito.
Martuccia:
Aspettate, aspettate; volete che gli faccia far la ambasciata?
Dorval:
(ridendo) Oh bella!... Farò far l'ambasciata a mio cognato?
Martuccia:
Vostro cognato?
Dorval:
Sì.
Martuccia:
Come?
Dorval:
Non sai nulla?
Martuccia:
Nulla.
Dorval:
Ebbene, lo saprai un'altra volta. (entra da Dalancour)
Martuccia:
Assolutamente impazzisce.


SCENA IV

Geronte, parlando sempre rivolto verso la porta del suo appartamento, e detta.

Geronte: Fermati lì; farò portar la lettera da un altro. Fermati lì... Voglio Così... (si volge) Martuccia?
Martuccia:
Signore?
Geronte:
Va a cercar un servitore che porti subito questa lettera a Dorval. (volgendosi verso la porta del suo appartamento) L'imbecille! va tuttavia zoppicando e vorrebbe partire. (a Martuccia) Va.
Martuccia:
Ma signore ...
Geronte:
Spicciati.
Martuccia:
Ma Dorval ...
Geronte:
(vivamente) Sì, a casa di Dorval.
Martuccia:
Egli è qui.
Geronte:
Chi?
Martuccia:
Dorval.
Geronte:
Dov'è?
Martuccia:
Qui.
Geronte:
Dorval è qui?
Martuccia:
Sì signore.
Geronte:
Dov'è?
Martuccia:
Nell'appartamento del signor Dalancour.
Geronte:
Nell'appartamento di Dalancour? (in collera) Dorval nell'appartamento di Dalancour? Ora veggo come sta la faccenda; comprendo tutto. (a Martuccia) Va in traccia di Dorval, digli da parte mia... Ma no, non voglio che tu vada in quel maledetto appartamento. Se vi metti piede, ti licenzio sul fatto. Chiama un servitore di quello sciagurato... No che non venga nessuno... Vai tu... Sì, sì, ch'egli venga subito... Ebbene?
Martuccia:
Vado o non vado?
Geronte:
Va; non mi far impazientare d'avvantaggio. (Martuccia entra da Dalancour)


SCENA V

Geronte solo

Sì, ella è così. Dorval ha penetrato in qual abisso terribile quel disgraziato è caduto; sì, egli l'ha saputo prima di me; ed io, se non me l'avesse detto Piccardo, ne sarei ancora all'oscuro. È così... è così senz altro; Dorval teme la parentela d'un uomo perduto; egli è colà: forse l'esamina per assicurarsene maggiormente. Ma perchè non dirmelo? L'avrei persuaso, l'avrei convinto... Perchè non me n'ha parlato?... Dirà forse che la mia furia non glie n'ha dato il tempo?... No certamente. Bastava che avesse aspettato; che non fosse partito... la mia collera si sarebbe calmata ed egli avrebbe potuto parlarmi. Nipote indegno! traditore! perfido! tu hai sacrificato i tuoi beni, il tuo onore; io t'amai, scellerato! sì, t'amai anche troppo, ma ti cancellerò totalmente dal mio cuore, e dalla mia memoria... Vattene di qua,va a perire altrove... Ma dove andrà egli? Non me n'importa. non ci penso più. Sua sorella sola m'interessa, ella sola merita la mia tenerezza, i miei benefizj... Dorval è mio amico. Dorval la sposerà; io le darò la dote, le donerò tutte le mie facoltà. Lascerò penare il reo, ma non abbandonerò mai l'innocente.


SCENA VI

Dalancour, e detto

Dalancour: Ah! mio zio! Uditemi per pietà... (atterrito si getta ai piedi di Geronte)
Geronte:
Che vuoi? Alzati. (si volge, vede Dalancour, dà un passo indietro)
Dalancour:
Mio caro zio! Voi vedete il più sventurato di tutti gli uomini. Per pietà, ascoltatemi. (nella stessa positura)
Geronte:
Alzati, ti dico. (un po' commosso, ma sempre in collera)
Dalancour:
Voi che avete un cuore sì generoso, così sensibile, (in ginocchio) m'abbandonereste voi per una colpa che è solamente una colpa d'amore, e d'un amore onesto e virtuoso? Io, senza dubbio, ho il torto di non aver ascoltato i vostri consigli, d'aver trascurato la tenerezza vostra paterna; ma, mio caro zio, in nome di quel sangue a cui debbo la vita, di quel sangue che voi tenete meco comune, lasciatevi commuovere, lasciatevi intenerire.
Geronte:
(a poco a poco s'intenerisce, e s'asciuga gli occhi, nascondendosi da Dalancour, e dice a parte) (Come! tu hai ancora coraggio! ... )
Dalancour:
Non è la perdita dello stato che mi affanna; un sentimento più degno mi sollecita: l'onore. Soffrirete voi l'infamia d'un vostro nipote? Io non vi chiedo nulla per noi. Che si salvi la mia reputazione, e vi do parola per mia moglie e per me, che l'indigenza non ispaventerà punto i nostri cuori, quando, in seno alla miseria, avremo per conforto una probità senza macchia, il nostro amore scambievole, la vostra tenerezza, e la vostra stima.
Geronte:
Sciagurato!... meriteresti!... Ma io sono un uomo debole, questa specie di fanatismo del sangue mi parla in favor d'un ingrato! Alzati, traditore, io pagherò i tuoi debiti, e ti porrò forse in tal guisa in istato di farne degli altri.
Dalancour:
(commosso) Ah! no, mio zio! vi prometto... Vedrete la mia condotta avvenire...
Geronte:
Qual condotta! sciagurato senza cervello! Quella di un marito infatuato, che si lascia guidare a capriccio da sua moglie, da una femmina vana, presuntuosa, civetta.
Dalancour:
(vivamente) No, vel giuro.. Mia moglie non ne ha colpa. Voi non la conoscete.
Geronte:
(più vivamente) Tu la difendi, tu menti in mia presenza... Guardati bene... Ci vorrebbe poco che a cagione di tua moglie, non ritrattassi la promessa che m'hai strappata di bocca. Sì, sì, la ritratterò... Tu non avrai nulla del mio. Tua moglie! Tua moglie!... Io non posso soffrirla, non voglio vederla.
Dalancour:
Ah, mio zio! voi mi lacerate il cuore!


SCENA VII

Madama, e detti

Madama: Deh! Signore, se mi credete la cagione dei disordini di vostro nipote, è giusto che ne porti io sola la pena. L'ignoranza in cui ho vissuto sin'ora non è, lo veggo, dinanzi ai vostri occhi, una scusa che basti. Giovane, senza esperienza, mi sono lasciata dirigere da un marito che amavo. Il mondo seppe allettarmi, i cattivi esempi m'hanno sedotta; io ero contenta, e mi credeva felice... ma sembro la rea; e questo basta... Purchè mio marito sia degno de' vostri benefizi, accetto il fatale vostro decreto: mi staccherò dalle sue braccia. Vi chiedo una grazia soltanto: moderate il vostro odio contro di me; scusate il mio sesso, la mia età; compatite un marito, che per troppo amore...
Geronte:
Eh! Madama! credereste voi forse di soverchiarmi?
Madama:
Oh cielo! Dunque non v’è più speranza? Ah mio caro Dalancour, io t'ho dunque perduto. Io muoio. (cade sopra un sofà. Dalancour corre in suo soccorso)
Geronte:
(commosso, intenerito) Eh, là? c'è nessuno? Martuccia?


SCENA VIII

Martuccia, e detti

Martuccia: Eccomi, signore.
Geronte:
(vivamente) Guardate là... subito... andate... vedete... recatele qualche soccorso.
Martuccia:
Madama, Madama, che c'è?
Geronte:
(dando a Martuccia una boccetta) Prendete, prendete; eccovi l'acqua di Colonia. (a Madama Dalancour) Come va?
Dalancour:
Ah, mio zio!...
Geronte:
(s'accosta a Madama, e le dice bruscamente) Come state?

Madama:
(alzandosi languidamente, e con una voce fioca ed interrotta) Signore, voi avete troppa bontà ad interessarvi di me. Non abbiate riguardo alla mia debolezza; il cuore vuol fare i suoi moti, ricupererò le mie forze, partirò, mi rassegnerò alla mia sciagura. (Geronte s'intenerisce, ma non parla)
Dalancour:
(afflitto) Ah! mio zio, soffrireste, che...
Geronte:
(a Dalancour vivamente) Taci tu! (a Madama bruscamente) Restate in casa con vostro marito.
Madama:
Ah, signore!
Dalancour:
(con trasporto) Ah! mio caro zio!
Geronte:
(con serietà, ma senza collera, e prendendoli ambedue per mano) Uditemi. I miei risparmi non erano per me; voi li avreste un giorno, trovati. servitevene in questa occasione; la sorgente è esaurita; abbiate giudizio; se non vi muove la gratitudine, l'onore almeno vi faccia star a dovere.
Madama:
La vostra bontà...
Dalancour:
La vostra generosità...
Geronte:
Basta così.
Martuccia:
Signore....
Geronte:
Taci tu, ciarliera.
Martuccia:
Signore, voi siete in disposizione di far del bene: non farete pur qualche cosa per madamigella Angelica?
Geronte:
(vivamente) A proposito dov'è?
Martuccia:
Ella non è lontana.
Geronte:
V'è ancora il suo pretendente?
Martuccia:
Il suo pretendente?
Geronte:
Sì; è forse corrucciato? È per questo che non vuol più vedermi? Sarebbe egli partito?
Martuccia:
Signore... il suo pretendente... c'è tuttavia.
Geronte:
Che vengano qui.
Martuccia:
Angelica ed il suo pretendente?
Geronte:
(riscaldato) Sì, Angelica ed il suo pretendente.
Martuccia:
Benissimo. Subito, signore, subito. (avvicinandosi alla portiera) Venite, venite, figli miei; non abbiate timore.


SCENA IX

Valerio, Dorval, Angelica, e detti

Geronte: (vedendo Valerio e Dorval) Che c'è?... Che vuole qui quell'altro?
Martuccia:
Signore, sono il pretendente, ed il testimonio.
Geronte:
(ad Angelica) Avvicinatevi.
Angelica:
(s'accosta tremando, e parla con Madama) Ah! Cognata, quanto vi debbo chieder perdono!
Martuccia:
(a Madama) Ed io pure. Madama.
Geronte:
(a Dorval) Venite qui, signor pretendente. Che c'è! siete ancora adirato? Non volete venire?
Dorval:
Parlate con me?
Geronte:
Sì con voi.
Dorval:
Perdonatemi; io sono soltanto il testimonio.
Geronte:
Il testimonio!
Dorval:
Sì. Vi spiego l'arcano... Se voi m'aveste lasciato parlare..
Geronte:
Arcano!... (ad Angelica) Vi sono degli arcani?
Dorval:
Uditemi, amico. (serio e risoluto) Voi conoscete Valerio; egli ha saputi i disastri di questa famiglia; è venuto ad offrire le sue facoltà al signor Dalancour, e la sua mano ad Angelica. Egli l'ama, è pronto a sposarla senza dote, e ad assicurarle una contraddote di dodici mila lire di rendita. M'è noto il vostro carattere, e so che a voi piacciono le belle azioni; l'ho perciò trattenuto, e mi sono incaricato di presentarvelo.
Geronte:
Tu non avevi alcuna inclinazione, eh? Mi hai ingannato. (in collera assai: e ad Angelica) Ebbene, non voglio che tu lo prenda; questa è una soperchieria d'ambe le parti; io non la soffrirò giammai.
Angelica:
(piangendo) Mio caro zio...
Valerio:
(appassionato e supplichevole) Signore...
Dalancour:
Voi siete sì buono ....
Madama:
Voi siete sì generoso ...
Martuccia:
Mio caro padrone...
Geronte:
(Maledetto il mio naturale!) (da sè, e commosso) (Non posso durar in collera quanto ne ho voglia. Io mi schiaffeggerei volentieri) (tutti insieme ripetono le loro preghiere, e lo circondano, e lo stordiscono) Tacete, lasciatemi... che il diavolo vi porti... ch'egli la sposi.
Martuccia:
(forte) Che la sposi senza dote?
Geronte:
Come senza dote?... Io mariterò mia nipote senza dote? Non sarà forse in istato dì formarle la dote? Conosco Valerio; l'azione generosa, che venne a proporci, merita una ricompensa. Sì, egli avrà la dote, e le cento mila lire che ho promesso ad Angelica.
Valerio:
Quante grazie!
Angelica:
Quanta bontà!
Madama:
Qual cuore!
Dalancour:
Qual esempio!
Martuccia:
Viva il mio padrone!
Dorval:
Viva il mio buon amico! (tutti lo circondano, lo colmano di carezze, e ripetono le sue lodi)
Geronte:
(cerca liberarsi da loro, e grida forte) Zitto, Zitto, zitto! (chiama) Piccardo?


SCENA ULTIMA

Piccardo, e detti

Piccardo: Signore!
Geronte:
Si cenerà nel mio appartamento; sono invitati tutti. Dorval, noi frattanto giuocheremo agli scacchi.

Fine della Commedia

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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 15 novembre 1999