Carlo Goldoni

Il burbero benefico

ATTO SECONDO

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SCENA PRIMA

Geronte e Dorval

Geronte: Andiamo a giocare, e non me ne parlate più.
Dorval:
Ma si tratta di un nipote...
Geronte:
(vivamente) Di uno sciocco, d'un vigliacco ch'è lo schiavo di sua moglie, e la vittima della sua vanità.
Dorval:
Meno collera, mio caro amico, meno collera.
Geronte:
Eh, voi con la vostra flemma mi fareste arrabbiare.
Dorval:
Io parlo per bene.
Geronte:
Prendete una sedia. (Siede)
Dorval:
(d'un tuono compassionevole, mentre accosta la sedia) Povero giovane!
Geronte:
Vediamo, questo punto di jeri.
Dorval:
(sempre con lo stesso tuono) Voi lo perderete.
Geronte:
Forse che no; vediamo.
Dorval:
Vi dico che lo perderete.
Geronte:
No, ne sono sicuro.
Dorval:
Se voi non lo soccorrerete, lo perderete assolutamente.
Geronte:
Chi?
Dorval:
Vostro nipote.
Geronte:
(con ardore) Eh, ch'io parlo del giuoco. Sedete.
Dorval:
Io giuocherò volentieri: ma prima, ascoltatemi. (sedendo)
Geronte:
Mi parlerete tuttavia di Dalancour?
Dorval:
Potrebbe essere.
Geronte:
Non vi ascolto.
Dorval:
Dunque voi l'odiate?
Geronte:
No, signore. Io non odio nessuno.
Dorval:
Ma se non volete...
Geronte:
Finitela; giuocate. Giuochiamo, o ch'io me ne vo.
Dorval:
Una parola sola, ed ho finito.
Geronte:
Che pazienza!
Dorval:
Voi avete delle facoltà.
Geronte:
Sì, grazie al Cielo!
Dorval:
Più del vostro bisogno.
Geronte:
Sì; ne ho ancora per servire i miei amici.
Dorval:
E non volete dar nulla a vostro nipote?
Geronte:
Neppure un quattrino.
Dorval:
In conseguenza ...
Geronte:
In conseguenza? ....
Dorval:
Voi l'odiate.
Geronte:
In conseguenza voi non sapete ciò che vi dite. Io odio, detesto la sua maniera di pensare, la sua cattiva condotta. Il dargli del danaro non servirebbe che a fomentare la sua vanità, la sua prodigalità, le sue follie. Ch'egli cangi sistema, ed io lo cangerò parimente con lui. Io voglio che il pentimento meriti il benefizio, e non che il benefizio impedisca il pentimento.
Dorval:
(dopo un momento di silenzio, sembra convinto, e dice con molta dolcezza) Giuochiamo, giuochiamo.
Geronte:
Giuochiamo..
Dorval:
(giuocando) Io ne sono afflitto.
Geronte:
(giuocando) Scacco al re.
Dorval:
(giuocando) E quella povera ragazza!
Geronte:
Chi?
Dorval:
Angelica.
Geronte:
Ah! per lei!... Questa è un'altra cosa... (lascia il giuoco) Parlatemi di lei.
Dorval:
Ella dee ben soffrire frattanto.
Geronte:
Ci ho pensato, ci ho provveduto. La mariterò.
Dorval:
Bravissimo! Lo merita bene.
Geronte:
Non è una giovanetta di molta buona grazia?
Dorval:
Sì.
Geronte:
Fortunato quello che l'avrà! (riflette un momento, indi chiama) Dorval?
Dorval:
Amico?
Geronte:
Udite.
Dorval:
Che C'è?
Geronte:
Voi siete mio amico?
Dorval:
Ne dubitate?
Geronte:
Se la volete, io ve l'accordo.
Dorval:
Chi?
Geronte:
Sì, mia nipote.
Dorval:
Come?
Geronte:
Come! come! siete sordo? Non m'intendete? (vivamente) Io parlo chiara. Se la volete, ve l'accordo.
Dorval:
Ah! ah!
Geronte:
E se la sposate, oltre la sua dote, le donerà cento mila lire del mio. Eh?... Che ne dite?...
Dorval:
Mio caro amico, voi mi onorate.
Geronte:
So chi siete. Sono sicuro di formare in questa guisa la felicità di mia nipote.
Dorval:
Ma...
Geronte:
Che?
Dorval:
Suo fratello...
Geronte:
Suo fratello! Suo fratello non c'entra... A me tocca a disporre di lei; la legge, il testamento di mio fratello... Io ne sono il padrone. Orsù, sbrigatevi, decidete sul fatto.
Dorval:
Ciò che mi proponete, non è cosa da risolversi su due piedi. Voi siete troppo impetuoso.
Geronte:
Io non ci veggo alcuna difficoltà. Se l'amate, se la stimate, se ella vi conviene, è fatto tutto.
Dorval:
Ma...
Geronte:
(disgustato) Ma, ma!... Udiamo il vostro ma.
Dorval:
Vi par poco la sproporzione da sedici a quarantacinque anni?
Geronte:
Niente affatto. Voi siete ancora giovane, ed io conosco Angelica; non è una testa sventata.
Dorval:
Ella potrebbe avere qualche altra inclinazione.
Geronte:
Non ne ha alcuna.
Dorval:
Ne siete ben sicuro?
Geronte:
Sicurissimo. Presto, concludiamo. Io vado a casa del mio notaro, gli fo stendere il contratto. Ella è vostra.
Dorval:
Adagio, mio amico, adagio.
Geronte:
Ebbene? (riscaldato) Come! volete ancora inquietarmi, tormentarmi, annojarmi con la vostra lentezza, col vostro sangue freddo?
Dorval:
Dunque vorreste?...
Geronte:
Sì, darvi una figlia saggia, onesta, virtuosa, con cento mila scudi di dote, e cento mila lire di regalo alle sue nozze. Forse vi fo un affronto?
Dorval:
No; anzi mi fate un onore, che non merito.
Geronte:
(con ardore) La vostra modestia in questo momento mi farebbe dare al diavolo.
Dorval:
Non vi adirate. Volete ch'io l'accetti?
Geronte:
Sì.
Dorval:
Ebbene, io l'accetto...
Geronte:
(con gioia) Davvero?
Dorval:
Ma a condizione...
Geronte:
Di che?
Dorval:
Che Angelica v'acconsenta.
Geronte:
Non avete altra difficoltà?
Dorval:
Questa sola.
Geronte:
Voi mi consolate, io m'impegno per lei.
Dorval:
Tanto meglio, se ciò è vero.
Geronte:
Verissimo, sicurissimo. Abbracciatemi, mio caro nipote.
Dorval:
Abbracciamoci pure, mio caro zio.


SCENA II

Dalancour, Geronte e Dorval, e poi Piccardo

Dalancour: (entra per la porta di mezzo, vede suo zio, lo ascolta passando, va verso il suo appartamento, ma resta alla porta per ascoltarlo)
Geronte:
Questo è il giorno più felice della mia vita.
Dorval:
Caro amico, quanto siete adorabile!
Geronte:
Io men vo a casa del mio notaro. Dentro oggi sarà fatto tutto. (chiama) Piccardo?
Piccardo:
(viene)
Geronte:
La mia canna, il mio cappello.
Piccardo:
(parte, e poi torna)
Dorval:
Frattanto me n'andrò a casa.
Piccardo:
(dà al suo padrone la canna, il cappello, e parte)
Geronte:
No, no; dovete aspettarmi qui. Torno subito, pranzerete meco.
Dorval:
Ho da scrivere. Fa d'uopo ch'io faccia venire il mio intendente, che è una lega lontano da Parigi.
Geronte:
Andate nella mia camera, scrivete; inviate la lettera per Piccardo. Sì, Piccardo andrà a portarla in persona. Piccardo è un giovane dabbene, savio, fedele. Talvolta lo sgrido, ma gli voglio bene.
Dorval:
Via; giacchè volete assolutamente così; scriverò nella vostra camera.
Geronte:
Anche questa è fatta.
Dorval:
Sì, siamo intesi.
Geronte:
(prendendolo per la mano) In parola d'onore?
Dorval:
(dandogli la mano) In parola d'onore.
Geronte:
Mio caro nipote!(parte)
(Dalancour all'ultima parola mostra gioia)


SCENA III

Dalancour e Dorval

Dorval: (In verità, tutto ciò che m'avvenne, mi pare un sogno. Io maritarmi, io che non ci aveva mai pensato!)
Dalancour:
(con gran gioia) Ahi mio caro amico, io non so come dichiararvi la mia gratitudine.
Dorval:
Sopra di che?
Dalancour:
Non ho io udito ciò che disse mio zio? Mi ama, mi compiange. Egli va adesso a casa del suo notaro; vi ha data la sua parola d'onore. Vedo benissimo quanto avete fatto per me. Io sono l'uomo più felice del mondo.
Dorval:
Non vi lusingate tanto, mio caro amico. Fra le dolci cose, che v'immaginate, non ve n'ha pur una di vera.
Dalancour:
Ma come?
Dorval:
Io spero bene col tempo di potervi essere utile presso di lui, ed avrò quindi innanzi parimente un titolo d'avvantaggio per interessarmi a vostro favore, ma fino ad ora...
Dalancour:
(con ardore) Sopra di che vi died'egli dunque la sua parola d'onore?
Dorval:
Vel dico subito.... Egli mi fece l'onore di propormi vostra sorella in isposa.
Dalancour:
(con gioia) Mia sorella! L'accettate voi?
Dorval:
Sì, se ne siete contento!
Dalancour:
Voi mi colmate di giubbilo; mi sorprendete. Per la dote vi è noto attualmente il mio stato.
Dorval:
Sopra di ciò, ne parleremo.
Dalancour:
Mio caro fratello, lasciate ch'io vi abbracci con tutto il cuore.
Dorval:
Mi lusingo che vostro zio in questa occasione...
Dalancour:
Ecco un legame, a cui dovrò la mia felicità. Io ne aveva il più grande bisogno. Sono stato a casa del mio procuratore, e non l'ho trovato.


SCENA IV

Madama Dalancour, e detti

Dalancour: (vedendo sua moglie) Ahi Madama...
Madama:
(a Dalancour) Io vi attendeva con impazienza. Ho udita la vostra voce...
Dalancour:
Eccovi, o mia moglie, il signor Dorval. Io vel presento in qualità di mio cognato, e come sposo di Angelica.
Madama:
(con gioia) Sì?
Dorval:
Io sarò pienamente contento, Madama, se la mia felicità potrà meritare la vostra approvazione.
Madama:
(a Dorval) Signore, io ne sono lietissima. Mi rallegro con voi di tutto cuore. (a parte) (Che mi disse ella dunque del cattivo stato di mio marito?)
Dalancour:
(a Dorval) Mia sorella lo sa?
Dorval:
Credo di no.
Madama:
(da sè) (Dunque, quello che fece questo matrimonio non fu Dalancour?)
Dalancour:
Volete voi ch'io la faccia venire?
Dorval:
No. Converrebbe prevenirla. Potrebbe esservi ancora una difficoltà.
Dalancour:
Quale?
Dorval:
Quella della sua approvazione.
Dalancour:
Non temete di nulla. Io conosco Angelica, e poi il vostro stato... il vostro merito... Lasciate fare a me; parlerò io a mia sorella.
Dorval:
No, caro amico; di grazia, non guastiamo la cosa; lasciamo fare al signor Geronte.
Dalancour:
Come volete.
Madama:
(Non intendo nulla.)
Dorval:
Io passo nell'appartamento di vostro zio, per scrivere; egli me l'ha permesso; anzi mi ha ordinato espressamente d'aspettarlo colà. Senza cerimonie. Noi ci rivedremo quanto prima. (entra nell'appartamento di Geronte)


SCENA V

Dalancour e Madama, e poi un Lacchè

Madama: Per quanto io veggo, non siete quello che marita vostra sorella.
Dalancour:
(imbarazzato) La marita mio zio.
Madama:
Ve n'ha egli parlato vostro zio? Vi ha chiesto il vostro consenso?
Dalancour:
Il mio consenso? (un po' riscaldato) Non avete veduto Dorval? Non me l'ha egli detto? Non si chiama ciò un chiedere il mio consenso?
Madama:
(un po' vivamente) Sì, questa è una gentilezza per parte del signor Dorval; ma vostro zio non vi ha detto nulla?
Dalancour:
(imbarazzato) Ciò vuol dire che...
Madama:
Ciò vuol dire ch'egli non ci conta uno zero.
Dalancour:
(riscaldato) Ma voi prendete tutto in cattiva part : ciò è terribile; voi siete insopportabile.
Madama:
Io insopportabile! (un po' afflitta) Voi mi trovate insopportabile! (con molta tenerezza) Ahi marito mio, questa è la prima volta che vi è uscita di bocca un'espressione simile. Fa d'uopo che abbiate dei gran dispiaceri per dimenticarvi a tal segno del vostro dovere.
Dalancour:
(Ah! pur troppo dice il vero!) (con trasporto a Madama) Mia cara moglie, vi chieggo perdono di tutto cuore. Ma voi conoscete mio zio: volete che noi l'irritiamo maggiormente? Volete che io pregiudichi mia sorella? Il partito è buono, non c'è nulla da dire. Mio zio lo ha scelto, tanto meglio; ecco un imbarazzo di meno per voi e per me.
Madama:
Andiamo innanzi; mi piace che voi prendiate la cosa in buona parte; vi lodo e v'ammiro. Ma permettetemi di far un riflesso. Chi si prenderà il pensiero de' preparativi necessarj per una giovane che si fa sposa? Se ne incaricherà vostro zio? Sarebbe ciò conveniente, sarebbe onesto?
Dalancour:
Avete ragione. Ma ci resta ancora del tempo. Ne parleremo.
Madama:
Uditemi. Voi lo sapete, io amo Angelica. Questa ingrata non meriterebbe ch'io mi prendessi verun pensiero di lei; ma finalmente è vostra sorella...
Dalancour:
Come! voi chiamate mia sorella un'ingrata! Perchè?
Madama:
Per ora non ne parliamo. Io le chiederò a quattro occhi una spiegazione, e poi...
Dalancour:
No; voglio saperlo.
Madama:
Abbiate pazienza, mio caro marito.
Dalancour:
(con molto calore) No; vi dico che voglio saperlo.
Madama:
Poichè volete così, fa d'uopo l'appagarvi.
Dalancour:
(da sè) (Cielo! tremo sempre.)
Madama:
Vostra sorella...
Dalancour:
Proseguite.
Madama:
Io la credo troppo del partito di vostro zio.
Dalancour:
Perchè?
Madama:
Ella ebbe a dire a me, a me stessa, che i vostri affari erano in disordine, e che...
Dalancour:
I miei affari in disordine? Lo credete voi?
Madama:
No: ma mi ha parlato in maniera da farmi credere ch'ella sospetta ch'io ne sia stata la cagione, o per lo meno che io vi abbia contribuito.
Dalancour:
Voi? Ella sospetta di voi? (ancora più riscaldato)
Madama:
Non vi adirate, mio caro marito. Io vedo bene ch'essa non ha il suo buon giudizio.
Dalancour:
(con passione) Mia cara moglie!
Madama:
Non vi affliggete. Per me, credetemi, non ci penso più. Tutto viene da lui; vostro zio è la cagione di tutto.
Dalancour:
Eh! no: mio zio non è di cattivo cuore!
Madama:
Non è egli di cattivo cuore! Cielo! Che v'ha di peggio al mondo di lui? Anche poco fa non mi ha fatto vedere?... ma gli perdono.
Lacchè:
(a Dalancour) Signore, fu recata per voi questa lettera.
Dalancour:
Dammela. (agitato prende la lettera)
Lacchè:
(parte)
Dalancour:
(mentre agitato apre la lettera) Vediamo. Questo è carattere del mio procuratore.
Madama:
Cosa vi scrive?
Dalancour:
Lasciatemi per un momento. (egli si ritira in disparte, legge piano, e mostra dispiacere)
Madama:
(da sè) (Vi sarebbe forse qualche disgrazia?)
Dalancour:
(dopo aver letto) (Io sono perduto.)
Madama:
(da sè) (Il cuore mi palpita.)
Dalancour:
(Mia povera moglie! che sarà di lei?... Come potrò dirglielo?... Ah! non ho coraggio.)
Madama:
(piangendo) Mio caro Dalancour, ditemi: che c'è? Fidatevi di vostra moglie; non sono io la miglior amica che abbiate?
Dalancour:
(le dà la lettera, e parte) Prendete. Leggete.... Questo è il mio stato.


SCENA VI

Madama sola

Io tremo. (legge) «Signore, tutto è perduto. I creditori non hanno voluto sottoscrivere. La sentenza fu confermata. Vi s'intimerà quanto prima. State bene in guardia, perchè il vostro arresto è ordinato...» Che lessi!... Che intesi!... Mio marito... indebitato... in pericolo di perdere la libertà!... Ma come mai è possibile!... Egli non giuoca. Egli non ha cattive pratiche. Egli non è amante d'un lusso eccedente... In quanto a lui... Sarebbe dunque per colpa mia?... Oh Dio! qual infausto raggio m'illumina! I rimproveri d'Angelica, l'odio del signor Geronte, il disprezzo ch'egli dimostra di giorno in giorno contro di me... Mi si squarcia la benda dinanzi agli occhi. Io vedo il fallo di mio marito, vedo il mio. Il suo troppo amor l'ha sedotto, la mia inesperienza m'ha abbagliato. Dalancour è colpevole, ed io lo sono forse al par di lui... Ma qual rimedio a questa situazione crudele? Suo zio solo... sì... suo zio potrebbe rimediarvi... Ma Dalancour sarebbe egli in istato in questi momenti d'abbattimento e di dolore? ... Ah! s'io ne fui la cagione... sebbene involontaria ... perchè non andrò io medesima? ... Sì ... quand'anche dovessi gettarmi a' suoi piedi ... Ma ... con quel carattere aspro, intrattabile, potrà io lusingarmi di piegarlo?... Andrò io ad espormi ai suoi sgarbi?... Ah! che importa? e che sono tutte le umiliazioni in confronto allo stato orribile di mio marito?... sì, vi corro; questa sola idea dee darmi coraggio. (si avvia verso l'appartamento di Geronte)


SCENA VII

Martuccia, e detta

Martuccia: Madama, che fate voi qui? Il signor Dalancour s’abbandona alla disperazione.
Madama:
Cielo!... Io volo in suo soccorso. (parte)
Martuccia:
Che sventure! che disordine! Se è vero ch'ella ne sia la cagione, merita bene... Chi veggo?


SCENA VIII

Valerio, e detta

Martuccia: Signore, che venite voi a far qui? Avete scelto un cattivo momento. Tutta la casa è immersa nel dispiacere.
Valerio:
Già ne dubitava. Ritorno in questo momento dal procuratore del signor Dalancour; io gli ho offerta la mia borsa ed il mio credito.
Martuccia:
Questo è un oprar virtuoso. Nulla è più generoso della vostra azione.
Valerio:
Il signor Geronte è in casa?
Martuccia:
No. Il servitore m'ha detto che l'aveva veduto col suo notaro.
Valerio:
Col suo notaro?
Martuccia:
Sì. Egli ha sempre qualche affare. Volevate forse parlargli?
Valerio:
Sì; voglio parlare con tutti. Io veggo con pena il disordine del signor Dalancour. Son solo; ho beni di fortuna; ne posso disporre. Amo Angelica; vengo ad offrirgli di sposarla senza dote, e dividere seco il mio stato e la mia fortuna.
Martuccia:
La risoluzione è ben degna di voi. Nulla più di essa mostra la stima, l'amore, la generosità.
Valerio:
Credete voi ch'io potessi lusingarmi?...
Martuccia:
Sì, tanto più che madamigella gode il favore di suo zio, e ch'egli vuole maritarla.
Valerio:
Vuol maritarla?
Martuccia:
Sì.
Valerio:
Ma se vuole maritarla, vorrà parimente esser egli solo padrone di proporle il partito.
Martuccia:
(dopo un momento di riflessione) Potrebbe darsi.
Valerio:
È forse questa una consolazione per me?
Martuccia:
Perchè no?... (ad Angelica, che s'inoltra spaventata) Venite, venite, madamigella.


SCENA IX

Angelica, e detti

Angelica: Io sono tutta spaventata.
Valerio:
(ad Angelica) Che avete, madamigella?
Angelica:
Il mio povero fratello...
Martuccia:
Sta ancora così?
Angelica:
Un poco meglio. Egli è alquanto più tranquillo.
Martuccia:
Udite, udite, madamigella. Questo signore mi ha detto cose consolanti per voi, e per vostro fratello.
Angelica:
Anche per lui?
Martuccia:
Se sapeste il sagrifizio che è disposto a fare!
Valerio:
(piano a Martuccia) (Non le dite nulla.) (volgendosi ad Angelica) Evvi forse alcun sagrifizio ch'ella non meriti?
Martuccia:
Ma converrà parlarne al signor Geronte.
Angelica:
Cara amica, se voi voleste prendervi questo incomodo!
Martuccia:
Volentieri. Che dovrò dirgli?... Vediamo... Consigliamo.. Ma sento qualcuno. (corre verso il appartamento di Geronte) È il signor Dorval. (a Valerio) Non vi fate vedere. Andiamo nella mia camera, e parleremo a nostro bell'agio.
Valerio:
(ad Angelica) Se vedete vostro fratello...
Martuccia:
Eh andiamo, signore, andiamo. (lo spinge, e parte con lui)


SCENA X

Angelica, poi Dorval

Angelica: (Che farò io qui col signor Dorval? Posso andarmene.)
Dorval:
(ad Angelica che sia per partire) Madamigella... Madamigella?
Angelica:
Signore.
Dorval:
Avete veduto il vostro signor zio? V'ha egli detto nulla?
Angelica:
L'ho veduto questa mattina, signore.
Dorval:
Prima che uscisse di casa?
Angelica:
Sì signore.
Dorval:
È ritornato?
Angelica:
No signore.
Dorval:
Bene! (Non sa ancora nulla.)
Angelica:
Signore, vi chiedo scusa. Evvi qualche novità che mi riguardi?
Dorval:
Vostro zio vi vuol bene.
Angelica:
(con modestia) È tanto buono!
Dorval:
(seriamente) Egli pensa a voi.
Angelica:
Questa è una fortuna per me.
Dorval:
Egli pensa a maritarvi. Eh? Che ne dite? (Angelica mostra modestia) Avreste voi piacere di maritarvi?
Angelica:
(con modestia) Io dipendo da mio zio.
Dorval:
Volete che vi dica qualche cosa di più?
Angelica:
(con un poco di curiosità) Ma... Come più vi piace, signore.
Dorval:
La scelta dello sposo è di già fatta.
Angelica:
(Oh cielo!... Tremo tutta.)
Dorval:
(Mi pare di vederla contenta.)
Angelica:
(tremando) Signore, ardirò di chiedervi...
Dorval:
Che, madamigella?
Angelica:
Lo conoscete voi quello che m'è destinato?
Dorval:
Sì, lo conosco, e lo conoscete voi pure.
Angelica:
(con un poco di gioia) Io pure lo conosco?
Dorval:
Certamente: voi lo conoscete.
Angelica:
Signore, avrò io il coraggio?...
Dorval:
Parlate, madamigella.
Angelica:
Di chiedervi il nome di questo giovane?
Dorval:
Il nome di questo giovane?
Angelica:
Sì, se voi lo conoscete.
Dorval:
Ma... se egli non fosse tanto giovane?
Angelica:
(da sè, con agitazione) (Cielo!)
Dorval:
Voi siete tanto saggia... dipendete da vostro zio...
Angelica:
(tremando) Credete voi, signore, che mio zio voglia sagrificarmi?
Dorval:
Che intendete voi per questo sagrificarvi?
Angelica:
(con passione) Ma... senza il consenso del mio cuore.. Mio zio è sì buono!... Chi potrebbe mai avergli dato questo consiglio? Chi avrà mai proposto questo partito?
Dorval:
(un poco punto) Ma... questo partito... Madamigella... E s'io fossi quello?
Angelica:
(con gioia) Voi, signore?... Il ciel lo volesse!
Dorval:
. (contento) Il ciel lo volesse?
Angelica:
Sì, io vi conosco. Voi siete ragionevole, siete sensibile, mi fido di voi. Se avete dato a mio zio questo consiglio, se gli avete proposto questo partito, spero che ritroverete ancora la maniera di farlo cangiar di parere.
Dorval:
(Eh! eh! Non c'è male.) (ad Angelica) Madamigella...
Angelica:
(afflitta) Ah, signore!
Dorval:
Avreste voi il cuor prevenuto?
Angelica:
(con passione) Signore!
Dorval:
V'intendo.
Angelica:
Abbiate pietà di me!
Dorval:
(Io l'avea ben detto; l'avea ben preveduto! Buon per me, che non ne sono innamorato, ma incominciava a prendervi un po' di gusto.)
Angelica:
signore, non mi dite nulla?
Dorval:
Ma... Madamigella...
Angelica:
Avreste voi forse qualche particolare premura per quello cui vorrebbero darmi?
Dorval:
Un poco.
Angelica:
(con passione e costanza) V'avverto che io l'odierò.
Dorval:
(Povera ragazza! Mi piace la sua sincerità.)
Angelica:
Deh! Siate compassionevole, siate generoso.
Dorval:
Sì, madamigella... sì, lo sarò... vel prometto. Io parlerà a vostro zio in vostro favore; e farò ogni possibile perchè siate soddisfatta.
Angelica:
(con gioia) Oh! quanto mi siete caro!
Dorval:
Poverina!
Angelica:
(con trasporto) Voi siete il mio benefattore, il mio protettore, il padre mio. (lo prende per la mano)
Dorval:
Mia cara ragazza!..


SCENA XI

Geronte, e detti

Geronte: (alla sua maniera con brio) Benissimo, benissimo. Coraggio. Bravi, figli miei, bravi. Sono di voi contentissimo. (Angelica si ritira tutta mortificata, e Dorval sorride). Come? la mia presenza vi fa paura? Io non condanno premure che sono legittime. Tu hai fatto bene, Dorval, a prevenirla. Su via, madamigella, abbracciate il vostro sposo.
Angelica:
(costernata) (Che intendo?)
Dorval:
(sorridendo) (Eccomi scoperto.)
Geronte:
(ad Angelica con ardore) Che scena è questa? Qual modestia fuori di proposito? Quando io non ci sono, t'accosti, e quando giungo t'allontani? vicinati! (a Dorval in collera) Su via, avvicinatevi anche voi.
Dorval:
(ridendo) Colle buone, mio caro Geronte.
Geronte:
Ah! ridete? la sentite la vostra felicità? Io voglio ben che si rida, ma non voglio che mi si faccia andar in collera; m'intendete, signor bocca ridente? Venite qui, e ascoltatemi.
Dorval:
Ma ascoltate pur voi.
Geronte:
(ad Angelica, e vuol prenderla per mano) Avvicinatevi.
Angelica:
(piangendo) Mio zio....
Geronte:
(ad Angelica) Piangi! Mi fai la bambina! Io credo che tu ti prenda giuoco di me. (la prende per mano, e la sforza ad avanzarsi in mezzo alla scena, poi si volge a Dorval e gli dice con una specie di brio) La non può scapparmi.
Dorval:
Almeno lasciatemi parlare.
Geronte:
(vivamente) Zitto!
Angelica:
Mio caro zio...
Geronte:
(vivamente) Zitto. (egli muta tuono, e dice tranquillamente) Sono stato dal mio notaro: ho disposto il tutto. Egli ha stesa la minuta in mia presenza, la porterà qui quanto prima, e noi sottoscriveremo.
Dorval:
Ma se voleste ascoltarmi...
Geronte:
Zitto. Per la dote, mio fratello ha avuto la debolezza di lasciarla fra le mani di suo figlio. Io non dubito che non ci sia per essere dal canto suo qualche ostacolo; ma ciò non m'imbarazza. Quelli che avranno affari con lui li avranno mal fatti; la dote non può perire, e in ogni caso io me ne fo mallevadore.
Angelica:
(a parte) (Non ne posso più.)
Dorval:
(imbarazzato) Tutto va benissimo; ma...
Geronte:
Ma che?
Dorval:
(guardando Angelica) Madamigella avrebbe a dirvi sopra di ciò qualche cosa.
Angelica:
(in fretta, e tremando) Io, signore?
Geronte:
Vorrei bene ch'ella trovasse qualche cosa a ridire sopra ciò ch'io fo, sopra ciò ch'io ordino, e sopra ciò ch'io voglio. Ciò ch'io voglio, ciò ch'io ordino e ciò ch'io fo: lo fo, lo voglio, e l'ordino per suo bene. M'intendi?
Dorval:
Parlerò dunque io medesimo.
Geronte:
Che avete a dirmi?
Dorval:
Che mi rincresce; ma che questo matrimonio non può effettuarsi.
Geronte:
Cospetto! (Angelica s'allontana tutta spaventata. Dorval parimenti dà due passi addietro) Voi (a Dorval) mi avete data la vostra parola d'onore.
Dorval:
Sì; ma con patto...
Geronte:
(volgendosi verso Angelica) Sarebbe forse quest'impertinente? (la minaccia) S'io potessi crederlo... se ne avessi qualche dubbio...
Dorval:
(seriamente) No, signore: avete torto.
Geronte:
(volgendosi verso Dorval) Siete voi dunque che mi mancate? (Angelica coglie il momento e fugge)


SCENA XII

Dorval e Geronte

Geronte: (continua a parlare con Dorval) Che? abusate della mia amicizia, e del mio affetto per la vostra persona?
Dorval:
(alzando la voce) Ma udite le ragioni...
Geronte:
Che ragioni, che ragioni? Non c'è ragioni, io sono un uomo d'onore; e se lo siete voi pure, animo, subito... (volgendosi chiama) Angelica?
Dorval:
(Che diavolo d'uomo! Egli mi farebbe violenza sul fatto.) (fugge via)
Geronte:
Dov'è andata?... Angelica!... Eh là, c'è nessuno!...


SCENA XIII

Geronte solo, chiama sempre

Piccardo?... Martuccia?... Pietro?... Cortese?... Ma la ritroverò. Voi siete quello a cui voglio... (si volge, non vede più Dorval, e resta immobile) Come! egli mi pianta così? (chiama) Dorval!... amico Dorval!... Ah indegno!.. ingrato!.. Ehi, c'è nessuno... Piccardo?


SCENA XIV

Piccardo, e detto

Piccardo: Signore.
Geronte:
Briccone! non rispondi?
Piccardo:
Perdonate, signore; eccomi.
Geronte:
Disgraziato, ti ho chiamato dieci volte.
Piccardo:
Mi rincresce, ma...
Geronte:
Dieci volte, disgraziato!
Piccardo:
(da sè, in collera) (Egli è ben rabbioso qualche volta.)
Geronte:
Hai veduto Dorval?
Piccardo:
(bruscamente) Sì, signore.
Geronte:
Dov'è?
Piccardo:
È partito.
Geronte:
Come è partito?
Piccardo:
(bruscamente) È partito come si parte.
Geronte:
(lo minaccia, e lo fa dar addietro) Ahi ribaldo! (in collera grande) Così si risponde al tuo padrone?
Piccardo:
(rinculando con aria estremamente adirata) Signore, datemi la mia licenza...
Geronte:
La tua licenza, sciagurato! (lo minaccia e lo fa rinculare; Piccardo, rinculando, cade fra la sedia ed il tavolino. Geronte corre in suo soccorso, e lo rialza)
Piccardo:
Ahi! (s'appoggia al guanciale della sedia e mostra molto dolore)
Geronte:
Che c'è? che c'è?
Piccardo:
Sono ferito, signore. M'avete stroppiato.
Geronte:
Oh, mi dispiace!... Puoi tu camminare?
Piccardo:
(sempre in collera) Credo di sì, signore. (si prova e cammina male)
Geronte:
(bruscamente) Vattene.
Piccardo:
(mortificato) Signore, voi mi scacciate?
Geronte:
No, (vivamente) va a casa di tua moglie, che ti medichi. (cava la borsa, e vuol dargli del danaro) Prendi, per farti curare.
Piccardo:
(a parte, intenerito) (Qual padrone!)
Geronte:
(porgendogli del danaro) Prendi.
Piccardo:
(con modestia) Eh! no, signore.. io spero che non sarà nulla.
Geronte:
Prendi, ti dico.
Piccardo:
(ricusando con civiltà) Signore...
Geronte:
(riscaldato) Come! tu rifiuti il mio danaro?... Lo rifiuti per orgoglio, per dispetto, e per odio? Credi tu che io l'abbia fatto a bella posta? Prendi questo danaro, prendilo. Animo, non mi far arrabbiare.
Piccardo:
(prendendo il danaro) Non v'adirate, signore; vi ringrazio della vostra bontà.
Geronte:
Va subito.
Piccardo:
(cammina male) Sì, signore.
Geronte:
Va adagio.
Piccardo:
Sì, signore.
Geronte:
Aspetta, aspetta; prendi la mia canna.
Piccardo:
Signore...
Geronte:
Prendila, ti dico. Voglio così.
Piccardo:
(prende la canna e partendo dice) Che bontà


SCENA XV

Geronte e Martuccia

Geronte: Questa è la prima volta in vita mia, che... Maledetto il mio caldo!... (passeggiando a gran passi) È Dorval che m'ha fatto andare in collera.
Martuccia:
Signore, volete pranzare?
Geronte:
Il diavolo che ti porti. (corre, e si chiude nel suo appartamento)
Martuccia:
Bella! Bellissima! egli è sulle furie. Oggi, per Angelica non c'è caso di nulla. Tanto fa che Valerio se ne vada.

Fine dell'atto secondo

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Ultimo aggiornamento: 16 novembre 1999