Carlo Goldoni

Il burbero benefico

ATTO PRIMO

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PERSONAGGI

il Signor GERONTE
Il Signor DALANCOUR, nipote di Geronte
DORVAL, amico di Geronte
VALERIO, amante di Angelica
PICCARDO, lacchè di Geronte
Un lacchè di Dalancour
MADAMA DALANCOUR
ANGELICA, sorella del signor Dalancour
MARTUCCIA, donna di governo del signor Geronte

La scena stabile si rappresenta in Parigi, in una sala in casa dei signori Geronte e Dalancour. Ella ha tre porte: l'una delle quali introduce nell'appartamento del signor Geronte, l'altra dirimpetto, in quello del signor Dalancour, e la terza in fondo, serve di porta comune. Vi saranno delle sedie, de' sofà, ed un tavolino con uno scacchiere.

SCENA PRIMA

Martuccia, Angelica, e Valerio

Angelica: Valerio, lasciatemi, ve ne prego. Io temo per me, temo per voi. Ah, se noi fossimo sorpresi!
Valerio: Mia cara Angelica!...
Martuccia: Partite, signore.
Valerio: (a Martuccia) Di grazia, un momento. S'io potessi assicurarmi...
Martuccia: Di che?
Valerio: Del suo amore, della sua costanza...
Angelica: Ah, Valerio, potreste voi dubitarne?
Martuccia: Andate, andate, o signore. Ella v'ama anche troppo.
Valerio: Questa è la felicità della mia vita.
Martuccia: Presto, partite. Se il mio padrone sopraggiunge...
Angelica: (a Martuccia) Egli non esce giammai sì per tempo.
Martuccia: È vero. Ma in questa sala, ben lo sapete, egli passeggia, egli si diverte. Ecco là i suoi scacchi. Egli vi giuoca spessissimo. Oh, non conoscete voi il signor Geronte?
Valerio: Perdonatemi. Egli è lo zio d'Angelica, lo so; mio padre era suo amico, ma io non ho mai parlato con lui.
Martuccia: Egli è un uomo, signore, di un carattere stravagante. È di buonissimo fondo, ma assai burbero, e fantastico al sommo.
Angelica: Sì; egli m'ha detto d'amarmi, e lo credo. Pure quando mi parla, mi fa tremare.
Valerio: (ad Angelica) Ma che avete voi a temere? Voi non avete nè padre, nè madre. Il disporre di voi tocca a vostro fratello. Egli è mio amico. lo gli parlerò.
Martuccia: Eh! sì, sì, fidatevi del signor Dalancour.
Valerio: (a Martuccia) Che? potrebbe egli negarmela?
Martuccia: Per mia fè, credo di sì.
Valerio: Come?
Martuccia: Uditemi; vi spiego tutto in quattro parole. (ad Angelica) Mio nipote, il nuovo giovine di studio del procuratore del vostro signor fratello, mi ha informata di ciò che sto per dirvi. Siccome sono solamente quindici giorni dacchè egli è presso di lui, me l'ha detto questa mattina, ma me lo ha confidato sotto la più gran segretezza. Per pietà, non mi palesate.
Valerio: Non temete di nulla.
Angelica: Voi mi conoscete.
Martuccia: (parlando con Valerio sotto voce e guardando sempre le portiere) Il signor Dalancour è un uomo rovinato, precipitato. Egli ha mangiato tutte le sue facoltà e fors'anche la dote di sua sorella. Angelica è un peso superiore alle sue forze, e per liberarsene vorrebbe chiuderla in un ritiro.
Angelica: Oh Dio! che mi dite?
Valerio: Come! ed è possibile? Io lo conosco da lungo tempo. Dalancour mi parve sempre un giovane saggio, onesto; talvolta impetuoso e collerico, ma...
Martuccia: Impetuoso! oh impetuosissimo, quasi al pari di suo zio! ma egli è ben lontano dall'avere i medesimi sentimenti.
Valerio: Egli era stimato, accarezzato da chicchessia. Suo padre era di lui contentissimo.
Martuccia: Eh! signore, dacchè è maritato, non è più quello di prima.
Valerio: Sarebbe mai stata madama Dalancour?...
Martuccia: Sì, ella appunto, a ciò che dicono, è il motivo di questo bel cangiamento. Il signor Geronte non si è disgustato con suo nipote che per la sciocca compiacenza ch'egli ha per sua moglie; e... non so nulla; ma scommetterei, il progetto del ritiro fu immaginato da lei.
Angelica: Che intendo? (a Martuccia) Mia cognata cui credeva sì ragionevole, che mi dimostrava tanta amicizia! io non l'avrei mai pensato.
Valerio: Ella ha il più dolce carattere.
Martuccia: Questa dolcezza fu quella appunto che ha sedotto suo marito.
Valerio: Io la conosco, e non posso crederlo.
Martuccia: M'immagino che voi scherziate. Evvi una donna più ricercata di lei nelle sue acconciature? Esce nuova moda ch'ella tosto non prenda? Vi sono balli o spettacoli cui non intervenga la prima?
Valerio: Ma suo marito è sempre al suo fianco.
Angelica: Sì, mio fratello non l'abbandona mai.
Martuccia: Ebbene, sono pazzi ambedue, ed ambedue si rovinano insieme.
Valerio: Pare impossibile!
Martuccia: Animo, animo, signore; eccovi istrutto di ciò che volevate sapere. Partite subito. Non esponete madamigella al pericolo di perdere la buona grazia di suo zio; egli è quel solo che possa farle bene.
Valerio: Calmatevi, mia cara Angelica. L'interesse non formerà mai un ostacolo...
Martuccia: Sento dello strepito: partite subito. (Valerio parte)


SCENA II

Martuccia, e Angelica

Angelica: Sventurata ch'io sono!
Martuccia: Quello è certamente vostro zio! Non ve l'aveva io detto?
Angelica: Vado.
Martuccia: No, anzi restate, ed apritegli il vostro cuore.
Angelica: Io lo temo come il fuoco.
Martuccia: Via, via, coraggio. Egli è talvolta un poco caldo ma non è poi di cattivo cuore.
Angelica: Voi siete la sua donna di governo. Avete credito presso di lui. Parlategli in mio favore.
Martuccia: No; è necessario che gli parliate voi stessa. Al più, io potrei prevenirlo, e disporlo ad udirvi.
Angelica: Sì, sì. Ditegli qualche cosa. Io gli parlerò dipoi. (vuole andarsene)
Martuccia: Restate.
Angelica: No, no, quando sarà tempo chiamatemi; io non sarà molto lontana. (parte)


SCENA III

Martuccia sola

Quanto è dolce, quanto è amabile! Io l'ho veduta nascere; l'amo, la compiango, e vorrei vederla fortunata. (vedendo Geronte) Eccolo.


SCENA IV

Geronte, e detta

Geronte: (parlando, con Martuccia) Piccardo.
Martuccia: Signore...
Geronte: Chiamatemi Piccardo.
Martuccia: Sì, signore... Ma si potrebbe dirvi una parola?
Geronte: (forte e con calore) Piccardo, Piccardo?
Martuccia: (forte ed in collera) Piccardo, Piccardo?


SCENA V

Piccardo, e detti

Piccardo: (a Martuccia) Eccomi, eccomi.
Martuccia: (a Piccardo con rabbia) Il vostro padrone...
Piccardo: (a Geronte) Signore.
Geronte: Va a casa di Dorval mio amico, digli ch'io attendo per giuocare una partita a scacchi.
Piccardo: Sì, signore, ma...
Geronte: Che c'è?
Piccardo: Ho una commissione.
Geronte: Di far che?
Piccardo: Il vostro signor nipote...
Geronte: (riscaldato) Va a casa di Dorval.
Piccardo: Egli vorrebbe parlarvi.
Geronte: Vattene, briccone.
Piccardo: (Che uomo!) (parte)


SCENA VI

Geronte, e Martuccia

Geronte: (avvicinandosi al tavolino) Pazzo, miserabile! No, non voglio vederlo, non voglio che venga ad alterare la mia tranquillità.
Martuccia: (Eccolo subito arrabbiato. Non ci mancava che questo.)
Geronte: (a sedere) Che colpo mai fu quello di ieri! Qual fatalità! Come diamine ho potuto aver scaccomatto, con un giuoco disposto sì bene! Vediamo un poco. Questo caso mi fece stare svegliato tutta la notte. (esamina il giuoco)
Martuccia: Signore, si potrebbe parlarvi?
Geronte: No.
Martuccia: No? Eppure avrei a dirvi qualche cosa di premura.
Geronte: Su via, che hai a dirmi? Spicciati.
Martuccia: Vostra nipote vorrebbe parlarvi.
Geronte: Ora non ho tempo.
Martuccia: Oh bella! Ciò che voi fate è dunque cosa di grande importanza?
Geronte: Sì, importantissima. Mi diverto poco; ma quando mi diverto, non voglio che mi si venga a rompere il capo. M'intendi?
Martuccia: Questa povera figlia...
Geronte: Che l'è accaduto?
Martuccia: La vogliono chiudere in un ritiro.
Geronte: In un ritiro!... Chiudere mia nipote in un ritiro?... Dispor di mia nipote senza mio consenso, senza che io la sappia?
Martuccia: Voi sapete i disordini di vostro nipote.
Geronte: Io non entro punto nei disordini di mio nipote, nelle pazzie di sua moglie. Egli ha il suo. Se lo mangi, si rovini, tanto peggio per lui; ma per mia nipote... Io sono il capo di famiglia, io sono il padrone, io devo darle stato.
Martuccia: Tanto meglio per lei. Mi consolo tutta vedendovi riscaldare per gl'interessi di questa cara ragazza.
Geronte: Dov'è?
Martuccia: È qui vicina, signore. Attende il momento...
Geronte: Che venga.
Martuccia: Sì; ella lo desidera ardentemente, ma...
Geronte: Ma che?
Martuccia: È timida.
Geronte: Che vuol dire?
Martuccia: Se voi le parlate...
Geronte: È ben necessario ch'io le parli.
Martuccia: Sì; ma questo tuono di voce...
Geronte: Il mio tuono di voce non fa male ad alcuno. Che ella venga, e che s'affidi al mio cuore, non alla mia voce.
Martuccia: È vero, signore; io vi conosco; so che siete buono, umano, caritatevole; ma, ve ne prego, non la intimorite, questa povera ragazza. Parlatele con un poco di dolcezza.
Geronte: Sì; le parlerò con dolcezza.
Martuccia: Me lo promettete?
Geronte: Te lo prometto.
Martuccia: Non ve lo scordate.
Geronte: (comincia a dar in impazienza) No.
Martuccia: Sopra tutto non impazientitevi.
Geronte: (vivamente) Ti dico di no.
Martuccia: Io tremo per Angelica. (parte)


SCENA VII

Geronte solo

Ella ha ragione. Mi lascio talvolta trasportare dal mio focoso temperamento. La mia nipote merita di esser trattata con dolcezza.


SCENA VIII

Angelica, e detto

Angelica: (rimane a qualche distanza)
Geronte: Accostatevi.
Angelica: (con timore, facendo un sol passo) Signore...
Geronte: (un po' riscaldato) Come volete ch'io v'intenda, mentre siete tre miglia lontana da me?
Angelica: (s'avanza tremando) Signore... scusate...
Geronte: Che avete a dirmi?
Angelica: Martuccia non v'ha ella detto qualche cosa?
Geronte: (comincia con tranquillità, e si riscalda a poco a poco) Sì; mi parlò di voi, mi parlò di vostro fratello, di questo insensato, di questo stravagante, che si lasciò guidar per il naso da una femmina imprudente, che si è rovinato, che si è perduto, e che inoltre mi perde il rispetto. (Angelica vuole andarsene) Dove andate? (vivamente)
Angelica: Signore, voi siete in collera...
Geronte: Ebbene che ve n'importa? Se vado in collera contro uno sciocco, io, non ci vado contro di voi. Accostatevi, parlate, e non abbiate paura del mio sdegno.
Angelica: Mio caro zio, non saprò mai parlarvi se prima non vi veggo tranquillo.
Geronte: Che martirio! (ad Angelica. facendosi forza) Eccomi tranquillo. Parlate.
Angelica: Signore... Martuccia vi avrà detto...
Geronte: Io non bado a ciò che m'ha detto Martuccia, lo voglio intendere da voi medesima.
Angelica: (con timore) Mio fratello...
Geronte: (contraffacendola) Vostro fratello...
Angelica: Vorrebbe chiudermi in un ritiro.
Geronte: Ebbene, inclinate voi al ritiro?
Angelica: Ma signore...
Geronte: (con caldo) Su via, parlate.
Angelica: A me non tocca a decidere.
Geronte: (ancora più riscaldato) Io non dico che voi decidiate, ma voglio sapere la vostra inclinazione.
Angelica: Signore, voi mi fate tremare.
Geronte: (Crepo di rabbia.) (facendosi forza) Avvicinatevi. V'intendo. Dunque il ritiro non vi va a genio.
Angelica: No signore.
Geronte: Qual'è lo stato cui più inclinereste?
Angelica: Signore...
Geronte: (con un po' di vivacità) Non temete di nulla. Sono tranquillo. Parlatemi liberamente.
Angelica: (Ah! non ho coraggio! ... )
Geronte: Venite qui. Vorreste maritarvi?
Angelica: Signore...
Geronte: (vivamente) Sì, o no?
Angelica: Se voi voleste...
Geronte: (come sopra) Sì o no?
Angelica: Ma sì...
Geronte: Sì? (ancor Più vivamente) Volete maritarvi, perdere la libertà, la tranquillità? Ebbene: tanto peggio per voi. Sì, vi mariterò.
Angelica: (Eppure è amabile con tutta la sua collera.)
Geronte: (bruscamente) Avete voi qualche inclinazione?
Angelica: (Ah! se avessi coraggio di parlargli di Valerio!)
Geronte: (vivamente) Come? Avreste di già qualche amante?
Angelica: (Questo non è il momento. Glie ne farà parlare dalla sua donna di governo.)
Geronte: (sempre con calore) Su via, finiamola! La casa ove siete, la persona con cui vivete, v'avrebbero per avventura somministrata l'occasione d'attaccarvi ad alcuno? Io voglio sapere la verità. Sì, vi farò del bene, ma con patto che lo meritiate. M'intendete?
Angelica: (tremando) Sì signore.
Geronte: (con lo stesso tuono) Parlatemi schiettamente, francamente. Avete forse qualche genietto?
Angelica: (esitando e tremando) Ma... non signore. Non ne ho alcuno.
Geronte: Tanto meglio. Io penserò a trovarvi un marito.
Angelica: (Oh, Dio... non vorrei ... ) Signore!
Geronte: Che c'è?
Angelica: Voi conoscete la mia timidità.
Geronte: Sì, sì, la vostra timidità... lo le conosco le femmine; voi siete al presente una colomba, ma quando sarete maritata, diverrete un dragone.
Angelica: Deh! mio zio, giacchè siete così buono...
Geronte: Anche troppo.
Angelica: Permettete che vi dica...
Geronte: (avvicinandosi al tavolino) Ma Dorval non viene ancora!
Angelica: Uditemi, mio caro zio.
Geronte: (attento al suo scacchiere) Lasciatemi.
Angelica: Una parola sola.
Geronte: (assai vivamente) Basta così.
Angelica: (O cielo! eccomi più infelice che mai! Ah! la mia cara Martuccia non mi abbandonerà.) (parte)


SCENA IX

Geronte solo

Questa è una buona ragazza. Io le fo del bene molto volentieri. Se avesse anche avuta qualche inclinazione, mi sarei sforzato, di compiacerla, ma non ne ha alcuna... Vedrò io... cercherò io... Ma, che diavolo fa questo Dorval che non vien mai? Io muojo di voglia di tentare un'altra volta questa maledetta combinazione che mi fece perdere la partita. Certamente io doveva guadagnare. Avrebbe abbisognato che avessi perduta la testa. Vediamo un poco. Ecco la disposizione dei miei scacchi. Ecco quella di Dorval. Io avanzo il re alla casa della sua torre. Dorval pone il suo matto alla seconda casa del suo re. Io... scacco... sì, e prendo la pedina. Dorval... egli ha preso il mio matto... Dorval? Sì, egli ha preso il mio matto, ed io... Doppio scacco col cavaliere. Per bacco! Dorval ha perduto la sua dama. Egli giuoca il suo re, io prendo la sua dama. Questo sciagurato col suo re ha preso il mio cavaliere. Ma tanto peggio per lui; eccolo nelle mie reti; eccolo vinto con il suo re. Ecco la mia dama; sì, eccola. Scacco matto, questa è chiara. Scacco matto, questa è guadagnata... Ah! se Dorval venisse, glie la farei vedere. (chiama) Piccardo?


SCENA X

Geronte e Dalancour

Dalancour: (a parte ed estremamente confuso) Mio zio è solo. Se volesse ascoltarmi...
Geronte: Accomoderò il giuoco come era prima. (senza vedere Dalancour, chiama più forte) Piccardo?
Dalancour: Signore.
Geronte: (senza volgersi, credendo di parlare a Piccardo) Ebbene, hai tu trovato Dorval?


SCENA XI

Dorval, e detti

Dorval: (entra per la porta di mezzo, a Geronte) Eccomi, amico.
Dalancour: (con risoluzione) Mio zio!
Geronte: (volgendosi vede Dalancour; s'alza bruscamente, getta a terra la sedia, parte senza parlare, ed esce per la porta di mezzo)


SCENA XII

Dalancour e Dorval

Dorval: (sorridendo) Che vuol dir questa scena?
Dalancour: È una cosa terribile!... Tutto ciò perchè mi ha veduto.
Dorval: (sempre d'un tuono) Geronte è mio amico; conosco benissimo il suo naturale.
Dalancour: Mi rincresce per voi.
Dorval: Sono veramente arrivato in un cattivo momento.
Dalancour: Scusate la sua impetuosità.
Dorval: (sorridendo) Oh! lo sgriderò, lo sgriderò.
Dalancour: Ah! mio caro amico!... Voi siete il solo che possa giovarmi presso di lui.
Dorval: Io lo bramerei di tutto cuore, ma...
Dalancour: Convengo che se si bada alle apparenze, mio zio ha ragione di rimproverarmi; ma se egli potesse leggermi nel fondo del cuore, mi renderebbe tutta la sua tenerezza, e sono sicuro che non se ne pentirebbe.
Dorval: Sì, mi è nota l'indole vostra. Io credo che tutto da voi si potrebbe sperare; ma madama vostra moglie...
Dalancour: (vivamente) Mia moglie, signore? Ah! voi non la conoscete. Tutto il mondo s'inganna sopra di lei, e mio zio, il primo di tutti. Fa d'uopo ch'io le renda giustizia, e che vi scopra la verità. Ella non sa alcuna delle disgrazie da cui sono oppresso; ella m'ha creduto più ricco che io non fossi; le ho sempre tenuto occulto il mio stato. Io l'amo; noi ci siamo maritati assai giovani: non le ho mai lasciato tempo di chieder nulla, di nulla bramare. Cercai sempre di prevenirla in tutto ciò che potea esserle di piacere. In questa maniera mi sono rovinato.
Dorval: Contentare una donna, prevenire i suoi desiderj!Ci vuol altro!
Dalancour: Sono sicuro che s'ella avesse saputo il mio stato, sarebbe stata la prima a proibirmi le spese che ho fatte per lei.
Dorval: Frattanto non ve le ha proibite.
Dalancour: No, perchè non dubitava punto...
Dorval: (ridendo) Mio povero amico...
Dalancour: (afflitto) Che c'è?
Dorval: (sempre sorridendo) Io vi compiango.
Dalancour: (con ardore) Vi prendereste voi giuoco di me?
Dorval: (sempre sorridendo) Oibò! Ma... voi amate vostra moglie prodigiosamente.
Dalancour: Sì, l'amo, (con maggior calore) l'ho amata sempre e l'amerò fin che avrò vita. La conosco, conosco tutto il suo merito, e non soffrirò mai le si diano dei torti che non ha.
Dorval: (seriamente) Colle buone, amico, colle buone; vi riscaldate un po' troppo per la vostra famiglia.
Dalancour: (sempre vivamente) Io vi chiedo mille scuse; sarei alla disperazione di avervi recato dispiacere; ma quando si tratta di mia moglie...
Dorval: Via, via. Non ne parliamo più.
Dalancour: Ma vorrei che ne foste convinto.
Dorval: (freddamente) Sì, lo sono.
Dalancour: (vivamente) No, non lo siete.
Dorval: (con un po' più di calore) Scusatemi, vi dico...
Dalancour: Ebbene, vi credo. Ne sono contentissimo. Ah! mio caro amico, parlate a mio zio in mio favore.
Dorval: Glie ne parlerò.
Dalancour: Quanto vi sarò obbligato!
Dorval: Ma converrà bene l'addurgli ancora qualche ragione. Come avete fatto a rovinarvi in sì poco tempo? Sono quattr'anni solo dacchè è morto vostro padre. V'ha lasciata una facoltà considerabile, e dicesi che voi l'abbiate tutta consumata.
Dalancour: Se sapeste tutte le disgrazie che mi sono accadute! Ho veduto che i miei affari erano in disordine, ho voluto rimediarvi, ed il rimedio fu peggiore ancora del male. Io ho ascoltati nuovi progetti, ho intrapresi nuovi affari, ho ipotecati i miei beni, ed ho perduto il tutto.
Dorval: E questo è il male. Nuovi progetti! Se ne sono rovinati degli altri.
Dalancour: Ed io singolarmente senza speranza.
Dorval: Avete fatto malissimo, mio caro amico, tanto più che avete una sorella.
Dalancour: Sì, e sarebbe oramai tempo che pensassi a darle stato.
Dorval: Ogni giorno essa diventa più bella. Madama Dalancour riceve in sua casa molte persone, e la gioventù, mio caro amico, qualche volta... Dovreste capirmi.
Dalancour: Questo è appunto il motivo, per cui, frattanto che io trovo qualche espediente, ho pensato di metterla in un ritiro.
Dorval: Metterla in un ritiro; va benissimo: ma ne avete parlato con vostro zio?
Dalancour: No. Egli non vuole ascoltarmi; ma voi gli parlerete per me, gli parlerete per Angelica. Mio zio vi stima, vi ama, vi ascolta, si fida di voi, non vi negherà cosa alcuna.
Dorval: Non ne so nulla.
Dalancour: (vivamente) Oh! ne sono sicuro. Vi prego, cercate di vederlo, parlategliene subito.
Dorval: Lo farei. Ma dov'è andato?
Dalancour: Cercherò di saperlo... Vediamo, alcuno si inoltra.


SCENA XIII

Piccardo, e detti

Piccardo: (a Dalancour) Signore...
Dalancour: È partito mio zio?
Piccardo: No signore, è disceso in giardino.
Dalancour: In giardino! A quest'ora?
Piccardo: Per lui è tutt'uno; quando è un poco in collera passeggia, va a prender aria.
Dorval: (a Dalancour) Vado a raggiungerlo.
Dalancour: Signore, io conosco mio zio: fa d'uopo lasciargli il ternpo di calmarsi. Conviene aspettarlo qui.
Dorval: Ma se partisse; se non tornasse più sopra?
Piccardo: (a Dorval) Perdonatemi, signore, egli non tarderà, molto a risalire. M'è noto il suo naturale: gli basta mezzo quarto d'ora. Vi so ben dire che sarà inoltre contentissimo di vedervi.
Dalancour: (vivamente) Ebbene! mio caro amico, passate nel suo appartamento. Fatemi il piacere di attenderlo.
Dorval: Volentieri. Comprendo benissimo quanto la vostra situazione è crudele; è d'uopo il porvi rimedio. Sì, gli parlerò per voi, ma con patto...
Dalancour: (vivamente) Io vi do la mia parola d'onore.
Dorval: Basta così. (entra nell'appartamento di Geronte)


SCENA XIV

Dalancour e Piccardo

Dalancour: Tu non hai detto a mio zio ciò ch'io t'aveva ordinato.
Piccardo: Perdonatemi, signore, glie l'ho detto, ma egli mi ha scacciato, secondo il solito.
Dalancour: Mi dispiace. Avvertimi de’ buoni momenti, in cui poter parlargli. Un giorno ti saprò premiare a dovere.
Piccardo: Ve ne sono obbligato, signore, ma, grazie al cielo, non ho bisogno di nulla.
Dalancour: Sei dunque ricco?
Piccardo: Non sono ricco, ma ha un padrone che non mi lascia mancar nulla. Ho moglie, ho quattro figliuoli; dovrei essere l'uomo più imbarazzato del mondo, ma il mio padrone è sì buono che li mantengo senza difficoltà, ed in casa mia non si conosce la miseria. (parte)


SCENA XV

Dalancour solo

Ah! mio zio è un uomo dabbene!... Se Dorval ottenesse da lui qualche cosa! Se potessi sperare un soccorso adeguato al mio bisogno!... Se potessi tener occulto a mia moglie!... Ah! perchè l'ho io ingannata? perchè mi sono ingannato io medesimo?... Mio zio, non torna... Ogni momento per me è prezioso... Anderò frattanto dal mio procuratore. Oh, con quale pena ci vado! È vero, ei mi lusinga, che nonostante la sentenza, troverà il mezzo di guadagnare del tempo; ma i cavilli sono odiosi; lo spirito pena, e ci va di mezzo l'onore. Sventurati quelli che hanno bisogno di raggiri vergognosi!


SCENA XVI

Dalancour e Madama

Dalancour: (vedendo sua moglie) Ecco mia moglie.
Madama: Ah! siete qui, marito mio? Vi cercava per tutto.
Dalancour: Stava per partire.
Madama: Ho incontrato adesso quel satiro... egli strillava, strillava come va.
Dalancour: Parlate voi di mio zio?
Madama: Sì. Ho veduto un raggio di sole, sono andata a passeggiare nel giardino, e ve l'ho incontrato. Egli batteva i piedi, parlava da solo, e ad alta voce... Ditemi una cosa: ha egli in casa qualche servitore ammogliato?
Dalancour: Sì.
Madama: Certamente conviene che sia così; egli parlava molto male del marito e della moglie; ma male, ve ne assicuro.
Dalancour: (Io m'immagino bene di chi parlasse.)
Madama: Egli è un uomo insopportabile.
Dalancour: Eppure converrebbe avere per lui qualche riguardo.
Madama: Può egli lagnarsi di me? Gli ho io mancato in nulla? Io rispetto la sua età, la sua qualità di zio. Se talvolta scherzo sopra di lui, il fo a quattr'occhi con voi, e voi me lo perdonate. Del resto, ho per esso tutti i riguardi possibili: ma, ditemi sinceramente, ne ha egli per voi, ne ha per me? Egli ci tratta con un'asprezza grandissima, ci odia quanto più può; ma sopratutto il suo disprezzo per me è giunto agli eccessi. Fa d'uopo nondimeno l'accarezzarlo, il fargli la corte?
Dalancour: (imbarazzato) Ma... quando anche gli facessimo la corte... è nostro zio... Inoltre noi potremmo forse aver bisogno di lui.
Madama: Bisogno di lui! Noi? Come? Non abbiamo noi del nostro quanto basta per vivere con decoro? Voi non fate disordini. Io sono ragionevole... Per me non vi chiedo di più di ciò che avete fatto fin ora... Continuiamo con la medesima moderazione, e non avremo bisogno di nessuno.
Dalancour: (con un'aria appassionata) Continuiamo con la medesima moderazione...
Madama: Ma sì; io non ho vanità; io non vi domando nulla d'avvantaggio.
Dalancour: (Sfortunato che io sono!)
Madama: Ma voi mi sembrate inquieto, pensoso: avete qualche cosa?... voi non siete tranquillo.
Dalancour: V'ingannate. Non ho nulla.
Madama: Perdonatemi, io vi conosco: se avete qualche travaglio, perchè volete nascondermelo?
Dalancour: (sempre più imbarazzato) Quella che mi dà da pensare, è mia sorella. Eccovi spiegato il tutto.
Madama: Vostra sorella? Ma perchè mai? Ella è la miglior ragazza del mondo; io l'amo teneramente. Uditemi. Se voi voleste fidarvi di me, potreste sollevarvi da questo pensiero, e render lei nello stesso tempo felice.
Dalancour: Come?
Madama: Voi volete metterla in un ritiro; ed io so da buona fonte, che ella non sarebbe contenta.
Dalancour: (un poco inquieto) Alla sua età, deve dir forse, voglio, e non voglio?
Madama: No; ella è saggia abbastanza per piegarsi ai voleri dei suoi parenti. Ma perchè non la maritate?
Dalancour: È ancora troppo giovane.
Madama: Buono! Ero io più avanzata in età quando mi sono ammogliata con voi?
Dalancour: (vivamente) Ebbene? dovrò andare a cercarle un marito di porta in porta?
Madama: Ascoltatemi, ascoltatemi, marito mio; non vi inquietate, vi, prego. Se mal non m'appongo, io, credo d'essermi accorta che Valerio l'ama, e ch'essa pure è innamorata di lui.
Dalancour: (Cielo! quanto mi tocca soffrire!)
Madama: Voi lo conoscete: v'avrebbe egli per Angelica un partito migliore di questo?
Dalancour: (sempre più imbrogliato) Vedremo... ne parleremo...
Madama: Fatemi questo piacere, ve lo chiedo in grazia. Lasciate a me la cura di maneggiar quest'affare; avrei tutta l'ambizione di riuscirvi...
Dalancour: (in un sommo imbarazzo) Madama...
Madama: Che c'è?
Dalancour: Non si può.
Madama: No? E perchè?
Dalancour: (sempre più imbarazzato) Mio zio v'acconsentirebbe?
Madama: Ma, diamine! Voglio bene che non si manchi con lui ai nostri doveri, ma il fratello d'Angelica lo siete voi. La dote è fra le vostre mani; il più od il meno dipende soltanto da voi. Permettete ch'io mi assicuri delle loro inclinazioni, e sopra l'articolo dell'interesse a un dipresso l'aggiusterò io.
Dalancour: (vivamente) No. Se mi amate, guardatevene bene.
Madama: Sarebbe che voi non vorreste maritar vostra sorella?
Dalancour: Tutto al contrario...
Madama: Sarebbe che ... ?
Dalancour: (vuol partire) Mi conviene partire... Ne parleremo al mio ritorno.
Madama: Vi dispiace che ci voglia entrar io?
Dalancour: Niente affatto.
Madama: Uditemi: sarebbe forse per la dote?
Dalancour: Non so nulla. (parte)


SCENA XVII

Madama sola

Che vuol dire questa faccenda?.... Non intendo nulla... Possibile che mio marito?... No. Egli è troppo saggio per aver a rimproverarsi di nulla.


SCENA XVIII

Angelica, e detta

Angelica: (senza vedere Madama) Se potessi parlare con Martuccia...
Madama: Cognata.
Angelica: (inquieta) Madama.
Madama: Dove andate, cognata?
Angelica: (inquieta) Io me ne andava, Madama...
Madama: Ah, ah! Siete dunque adirata?
Angelica: Lo devo essere.
Madama: Siete voi sdegnata con me?
Angelica: Ma, Madama...
Madama: Uditemi, la mia ragazza; se v’inquieta il progetto del ritiro, non crediate ch'io v'abbia parte. La cosa è tutt’all'opposto: v'amo, e farò anzi il possibile per rendervi fortunata.
Angelica: (a parte, piangendo) (Che doppiezza!)
Madama: Che avete? piangete?
Angelica: (s'asciuga gli occhi) (A qual segno mi ha ingannata!)
Madama: Qual è il motivo del vostro dolore?
Angelica: Oh Dio! I disordini di mio fratello.
Madama: (con sorpresa) I disordini di vostro fratello?
Angelica: Sì. Nessuno li sa meglio di voi.
Madama: Che dite? Spiegatevi, se v'aggrada.
Angelica: È inutile.


SCENA XIX

Geronte, Piccardo, e dette

Geronte: (chiama) Piccardo?
Piccardo:(uscendo dall'appartamento di Geronte) Signore...
Geronte: (vivamente a Piccardo) Ebbene, dov'è Dorval?
Piccardo: Egli vi attende, signore, nella vostra camera.
Geronte: Egli è nella mia camera, e tu non mi dici nulla?
Piccardo: Signore, non ho avuto tempo.
Geronte: Che fate voi qui? (vedendo Angelica e Madama; parla ad Angelica, volgendosi tratto tratto verso Madama per essere inteso) Qui non voglio donne; non voglio alcuno della vostra famiglia... andate via.
Angelica: Mio caro zio...
Geronte: Vi dico che andiate via. (Angelica parte mortificata)


SCENA XX

Madama, Geronte e Piccardo

Madama: (a Geronte) Signore, vi domando perdono.
Geronte: Oh, questa sì, ch'è curiosa! (volgendosi verso la porta, per cui è uscita Angelica, ma di tempo in tempo, guardando Madama) Guardate l'impertinente! vuol venire a darmi soggezione. Per discendere c'è un'altra scala. La chiuderò questa porta.
Madama: Non v'adirate, o signore. Quanto a me v'assicuro...
Geronte: (vorrebb'entrare nel suo appartamento, ma non vorrebbe passare dinanzi a Madama: dice a Piccardo) Dimmi, Dorval è nella mia camera?
Piccardo: Sì, signore.
Madama: Passate, passate, signore. Io non ve l'impedisco. (accorgendosi dell'imbarazzo di Geronte, da addietro)
Geronte: Padrona mia... (a Madama passando, e salutandola) La chiuderò questa porta. (entra nel suo appartamento, Piccardo lo segue)


SCENA XXI

Madama sola

Che strano carattere! Ma non è ciò quel che più m'inquieta. Ciò che più m'affligge si è il turbamento di mio marito, sono le parole d'Angelica. Io dubito; temo; vorrei conoscere la verità e tremo di penetrarla.

Fine dell'atto primo

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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 16 novembre 1999