Carlo Goldoni

La bottega del caffè

ATTO TERZO

Scena prima

Leandro scacciato di casa da Lisaura.
Leandro: A me un simile trattamento?
Lisaura: (sulla porta) Sì, a voi, falsario, impostore!
Leandro: Di che vi potete dolere di me? D'aver abbandonata mia moglie per causa vostra?
Lisaura: Se avessi saputo, che eravate ammogliato, non vi avrei ricevuto in mia casa.
Leandro: Non sono stato io il primo a venirvi.
Lisaura: Siete però stato l'ultimo.


Scena seconda

Don Marzio che osserva coll'occhialetto, e ride fra sé, e detti.
Leandro: Non avete meco gittato il tempo.
Lisaura: Sì, sono stata anch'io a parte de' vostri indegni profitti. Arrossisco in pensarlo; andate al diavolo, e non vi accostate più a questa casa.
Leandro: Ci verrò a prendere la mia roba.
Don Marzio: (ride, e burla di nascosto Leandro)
Lisaura: La vostra roba vi sarà consegnata dalla mia serva. (entra, e chiude la porta)
Leandro: A me un insulto di questa sorta? Me la pagherai.
Don Marzio: (ride, e, voltandosi Leandro, si compone in serietà)
Leandro: Amico, avete veduto?
Don Marzio: Che cosa? Vengo in questo punto.
Leandro: Non avete veduto la ballerina sulla porta?
Don Marzio: No, certamente, non l'ho veduta.
Leandro: (da sé) (Manco male!)
Don Marzio: Venite qua, parlatemi da galantuomo, confidatevi con me, e state sicuro, che i fatti vostri non si sapranno da chi che sia. Voi siete forestiere, come sono io, ma io ho più pratica del paese di voi. Se vi occorre protezione, assistenza, consiglio, e sopra tutto segretezza, son qua io. Fate pur capitale di me. Di cuore, con premura, da buon amico; senza che nessuno sappia niente.
Leandro: Giacché con tanta bontà vi esibite di favorirmi, aprirò a voi tutto il mio cuore, ma per amor del cielo vi raccomando la segretezza.
Don Marzio: Andiamo avanti.
Leandro: Sappiate che la pellegrina è mia moglie.
Don Marzio: Buono!
Leandro: Che l'ho abbandonata in Torino.
Don Marzio: (da sé, guardandolo con l'occhialetto) (Oh che briccone!)
Leandro: Sappiate ch'io non sono altrimenti il conte Leandro.
Don Marzio: (da sé, come sopra) (Meglio.)
Leandro: I miei natali non sono nobili.
Don Marzio: Non sareste già figliuolo di qualche birro?
Leandro: Mi maraviglio, signore; son nato povero, ma di gente onorata.
Don Marzio: Via, via: tirate avanti.
Leandro: Il mio esercizio era di scritturale...
Don Marzio: Troppa fatica, non è egli vero?
Leandro: E desiderando vedere il mondo...
Don Marzio: Alle spalle de' gonzi.
Leandro: Son venuto a Venezia...
Don Marzio: A fare il birbante.
Leandro: Ma voi mi strapazzate. Questa non è la maniera di trattare.
Don Marzio: Sentite: io ho promesso proteggervi, e lo farò; ho promesso segretezza, e la osserverò; ma fra voi e me avete da permettermi che possa dirvi qualche cosa amorosamente.
Leandro: Vedete il caso in cui mi ritrovo; se mia moglie mi scopre, sono esposto a qualche disgrazia.
Don Marzio: Che pensereste di fare?
Leandro: Si potrebbe vedere di far cacciar via di Venezia colei?
Don Marzio: Via, via. Si vede che siete un briccone.
Leandro: Come parlate, signore?
Don Marzio: Fra voi e me, amorosamente.
Leandro: Dunque anderò via io; basta che colei non lo sappia.
Don Marzio: Da me non lo saprà certamente.
Leandro: Mi consigliate ch'io parta?
Don Marzio: Sì, questo è il miglior ripiego. Andate subito: prendete una gondola; fatevi condurre a Fusina, prendete le poste, e andatevene a Ferrara.
Leandro: Anderò questa sera; già poco manca alla notte. Voglio prima levar le mie poche robe, che sono qui in casa della ballerina.
Don Marzio: Fate presto, e andate via subito. Non vi fate vedere.
Leandro: Uscirò per la porta di dietro, per non esser veduto.
Don Marzio: (da sé) (Lo diceva io; si serve per la porta di dietro.)
Leandro: Sopra tutto vi raccomando la segretezza.
Don Marzio: Di questa siete sicuro.
Leandro: Vi prego d'una grazia, datele questi due zecchini (gli dà due zecchini) ; poi mandatela via. Scrivetemi, e torno subito.
Don Marzio: Le darò i due zecchini. Andate via.
Leandro: Ma assicuratevi che ella parta...
Don Marzio: Andate via, che siate maledetto!
Leandro: Mi scacciate?
Don Marzio: Ve lo dico amorosamente, per vostro bene; andate, che il diavolo vi porti.
Leandro: (Oh che razza d'uomo! Se strapazza gli amici, che farà poi coi nemici!) (va in casa di Lisaura)
Don Marzio: Il signor Conte! Briccone! Il signor Conte! Se non si fosse raccomandato a me, gli farei romper l'ossa di bastonate.


Scena terza

Placida dalla locanda e detto.
Placida: Sì, nasca quel che può nascere, voglio ritrovare quell'indegno di mio marito.
Don Marzio: Pellegrina, come va?
Placida: Voi, se non m'inganno, siete uno di quelli che erano alla tavola con mio marito?
Don Marzio: Si, son quello delle castagne secche.
Placida: Per carità ditemi dove si trova quel traditore.
Don Marzio: Io non lo so, e quand'anche lo sapessi, non ve lo direi.
Placida: Per che causa?
Don Marzio: Perché se lo trovate, farete peggio. Vi ammazzerà.
Placida: Pazienza. Avrò terminato almen di penare.
Don Marzio: Eh, spropositi! Bestialità! Ritornate a Torino.
Placida: Senza mio marito?
Don Marzio: Sì; senza vostro marito. Ormai, che volete fare? E' un briccone.
Placida: Pazienza! almeno vorrei vederlo.
Don Marzio: Oh, non lo vedete più.
Placida: Per carità, ditemi, se lo sapete; è egli forse partito?
Don Marzio: E' partito, e non è partito.
Placida: Per quel che vedo, V. S. sa qualche cosa di mio marito?
Don Marzio: Io? So, e non so, ma non parlo.
Placida: Signore, muovetevi a compassione di me.
Don Marzio: Andate a Torino, e non pensate ad altro. Tenete, vi dono questi due zecchini.
Placida: Il Cielo vi rimeriti la vostra carità; ma non volete dirmi nulla di mio marito? Pazienza! me ne anderò disperata. (in atto di partire piangendo)
Don Marzio: Povera donna! (da sé) Ehi? (la chiama)
Placida: Signore!
Don Marzio: Vostro marito è qui in casa della ballerina, che prende la sua roba, e partirà per la porta di dietro. (parte)
Placida: E' in Venezia! Non è partito! E' in casa della ballerina! Se avessi qualcheduno che mi assistesse, vorrei di bel nuovo azzardarmi. Ma così sola temo di qualche insulto.


Scena quarta

Ridolfo ed Eugenio e detta.
Ridolfo: Eh via, cosa sono queste difficoltà? Siamo tutti uomini, tutti soggetti ad errare. Quando l'uomo si pente, la virtù del pentimento cancella tutti il demerito dei mancamenti.
Eugenio: Tutto va bene, ma mia moglie non mi crederà più.
Ridolfo: Venga con me; lasci parlare a me. La signora Vittoria le vuol bene; tutto si aggiusterà.
Placida: Signor Eugenio?
Ridolfo: Il signor Eugenio si contenti di lasciarlo stare. Ha altro che fare, che badare a lei.
Placida: Io non pretendo di sviarli da' suoi interessi. Mi raccomando a tutti nello stato miserabile in cui mi ritrovo.
Eugenio: Credetemi, Ridolfo, che questa povera donna merita compassione; è onestissima, e suo marito è un briccone.
Placida: Egli mi ha abbandonata in Torino. Lo ritrovo in Venezia, tenta uccidermi, ed ora è sulle mosse per fuggirmi nuovamente di mano.
Ridolfo: Sa ella dove egli sia?
Placida: E' qui in casa della ballerina; mette insieme le sue robe e fra poco se ne andrà.
Ridolfo: Se andrà via, lo vedrà.
Placida: Partirà per la porta di dietro, ed io non lo vedrò, o se sarò scoperta mi ucciderò.
Ridolfo: Chi ha detto che anderà via per la porta di dietro?
Placida: Quel signore che si chiama Don Marzio.
Ridolfo: La tromba della comunità. Faccia così: si ritiri in bottega qui del barbiere; stando lì si vede la porticina segreta. Subito che lo vede uscire, mi avvisi, e lasci operare me.
Placida: In quella bottega non mi vorranno.
Ridolfo: Ora... Ehi, m'esser Agabito? (chiama)


Scena quinta

Il garzone del barbiere dalla sua bottega e detti.
Garzone: Che volete m'esser Ridolfo?
Ridolfo: Dite al vostro padrone che mi faccia il piacere di tener questa pellegrina in bottega per un poco, fino che venga io a ripigliarla.
Garzone: Volentieri, venga, venga, padrona, che imparerà a fare la barba. Benché, per pelare, la ne saprà più di noi altri barbieri. (rientra in bottega)
Placida: Tutto mi convien soffrire per causa di quell'indegno. Povere donne! E’ meglio affogarsi, che maritarsi così. (entra dal barbiere)


Scena sesta

Ridolfo ed Eugenio.
Ridolfo: Se posso, voglio vedere di far del bene anche a questa povera diavola. E nello stesso tempo facendola partire con suo marito, la signora Vittoria non avrà più di lei gelosia. Già mi ha detto qualche cosa della pellegrina.
Eugenio: Voi siete un uomo di buon cuore. In caso di bisogno, troverete cento amici che s'impegneranno per voi.
Ridolfo: Prego il cielo di non aver bisogno di nessuno. In tal caso non so che cosa potessi sperare. Al mondo vi è dell'ingratitudine assai.
Eugenio: Di me potrete disporre finch'io viva.
Ridolfo: La ringrazio infinitamente. Ma badiamo a noi. Che pensa ella di fare? Vuol andar in camerino da sua moglie, o vuol farla venire in bottega? Vuol andar solo? Vuole che venga anch'io? Comandi.
Eugenio: In bottega non istà bene; se venite anche voi, avrà soggezione. Se vado solo, mi vorrà cavare gli occhi... Non importa; ch'ella si sfoghi; che poi la collera passerà. Anderò solo.
Ridolfo: Vada pure col nome del cielo.
Eugenio: Se bisogna, vi chiamerò.
Ridolfo: Si ricordi che io non servo per testimonio.
Eugenio: Oh, che caro Ridolfo! Vado. (in atto di incamminarsi)
Ridolfo: Vai bravo!
Eugenio: Che cosa credete che abbia da essere?
Ridolfo: Bene.
Eugenio: Pianti, o graffiature?
Ridolfo: Un poco di tutto.
Eugenio: E poi?
Ridolfo: Ognun dal canto suo cura si prenda.
Eugenio: Se non chiamo, non venite.
Ridolfo: Già ci s'intende.
Eugenio: Vi racconterò tutto.
Ridolfo: Via, andate.
Eugenio: (Grand'uomo è Ridolfo! Gran buon amico!) (entra nella bottega interna)


Scena settima

Ridolfo, poi Trappola e giovani.
Ridolfo: Marito e moglie? gli lascio stare quanto vogliono. Ehi, Trappola, giovani, dove siete?
Trappola: Son qui.
Ridolfo: Badate alla bottega, che io vado qui dal barbiere. Se il signor Eugenio mi vuole, chiamatemi, che vengo subito.
Trappola: Posso andar io a far compagnia al signor Eugenio?
Ridolfo: Signor no, non avete da andare, e badate bene che là dentro non vi vada nessuno.
Trappola: Ma perché?
Ridolfo: Perché no!
Trappola: Anderò a vedere se vuol niente.
Ridolfo: Non andar, se non chiama. (Voglio intendere un po' meglio dalla pellegrina, come va questo suo negozio, se posso, voglio vedere d'accomodarlo.) (entra dal barbiere)


Scena ottava

Trappola, poi Don Marzio.
Trappola: Appunto perché mi ha detto che non vi vada, son curioso d'andarvi.
Don Marzio: Trappola, hai avuto paura?
Trappola: Un poco.
Don Marzio: Si è più veduto il signor Eugenio?
Trappola: Sì, signore, si è veduto; anzi è lì dentro. Ma zitto.
Don Marzio: Dove?
Trappola: Zitto! nel camerino.
Don Marzio: Che vi fa? Giuoca?
Trappola: (ridendo) Signor sì, giuoca.
Don Marzio: Con chi?
Trappola: (sotto voce) Con sua moglie.
Don Marzio: Vi è sua moglie?
Trappola: Vi è; ma zitto!
Don Marzio: Voglio andare a ritrovarlo.
Trappola: Non si può.
Don Marzio: Perché?
Trappola: Il padrone non vuole.
Don Marzio: (vuole andare) Eh, via, buffone!
Trappola: (lo ferma) Le dico che non si va!
Don Marzio: (come sopra) Ti dico che voglio andare!
Trappola: (come sopra) Ed io dico che non anderà!
Don Marzio: Ti caricherò di bastonate!


Scena nona

Ridolfo dalla bottega del barbiere e detti.
Ridolfo: Che c'è?
Trappola: Vuol andare per forza a giuocar in terzo col matrimonio.
Ridolfo: Si contenti, signore, che là dentro non vi si va.
Don Marzio: Ed io ci voglio andare!
Ridolfo: In bottega mia comando io, e non vi anderà. Porti rispetto, se non vuol che ricorra. (a Trappola, ed altri garzoni) E voi, finché torno, là dentro non lasciate entrar chicchessia. (batte alla casa della ballerina ed entra)


Scena decima

Don Marzio, Trappola e garzoni, poi Pandolfo.
Trappola: Ha sentito? Al matrimonio si porta rispetto.
Don Marzio: (A un par mio? Non vi anderà?... Porti rispetto?... A un par mio? E sto cheto? E non parlo? E non lo bastono? Briccone! Villanaccio! A me? A me?) (sempre passeggiando) Caffé. (siede)
Trappola: Subito. (va a prendere il caffé, e glielo porta)
Pandolfo: Illustrissimo, ho bisogno della sua protezione.
Don Marzio: Che c'è, biscazziere?
Pandolfo: C'è del male.
Don Marzio: Che male c'è? Confidami, che t'ajuterò.
Pandolfo: Sappia, signore, che ci sono dei maligni invidiosi, che non vorrebbero veder bene ai pover uomini. Vedono che io m'ingegno onoratamente per mantener con decoro la mia famiglia, e questi bricconi mi hanno dato una querela di baro di carte.
Don Marzio: (ironico) Bricconi! Un galantuomo della tua sorta! Come l'hai saputo?
Pandolfo: Me l'ha detto un amico. Mi confido però, che non hanno prove, perché nella mia bottega praticano tutti galantuomini, e niuno può dir male di me.
Don Marzio: Oh s'io avessi da esaminarmi contro di te, ne so delle belle della tua abilita!
Pandolfo: Caro illustrissimo, per amor del cielo, la non mi rovini; mi raccomando alla sua carità, alla sua protezione, per le mie povere creature.
Don Marzio: Via, sì, t'assisterò, ti proteggerò. Lascia fare a me. Ma bada bene. Carte segnate ne hai in bottega?
Pandolfo: Io non le segno... Ma qualche giuocatore si diletta.
Don Marzio: Presto, abbruciatele subito. Io non parlo.
Pandolfo: Ho paura di non aver tempo per abbruciarle.
Don Marzio: Nascondile!
Pandolfo: Vado in bottega, le nascondo subito.
Don Marzio: Dove le vuoi nascondere?
Pandolfo: Ho un luogo segreto sotto le travature, che né anche il diavolo le ritrova. (entra in bottega del giuoco)
Don Marzio: Va, che sei un gran furbo!


Scena undicesima

Don Marzio, poi un capo de' birri mascherato, ed altri birri nascosti, poi Trappola.
Don Marzio: Costui è alla vigilia della galera. Se trova alcuno che scopra la metà delle sue bricconate, lo pigliano prigione immediatamente.
Capo: (ai birri sulla cantonata della strada, i quali si ritirano) (Girate qui d'intorno, e quando chiamo venite.)
Don Marzio: (da sè) (Carte segnate! Oh che ladri!)
Capo: (siede) Caffè!
Trappola: La servo. (va per il caffè, e lo porta)
Capo: Abbiamo delle buone giornate.
Don Marzio: Il tempo non vuol durare.
Capo: Pazienza. Godiamolo finché è buono.
Don Marzio: Lo goderemo per poco.
Capo: Quando è mal tempo, si va in un casino, e si giuoca.
Don Marzio: Basta andare in luoghi dove non rubino!
Capo: Qui, questa bottega vicina mi pare onorata.
Don Marzio: Onorata? E' un ridotto di ladri.
Capo: Mi pare sia m'esser Pandolfo il padrone.
Don Marzio: Egli per l'appunto.
Capo: Per dir il vero, ho sentito dire che sia un giuocator di vantaggio.
Don Marzio: E' un baro solennissimo.
Capo: Ha forse truffato ancora a lei?
Don Marzio: A me no, che non son gonzo. Ma quanti capitano, tutti li tira al trabocchetto.
Capo: Bisogna ch'egli abbia qualche timore, che non si vede.
Don Marzio: E' dentro in bottega, che nasconde le carte.
Capo: Perché mai nasconde le carte?
Don Marzio: M'immagino, perché sieno fatturate.
Capo: Certamente. E dove le nasconderà?
Don Marzio: Volete ridere? Le nasconde in un ripostiglio sotto le travature.
Capo: (da sè) (Ho rilevato tanto che basta.)
Don Marzio: Voi, signore, vi dilettate di giuocare?
Capo: Qualche volta.
Don Marzio: Non mi par di conoscervi.
Capo: Or ora mi conoscerete. (s'alza)
Don Marzio: Andate via?
Capo: Ora torno.
Trappola: (al Capo) Eh? Signore; il caffè.
Capo: Or ora lo pagherò. (si accosta alla strada, e fischia. I birri entrano in bottega di Pandolfo)


Scena dodicesima

Don Marzio e Trappola.
Don Marzio: (s'alza, e osserva attentamente senza parlare)
Trappola: (anch'egli osserva attentamente)
Don Marzio: Trappola...
Trappola: Signor Don Marzio...
Don Marzio: Chi son coloro?
Trappola: Mi pare l'onorata famiglia.


Scena tredicesima

Pandolfo legato, birri e detti.
Pandolfo: Signor Don Marzio, gli sono obbligato.
Don Marzio: A me? Non so nulla.
Pandolfo: Io andrò forse in galera, ma la sua lingua merita la berlina. (va via coi birri)
Capo: (a Don Marzio) Sì, signore, l'ho trovato che nascondeva le carte. (parte)
Trappola: Voglio andargli dietro, per veder dove va. (parte)


Scena quattordicesima

Don Marzio solo.
Don Marzio: Oh diavolo, diavolo! Che ho io fatto? Colui che io credeva un signore di conto, era un birro travestito. Mi ha tradito, mi ha ingannato. Io son di buon cuore; dico tutto con facilità.


Scena quindicesima

Ridolfo e Leandro di casa della ballerina e detto.
Ridolfo: (a Leandro) Bravo; così mi piace; chi intende la ragione fa conoscere che è un uomo di garbo; finalmente in questo mondo non abbiamo altro che il buon nome, la fama e la riputazione.
Leandro: Ecco lì quello che mi ha consigliato a partire.
Ridolfo: Bravo, signor Don Marzio; ella dà di questi buoni consigli; invece di procurare di unirlo con la moglie lo persuade abbandonarla, e andar via?
Don Marzio: Unirsi con sua moglie? E' impossibile, non la vuole con lui.
Ridolfo: Per me è stato possibile; io con quattro parole l'ho persuaso. Tornerà con la moglie.
Leandro: (da sè) (Per forza, per non esser precipitato.)
Ridolfo: Andiamo a ritrovare la signora Placida, che è qui dal barbiere.
Don Marzio: (a Leandro) Andate a ritrovare quella buona razza di vostra moglie.
Leandro: Signor Don Marzio, vi dico in confidenza tra voi e me che siete una gran lingua cattiva. (entra dal barbiere con Ridolfo)


Scena sedicesima

Don Marzio, poi Ridolfo.
Don Marzio: Si lamentano della mia lingua, e a me pare di parlare bene. E' vero che qualche volta dico di questo e di quello; ma, credendo dire la verità, non me ne astengo. Dico facilmente quello che so; ma lo faccio, perché son di buon cuore.
Ridolfo: (dalla bottega del barbiere) Anche questa è accomodata. Se dice davvero, è pentito, se finge, sarà peggio per lui.
Don Marzio: Gran Ridolfo! Voi siete quello che unisce i matrimoni.
Ridolfo: E ella è quello che cerca di disunirli.
Don Marzio: Io ho fatto per far bene.
Ridolfo: Chi pensa male non può mai sperar di far bene. Non s'ha mai da lusingarsi, che da una cosa cattiva ne possa derivare una buona. Separare il marito dalla moglie, è un'opera contro tutte le leggi, e non si possono sperare che disordini e pregiudizi.
Don Marzio: (con disprezzo) Sei un gran dottore.
Ridolfo: Ella intende più di me; ma mi perdoni, la mia lingua si regola meglio della sua.
Don Marzio: Tu parli da temerario.
Ridolfo: Mi compatisca, se vuole; e se non vuole, mi levi la sua protezione.
MARZIO Te la leverò, te la leverò. Non ci verrò più a questa tua bottega.
Ridolfo: (da sè) (Oh il ciel lo volesse!)


Scena diciassettesima

Un garzone della bottega del caffè e detti.
Garzone: Signor padrone, il signor Eugenio vi chiama. (si ritira)
Ridolfo: Vengo subito; (a Don Marzio) con sua licenza.
Don Marzio: Riverisco il signor politico. Che cosa guadagnate in questi vostri maneggi?
Ridolfo: Guadagno il merito di far del bene; guadagno l'amicizia delle persone; guadagno qualche marca d'onore, che stimo sopra tutte le cose del mondo. (entra in bottega)
Don Marzio: Che pazzo! Che idee da ministro, da uomo di conto! Un caffettiere fa l'uomo di maneggio! E quanto s'affatica! E quanto tempo vi mette! Tutte cose che io le avrei accomodate in un quarto d'ora.


Scena diciottesima

Ridolfo, Eugenio, Vittoria dal caffè e Don Marzio.
Don Marzio: (da sè) (Ecco i tre pazzi. Il pazzo discolo, la pazza gelosa, e il pazzo glorioso.)
Ridolfo: (a Vittoria) In verità provo una consolazione infinita.
Vittoria: Caro Ridolfo, riconosco da voi la pace, la quiete, e posso dire la vita.
Eugenio: Credete, amico, ch'io era stufo di far questa vita, ma non sapeva come fare a distaccarmi dai vizi. Voi siate benedetto, m'avete aperto gli occhi, e un poco coi vostri consigli, un poco coi vostri rimproveri, un poco colle buone grazie, e un poco coi benefizi mi avete illuminato, mi avete fatto arrossire: son un altro uomo, e spero che sia durabile il mio cambiamento, a nostra consolazione, a gloria vostra, e ad esempio degli uomini savi, onorati e dabbene, come voi siete.
Ridolfo: Dice troppo, signore: io non merito tanto.
Vittoria: Sino ch'io sarà viva mi ricorderò sempre del bene che mi avete fatto. Mi avete restituito il mio caro consorte, l'unica cosa, che ho di bene in questo mondo. Mi ha costato tante lagrime il prenderlo, tante me ne ha costato il perderlo, e molte me ne costa il riacquistarlo; ma queste sono lagrime di dolcezza, lagrime d'amore, e di tenerezza, che m'empiono l'anima di diletto, che mi fanno scordare ogni affanno passato, rendendo grazie al cielo, e lode alla vostra pietà.
Ridolfo: Mi fa piangere dalla consolazione.
Don Marzio: (da sè, guardando sempre con l'occhialetto) (Oh pazzi maledetti!)
Eugenio: Volete che andiamo a casa?
Vittoria: Mi dispiace, ch'io sono ancora tutta lagrime, arruffata e scomposta. Vi sarà mia madre, e qualche altra mia parente ad aspettarmi; non vorrei che mi vedessero col pianto agli occhi.
Eugenio: Via, acchetatevi; aspettiamo un poco.
Vittoria: Ridolfo non avete uno specchio? Vorrei un poco vedere come sto.
Don Marzio: (da sè coll'occhialetto) (Suo marito le avrà guastato il tuppè.)
Ridolfo: Se si vuol guardar nello specchio, andiamo qui sopra nei camerini del giuoco.
Eugenio: No, là dentro non vi metto più piede.
Ridolfo: Non sa la nuova? Pandolfo è ito prigione.
Eugenio: Sì? Se lo merita; briccone! Me ne ha mangiati tanti.
Vittoria: Andiamo, caro consorte.
Eugenio: Quando non vi è nessuno, andiamo.
Vittoria: Così arruffata non mi posso vedere. (entra nella bottega del giuoco con allegria)
Eugenio: Poverina! Giubila dalla consolazione! (entra come sopra)
Ridolfo: Vengo ancor io a servirli. (entra come sopra)


Scena diciannovesima

Don Marzio, poi Leandro e Placida.
Don Marzio: Io so perché Eugenio è tornato in pace con sua moglie. Egli è fallito, e non ha più da vivere. La moglie è giovine, e bella... Non l'ha pensata male, e Ridolfo gli farà il mezzano.
Leandro: (uscendo dal barbiere) Andiamo dunque alla locanda a prendere il vostro piccolo bagaglio.
Placida: Caro marito, avete avuto tanto cuore di abbandonarmi?
Leandro: Via non ne parliamo più. Vi prometto di cambiare vita.
Placida: Lo voglia il cielo. (s'avvicina alla locanda)
Don Marzio: (a Leandro burlandolo) Servo di vosustrissima, signor Conte.
Leandro: Riverisco il signor protettore, il signor buona lingua.
Don Marzio: (a Placida deridendola) M'inchino alla signora contessa.
Placida: Serva, signor cavaliere delle castagne secche. (entra in locanda con Leandro)
Don Marzio: Anderanno tutti e due in pellegrinaggio a battere la birba. Tutta la loro entrata consiste in un mazzo di carte.


Scena ventesima

Lisaura alla finestra e Don Marzio.
Lisaura: La pellegrina è tornata alla locanda con quel disgraziato di Leandro. S'ella ci sta troppo, me ne vado assolutamente di questa casa. Non posso tollerare la vista, né di lui, né di lei.
Don Marzio: (coll'occhialetto) Schiavo, signora ballerina.
Lisaura: (bruscamente) La riverisco.
Don Marzio: Che cosa avete? Mi parete alterata.
Lisaura: Mi maraviglio del locandiere, che tenga nella sua locanda simil sorta di gente.
Don Marzio: Di chi intende parlare?
Lisaura: Parlo di quella pellegrina, la quale è donna di mal affare, e in questi contorni non ci sono mai state di queste porcherie.


Scena ventunesima

Placida dalla finestra della locanda e detti.
Placida: Eh, signorina, come parlate dei fatti miei? Io sono una donna onorata, non so se cosi si possa dir di voi.
Lisaura: Se foste una donna onorata, non andreste pel mondo birboneggiando.
Don Marzio: (ascolta, e osserva di qua e di la coll'occhialetto, e ride)
Placida: Son venuta in traccia di mio marito.
Lisaura: Sì, e l'anno passato in traccia di chi eravate?
Placida: Io a Venezia non ci sono più stata.
Lisaura: Siete una bugiarda. L'anno passato avete fatta una trista figura in questa città. (Don Marzio osserva, e ride come sopra)
Placida: Chi vi ha detto questo?
Lisaura: Eccolo lì; il signor Don Marzio me l'ha detto.
Don Marzio: Io non ho detto nulla.
Placida: Egli non può aver detto una tal bugia; ma di voi si mi ha narrato la vita e i bei costumi. Mi ha egli informato dell'esser vostro, e che ricevete le genti di nascosto per la porta di dietro.
Don Marzio: Io non l'ho detto. (sempre coll'occhialetto di qua, e di là)
Placida: Sì che l'avete detto.
Lisaura: E' possibile che il signor Don Marzio abbia detto di me una simile iniquità?
Don Marzio: Vi dico, non l'ho detto.


Scena ventiduesima

Eugenio alla finestra de' camerini, poi Ridolfo da altra simile, poi Vittoria dall'altra, aprendole di mano in mano, e detti a' loro luoghi.
Eugenio: Sì, che l'ha detto, e l'ha detto anche a me, e dell'una, e dell'altra. Della pellegrina, che è stata l'anno passato a Venezia a birboneggiare; e della signora ballerina, che riceve le visite per la porta di dietro.
Don Marzio: Io l'ho sentito dir da Ridolfo.
Ridolfo: Io non son capace di far queste cose. Abbiamo anzi altercato per questo. Io sosteneva l'onore della signora Lisaura, e V. S. voleva che fosse una donna cattiva.
Lisaura: Oh disgraziato!
Don Marzio: Sei un bugiardo.
Vittoria: A me ancora ha detto che mio marito teneva pratica colla ballerina, e colla pellegrina; e me le ha dipinte per due scelleratissime femmine.
Placida: Ah scellerato!
Lisaura: Ah maledetto!


Scena ventitreesima

Leandro sulla porta della locanda e detti.
Leandro: Signor sì, signor sì, V. S. ha fatto nascere mille disordini! ha levata la riputazione colla sua lingua a due donne onorate.
Don Marzio: Anche la ballerina onorata?
Lisaura: Tale mi vanto di essere. L'amicizia col signor Leandro non era che diretta a sposarlo, non sapendo che egli avesse altra moglie.
Placida: La moglie l'ha; e son io quella.
Leandro: E se avessi abbadato al signor Don Marzio, l'avrei nuovamente sfuggita.
Placida: Indegno!
Lisaura: Impostore!
Vittoria: Maldicente!
Eugenio: Ciarlone!
Don Marzio: A me questo? A me, che sono l'uomo il più onorato del mondo?
Ridolfo: Per essere onorato non basta non rubare, ma bisogna anche trattar bene.
Don Marzio: Io non ho mai commesso una mala azione.


Scena ventiquattresima

Trappola e detti.
Trappola: Il signor Marzio l'ha fatta bella.
Ridolfo: Che ha fatto?
Trappola: Ha fatto la spia a M'esser Pandolfo; l'hanno legato, e si dice che domani lo frusteranno.
Ridolfo: E' uno spione! via dalla mia bottega. (parte dalla finestra)


Scena venticinquesima

Il garzone del barbiere e detti.
Garzone: Signore spione, non venga più a farsi far la barba nella nostra bottega. (entra nella sua bottega)


Scena ultima

Il cameriere della locanda e detti.
Cameriere: Signora spia, non venga più a far desinari alla nostra locanda. (entra nella locanda)
Leandro: Signor protettore, tra voi e me in confidenza, far la spia è azion da briccone. (entra nella locanda)
Placida: Altro che castagne secche! Signor soffione. (parte dalla finestra)
Lisaura: Alla berlina, alla berlina! (parte dalla finestra)
Vittoria: O che caro Don Marzio! Quei dieci zecchini che prestasti a mio marito, saranno stati una paga di esploratore. (parte dalla finestra)
Eugenio: Riverisco il signor confidente. (Parte dalla finestra)
Trappola: Io fo riverenza al signor referendario. (entra in bottega)
Don Marzio: Sono stordito, sono avvilito, non so in qual mondo mi sia. Spione a me? A me spione? Per avere svelato accidentalmente il reo costume di Pandolfo, sarò imputato di spione? Io non conosceva il birro, non prevedeva l'inganno, non sono reo di quest'infame delitto. Eppur tutti m'insultano, tutti mi vilipendono, niuno mi vuole, ognuno mi scaccia. Ah sì, hanno ragione, la mia lingua, o presto o tardi, mi doveva condurre a qualche gran precipizio. Ella mi ha acquistato l'infamia, che è il peggiore de' mali. Qui non serve il giustificarmi. Ho perduto il credito e non lo riacquisto mai più. Anderò via di questa città; partirò a mio dispetto; e per causa della mia trista lingua mi priverò d'un paese, in cui tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento, quando sanno essere prudenti, cauti ed onorati.

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© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 08 novembre 1999