Ugo Foscolo
Ultime lettere di Jacopo Ortis
20 Marzo, a sera |
Io era forte: ma questo fu l'ultimo
colpo che ha quasi prostrata la mia fermezza! nondimeno quello ch'è decretato è
decretato. Ma tu, mio Dio, che miri nel profondo, tu vedi che questo è sacrificio più
che di sangue.
Ella era, o Lorenzo, con la sua sorellina; e parea che
volesse scansarmi; ma poi s'assise, e l'Isabellina tutta compunta se le posò su le
ginocchia. Teresa - le dissi accostandomi e prendendole la mano: - mi riguardò: e quella
bambina gettando il suo braccio sul collo di Teresa, e alzando il viso le parlava
sottovoce: Jacopo non mi ama più. E la intesi - S'io t'amo? e abbassandomi e
abbracciandola - t'amo, io le diceva, t'amo teneramente; ma tu non mi vedrai più. O mio
fratello! Teresa mi contemplava atterrita, e stringeva l'Isabellina, e teneva pur gli
occhi verso di me: - Tu ci lascierai, mi disse, e questa fanciulletta sarà compagna de'
miei giorni, e sollievo de' miei dolori: le parlerò sempre dell'amico suo - dell'amico
mio; e le insegnerò a piangere e a benedirti - e a queste ultime parole, l'anima sua
parevami ristorata di qualche speranza; e le lagrime le pioveano dagli occhi; ed io ti
scrivo con le mani calde ancor del suo pianto. - Addio, soggiunse, addio, ma non
eternamente; di'? non eternamente - eccoti adempiuta la mia promessa e si trasse dal seno
il suo ritratto - eccoti adempiuta la mia promessa; addio, va, fuggi, e porta con te la
memoria di questa sfortunata - è bagnato delle mie lagrime e delle lagrime di mia madre.
- E con le sue mani lo appendeva al mio collo, e lo nascondeva dentro al mio petto. Io
stesi le braccia, e me la strinsi sul cuore, e i suoi sospiri confortavano le arse mie
labbra, e già la mia bocca - ma un pallore di morte si sparse su la sua faccia; e, mentre
mi respingeva, io toccandole la mano la sentii fredda, tremante, e con voce soffocata e
languente mi disse: - Abbi pietà addio - e si abbandonò sul sofà, stringendosi presso
quanto poteva la Isabellina, che piangeva con noi. - Entrava suo padre, e il nostro misero
stato avvelenò forse i suoi rimorsi.
Ritornò quella sera tanto costernato che Michele sospettò di qualche fiero accidente. Ripigliò l'esame delle sue carte; e molte ne faceva ardere senza leggerle. Innanzi alla Rivoluzione avea scritto un commentario intorno al governo Veneto in uno stile antiquato, assoluto, con quel motto di Lucano per epigrafe; Jusque datum sceleri. Una sera dell'anno addietro aveva letto a Teresa la Storia di Lauretta; e Teresa mi disse poi, che quei pensieri scuciti, ch'ei m'inviò con la lettera de' 29 Aprile, non n'erano il cominciamento, ma bensì sparsi dentro quell'operetta ch'esso aveva finita, narrando per filo i casi di Lauretta e gli aveva scritti con istile men passionato. Non perdonò né a questi né a verun altro scritto. Leggeva pochissimi libri, pensava molto, dal bollente tumulto del mondo fuggiva a un tratto nella solitudine, e quindi scriveva per necessità di sfogarsi. Ma a me non resta se non un suo Plutarco zeppo di postille con varj quinterni frammessi ove sono alcuni discorsi, ed uno assai lungo su la morte di Nicia; ed un Tacito Bodoniano, con molti squarci, fra gli altri l'intero libro secondo degli annali e gran parte del secondo delle storie, da lui con sommo studio tradotti, e con carattere minutissimo pazientemente ricopiati ne' margini. I frammenti sovra scritti gli ho trascelti da' fogli stracciati ch'esso aveva, come di nessun conto, gittati sotto al suo tavolino; e a' quali ho probabilmente assegnato le date. - Ma il passo seguente, non so se suo o d'altri quanto alle idee, bensì di stile tutto suo, era stato da lui scritto in calce al libro delle Massime di Marco Aurelio, sotto la data 3 Marzo 1794 - e poi lo trovai ricopiato in calce all'esemplare del Tacito Bodoniano sotto la data 1 Gennaro 1797 - e presso a questa, la data 20 Marzo 1799, cinque dì innanzi ch'egli morisse - eccolo:
«Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo; né cosa io stesso mi sia. E s'io corro ad investigarlo, mi ritorno confuso d'una ignoranza sempre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l'anima mia; e questa stessa parte di me che pensa ciò ch'io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra se stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazj dell'universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell'eternità che a tutti quelli che precedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo.»
Poiché in quella notte de' 20 Marzo ebbe ripassato al tutto i suoi fogli, chiamò l'ortolano e Michele perché glieli sgombrassero da' piedi. Poi li mandò a dormire. Pare ch'esso abbia vegliato l'intera notte; perché allora scrisse la lettera precedente, e sul far del giorno andò a destare il ragazzo commettendogli che procacciasse un messo per Venezia. Poi si sdrajò tutto vestito sul letto; ma per poca ora; da che un villano mi disse d'averlo alle 8 di quella mattina incontrato su la strada d'Arquà. Prima di mezzodì era tornato nelle sue stanze. V'entrò Michele a dire che il messo era lì pronto: e lo trovò seduto immobilmente, e come sepolto in tristissime cure: s'alzò; si fe' presso alla soglia di una finestra; e standosi ritto scrisse sotto la stessa lettera, a caratteri quasi illeggibili.
Verrò ad ogni modo - se potessi scriverle - e voleva scrivere: pur se le scrivessi non avrei più cuore di venire - tu le dirai che verrò, che essa vedrà il suo figliuolo; - non altro - non altro: non le straziare di più le viscere; avrei molto da raccomandarti intorno al modo di contenerti per l'avvenire con essa e di consolarla. - Ma le mie labbra sono arse; il petto soffocato; un'amarezza, uno stringimento - potessi almen sospirare! - Davvero; un gruppo dentro le fauci, e una mano che mi preme e mi affanna il cuore. - Lorenzo, ma che posso più dirti? sono uomo - Dio mio, Dio mio, concedimi anche per oggi il refrigerio del pianto.
Sigillò il foglio e lo consegnò senza verun soprascritto. Guardò il cielo per gran pezzo; poi s'assise, e incrociate le braccia su lo scrittojo, vi posò la fronte: più volte il servo gli chiese se voleva altro; ei senza rivoltarsi, gli fe' cenno con la testa, che no. Quel giorno incominciò la seguente lettera per Teresa.
Mercoledì, ore 5 |
Rassègnati a' decreti del Cielo e
troverai qualche felicità nella pace domestica, e nella concordia con quello sposo che la
sorte ti ha destinato. Tu hai un padre generoso e infelice: tu devi riunirlo a tua madre
la quale solitaria e piangente forse chiama te sola: tu devi la tua vita alla tua fama. Io
solo - io solo morendo troverò pace, e la lascierò alla tua casa: ma tu povera
sfortunata!
Sono pur assai giorni ch'io prendo a scriverti e non
posso continuare! O sommo Iddio, vedo che tu non mi abbandoni nella ora suprema; e questa
costanza è maggiore de' tuoi beneficj. Morirò quando avrò ricevuto la benedizione da
mia madre, e gli ultimi abbracciamenti dall'amico mio. Da lui tuo padre avrà le tue
lettere, e tu pure gli darai le mie: saranno testimonio della santità del nostro amore.
No, cara giovine; non sei tu cagione della mia morte. Tutte le mie passioni disperate; le
disavventure delle persone più necessarie alla vita mia; gli umani delitti; la sicurezza
della mia perpetua schiavitù e dell'obbrobrio perpetuo della mia patria venduta - tutto
insomma da più tempo era scritto; e tu, donna angelica, potevi soltanto disacerbare il
mio destino; ma non placarlo, oh! non mai. Ho veduto in te sola il ristoro di tutti i miei
mali; ed osai lusingarmi: e poiché per una irresistibile forza tu mi hai amato, il mio
cuore ti ha creduta tutta sua; tu mi hai amato, e tu m'ami - ed ora che ti perdo, ora
chiamo in ajuto la morte. Prega tuo padre di non dimenticarsi di me; non per affliggersi,
bensì per mitigare con la sua compassione il tuo dolore, e per ricordarsi sempre che ha
un'altra figlia.
Ma tu no, vera amica di questo sfortunato, tu non
avrai cuore mai di obbliarmi. Rileggi sempre queste mie ultime parole ch'io posso dire di
scriverti col sangue del mio cuore. La mia memoria ti preserverà forse dalle sciagure del
vizio. La tua bellezza, la tua gioventù, lo splendore della tua fortuna saranno sprone
per gli altri, per te, a contaminare quella innocenza alla quale hai sacrificato la tua
prima e cara passione; e che pure ne' tuoi martirj ti fu sempre solo conforto. Quanto mai
v'è di lusinghiero nel mondo congiurerà alla tua rovina; a rapirti la stima di te; ed a
confonderti fra la schiera di tante altre donne le quali dopo d'avere rinnegato il pudore,
fanno traffico dell'amore e dell'amicizia, ed ostentano come trionfi le vittime della loro
perfidia. Tu no, mia Teresa; la tua virtù risplende nel tuo viso celeste, ed io la ho
rispettata; e tu sai ch'io t'ho amato adorandoti come cosa sacra. - O divina immagine
dell'amica mia! o ultimo dono prezioso ch'io contemplo, e che m'infonde più vigore, e mi
narra tutta la storia de' nostri amori! Tu stavi facendo questo ritratto il primo dì
ch'io ti vidi: ripassano ad uno ad uno dinanzi a me tutti que' giorni che furono i più
affannosi e i più cari della mia vita. E tu l'hai consecrato questo ritratto attaccandolo
bagnato del tuo pianto al mio petto - e così attaccato al mio petto verrà con me nel
sepolcro. Ti ricordi, o Teresa, le lagrime con cui lo accolsi? Oh! io torno a versarle, e
sollevano la trista anima mia. Che se alcuna vita resta dopo l'ultimo sospiro, io la
serberò sempre a te sola, e l'amor mio vivrà immortale con me. - Ascolta intanto una
estrema, unica, sacrosanta raccomandazione; e te ne scongiuro per l'amor nostro infelice,
per le lagrime che abbiamo sparse, per la religione che tu senti verso i tuoi genitori, a'
quali ti sei pur immolata vittima volontaria - non lasciare senza consolazione la povera
madre mia, che forse verrà a piangermi teco in questa solitudine dove cercherà riparo
dalle tempeste della vita. Tu sola sei degna di compiangerla e di consolarla. Chi le resta
più se tu l'abbandoni? Nel suo dolore, in tutte le sue sventure, nelle infermità della
sua vecchiaja ricordati sempre ch'essa è mia madre.
A mezzanotte suonata si partì
per le poste da' colli Euganei: e arrivato su la marina alle 8 del giorno, si fe'
traghettare da una gondola a Venezia sino alla sua casa. Quand'io vi giunsi lo trovai
addormentato sopra un sofà e di un sonno tranquillo. Come fu desto, mi pregò perché io
spicciassi alcune sue faccende, e saldassi un suo debito a certo librajo. Non posso,
mi diss'egli, trattenermi qui che tutt'oggi.
Benché fossero quasi due anni ch'io nol vedeva, la
sua fisionomia non mi parve tanto alterata quant'io m'aspettava; ma poi m'accorsi che
andava lento e come strascinandosi; la sua voce, un tempo pronta e maschia, usciva a
fatica e dal petto profondo. Sforzavasi nondimeno di discorrere; e rispondendo a sua madre
intorno al suo viaggio, sorridea spesso di un mesto sorriso tutto suo: ma avea un'aria
circospetta, insolita in lui. Avendogli io detto che certi suoi amici sarebbero venuti
quel dì a salutarlo, rispose, che non vorrebbe rivedere anima nata; anzi scese egli
stesso ad avvertire alla porta perché si dicesse ch'ei non accoglierebbe visite. E
risalendo mi disse; Spesso ho pensato di non dare né a te né a mia madre tanto
dolore; ma io avevo pur obbligo e anche bisogno di rivedervi - e questo, credimi, è
l'esperimento più forte del mio coraggio.
Poche ore prima di sera, si alzò, come per
partire; ma non gli sofferiva il cuore di dirlo. Sua madre gli si approssimò, e mentr'ei
rizzandosi dalla seggiola andavale incontro con le braccia aperte, essa con volto
rassegnato gli disse: Hai dunque risoluto, mio caro figliuolo?
Sì, sì; le rispose abbracciandola e frenando a
stento le lagrime.
Chi sa se potrò più rivederti? io sono oramai
vecchia e stanca. -
Ci rivedremo, forse - mia cara madre, consolatevi, ci
rivedremo - per non lasciarci mai più; ma adesso: - ne può far fede Lorenzo.
Ella si volse impaurita verso di me, ed io, Pur
troppo! le dissi. E le narrai come le persecuzioni tornavano a incrudelire per la
guerra imminente; e che il pericolo sovrastava a me pure, massime dopo quelle lettere che
ci furono intercette: (e non erano falsi sospetti; perché dopo pochi mesi fui costretto
ad abbandonare la patria mia). Ed essa allora esclamò: Vivi mio figliuolo, benché
lontano da me. Dopo la morte di tuo padre non ho più avuto un'ora di bene; sperava di
consolare teco la mia vecchiezza! - ma sia fatta la volontà del Signore. Vivi! io scelgo
di piangere senza di te, piuttosto che vederti - imprigionato - morto. I singhiozzi le
soffocavano la parola.
Jacopo strinse la mano e la guardava come se volesse
affidarle un secreto; ma ben tosto si ricompose, e le chiese la sua benedizione.
Ed ella alzando le palme: Ti benedico - Ti
benedico; e piaccia anche a Dio Onnipotente di benedirti.
Avvicinatisi alla scala s'abbracciarono. Quella
donna sconsolata appoggiò la testa sul petto del suo figliuolo.
Scesero, ed io con loro; la madre come giunsero
all'uscio di casa, e vide l'aria aperta, sollevò gli occhi, e li tenne fissi al cielo per
due o tre minuti, e parea che pregasse mentalmente con tutto il fervore dell'anima sua; e
che quell'atto le avesse ridato la prima rassegnazione. E senza versare più lagrima,
benedisse di nuovo con voce sicura il figliuolo; ed ei le ribaciò la mano, e la baciò in
volto.
Io stava piangente: dopo avermi abbracciato, mi
promise di scrivermi, e mosse il passo, dicendomi: Presso alla madre mia ti sovverrai
santamente della nostra amicizia. E rivoltosi alla madre, la guardò un pezzo senza far
motto; e partì. Giunto in fondo alla strada, si rivolse, e ci salutò con la mano e ci
mirò mestamente, come se volesse dirci che quello era l'ultimo sguardo.
La povera madre ristette su la porta quasi sperando
ch'ei tornasse a risalutarla. Ma togliendo gli occhi lagrimosi dal luogo dond'ei se l'era
dileguato, s'appoggiò al mio braccio e risaliva dicendomi: Caro Lorenzo, mi dice il
cuore che non lo rivedremo mai più.
Un vecchio sacerdote di assidua famigliarità nella
casa dell'Ortis, e che gli era stato maestro di greco, venne quella sera e ci narrò, come
Jacopo era andato alla chiesa dove Lauretta fu sotterrata. Trovatola chiusa, voleva farsi
aprire a ogni patto dal campanaro; e regalò un fanciullo del vicinato perché andasse a
cercare del sagrestano che aveva le chiavi. S'assise, aspettando, sopra un sasso nel
cortile. Poi si levò e s'appoggiò con la testa su la porta della chiesa. Era quasi sera;
quando accorgendosi di gente nel cortile, senza più aspettare, si dileguò. Il vecchio
sacerdote aveva risaputo queste cose dal campanaro. Seppi alcuni giorni dopo, che Jacopo
sul fare della notte era andato a visitare la madre di Lauretta. Era, mi diss'ella,
assai tristo; non mi parlò mai della mia povera figliuola, né io l'ho nominata mai per
non accorarlo di più: scendendo le scale, mi disse: Andate, quando potrete, a consolare
mia madre.
E intanto la madre di lui fu in quella sera
atterrita di più fiero presentimento. Io nell'autunno scorso, trovandomi a' colli
Euganei, aveva letto in casa del signore T*** parte d'una lettera1 nella quale Jacopo
tornava con tutti i pensieri alla sua solitudine paterna. E allora Teresa rappresentò a
chiaroscuro la prospettiva del laghetto de' cinque fonti, e accennò sul pendio d'un
poggetto l'amico suo che sdrajato su l'erba contempla il tramontare del Sole. Richiese
d'alcun verso per iscrizione il padre suo, e le fu da lui suggerito questo di Dante:
Libertà va cercando ch'è sì cara |
Mandò poscia in dono il quadretto alla madre di Jacopo, raccomandandosi che non gli dicesse mai donde veniva; infatti egli non l'avea mai risaputo: ma quel giorno ch'ei fu in Venezia s'accorse del quadretto appeso, e di chi lo aveva fatto; non ne fe' motto: bensì rimastosi nella camera tutto solo, smosse il cristallo, e sotto al verso:
Libertà va cercando ch'è sì cara |
scrisse l'altro che gli vien dietro:
Come sa chi per lei vita rifiuta. |
E fra il cristallo e la
scannellatura di dentro della cornice trovò una lunga treccia di capelli che Teresa,
alcuni giorni prima delle sue nozze, s'era tagliati senza che veruno il sapesse, e
ripostili nella cornice in guisa che non trasparissero ad occhio vivente. L'Ortis a que'
capelli congiunse, quando li vide, una ciocca de' suoi e gli annodò insieme col nastro
nero che portava attaccato all'oriuolo; e rimise il quadretto a suo posto. Poche ore dopo,
la madre sua vide il verso aggiunto, s'avvide anche della treccia, e della ciocca e del
nodo nero ch'ei forse disavvedutamente o per fretta non aveva potuto rimpiattare che non
paresse. Il dì seguente me ne parlò; ed io vidi come questo accidente le aveva prostrato
il coraggio con che dianzi essa avea sostenuta la partenza del suo figliuolo.
Onde per acquetarla mi deliberai di accompagnarlo sino
ad Ancona; e promisi che le scriverei giornalmente. Esso frattanto tornavasi a Padova, e
smontò in casa del professore C***, dove riposò il resto della notte. La mattina
accomiatandosi, gli furono dal professore esibite lettere per alcuni gentiluomini delle
isole già Venete i quali nel tempo addietro gli erano stati discepoli. Jacopo né le
accettò, né le rifiutò. Tornò a piedi a' colli Euganei, e ricominciò a scrivere.
Venerdì, ore 1 |
E tu, Lorenzo mio - leale e unico amico - perdona. Non ti raccomando mia madre; ben so che avrà in te un altro figliuolo. O madre mia! ma tu non avrai più il figlio sul petto del quale speravi di riposare il tuo capo canuto - né potrai riscaldare queste labbra morenti co' tuoi baci? e forse tu mi seguirai! - Io vacillava o Lorenzo. Or è questa la ricompensa dopo ventiquattro anni di speranze e di cure? Ma sia cosi! Iddio che ha tutto destinato non l'abbandonerà - né tu! Ah finché io non bramava che un amico fedele, io vissi felice. Il cielo te ne rimeriti! Ma e tu pure non ti aspettavi ch'io ti pagassi di lagrime. Pur troppo ti pagherei a ogni modo di lagrime! or tu non proferire sulle mie ceneri la crudele bestemmia: Chi vuol morire non ama nessuno - Che non tentai sopra di me? che non feci? che non dissi a Dio? ah la mia vita pur troppo sta tutta nelle mie passioni; e se non potessi distruggerle meco - oh a che angosce, a che spasimi, a quanti pericoli, a quali furori, a che deplorabile cecità, a che delitti non mi strascinerebbero a forza! Un giorno, o Lorenzo, prima ch'io decretassi la morte mia, io stava genuflesso implorando dal Cielo pietà, e le mie lagrime pioveano abbondanti - e in quel punto mi si sono improvvisamente inaridite le lagrime, e il cuore mi s'è inferocito, e avresti detto che mi venisse mandato appunto dal Cielo un delirio ad assalirmi; - e mi rizzai; e scrissi alla giovine misera che io me ne andava ad aspettarla in un altro mondo, e che non tardasse a raggiungermi, e l'ammaestrava del come e del quando e dell'ora. - Ma poi non forse la compassione, non la vergogna, né il rimorso, né Iddio - bensì l'idea che non è più la vergine di due mesi fa, e che è donna contaminata dalle braccia d'un altro, ha incominciato a farmi pentire di sì atroce disegno. Vedi come la vita mia, sarebbe a voi tutti più dolorosa che la mia morte; e infame forse a voi tutti. Invece se mi divido per sempre da Teresa degno di lei, la memoria mia serberà certamente il suo cuore degno di me, e benché serva di un altro potrà almeno sperare - speranza forse vanissima - che un dì l'anima sua verrà libera a unirsi per sempre alla mia. - Ma addio. Queste carte le darai tutte al suo padre. Raduna i miei libri e serbali a memoria del tuo Jacopo. Raccogli Michele a cui lascio il mio oriuolo, questi miei pochi arredi e i danari che tu troverai nel cassettino del mio scrittojo. Vieni ad aprirlo tu solo: c'è una lettera per Teresa; e ti prego di riporla fra le sue mani tu stesso. Addio, addio.
Continuò la lettera per Teresa.
Torno a te mia Teresa. Se mentre io
viveva era colpa per te l'ascoltarmi; ascoltami almeno in queste poche ore che mi
disgiungono dalla morte; e le ho riserbate tutte a te sola. Avrai questa lettera quando io
sarò sotterrato; e da quella ora tutti forse incomincieranno ad obbliarmi, finché niuno
più si ricorderà del mio nome - ascoltami come una voce che vien dal sepolcro. Tu
piangerai i miei giorni svaniti al pari di una visione notturna; piangerai il nostro amore
che fu inutile e mesto come le lampade che rischiarano le bare de' morti. - Oh sì, mia
Teresa; dovevano pure una volta finir le mie pene; e la mia mano non trema nell'armarsi
del ferro liberatore, poiché abbandono la vita mentre tu m'ami, mentre sono ancora degno
di te, e degno del tuo pianto, ed io posso sacrificarmi a me solo, ed alla tua virtù. No;
allora non ti sarà colpa l'amarmi; e lo pretendo il tuo amore; lo chiedo in vigore delle
mie sventure, dell'amor mio, e del tremendo mio sacrificio. Ah se tu un giorno passassi
senza gettare un'occhiata su la terra che coprirà questo giovine sconsolato - me misero!
io avrei lasciata dietro di me l'eterna dimenticanza anche nel tuo cuore!
Tu credi ch'io parta. Io? - ti lascierò in nuovi
contrasti con te medesima, e in continua disperazione? E mentre tu m'ami, ed io t'amo, e
sento che t'amerò eternamente, ti lascierò per la speranza che la nostra passione
s'estingua prima de' nostri giorni? No; la morte sola, la morte. Io mi scavo da gran tempo
la fossa, e mi sono assuefatto a guardarla giorno e notte, e a misurarla freddamente - e
appena in questi estremi la Natura rifugge e grida - ma io ti perdo, ed io morrò. Tu
stessa, tu mi fuggivi; ci si contendeano le lagrime. - E non t'avvedevi tu nella mia
tremenda tranquillità ch'io voleva prendere da te gli ultimi congedi, e ch'io ti
domandava l'eterno addio?
Che se il Padre degli uomini mi chiamasse a rendimento
di conti, io gli mostrerò le mie mani pure di sangue, e puro di delitti il mio cuore. Io
dirò: Non ho rapito il pane agli orfani ed alle vedove; non ho perseguitato l'infelice;
non ho tradito; non ho abbandonato l'amico; non ho turbata la felicità degli amanti, né
contaminata l'innocenza, né inimicati i fratelli, né prostrata la mia anima alle
ricchezze. Ho spartito il mio pane con l'indigente; ho confuse le mie lagrime alle lagrime
dell'afflitto; ho pianto sempre su le miserie dell'umanità. Se tu mi concedevi una
patria, io avrei speso il mio ingegno e il mio sangue tutto per lei; e nondimeno la mia
debole voce ha gridato coraggiosamente la verità. Corrotto quasi dal mondo, dopo avere
sperimentati tutti i suoi vizj - ma no! i suoi vizj mi hanno per brevi istanti forse
contaminato, ma non mi hanno mai vinto - ho cercato virtù nella solitudine. Ho amato! tu
stessa, tu mi hai presentata la felicità; tu l'hai abbellita de' raggi della infinita tua
luce; tu mi hai creato un cuore capace di sentirla e di amarla; ma dopo mille speranze ho
perduto tutto ed inutile agli altri, e dannoso a me, mi sono liberato dalla certezza di
una perpetua miseria. Godi tu, Padre, de' gemiti della umanità? pretendi tu che sopporti
miserie più potenti delle sue forze? o forse hai conceduto al mortale il potere di
troncare i suoi mali perché poi trascurasse il tuo dono strascinandosi scioperato tra il
pianto e le colpe? Ed io sento in me stesso che agli estremi mali non resta che la colpa o
la morte. - Consolati, Teresa; quel Dio a cui tu ricorri con tanta pietà, se degna
d'alcuna cura la vita e la morte di una umile creatura, non ritirerà il suo sguardo
neppure da me. Sa ch'io non posso resistere più; e ha veduto i combattimenti che ho
sostenuto prima di giungere alla risoluzione fatale; ed ha udito con quante preghiere l'ho
supplicato perché mi allontanasse questo calice amaro. Addio dunque - addio all'universo!
O amica mia! la sorgente delle lagrime è in me dunque inesausta? io torno a piangere e a
tremare ma per poco; tutto in breve sarà annichilito. Ahi! le mie passioni vivono, ed
ardono, e mi possedono ancora: e quando la notte eterna rapirà il mondo a questi occhi,
allora solo seppellirò meco i miei desiderj e il mio pianto. Ma gli occhi miei lagrimosi
ti cercano ancora prima di chiudersi per sempre. Ti vedrò, ti vedrò per l'ultima volta,
ti lascierò gli ultimi addio, e prenderò da te le tue lagrime, unico frutto di tanto
amore!
Io giungeva alle ore 5 da
Venezia, e lo incontrai pochi passi fuori della sua porta, mentr'ei s'avviava appunto per
dire addio a Teresa. La mia venuta improvvisa lo costernò; e molto più il mio
divisamento di accompagnarlo sino ad Ancona. Me ne ringraziava affettuosamente e tentò
ogni via di distormene; ma veggendo ch'io persisteva si tacque; e mi chiese di andare seco
lui fino a casa T***. Lungo il cammino non parlò; andava lento, ed aveva in volto una
mestissima sicurezza: ah doveva io pure avvedermi che in quel momento egli rivolgeva
nell'animo i supremi pensieri! Entrammo pel rastrello del giardino; ed ei soffermandosi,
alzò gli occhi al cielo, e dopo alcun tempo proruppe guardandomi: Pare anche a te che
oggi la luce sia più bella che mai?
Avvicinandosi alle stanze di Teresa, io intesi la
voce di lei: - ma il suo cuore non si può cangiare: - né so se Jacopo che m'era
dietro uno o due passi, abbia udito queste parole; non ne riparlò. Noi vi trovammo il
marito che passeggiava, e il padre di Teresa seduto nel fondo della stanza presso ad un
tavolino con la fronte su la palma della mano. Restammo assai tempo tutti muti. Jacopo
finalmente. Domattina, disse, non sarò più qui - e rizzandosi, si accostò
a Teresa e le baciò la mano, ed io vidi le lagrime su gli occhi di lei; e Jacopo
tenendola ancora per mano la pregava perché facesse chiamare la Isabellina. Le strida e
il pianto di questa fanciulla furono così improvvise ed inconsolabili che niuno di noi
poté frenare le lagrime. Appena ella udì ch'ei partiva, gli si attaccò al collo e
singhiozzando gli ripeteva: o mio Jacopo perché mi lasci? o mio Jacopo torna presto:
né potendo egli resistere a tanto pietà, posò l'Isabellina fra le braccia di Teresa che
non proferì mai parola - Addio, egli dissele, addio - e uscì. Il signore
di T** lo accompagnò sino al limitare della casa e lo abbracciò più volte e lo baciò
gemendo. Odoardo che gli era a lato ne strinse la mano, augurandoci il buon viaggio.
Era già notte; e non sì tosto fummo a casa egli
comandò a Michele di allestire il forziere, e mi pregò istantemente perché tornassi a
Padova a pigliare le lettere esibitegli dal professore C***. E partii sul fatto.
Allora sotto la lettera che la mattina avea
apparecchiata per me, aggiunse questo proscritto:
Poiché non ho potuto risparmiarti il
cordoglio di prestarmi gli ufficj supremi - e già m'era, prima che tu venissi, risolto di
scriverne al parroco - aggiungi anche questa ultima pietà ai tanti tuoi beneficj. Fa
ch'io sia sepolto, così come sarò trovato, in un sito abbandonato, di notte senza
esequie, senza lapide, sotto i pini del colle che guarda la chiesa. Il ritratto di Teresa
sia sotterrato col mio cadavere.
25
Marzo, 1799
L'amico tuo JACOPO ORTIS |
Uscì nuovamente: e trovandosi
alle ore 11 appiè di un monte due miglia discosto dalla sua casa, bussò alla porta di un
contadino, e lo destò domandandogli dell'acqua, e ne bevve molta.
Ritornato a casa dopo la mezzanotte, uscì tosto di
stanza, e porse al ragazzo una lettera sigillata per me, raccomandandogli di consegnarla a
me solo. E stringendogli la mano: Addio Michele! amami; e lo mirava affettuosamente
- poi lasciatolo a un tratto, rientrò, serrandosi dietro la porta. Continuò la lettera
per Teresa.
Ore 1 |
Ho visitato le
mie montagne, ho visitato il lago de' cinque fonti, ho salutato per sempre le selve, i
campi, il cielo. O mie solitudini! o rivo, che mi hai la prima volta insegnato la casa di
quella fanciulla celeste! quante volte ho sparpagliato i fiori su le tue acque che
passavano sotto le sue finestre! quante volte ho passeggiato con Teresa per le tue sponde,
mentr'io inebbriandomi della voluttà di adorarla, vuotava a gran sorsi il calice della
morte.
Sacro gelso! ti ho pure adorato; ti ho pure lasciati
gli ultimi gemiti, e gli ultimi ringraziamenti. Mi sono prostrato, o mia Teresa, presso a
quel tronco; e quell'erba ha dianzi bevute le più dolci lagrime ch'io abbia versato mai;
mi pareva ancora calda dell'orma del tuo corpo divino; mi pareva ancora odorosa. Beata
sera! come tu sei stampata nel mio petto! - io stava seduto al tuo fianco, o Teresa, e il
raggio della luna penetrando fra i rami illuminava il tuo angelico viso! io vidi scorrere
su le tue guance una lagrima; e la ho succhiata, e le nostre labbra, e i nostri respiri,
si sono confusi, e l'anima mia si trasfondea nel tuo petto. Era la sera de' 13 Maggio era
giorno di giovedì. Da indi in qua non è passato momento ch'io non mi sia confortato con
la ricordanza di quella sera: mi sono reputato persona sacra, e non ho degnata più alcuna
donna di un guardo credendola immeritevole di me - di me che ho sentita tutta la
beatitudine di un tuo bacio.
T'amai dunque t'amai, e t'amo ancor di un amore che
non si può concepire che da me solo. È poco prezzo, o mio angelo, la morte per chi ha
potuto udir che tu l'ami, e sentirsi scorrere in tutta l'anima la voluttà del tuo bacio,
e piangere teco - io sto col piè nella fossa; eppure tu anche in questo frangente
ritorni, come solevi, davanti a questi occhi che morendo si fissano in te, in te che sacra
risplendi di tutta la tua bellezza. E fra poco! Tutto è apparecchiato; la notte è già
troppo avvanzata - addio - fra poco saremo disgiunti dal nulla, o dalla incomprensibile
eternità. Nel nulla? Sì. - Sì, sì; poiché sarò senza di te, io prego il sommo Iddio,
se non ci riserba alcun luogo ov'io possa riunirmi teco per sempre, le prego dalle viscere
dell'anima mia, e in questa tremenda ora della morte, perché egli m'abbandoni soltanto
nel nulla. Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del
tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai - ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri
miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri.
Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice
destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'io pronunzio gittandomi nella
notte della morte: Teresa è innocente. - Ora tu accogli l'anima mia.
Il ragazzo,
che dormiva nella camera contigua all'appartamento di Jacopo, fu scosso come da un lungo
gemito: tese l'orecchio per sincerarsi s'ei lo chiamava; aprì la finestra sospettando
ch'io avessi gridato all'uscio, da che stava avvertito ch'io sarei tornato sul far del
dì; ma chiaritosi che tutto era quiete e la notte ancor fitta, tornò a coricarsi e si
addormentò. Mi disse poi che quel gemito gli aveva fatto paura: ma che non vi badò più
che tanto perché il suo padrone soleva alle volte smaniare fra il sonno.
La mattina, Michele dopo aver bussato e chiamato un
pezzo alla porta, sconficcò il chiavistello; e non udendosi rispondere nella prima
camera, s'innoltrò perplesso; e al chiarore della lucerna che ardeva tuttavia, gli si
affacciò Jacopo agonizzante nel proprio sangue. Spalancò le finestre chiamando gente, e
perché nessuno accorreva, s'affrettò a casa del chirurgo, ma non lo trovò perché
assisteva a un moribondo; corse al parroco, ed anch'esso era fuori per lo stesso motivo.
Entrò ansante nel giardino di casa T*** mentre Teresa scendeva per uscire di casa con suo
marito, il quale appunto dicevale come dianzi avea risaputo che in quella notte Jacopo non
era altrimenti partito; ed ella sperò di potergli dire addio un'altra volta: e scorgendo
il servo da lontano voltò il viso verso il cancello donde Jacopo soleva sempre venire, e
con una mano si sgombrò il velo che cadevale sulla fronte, e rimirava intentamente,
costretta da dolorosa impazienza di accertarsi s'ei pur veniva: e le si accostò a un
tratto Michele domandando aiuto, perché il suo padrone s'era ferito, e che non gli parea
ancora morto: ed essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il cancello:
poi senza mandare lagrima né parola, cascò tramortita fra le braccia di Odoardo.
Il signore T*** accorse sperando di salvare la vita
del suo misero amico. Lo trovò steso sopra un sofà con tutta quasi la faccia nascosta
fra' cuscini: immobile, se non che ad ora ad ora anelava. S'era piantato un puguale sotto
la mammella sinistra ma se l'era cavato dalla ferita, e gli era caduto a terra. Il suo
abito nero e il fazzoletto da collo stavano gittati sopra una sedia vicina. Era vestito
del gilè, de' calzoni lunghi e degli stivali; e cinto d'una fascia larghissima di seta di
cui un capo pendeva insanguinato, perché forse morendo tentò di svolgersela dal corpo.
Il signore T*** gli sollevava lievemente dal petto la camicia, che tutta inzuppata di
sangue gli si era rappressa su la ferita. Jacopo si risentì; e sollevò il viso verso di
lui; e riguardandolo con gli occhi nuotanti nella morte, stese un braccio, come per
impedirlo, e tentava con l'altro di stringergli la mano - ma ricascando con la testa su i
guanciali, alzò gli occhi al cielo, e spirò.
La ferita era assai larga, e profonda; e sebbene non
avesse colpito il cuore, egli si affrettò la morte lasciando perdere il sangue che andava
a rivi per la stanza. Gli pendeva dal collo il ritratto di Teresa tutto nero di sangue, se
non che era alquanto polito nel mezzo; e le labbra insanguinate di Jacopo fanno
congetturare ch'ei nell'agonia baciasse la immagine della sua amica. Stava su lo scrittojo
la Bibbia chiusa, e sovr'essa l'oriuolo; e presso, varj fogli bianchi; in uno de' quali
era scritto: Mia cara madre: e da poche linee cassate, appena si potea rilevare,
espiazione; e più sotto; di pianto eterno. In un altro foglio si leggeva soltanto
l'indirizzo a sua madre, come se pentitosi della prima lettera ne avesse incominciata
un'altra che non gli bastò il cuore di continuare.
Appena io giunsi da Padova ove m'era convenuto
indugiare più ch'io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de' contadini che
s'affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno
mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s'appresentò il padre di
Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per
terra. Non so come ebbi tanta forza d'avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la
ferita; era morto, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando
stupidamente quel sangue: finché venne il parroco e subito dopo il chirurgo, i quali con
alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Teresa visse in tutti que'
giorni fra il lutto de' suoi in un mortale silenzio. - La notte mi strascinai dietro al
cadavere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de' pini.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 18 luglio 2000