Ugo Foscolo
Ultime lettere di Jacopo Ortis
Tu forse, o Lettore, ti se'
fatto amico di Jacopo, e brami di sapere la storia della sua passione; onde io per
narrartela andrò quindi innanzi interrompendo la serie delle sue lettere.
La morte di Lauretta esacerbò la sua malinconia fatta
ancora più nera per l'imminente ritorno di Odoardo. Diradò le sue visite in casa T***, e
non parlava con anima nata. Dimagrato, sparuto, con gli occhi incavati, ma spalancati e
pensosi, la voce cupa, i passi tardi, andava per lo più inferrajuolato, senza cappello, e
con le chiome giù per la faccia; vegliava le notti intere girando per le campagne, e il
giorno fu spesso veduto dormire sotta qualche albero.
In questa, tornò Odoardo in compagnia di un giovine
pittore che ripatriava da Roma. Quel giorno stesso incontrarono Jacopo. Odoardo gli si fe'
incontro abbracciandolo; Jacopo quasi sbigottito si arretrò. Il pittore gli disse che
avendo udito a parlare di lui e dell'ingegno suo, da gran tempo bramava di conoscerlo di
persona. - Ei lo interruppe?: Io? - io, signor mio, non ho mai potuto conoscere me
medesimo negli altri mortali; però non credo che gli altri possano mai conoscere se
medesimi in me. Gli domandarono interpretazione di sì ambigue parole; ed ei per tutta
risposta si ravvolse nel suo tabarro, si cacciò fra gli alberi; e sparì. Odoardo si
dolse di questo contegno col padre di Teresa, il quale già incominciava a temere della
passione di Jacopo.
Teresa dotata di una indole meno risentita, ma
passionata ed ingenua; propensa a una affettuosa malinconia, priva nella solitudine d'ogni
altro amico di cuore, nell'età in cui parla in noi la dolce necessità di amare e di
essere riamati, incominciò a confidare a Jacopo tutta l'anima sua, e a poco a poco se ne
innamorò; ma non ardiva confessarlo a se stessa: e dopo la sera di quel bacio viveva
assai riservata, sfuggendo l'amante, e tremando alla presenza del padre. Allontanata da
sua madre, senza consiglio e senza conforto, atterrita dal suo stato futuro, e dalla
virtù e dall'amore, diventò solitaria, non parlava quasi mai, leggeva sempre, trascurava
e il disegno, e la sua arpa, e il suo abbigliamento, e fu spesso sorpresa dai famigliari
con le lagrime agli occhi. Scansava la compagnia delle giovinette sue amiche che a
primavera villeggiavano a' colli Euganei; e dileguandosi a tutti e alla sua sorellina,
sedeva molte ore ne' luoghi più appartati del suo giardino. Regnava quindi in quella casa
un silenzio e una certa diffidenza che turbarono lo sposo trafitto anche da' modi sdegnosi
di Jacopo incapace di simulazione. Naturalmente parlava con enfasi; e sebbene conversando
fosse taciturno, fra' suoi amici era loquace, pronto al riso, e ad una allegria schietta,
eccessiva. Ma in que' giorni le sue parole ed ogni suo atto erano veementi e amari come
l'anima sua. Istigato una sera da Odoardo che giustificava il trattato di Campo Formio, si
diede a disputare, a gridare come un invasato, a minacciare, a percuotersi la testa, e a
piangere d'ira. Avea sempre un'aria assoluta; ma il signore T*** mi raccontava che allora
o stava sepolto ne' suoi pensieri, o se discorreva, s'infiammava d'improvviso; i suoi
occhi metteano paura, e talvolta fra il discorso gli abbassava inondati di pianto. Odoardo
si fe' più circospetto, e sospettò del cangiamento di Jacopo.
Così passò tutto Giugno. Il misero giovine diveniva
ogni dì più tetro ed infermo; né scriveva più alla sua famiglia, né rispondeva alle
mie lettere. Spesso fu veduto da' contadini cavalcare a briglia sciolta per luoghi
scoscesi, e in mezzo alle fratte e a traverso de' fossi, ed è maraviglia com'ei non sia
pericolato. Una mattina il pittore stando a ritrarre la prospettiva de' monti, udì la sua
voce fra il bosco: gli si accostò di soppiatto, e intese ch'ei declamava una scena del Saule.
Allora gli riuscì di disegnare il ritratto dell'Ortis, che sta in fronte a questa
edizione, appunto quand'ei si soffermava pensoso dopo avere proferito que' versi dell'atto
I, scena I.
....
Precipitoso Già mi sarei fra gl'inimici ferri Scagliato io da gran tempo; avrei già tronca Così la vita orribile ch'io vivo. |
Poi lo vide arrampicarsi sino alla cima della montagna, guardare
all'ingiù risolutamente con le braccia aperte, e tutto ad un tratto arretrarsi
esclamando: O madre mia!
Una domenica rimase a desinare in casa T***. Pregò
Teresa perché suonasse, e le porse l'arpa egli stesso. Mentr'ella incominciava, entrò
suo padre e le s'assise da canto. Jacopo pareva inondato da una dolce mestizia e il suo
aspetto si andava rianimando; ma a poco a poco chinò la testa, e ricadde in una
malinconia più compassionevole di prima. Teresa lo sogguardava e sforzavasi di reprimere
il pianto: Jacopo se n'avvide, né potendosi contenere, s'alzò e partì. Il padre
intenerito si voltò a Teresa dicendole: O figlia mia, tu vuoi dunque precipitare teco
noi tutti? A queste parole le sgorgarono d'improvviso le lagrime; si gittò fra le
braccia di suo padre, e gli confessò. In questa entrava Odoardo; e la subita partenza di
Jacopo, e l'atteggiamento di Teresa, e il turbamento del signore T*** lo raffermarono ne'
suoi dubbj. Queste cose le ho udite dalla bocca di Teresa.
Il dì seguente, che fu la mattina de' 7 luglio,
Jacopo andò da Teresa, e vi trovò lo sposo, e il pittore che le faceva il ritratto
nuziale. Teresa confusa e tremante uscì in fretta come per badare a qualche cosa di cui
si era dimenticata; ma passando davanti a Jacopo gli disse ansiosamente sottovoce: Mio
padre sa tutto. Ei non fe' motto né cambiò viso; passeggiò tre o quattro volte su e
giù per la stanza, ed uscì. Per tutto quel giorno non si lasciò vedere ad uomo vivente.
Michele che lo aspettava a desinare, ne cercò invano. Non si ridusse a casa che a
mezzanotte suonata. Si sdrajò vestito sul letto, e mandò a dormire il ragazzo. Poco dopo
s'alzò e scrisse.
Mezzanotte |
Io mandava alla Divinità i miei
ringraziamenti, e i miei voti, ma io non la ho mai temuta. Eppure adesso che sento tutto
il flagello delle sventure, io la temo e la supplico.
Il mio intelletto è acciecato, la mia anima è
prostrata, il mio corpo è sbattuto dal languore della morte.
È vero! i disgraziati hanno bisogno di un altro mondo
diverso da questo dove mangiano un pane amaro, e bevono l'acqua mescolata alle lagrime. La
immaginazione lo crea, e il cuore si consola. La virtù sempre infelice quaggiù persevera
con la speranza di un premio - ma sciagurati coloro che per non essere scellerati hanno
bisogno della religione!
Mi sono prostrato in una chiesetta posta in Arquà,
perché io sentiva che la mano di Dio pesava sopra il mio cuore.
Son io debole forse, Lorenzo? Il cielo non ti faccia
mai sentire la necessità della solitudine, delle lagrime, e di una chiesa!
Ore 2 |
Il Cielo è tempestoso: le stelle rare e pallide; e la Luna mezza sepolta fra le nuvole batte con raggi lividi le mie finestre.
All'alba |
Lorenzo, non odi? t'invoca l'amico
tuo: qual sonno! spunta un raggio di giorno e forse per rinsanguinare i miei mali. - Dio
non mi ode. Mi condanna anzi ad ogni minuto all'agonia della morte; e mi costringe a
maledire i miei giorni che pur non sono macchiati di alcun delitto.
Che? se tu se' un Dio forte, prepotente, geloso,
che rivedi le iniquità de' padri ne' figli, e che visiti nel tuo furore la terza e la
quarta generazione, dovrò io sperar di placarti? Manda in me - bensì non in altri
che in me - l'ira tua, la quale raccende nell'inferno le fiamme che dovranno ardere
milioni e milioni di popoli a' quali non ti se' fatto conoscere. - Ma Teresa è innocente:
e anziché stimarti crudele, t'adora con serenità soavissima d'animo. Io non t'adoro,
appunto perché ti pavento - e sento pure che ho bisogno di te. Spogliati, deh! spogliati
degli attributi di cui gli uomini t'hanno vestito per farti simile a loro. Non se' tu
forse il Consolatore degli afflitti? E il tuo Figlio Divino non si chiamava egli il Figlio
dell'Uomo? Odimi dunque. Questo cuore ti sente, ma non t'offendere del gemito a cui la
Natura costringe le viscere dilaniate dell'uomo. E mormoro contro di te, e piango, e
t'invoco, sperando di liberare l'anima mia - di liberarla? ma e come, se non è piena di
te? se non ti ha implorato nella prosperità, e solo rifugge al tuo ajuto, e domanda il
tuo braccio or quando è atterrata nella miseria? se ti teme, e non ha in te veruna
speranza? Né spera, né desidera che Teresa: e ti vedo in lei sola.
Ecco, o Lorenzo, fuor delle mie labbra il delitto per
cui Dio ha ritirato il suo sguardo da me. Non l'ho mai adorato come adoro Teresa. -
Bestemmia! Pari a Dio colei che sarà a un soffio scheletro e nulla? Vedi l'uomo umiliato.
Dovrò dunque io anteporre Teresa a Dio? - Ah da lei si spande beltà celeste ed immensa,
beltà onnipotente. Misuro l'universo con uno sguardo; contemplo con occhio attonito
l'eternità; tutto è caos, tutto sfuma, e s'annulla; Dio mi diventa incomprensibile; e
Teresa mi sta sempre davanti.
Dopo due giorni ammalò. Il
padre di Teresa andò a visitarlo, e si giovò di quell'occasione a persuaderlo che
s'allontanasse da' colli Euganei. Come discreto e generoso ch'egli era, stimava l'ingegno
e l'animo di Jacopo, e lo amava come il più caro amico ch'ei potesse aver mai; e
m'accertò che in circostanze diverse avrebbe creduto d'ornare la sua famiglia pigliandosi
per genero un giovine che se partecipava d'alcuni errori del nostro tempo, ed era dotato
d'indomita tempra di cuore, aveva a ogni modo, al dire del signore T***, opinioni e virtù
degne de' secoli antichi. Ma Odoardo era ricco, e di una famiglia sotto la cui parentela
il signore T*** fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de' suoi nemici, i quali lo
accusavano d'avere desiderato la verace libertà del suo paese; delitto capitale in
Italia. Bensì imparentandosi all'Ortis, avrebbe accelerato la rovina di lui, e della
propria famiglia. Oltre di che aveva obbligata la sua fede; e per mantenerla s'era ridotto
a dividersi da una moglie a lui cara. Né i suoi bilanci domestici gli assentivano di
accasare Teresa con una gran dote, necessaria alle mediocri sostanze dell'Ortis. Il
signore T*** mi scrisse queste cose, e le disse a Jacopo che sapeale da sé, e le ascoltò
con aspetto riposatissimo; ma non sì tosto udì parlare di dote. - No, lo
interruppe, esule, povero, oscuro a tutti i mortali, mi vorrei sotterrar vivo anziché
domandarvi vostra figlia in sposa. Sono sfortunato, non però vile. - Né i miei figliuoli
dovranno riconoscere mai la loro fortuna dalla ricchezza della loro madre. Vostra figlia
è più ricca di me, ed è promessa. - Dunque? rispose il signore T***. - Jacopo non
fiatò. Alzò gli occhi al cielo, e dopo molta ora: O Teresa, esclamò, sarai a
ogni modo infelice! - O amico mio, gli soggiunse allora amorevolmente il signore T***,
e per chi mai cominciò ad essere misera se non per voi? Erasi già per amor mio
rassegnata al suo stato; e sola poteva rappacificare una volta i suoi poveri genitori. Vi
ha amato; e voi che pure l'amate con sì altera generosità, voi pur le rapite uno sposo,
e manterrete discorde una casa ove foste, e siete, e sarete sempre accolto come figliuolo.
Arrendetevi; allontanatevi per alcuni mesi. Forse avreste trovato in altri un padre
severo: ma io! - sono stato anch'io sventurato; ho provato le passioni, pur troppo! e ne
provo - e ho imparato a compiangerle, perché sento io pure il bisogno d'essere compatito.
Bensì da voi solo all'età mia quasi canuta ho imparato come alle volte si stima l'uomo
che ci danneggia, massime se è dotato di tale carattere da far parere generosi e tremendi
gli affetti che in altri pajoni colpevoli insieme e risibili. Né io vel dissimulo: voi,
dal dì che primamente vi ho conosciuto, avete assunto tale inesplicabile predominio sopra
di me, da costringermi a temervi insieme ed amarvi: e spesso andava noverando i minuti per
impazienza di rivedervi, e nel tempo stesso io sentivami preso d'un tremito subitaneo e
secreto allorché i miei servi mi davano avviso che voi salivate le scale. Or voi abbiate
pietà di me, e della vostra gioventù, e della fama di Teresa. La sua beltà e la sua
salute vanno languendo; le sue viscere si struggono nel silenzio, e per voi. Io vi
scongiuro in nome di Teresa, partite; sacrificate la vostra passione alla sua quiete; e
non vogliate ch'io sia l'amico insieme e il marito e il padre più misero che sia mai
nato. - Jacopo parea intenerito: non però mutò aspetto, né gli cadde lagrima dagli
occhi, né rispose parola; benché il signore T*** a mezzo il discorso si rattenesse a
stento dal piangere: e restò a canto al letto di Jacopo sino a notte tardissima: ma né
l'uno né l'altro aprirono più bocca se non quando si dissero addio. - La malattia del
giovine aggravò; e ne' giorni seguenti fu sovrappreso da febbre pericolosa.
Frattanto io sgomentato e dalle lettere recenti di
Jacopo, e da quelle del padre di Teresa, studiava ogni via per accelerare la partenza
dell'amico mio, come solo rimedio alla sua violenta passione. Né ebbi cuore di rivelarla
a sua madre, la quale aveva già avuto molte altre dolorosissime prove dell'indole sua
capace d'eccessi; e le dissi soltanto, ch'era un po' malato, e che il mutar aria gli
avrebbe certamente giovato.
In quel tempo stesso incominciavano a inferocire in
Venezia le persecuzioni. Non v'erano leggi; ma tribunali arbitrarj; non accusatori, non
difensori; bensì spie di pensieri, delitti nuovi, ignoti a chi n'era punito, e pene
subite, inappellabili. I più sospettati gemevano carcerati; gli altri, benché d'antica e
specchiata fama, erano tolti di notte alle proprie case, manomessi dagli sgherri,
strascinati a' confini e abbandonati alla ventura, senza l'addio de' congiunti, e
destituti d'ogni umano soccorso. Per alcuni pochi l'esilio scevro da questi modi violenti
ed infami fu somma clemenza. Ed io pure tardo, e non ultimo e tacito martire, vo da più
mesi profugo per l'Italia volgendo senza nessuna speranza gli occhi lagrimosi alle sponde
della mia patria. Onde io allora, adombrato anche per la libertà di Jacopo, persuasi sua
madre, quantunque desolatissima, a raccomandargli che sino a tempi migliori cercasse
rifuggio in altro paese; tanto più che quando s'era partito di Padova, si scusò
allegando gli stessi pericoli. Fu fidata la lettera a un servo il quale giunse a' colli
Euganei la sera de' 15 Luglio, e trovò Jacopo ancora a letto, sebbene migliorato d'assai.
Gli sedeva vicino il padre di Teresa. Lesse la lettera sommessamente, e la posò sul
guanciale; poco dopo la rilesse, e parve commosso; ma non ne parlò.
Il dì 19 s'alzò da letto. In quel giorno stesso sua
madre gli riscrisse inviandogli danaro, due cambiali, e parecchie commendatizie, e
scongiurandolo per le viscere di Dio che partisse. Assai prima di sera andò da Teresa; e
non trovò che l'Isabellina la quale tutta intenerita contò ch'ei s'assise muto, si
rizzò, la baciò, e se ne andò. Tornò dopo un'ora, e salendo per le scale la incontrò
nuovamente, e se la strinse al petto, la baciò più volte, e la bagnò di lagrime. Si
pose a scrivere, mutò varii fogli, e li stracciò poi tutti. Si aggirò pensieroso per
l'orto. Un servo passandovi su l'imbrunire, lo vide sdrajato: ripassando, lo trovò ritto
presso al rastrello in atto d'uscire, e col capo rivolto attentissimo verso la casa ch'era
battuta dalla Luna.
Tornatosi a casa, rimandò il messo rispondendo a sua
madre, che domani su l'alba partiva. Fece ordinare i cavalli alla posta più vicina.
Innanzi di coricarsi, scrisse la lettera seguente per Teresa, e la consegnò all'ortolano.
All'alba partì.
Ore 9 |
Perdonami, Teresa; io ho funestato la tua giovinezza, e la quiete della tua casa; ma fuggirò. Né io mi credeva dotato di tanta costanza. Posso lasciarti, e non morir di dolore; e non è poco; usiamo dunque di questo momento finché il cuore mi regge, e la ragione non mi abbandona affatto. Pur la mia mente è sepolta nel solo pensiero di amarti sempre e di piangerti. Ma sarà obbligo mio di non più scriverti, né di mai più rivederti se non se quando sarò certissimo di lasciarti quieta davvero. Oggi t'ho cercato invano per dirti addio. Abbiti almeno, o Teresa, queste ultime righe ch'io bagno, tu 'l vedi, d'amarissime lagrime. Mandami in qualunque tempo, in qualunque luogo il tuo ritratto. Se l'amicizia, se l'amore - o la compassione e la gratitudine ti parlano ancora per questo sconsolato, non negarmi il ristoro che addolcirà tutti i miei patimenti. Tuo padre stesso me lo concederà, spero - egli egli che potrà vederti, ed udirti, e sentirsi riconfortato da te; mentr'io nelle ore fantastiche del mio dolore e delle mie passioni, nojato da tutto il mondo, diffidente di tutti, camminando sopra la terra come di locanda in locanda, e drizzando volontariamente i miei passi verso la sepoltura - perché ho veramente necessità di riposo - io mi conforterò intanto baciando dì e notte l'immagine tua: e così tu m'infonderai da lontano costanza da sopportare questa mia vita, - e finché avrò forze, io la sopporterò per te, e te lo giuro. E tu prega - prega, o Teresa, dalle viscere del tuo cuore purissimo il Cielo - non che mi perdoni i dolori, che forse avrò meritati, e che forse sono inseparabili dalla tempra dell'anima mia - bensì che non mi levi le poche facoltà che ancora mi avanzano, da tollerarli. Con l'immagine tua farò men angosciose le mie notti, e meno tristi i miei giorni solitarj, que' giorni ch'io dovrò pur vivere senza di te. Morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti raccomanderò il mio sospiro; verserò sovra di te l'anima mia, ti porterò meco nella mia sepoltura attaccata al mio petto - e se è pure prescritto ch'io chiuda gli occhi in terra straniera, e dove nessun cuore mi piangerà, io ti richiamerò tacitamente al mio capezzale, e mi parrà di vederti in quell'aspetto, in quell'atto, con quella stessa pietà che io ti vedeva, quando una volta, assai prima che tu sapessi di amarmi, assai prima che tu t'accorgessi dell'amor mio - ed io era ancora innocente verso di te - mi assistevi nella mia malattia. - Di te non ho se non l'unica lettera che mi scrivesti quando io era in Padova: felice tempo! ma chi l'avrebbe mai detto? allora parevami che tu mi raccomandassi di ritornare: - ed ora? scrivo il decreto; ed eseguirò fra poche ore il decreto della nostra eterna separazione. Da quella tua lettera comincia la storia dell'amor nostro e non mi abbandonerà mai. O mia Teresa! e questi son pure delirj: ma sono insieme la sola consolazione di chi è insanabilmente infelice. Addio. Perdonami, mia Teresa - ohimè, io mi credeva più forte! - scrivo male e di un carattere appena leggibile; ma ho l'anima lacerata, e il pianto su gli occhi. Per carità non mi negare il tuo ritratto. Consegnalo a Lorenzo: e s'ei non me lo potrà far arrivare, lo custodirà come eredità santa che gli ricorderà sempre le tue virtù, e la tua bellezza, e l'unico eterno infelicissimo amore del suo misero amico. Addio - ma non è l'ultimo; mi rivedrai: e da quel giorno in poi sarò fatto tale da obbligare gli uomini ad avere pietà e rispetto alla nostra passione; e a te non sarà più delitto l'amarmi - pur se innanzi ch'io ti rivegga, il mio dolore mi scavasse la fossa, concedimi ch'io mi renda cara la morte con la certezza che tu m'hai amato. - Or sì ch'io sento in che dolore io ti lascio! Oh! potessi morire a' tuoi piedi: oh! morire ed essere sepolto nella terra che avrà le tue ossa - ma addio.
Michele dissemi che il suo podrone viaggiò per due poste silenziosissimo, e con aspetto assai calmo, e quasi sereno. Poi chiese il suo scrigno da viaggio; e tanto che si rimutavano i cavalli, scrisse il seguente biglietto al signore T***.
Signore ed amico mio.
All'ortolano di casa mia ho raccomandato jer sera una
lettera da ricapitarsi alla Signorina; - e bench'io l'abbia scritta quand'io già m'era
saldamente deliberato a questo partito d'allontanarmi, temo a ogni modo d'avere versato
sovra quel foglio tanta afflizione da contristare quella innocente. A lei dunque, signor
mio, non rincresca di farsi mandare quella lettera dall'ortolano; e gli fo' dire che non
la fidi se non a lei solo. La serbi così sigillata o la bruci. Ma perché alla sua
figliuola riescirebbe amarissimo ch'io mi partissi senza lasciarle un addio, e tutto jeri
non mi fu dato mai di vederla - ecco qui annesso un polizzino pur sigillato - ed ardisco
sperare ch'ella, signor mio, la consegnerà a Teresa T*** innanzi che diventi moglie del
marchese Odoardo. - Non so se ci rivedremo - ho ben decretato di morire, non foss'altro,
vicino alla mia casa paterna; ma quand'anche questo mio proponimento fosse deluso - sono
certo ch'ella, signore ed amico mio, non vorrà mai dimenticarsi di me.
Il signore T*** mi fe' capitare
la lettera per Teresa (che ho riportato dianzi) a sigillo inviolato; - né tardò a dare a
sua figlia il polizzino. L'ebbi sott'occhio; era di poche righe; e d'uomo che per allora
pareva tornato in sé.
Tutti quasi i frammenti che seguono mi vennero per la
posta in diversi fogli.
Rovigo, 20 Luglio |
Io la mirava e diceva a me stesso:
Che sarebbe di me se non potessi vederla più? e correva a piangere meco di consolazione
sapendo ch'io le era vicino - e adesso?
Cos'è più l'universo? qual parte mai della terra
potrà sostenermi senza Teresa? e mi pare di esserle lontano sognando. Ho avuto io tanta
costanza? e m'è bastato il cuore di partire così - senza vederla? né un bacio, né un
unico addio! A minuto a minuto credo di trovarmi alla porta della sua casa, e di leggere
nella mestizia del suo volto, che m'ama. Fuggo; e con che velocità ogni minuto mi porta
ognor più lontano da lei. E intanto? quante care illusioni! ma io l'ho perduta. Non so
più obbedire né alla mia volontà, né alla mia ragione, né al mio cuore sbalordito: mi
lascierò strascinare dal braccio prepotente del mio destino. Addio.
Ferrara, 20 Luglio, a sera |
Io traversava il Po e rimirava le
immense sue acque, e più volte fui per precipitarmi, e profondarmi, e perdermi per
sempre. Tutto è un punto! - ah s'io non avessi una madre cara e sventurata a cui la mia
morte costerebbe amarissime lagrime!
Né finirò così da codardo. Sosterrò tutta la mia
sciagura; berrò fino all'ultima lagrima il pianto che mi fu assegnato dal Cielo; e quando
le difese saranno vane, disperate tutte le passioni, tutte le forze consunte; quando io
avrò coraggio di mirare la Morte in faccia, e ragionare pacatamente con lei, ed
assaporare l'amaro suo calice, ed espiate le altrui lagrime, e disperato di rasciugarle -
allora.
Ma ora ch'io parlo non è forse tutto perduto? e non
mi resta che la sola memoria e la certezza che tutto è perduto: - hai tu provata mai
quella piena di dolore quando ci abbandonano tutte le speranze?
Né un bacio? né addio! - bensì le tue lagrime mi seguiranno nella mia sepoltura. La mia salute, la mia sorte, il mio cuore, tu - tu! - insomma tutto congiura, ed io vi obbedirò tutti.
Ore... |
E ho avuto cuore di abbandonarla? anzi ti ho abbandonata, o Teresa, in uno stato più deplorabile del mio. Chi sarà tuo consolatore? e tremerai al solo mio nome poiché t'ho fatto vedere io - io primo, io unico sull'aurora della tua vita, le tempeste e le tenebre della sventura; e tu, o giovinetta, non sei ancora sì forte né da tollerare né da fuggire la vita. Tu, per anche non sai che l'alba e la sera sono tutt'uno. Ah né io te lo voglio persuadere! - eppure non abbiamo più ajuto veruno dagli uomini, nessuna consolazione in noi stessi. Ormai non so che supplicare il sommo Iddio, e supplicarlo co' miei gemiti, e cercare alcuna speranza fuori di questo mondo dove tutti ci perseguitano e ci abbandonano. E se gli spasimi, e le preghiere, e il rimorso ch'è fatto già mio carnefice, fossero offerte accolte dal Cielo, ah! tu non saresti così infelice, ed io benedirei tutti i miei tormenti. Frattanto nella mia disperazione mortale chi sa in che pericoli tu sei! né io posso difenderti, né rasciugare il tuo pianto, né raccogliere nel mio petto i tuoi secreti, né partecipare delle tue afflizioni; non so né dove fuggo, né come ti lascio, né quando potrò più rivederti.
Padre crudele - Teresa è sangue tuo! quell'altare è profanato; la Natura ed il Cielo maledicono quei giuramenti; il ribrezzo, la gelosia, la discordia ed il pentimento gireranno fremendo intorno a quel letto e insanguineranno forse quelle catene. Teresa è figlia tua; placati. Ti pentirai amaramente, ma tardi: fors'ella un giorno nell'orrore del suo stato maledirà i suoi giorni e i suoi genitori, e conturberà con le sue querele le tue ossa nel sepolcro, quando tu non potrai se non intenderla di sotterra. Placati. - Ohimè! tu non mi ascolti - e dove me la trascini? - la vittima è sacrificata! io odo il suo gemito - il mio nome nel suo ultimo gemito! Barbari! tremate - il vostro sangue, il mio sangue - Teresa sarà vendicata. - Ahi delirio! - ma io son pure omicida.
Ma tu, Lorenzo mio, che non mi
ajuti? io non ti scriveva perché un'eterna tempesta d'ira, di gelosia, di vendetta, di
amore infuriava dentro di me; e tante passioni mi si gonfiavano nel petto, e mi
soffocavano, e mi strozzavano quasi; io non poteva mandare parola, e sentiva il dolore
impietrito dentro di me - e questo dolore regna ancora e mi chiude la voce e i sospiri, e
m'inaridisce le lagrime: - mi sento mancata gran parte della vita, e quel poco che pure mi
resta è avvilito dal languore e dalla oscurità della morte.
Or mi adiro sovente di essere partito, e mi accuso di
viltà. - Perché mai non hanno ardito d'insultare alla mia passione? Se taluno avesse
comandato a quella misera di non rivedermi; se me l'avessero a viva forza strappata, pensi
tu ch'io l'avrei lasciata mai? Ma doveva io pagare d'ingratitudine un padre che mi
chiamava amico, che tante volte commosso mi abbracciava dicendomi: E perché la sorte
ti ha pur unito a noi disgraziati? Poteva io precipitare nel disonore e nella
persecuzione una famiglia che in altre circostanze avrebbe diviso meco e la prosperità e
l'infortunio? E che poteva io rispondergli quand'ei mi diceva sospirando e pregandomi: - Teresa
è mia figlia! - Sì! divorerò nel rimorso e nella solitudine tutti i miei giorni: ma
ringrazierò quella tremenda mano invisibile che mi rapì da quel precipizio donde io
cadendo avrei strascinato meco nella voragine quella giovinetta innocente. E mi seguitava;
ed io crudele andava pur soffermandomi, e voltando gli occhi guardando se affrettavasi
dietro a' miei passi precipitosi - e mi seguitava; ma con animo spaventato, e con deboli
forze. Che? Or non son io seduttore? - e non dovrò tormele eternamente dagli occhi?
Potessi anzi nascondermi a tutto l'universo e piangere le mie sciagure! ma piangerli
quando io gli ho esacerbati?
Niuno sa quale segreto sta sepolto
qui dentro - e questo sudore freddo improvviso - e questo arretrarmi - e il lamento che
tutte le sere vien di sotterra, e mi chiama - e quel cadavere - perché io, Lorenzo, non
sono forse omicida; ma pur mi veggo insanguinato d'un omicidio.
Spunta appena il giorno, ed io sto per partire. Da
quanto tempo l'aurora mi trova sempre in un sonno da infermo! La notte non trovo mai posa.
Poco fa io spalancava gli occhi urlando e guatandomi intorno come se mi vedessi sul capo
il manigoldo. Sento nello svegliarmi certi terrori, simile a quegli sciagurati che hanno
le mani calde di delitto. - Addio addio. Parto, e ognor più lontano. Ti scriverò da
Bologna dentr'oggi. Ringrazia mia madre. Pregala perché benedica il suo povero figliuolo.
S'ella sapesse tutto il mio stato! ma taci: su le sue piaghe non aprire un'altra piaga.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe Bonghi
@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 18 luglio 2000