Ugo Foscolo
Ultime lettere di Jacopo Ortis
Da' colli Euganei, 3 Gennajo 1798 |
Perdona; ti credeva più savio. - Il genere
umano è questo branco di ciechi che tu vedi urtarsi, spingersi, battersi, e incontrare o
strascinarsi dietro la inesorabile fatalità. A che dunque seguire, o temere ciò che ti
deve succedere?
M'inganno? l'umana prudenza può rompere questa catena
invisibile di casi e d'infiniti minimi accidenti che noi chiamiamo destino? sia: ma può
ella per questo mettere sicuro lo sguardo fra le ombre dell'avvenire? O! tu nuovamente mi
esorti a fuggire Teresa; e gli è come dirmi: Abbandona ciò che ti fa cara la vita; trema
del male, e t'imbatti nel peggio. Ma poniamo ch'io paventando il pericolo da prudente,
dovessi chiudere l'anima mia a ogni barlume di felicità, tutta la mia vita non
somiglierebbe forse le austere giornate di questa nebbiosa stagione, le quali ci fanno
desiderare di poter non esistere fin tanto ch'esse rattristano la Natura? Di' il vero,
Lorenzo; or non saria meglio che parte almeno del mattino fosse confortata dal raggio del
Sole anche a patti che la notte si rapisse il dì innanzi sera? Che s'io dovessi far
sempre la guardia a questo mio cuore prepotente, sarei con me stesso in eterna guerra, e
senza pro. Navigherò per perduto, e vada come sa andare. - Intanto io
Sento l'aura mia antica, e i dolci colli Veggo apparir! |
10 Gennajo |
Odoardo spera distrigato il suo affare tra un mese; così scrive: tornerà dunque, a dir tardi, a primavera. - Allora sì, verso ai primi d'Aprile, crederò ragionevole di partirmi.
19 Gennajo |
Umana vita? sogno; ingannevole sogno
al quale noi pur diam sì gran prezzo, siccome le donnicciuole ripongono la loro ventura
nelle superstizioni e ne' presagj! Bada; ciò cui tu stendi avidamente la mano è un'ombra
forse, che mentre è a te cara, a tal altro è nojosa. Sta dunque tutta la mia felicità
nella vota apparenza delle cose che ora m'attorniano; e s'io cerco alcun che di reale, o
torno a ingannarmi, o spazio attonito e spaventato nel nulla! Io non lo so; ma, per me,
temo che Natura abbia costituito la nostra specie quasi minimo anello passivo
dell'incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto amor proprio, perché il sommo
timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di
beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa esistenza breve, dubbia, infelice. E
mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro orgoglio che ci fa
reputare l'universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar leggi al creato.
Andava dianzi perdendomi per le campagne, inferrajuolato
sino agli occhi, considerando lo squallore della terra tutta sepolta sotto le nevi, senza
erba né fronda che mi attestasse le sue passate dovizie. Né potevano gli occhi miei
lungamente fissarsi su le spalle de' monti, il vertice de' quali era immerso in una negra
nube di gelida nebbia che piombava ad accrescere il lutto dell'aere freddo ed ottenebrato.
E parevami vedere quelle nevi disciogliersi e precipitare a torrenti che innondavano il
piano, trascinandosi impetuosamente piante, armenti, capanne, e sterminando in un giorno
le fatiche di tanti anni, e le speranze di tante famiglie. Trapelava di quando in quando
un raggio di Sole, il quale quantunque restasse poi soverchiato dalla caligine, lasciava
pur divedere che sua mercé soltanto il mondo non era dominato da una perpetua notte
profonda. Ed io rivolgendomi a quella parte di cielo che albeggiando manteneva ancora le
tracce del suo splendore: - O Sole, diss'io, tutto cangia quaggiù! E verrà giorno che
Dio ritirerà il suo sguardo da te, e tu pure sarai trasformato; né più allora le nubi
corteggeranno i tuoi raggi cadenti; né più l'alba inghirlandata di celesti rose verrà
cinta di un tuo raggio su l'oriente ad annunziar che tu sorgi. Godi intanto della tua
carriera, che sarà forse affannosa, e simile a questa dell'uomo; tu 'l vedi; l'uomo non
gode de' suoi giorni; e se talvolta gli è dato di passeggiare per li fiorenti prati
d'Aprile, dee pur sempre temere l'infocato aere dell'estate, e il ghiaccio mortale del
verno.
22 Gennajo |
Così va, caro amico: - stavami al
focolare del mio castaldo, dove alcuni villani de' contorni s'adunano a crocchio a
scaldarsi, contandosi le loro novelle e le antiche avventure. Entrò una ragazza scalza,
assiderata, e fattasi all'ortolano, lo richiese della limosina per la povera vecchia.
Mentre la si stava rifocillando al fuoco, esso le preparava due fasci di legna e due pani
bigi. La villanella se li pigliò, e salutandoci, uscì. Usciva io pure, e senz'avvedermi,
la seguitava calcando dietro le sue peste la neve. Giunta a un mucchio di ghiaccio, si
soffermò esaminando con gli occhi un altro sentiero, ed io raggiungendola: - Andate voi
lontano ragazza? - Signor mio, no; un mezzo miglio. - Pur que' due fasci vi fanno
camminare a disagio; lasciatene portare uno anche a me. - I fasci tanto non mi darebbero
noja se me li potessi reggere sulla spalla con tutte due le braccia; ma questi due pani
m'intrigano. - Or via, porterò i pani. - Non fiatò, e la si fe' tutta rossa, e mi porse
i pani ch'io mi riposi sotto il tabarro. Dopo breve ora entrammo in una capannuccia.
Sedeva in un cantuccio una vecchierella con un caldano fra piedi pieno di brace smorzata
sovra le quali stendeva le palme, appoggiando i polsi su le estremità de' ginocchi. -
Buongiorno, madre. - Buongiorno. - Come state voi, madre? - Né a questa, né a dieci
altre interrogazioni mi fu possibile d'impetrare risposta; perch'essa attendeva a
riscaldarsi le mani, alzando gli occhi di quando in quando come per vedere se eravamo
ancora partiti. Posammo trattanto quelle poche provvisioni, e la vecchia, senza più
guardar noi, le stava considerando con occhio mobile: e a' nostri saluti e alle promesse
di ritornare domani, la non rispose se non se un'altra volta quasi per forza - Buongiorno.
Ravviandoci verso casa, la villanella mi raccontava,
come quella donna ad onta di forse ottanta anni e più, e di una difficilissima vita,
perché talvolta avveniva che i temporali vietavano a' contadini di recarle la limosina
che le raccoglievano, in guisa che vedevasi sul punto di perire d'inedia, pur nondimeno
tremava tuttavia di morire e borbottava sempre sue preci perché il cielo la tenesse ancor
viva. Ho poi udito dire a' vecchi del contado, che da molti anni le morì di
un'archibugiata il marito dal quale ebbe figliuoli e figliuole, e poi generi, nuore e
nipoti ch'essa vide tutti perire e cascarle l'un dopo l'altro a' piedi nell'anno
memorabile della fame. - Eppur, fratel mio, né i passati né i presenti mali la uccidono,
e si palpa ancora una vita che nuota sempre in un mar di dolore.
Ahi dunque! tanti affanni assediano la nostra vita, che
a mantenerla vuolsi non meno che un cieco istinto prepotente per cui (quantunque la Natura
ci spiani i mezzi da liberarcene) siamo spesso forzati a comperarla con l'avvilimento, col
pianto, e talvolta ancor col delitto!
17 Marzo |
Da due mesi non ti do segno di vita,
e tu ti se' sgomentato; e temi ch'io sia vinto oggimai dall'amore da dimenticarmi di te
e della patria. Fratel mio Lorenzo, tu conosci pur poco me e il cuore umano ed il tuo,
se presumi che il desiderio di patria possa temperarsi mai, non che spegnersi; se credi
che ceda ad altre passioni - ben irrita le altre passioni, e n'è più irritato; ed è pur
vero, e in questo hai detto pur bene! L'amore in un'anima esulcerata, e dove le altre
passioni sono disperate, riesce onnipotente - e io lo provo; ma che riesca funesto,
t'inganni: senza Teresa, io sarei forse oggi sotterra.
La Natura crea di propria autorità tali ingegni da non
poter essere se non generosi; venti anni addietro sì fatti ingegni si rimanevano inerti
ed assiderati nel sopore universale d'Italia: ma i tempi d'oggi hanno ridestato in essi le
virili e natie loro passioni; ed hanno acquistato tal tempra, che spezzarli puoi, piegarli
non mai. E non è sentenza metafisia questa: la è verità che splende nella vita di molti
antichi mortali gloriosamente infelici: verità di cui mi sono accertato convivendo fra
molti nostri concittadini: e li compiango insieme e gli ammiro; da che, se Dio non ha
pietà dell'Italia, dovranno chiudere nel loro secreto il desiderio di patria -
funestissimo! perché o strugge, o addolora tutta la vita; e nondimeno anziché
abbandonarlo, avranno cari i pericoli, e quell'angoscia, e la morte. Ed io mi sono uno di
questi; e tu, mio Lorenzo.
Ma s'io scrivessi intorno a quello ch'io vidi, e so
delle cose nostre, farei cosa superflua e crudele ridestando in voi tutti il furore che
vorrei pur sopire dentro di me: piango, credimi, la patria - la piango secretamente, e
desidero,
Che le lagrime mie si spargan sole |
Un'altra specie d'amatori d'Italia si quereli ad altissima voce a sua posta. Esclamano d'essere stati venduti e traditi: ma se si fossero armati sarebbero stati vinti forse, non mai traditi; e se si fossero difesi sino all'ultimo sangue, né i vincitori avrebbero potuto venderli, né i vinti si sarebbero attentati di comperarli. Se non che moltissimi de' nostri presumono che la libertà si possa comperare a danaro; presumono che le nazioni straniere vengano per amore dell'equità a trucidarsi scambievolmente su' nostri campi onde liberare l'Italia! Ma i francesi che hanno fatto parere esecrabile la divina teoria della pubblica libertà, faranno da Timoleoni in pro nostro? - Moltissimi intanto si fidano nel Giovine Eroe nato di sangue italiano; nato dove si parla il nostro idioma. Io da un animo basso e crudele, non m'aspetterò mai cosa utile ed alta per noi. Che importa ch'abbia il vigore e il fremito del leone, se ha la mente volpina, e se ne compiace? Sì; basso e crudele - né gli epiteti sono esagerati. A che non ha egli venduto Venezia con aperta e generosa ferocia? Selim I che fece scannare sul Nilo trenta mila guerrieri Circassi arresisi alla sua fede, e Nadir Schah che nel nostro secolo trucidò trecento mila Indiani, sono più atroci, bensì meno spregevoli. Vidi con gli occhi miei una costituzione democratica postillata dal Giovine Eroe, postillata di mano sua, e mandata da Passeriano a Venezia perché s'accettasse; e il trattato di Campo Formio era già da più giorni firmato e Venezia era trafficata; e la fiducia che l'Eroe nutriva in noi tutti ha riempito l'Italia di proscrizioni, d'emigrazioni, e d'esilii. - Non accuso la ragione di stato che vende come branchi di pecore le nazioni: così fu sempre, e così sarà: piango la patria mia,
Che mi fu tolta, e il modo ancor m'offende |
Nasce italiano, e soccorrerà un giorno
alla patria: - altri sel creda; io risposi, e risponderò sempre: La Natura lo ha
creato tiranno: e il tiranno non guarda a patria; e non l'ha.
Alcuni altri de' nostri, veggendo le piaghe d'Italia, vanno
pur predicando doversi sanarle co' rimedi estremi necessari alla libertà. Ben è vero,
l'Italia ha preti e frati; non già sacerdoti: perché dove la religione non è
inviscerata nelle leggi e ne' costumi d'un popolo, l'amministrazione del culto è bottega.
L'Italia ha de' titolati quanti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizj: da che i patrizj
difendono con una mano la repubblica in guerra, e con l'altra la governano in pace; e in
Italia sommo fasto de' nobili è il non fare e il non sapere mai nulla. Finalmente abbiamo
plebe; non già cittadini; o pochissimi. I medici, gli avvocati, i professori
d'università, i letterati, i ricchi mercatanti, l'innumerabile schiera degl'impiegati
fanno arti gentili essi dicono, e cittadinesche; non però hanno nerbo e diritto
cittadinesco. Chiunque si guadagna sia pane, sia gemme con l'industria sua personale, e
non è padrone di terre, non è se non parte di plebe; meno misera, non già meno serva.
Terra senza abitatori può stare; popolo senza terra, non mai: quindi i pochi signori
delle terre in Italia, saranno pur sempre dominatori invisibili ed arbitri della nazione.
Or di preti e frati facciamo de' sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizj; i popolani
tutti, o molti almeno, in cittadini abbienti, e possessori di terre - ma badiamo! senza
carnificine; senza riforme sacrileghe di religione; senza fazioni; senza proscrizioni né
esilii; senza ajuto e sangue e depredazioni d'armi straniere; senza divisione di terre;
né leggi agrarie; né rapine di proprietà famigliari - da che se mai (a quanto intesi ed
intendo) se mai questi rimedi necessitassero a liberarne dal nostro infame perpetuo
servaggio, io per me non so cosa mi piglierei - né infamia, né servitù: ma neppur
essere esecutore di sì crudeli e spesso inefficaci rimedi - se non che all'individuo
restano molte vie di salute; non fosse altro il sepolcro: - ma una nazione non si può
sotterrar tuttaquanta. E però, se scrivessi, esorterei l'Italia a pigliarsi in pace il
suo stato presente, e a lasciare alla Francia la obbrobriosa sciagura di avere svenato
tante vittime umane alla Libertà - su le quali la tirannide de' Cinque, o de'
Cinquecento, o di Un solo - torna tutt'uno - hanno piantato e pianteranno i lor troni; e
vacillanti di minuto in minuto, come tutti i troni che hanno per fondamenta i cadaveri.
Il lungo tempo da che non ti scrivo non è corso perduto per
me; credo invece d'avere guadagnato anche troppo - ma guadagni fatali! Il sigoore T*** ha
moltissimi libri di filosofia politica, e i migliori storici del mondo moderno: e tra per
non volermi trovare assai spesso vicino a Teresa, tra per noja e per curiosità, due
vigili istigatrici del genere umano - mi son fatto mandare que' libri; e parte n'ho letto,
parte ne ho scartabellato, e mi furono tristi compagni di questa vernata. Certo che più
amabile compagnia mi parvero gli uccelletti i quali cacciati per disperazione dal freddo a
cercarsi alimento vicino alle abitazioni degli uomini loro nemici, si posavano a famiglie
e a tribù sul mio balcone dov'io apparecchiava loro da desinare e da cena - ma forse ora
che va cessando il loro bisogno non mi visiteranno mai più. Intanto dalle mie lunghe
letture ho raccolto: Che il non conoscere gli uomini è pur cosa pericolosa; ma il
conoscerli quando non s'ha cuore da volerli ingannare è pur cosa funesta! Ho raccolto:
Che le molte opinioni de' molti libri, e le contraddizioni storiche, t'inducono al
pirronismo e ti fanno errare nella confusione, e nel caos, e nel nulla: ond'io, a chi mi
stringesse o di sempre leggere, o di non leggere mai, mi torrei di non leggere mai; e
così forse farò. Ho raccolto: Che abbiamo tutti passioni vane com'è appunto la vanità
della vita; e che nondimeno sì fatta vanità è la sorgente de' nostri errori, del nostro
pianto, e de' nostri delitti.
Pur nondimeno io mi sento rinsanguinare più sempre all'anima
questo furore di patria: e quando penso a Teresa - e se spero - rientro in un subito in me
assai più costernato di prima; e ridico: Quand'anche l'amica mia fosse madre de' miei
figliuoli, i miei figliuoli non avrebbero patria; e la cara campagna della mia vita se
n'accorgerebbe gemendo. - Pur troppo! alle altre passioni che fanno alle giovinette
sentire sull'aurora del loro giorno fuggitivo i dolori, e più assai alle giovinette
italiane, s'è aggiunto questo infelice amore di patria. Ho sviato il signore T*** da'
discorsi di politica, de' quali si appassiona - sua figlia non apriva mai bocca: ma io pur
m'avvedeva come le angosce di suo padre e le mie si rovesciavano nelle viscere di quella
fanciulla. Tu sai che non è femminetta volgare: e prescindendo anche da' suoi interessi -
da che in altri tempi avrebbero potuto eleggersi altro marito - è dotata d'animo altero,
e di signorili pensieri. E vede quanto m'è grave quest'ozio di oscuro e freddo egoista in
cui logoro tutti i miei giorni - davvero, Lorenzo; anche tacendo, io paleso che sono
misero e vile dinanzi a me stesso. La volontà forte e la nullità di potere in chi sente
una passione politica lo fanno sciaguratissimo dentro di sé: e se non tace, lo fanno
parere ridicolo al mondo; si fa la figura di paladino da romanzo e d'innamorato impotente
della propria città. Quando Catone s'uccise, un povero patrizio, chiamato Cozio, lo
imitò: l'uno fu ammirato perché aveva prima tentato ogni via a non servire; l'altro fu
deriso perché per amore della libertà non seppe far altro che uccidersi.
Ma qui stando, non foss'altro co' miei pensieri, presso a
Teresa - perch'io regno ancor tanto sopra di me, ch'io lascio passare tre e quattro giorni
senza vederla - pur il solo ricordarmene mi fa provare un foco soave, un lume, una
consolazione di vita - breve forse, ma divina dolcezza - e così mi preservo per ora dalla
assoluta disperazione.
E quando sto seco - ad altri forse nol crederesti, o Lorenzo,
a me sì - allora non le parlo d'amore. È mezz'anno oramai da che l'anima sua s'è
affratellata alla mia, e non ha mai inteso uscire fuor delle mie labbra la certezza ch'io
l'amo. - Ma e come non può esserne certa? - Suo padre giuoca meco a scacchi le intere
serate: essa lavora seduta accanto a quel tavolino, silenziosissima, se non quanto parlano
gli occhi suoi; ma di rado: e chinandosi a un tratto non mi domandano che pietà. - E qual
altra pietà posso mai darle, da questa in fuori di tenerle, quanto avrò forza, tenerle
occulte come più potrò tutte le mie passioni? Né io vivo se non per lei sola: e quando
anche questo mio nuovo sogno soave terminerà, io calerò volentieri il sipario. La
gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hanno fino ad
or recitato nella mia commedia, non fanno più per me. Calerò il sipario; e lascierò che
gli altri mortali s'affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori d'una vita che
ad ogni minuto s'accorcia, e che pure que' meschini se la vorrebbero persuadere immortale.
Eccoti con l'usato disordine, ma con insolita pacatezza
risposto alla tua lunga affettuosissima lettera: tu sai dire assai meglio le tue ragioni:
- io le mie le sento troppo; però pajo ostinato. - Ma s'io ascoltassi più gli altri che
me, rincrescerei forse a me stesso: - e nel non rincrescere a sé, sta quel po' di
felicità che l'uomo può sperar su la terra.
3 Aprile |
Quando l'anima è tutta assorta in una specie di beatitudine, le nostre deboli facoltà oppresse dalla somma del piacere diventano quasi stupide, mute, e inette ad ogni fatica. Che s'io non menassi una vita da santo, le mie lettere ti capiterebbero innanzi più spesse. Se le sventure raggravano il carico della vita, noi corriamo a farne parte a qualche infelice; ed egli spreme conforto dal sapere che non è il solo dannato alle lagrime. Ma se lampeggia qualche momento di felicità, noi ci concentriamo tutti in noi stessi, temendo che la nostra ventura possa, partecipandosi, diminuirsi; o l'orgoglio nostro soltanto ci consiglia a menarne trionfo. E poi sente assai poco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla. - Intanto la Natura ritorna bella - quale dev'essere stata quando nascendo la prima volta dall'informe abisso del caos, mandò foriera la ridente Aurora di Aprile; ed ella abbandonando i suoi biondi capelli su l'oriente, e cingendo poi a poco a poco l'universo del roseo suo manto, diffuse benefica le fresche rugiade, e destò l'alito vergine de' venticelli per annunciare ai fiori, alle nuvole, alle onde e agli esseri tutti che la salutavano, il Sole: il Sole! sublime immagine di Dio, luce, anima, vita di tutto il creato.
6 Aprile |
È vero; troppo! - questa mia fantasia mi dipinge così realmente la felicità ch'io desidero, e me la pone davanti agli occhi, e sto lì lì per toccarla con mano, e mi mancano ancor pochi passi - e poi? il tristo mio cuore se la vede svanire e piange quasi perdesse un bene posseduto da lungo tempo. Tuttavia - ei le scrive che la cabala forense gli fu da prima cagione d'indugio, e che poi la rivoluzione ha interrotto per qualche giorno il corso dei tribunali: aggiungi che dove predomina l'interesse, le altre passioni si tacciono; un nuovo amore forse - ma tu dirai: E tutto ciò cosa importa? Nulla, caro Lorenzo: a Dio non piaccia ch'io mi prevalga della freddezza d'Odoardo - ma non so come si possa starle lontano un solo giorno di più! - Andrò dunque ognor più lusingandomi per tracannarmi poscia la mortale bevanda che mi sarò io medesimo preparata?
11 Aprile |
Ella sedeva sopra un sofà di rincontro
alla finestra delle colline, osservando le nuvole che passeggiavano per la ampiezza del
cielo. Vedete, mi disse, quel l'azzurro profondo! Io le stava accanto muto muto, con gli
occhi fissi su la sua mano che tenea socchiuso un libricciuolo. - Io non so come - ma non
mi avvidi che la tempesta cominciava a muggire dal settentrione, e atterrava le piante
più giovani. Poveri arbuscelli! esclamò Teresa. Mi scossi. Si addensavano le tenebre
della notte che i lampi rendeano più negre. Diluviava, tuonava - poco dopo vidi le
finestre chiuse, e i lumi nella stanza. Il ragazzo per far ciò ch'ei soleva fare tutte le
sere e temendo del mal tempo, venne a rapirci lo spettacolo della Natura adirata; e Teresa
che stava sopra pensiero, non se ne accorse e lo lasciò fare.
Le tolsi di mano il libro e aprendolo a caso, lessi:
«La tenera Gliceria lasciò su queste mie labbra l'estremo
sospiro. Con Gliceria ho perduto tutto quello ch'io poteva mai perdere. La sua fossa è il
solo palmo di terra ch'io degni di chiamar mio. Niuno, fuori di me, ne sa il luogo. L'ho
coperta di folti rosaj i quali fioriscono come un giorno fioriva il suo volto, e
diffondono la fragranza soave che spirava il suo seno. Ogni anno nel mese delle rose io
visito il sacro boschetto. Siedo su quel cumulo di terra che serba le sue ossa; colgo una
rosa, e - sto meditando: Tal tu fiorivi un dì! E sfoglio quella rosa, e la
sparpaglio - e mi rammento quel dolce sogno de' nostri amori. O mia Gliceria, ove sei tu?
una lagrima cade su l'erba che spunta su la sepoltura, e appaga l'ombra amorosa».
Tacqui. - Perchè non leggete? diss'ella sospirando e
guardandomi. Io rileggeva: e tornando a proferire nuovamente: Tal tu fiorivi un dì! la
mia voce fu soffocata; una lagrima di Teresa grondò su la mia mano che stringeva la sua.
17 Aprile |
Ti risovviene di quella giovinetta che
quattro anni fa villeggiava appie' di queste colline? era la innamorata del nostro Olivo
P***, e tu sai com'ei impoverì, né poté più averla in isposa. Oggi io l'ho riveduta
accasata a un titolato, parente della famiglia T***. Passando per le sue possessioni,
venne a visitare Teresa. Io sedeva per terra sul tappeto, e attentissimo all'esemplare
della mia Isabellina che scorbiava l'abbiccì; sopra una sedia. Com'io la vidi,
m'alzai correndole incontro quasi quasi per abbracciarla: - quanto diversa! contegnosa,
affettata, penò a ravvisarmi, e poi fece le maraviglie masticando un complimentuccio
mezzo a me, mezzo a Teresa - e scommetto che la mia vista non preveduta l'ha sconcertata.
Ma cinguettando e di giojelli e di nastri e di vezzi e di cuffie, si rinfrancò. Io mi
sperava di usarle un atto di carità graziosa sviando il disorso da simili frascherie; e
perché quasi tutte le giovani le si fanno più belle in viso, e non bisognano d'altri
ornamenti, allorquando modestamente ti parlano del lor cuore, le ricordai queste campagne
e que' suoi giorni beati. - Ah, ah, rispose sbadatamente; e tirò innanzi ad anatomizzare
l'oltramontano travaglio de' suoi orecchini. Il marito frattanto (perché fra il Popolone
de' pigmei ha scroccato fama di savant come l'Algarotti e il ***) gemmando il
suo pretto favellare toscano di mille frasi francesi, magnificava il prezzo di
quelle inezie, e il buon gusto della sua sposa. Stava io per pigliarmi il cappello, ma
un'occhiata di Teresa mi fe' star cheto. La conversazione venne di mano in mano a cadere
su' libri che noi leggevamo in campagna. Allora tu avresti udito Messere tesserci il
panegerico della prodigiosa biblioteca de' suoi maggiori, e della collezione di
tutte l'edizioni Principes degli antichi ch'ei ne' suoi viaggi ebbe cura di completare.
Io rideva fra cuore, ed ei proseguiva la sua lezione di frontespizj. Quando Gesù volle,
tornò un servo ch'era ito in traccia del signore T*** ad avvertire Teresa che non l'avea
potuto trovare, perché egli era uscito a caccia per le montagne; e la lezione fu rotta.
Chiesi alla sposa novella di Olivo ch'io dopo le sue disgrazie non aveva più riveduto.
Immaginerai che cuore fu il mio quando m'intesi freddamente rispondere dall'antica sua
amante: È già morto. - È morto! sclamai balzando in piedi, e guardandola stupidito. E
descrissi a Teresa l'egregia indole di quel giovine senza pari, e la sua nemica fortuna
che lo costrinse a combattere con la povertà e con la infamia; e morì nondimeno scevro
di taccia e di colpa.
Il marito allora prese a narrarci la morte del padre di Olivo, le
dissensioni con suo fratello primogenito, le liti sempre più accanite, e la sentenza de'
tribunali che giudici fra due figli di uno stesso padre, per arricchire l'uno, spogliarono
l'altro; divoratosi il povero Olivo fra le cabale del foro anche quel poco che gli
rimanea. Moralizzava su questo giovine stravagante che ricusò i soccorsi di suo
fratello, e invece di placarselo, lo inasprì sempre più. - Sì sì, lo interruppi, se
suo fratello non ha potuto essere giusto, Olivo non doveva essere vile. Tristo colui che
ritira il suo cuore dai consigli e dal compianto dell'amicizia, e sdegna i mutui sospiri
della pietà, e rifiuta il pronto soccorso che la mano dell'amico gli porge. Ma le mille
volte più tristo chi fida nell'amicizia del ricco: e presumendo virtù in chi non fu mai
sventurato, accoglie quel beneficio che dovrà poscia scontare con altrettanta onestà. La
felicità non si collega con la sventura che per comperare la gratitudine e tiranneggiare
la virtù. L'uomo, animale oppressore, abusa dei capricci della fortuna per aggiudicarsi
il diritto di soverchiare. A' soli afflitti è bensì conceduto il potersi e soccorrere e
consolare scambievolmente senz'insultarsi; ma colui che giunse a sedere alla mensa del
ricco, tosto, benché tardi, s'avvede.
Come sa di sale Lo pane altrui |
E per questo, oh quanto è men doloroso l'andare
accattando di porta in porta la vita, anziché umiliarsi, o esecrare l'indiscreto
benefattore che ostentando il suo beneficio, esige in ricompensa il tuo rossore e la tua
libertà! -
Ma voi, mi rispose il marito, non mi avete lasciato finire. Se Olivo
uscì dalla casa paterna, rinunziando tutti gl'interessi al primogenito, perché;
poi volle pagare i debiti di suo padre? Che? non affrontò ei medesimo l'indigenza
ipotecando per questa sciocca delicatezza anche la sua porzione della dote materna? -
Perché? - se l'erede defraudò i creditori co' sotterfugj forensi,
Olivo doveva mai comportare che le ossa di suo padre fossero maledette da coloro che nelle
avversità lo aveano sovvenuto delle loro sostanze, e ch'ei fosse mostrato a dito per le
strade come figliuolo di un fallito? Questa generosa onestà diffamò il primogenito che
non era nato a imitarla, e che dopo d'avere tentato invano il fratello co' beneficj, gli
giurò poscia inimicizia mortale e veramente feudale e fraterna. Olivo intanto perdé
l'ajuto di quelli che lo lodavano forse nel loro secreto, perché restò soverchiato dagli
scellerati, essendo più agevole approvar la virtù, che sostenerla a spada tratta e
seguirla. Per questo l'uomo dabbene in mezzo a' malvagi rovina sempre; e noi siam soliti
ad associarci al più forte, a calpestare chi giace e a giudicar dall'evento. - Non mi
rispondevano; ed erano forse convinti, non già persuasi, e soggiunsi. - Invece di
piangere Olivo, ringrazio il sommo Iddio che lo ha chiamato lontano da tante ribalderie, e
dalle nostre imbecillità. Da che, a dir vero, noi stessi, noi devoti della virtù, siamo
pure imbecilli! Sono certi uomini che hanno bisogno della morte perché non sanno
assuefarsi a' delitti de' tristi, né alla pusillanimità degli uomini buoni.
La sposa parea intenerita. Oh pur troppo! esclamò con
un sospiro. Ma - chi per altro ha bisogno di pane non ha poi da assottigliarsi tanto su
l'onore. -
E questa la è pure una delle vostre bestemmie! proruppi: voi dunque
perché siete favoriti dalla fortuna vorreste essere onesti voi soli; anzi perché la
virtù su la oscura vostr'anima non risplende, vorreste reprimerla anche ne' petti
degl'infelici, che pure non hanno altro conforto, e illudere in questa maniera la vostra
coscienza? - Gli occhi di Teresa mi davano ragione; pur si studiava di far mutare discorso
- ma la visiera era alzata; e come poteva io più tacere? ben ora ne sento rimorso - gli
occhi degli sposi erano fitti a terra, e la loro anima fu anch'essa atterrata, quando
gridai con fierissima voce: - Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della
loro felicità. Orgogliosi! guardano la miseria per insultarla: pretendono che tutto debba
offerirsi in tributo alla ricchezza e al piacere. Ma l'infelice che serba la sua dignità
è spettacolo di coraggio a' buoni, e di rimbrotto a' malvagi. - E sono uscito cacciandomi
le mani ne' capelli. Grazie a' primi casi della mia vita che mi costituirono sventurato!
Lorenzo mio, or non sarei forse tuo amico; or non sarei amico di questa fanciulla. - Mi
sta sempre davanti l'avvenimento di stamattina. Qui dove siedo solo mi guardo intorno e
temo di rivedere alcuno de' miei conoscenti. Chi l'avrebbe mai detto? Il cuore di colei
non ha palpitato al nome del suo primo amore! ardì di turbare le ceneri di lui che le ha
per la prima volta ispirato l'universale sentimento della vita. Né un solo sospiro? - ma
pazzo! tu t'affliggi perché non trovi fra gli uomini quella virtù che forse, ahi! forse
non è che voto nome - o necessità che si muta con le passioni e le circostanze - o
prepotenza di natura in alcuni pochi individui, i quali essendo generosi e pietosi per
indole, sono obbligati a guerra perpetua contro l'universalità de' mortali; - e bastasse!
ma guai allorché, volere e non volere, denno pure aprir gli occhi alla luce funerea del
disinganno!
Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nella mia prima
gioventù avrei sparso fiori su le teste di tutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido
e ombroso verso la più parte degli uomini se non la loro ipocrita crudeltà? Perdonerei
tutti i torti che mi hanno fatto. Ma quando mi passa dinanzi la venerabile povertà che
mentre s'affatica mostra le sue vene succhiate dalla onnipotente opulenza; e quando io
vedo tanti uomini infermi, imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il
terribile flagello di certe leggi - ah no, io non mi posso rinconciliare. Io grido allora
vendetta con quella turba di tapini co' quali divido il pane e le lagrime: e ardisco
ridomandare in lor nome la porzione che hanno ereditato dalla Natura, madre benefica ed
imparziale - la Natura? ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?
Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non quanto
potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angioli sparsi qua e là su la faccia della
terra per accreditare l'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scampo si
aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il resto del mondo?
Se dianzi tu l'avessi veduta! mi stendeva la mano, dicendomi - Siate
discreto; e davvero, quelle due persone mi pareano compunte: e se Olivo non fosse stato
infelice, avrebbe egli avuto anche oltre la tomba un amico?
Ahi! proseguì dopo un lungo silenzio, per amar la virtù conviene
dunque vivere nel dolore? - Lorenzo! l'anima sua celeste raggiava da' lineamenti del viso.
29 Aprile |
Vicino a lei io sono sì pieno di vita che appena
sento di vivere. Così quand'io mi desto dopo un pacifico sonno, se il raggio di Sole mi
riflette su gli occhi, la mia vista si abbaglia e si perde in un torrente di luce.
Da gran tempo mi lagno della inerzia in cui vivo. Al riaprirsi della
primavera mi proponeva di studiare botanica; e in due settimane io aveva raccattato su per
le balze parecchie dozzine di piante che adesso non so più dove me le abbia riposte. Mi
sono assai volte dimenticato il mio Linneo sopra i sedili del giardino, o appié di
qualche albero; l'ho finalmente perduto. Jeri Michele me ne ha recato due foglj tutti
umidi di rugiada; e stamattina mi ha recato notizia che il rimanente era stato mal concio
dal cane dell'ortolano.
Teresa mi sgrida: per compiacerle m'accingo a scrivere; ma sebbene
incominci con la più bella vocazione che mai, non so andar innanzi per più di tre o
quattro periodi. Mi assumo mille argomenti; mi s'affacciano mille idee: scelgo, rigetto,
poi torno a scegliere; scrivo finalmente, straccio, cancello, e perdo spesso mattina e
sera: la mente si stanca, le dita abbandonano la penna, e mi avvengo d'avere gittato il
tempo e la fatica. - Se non che t'ho detto che lo scrivere libri la è cosa da più e da
meno delle mie forze: aggiungi lo stato dell'animo mio, e t'accorgerai che s'io ti scrivo
ogni tanto una lettera, non è poco. - Oh la scimunita figura ch'io fo quand'ella siede
lavorando, ed io leggo! M'interrompo a ogni tratto, ed ella: Proseguite! Torno a leggere:
dopo due carte la mia pronunzia diventa più rapida e termina borbottando in cadenza.
Teresa s'affanna: Deh leggete un po' ch'io v'intenda! - io continuo; ma gli occhi miei,
non so come, si sviano disavvedutamente dal libro, e si trovano immobili su quell'angelico
viso. Divento muto; cade il libro e si chiude; perdo il segno, né so più ritrovarlo -
Teresa vorrebbe adirarsi; e sorride.
Pur se afferrassi tutti i pensieri che mi passano per fantasia! - ne
vo notando su' cartoni e su' margini del mio Plutarco; se non che, non sì tosto scritti,
m'escono dalla mente; e quando poi li cerco sovra la carta, ritrovo aborti d'idee scarne
sconnesse, freddissime. Questo ripiego di notare i pensieri, anzi che lasciarli maturare
dentro l'ingegno, è pur misero! - ma così si fanno de' libri composti d'altrui libri a
mosaico. - E a me pure, fuor d'intenzione, è venuto fatto un mosaico. - In un libretto
inglese ho trovato un racconto di sciagura; e mi pareva a ogni frase di leggere le
disgrazie della povera Lauretta: - il Sole illumina da per tutto ed ogni anno i medesimi
guai su la terra! - Or io per non parere di scioperare mi sono provato di scrivere i casi
di Lauretta, traducendo per l'appunto quella parte del libro inglese, e togliendovi,
mutando, aggiungendo assai poco di mio, avrei raccontato il vero, mentre forse il mio
testo è romanzo. Io voleva in quella sfortunata creatura mostrare a Teresa uno specchio
della che le sentenze, e i consigli, e gli fatale infelicità dell'amore. Ma credi
tu esempj de' danni altrui giovino ad altro fuorché a irritare le nostre passioni?
Inoltre in cambio di narrare di Lauretta, ho parlato di me: tale è lo stato dell'anima
mia, torna sempre a tastare le proprie piaghe - però non mi pare di lasciar leggere
questi tre o quattro fogli a Teresa: le farei più male che bene - e per ora lascio anche
stare di scrivere - Tu leggili. Addio.
© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
E-mail: Giuseppe Bonghi
@fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 18 luglio 2000