Ugo Foscolo

Le Odi

edizione telematica e revisione: 1995, Giuseppe Bonghi
edizione HTML: luglio 1996, Giuseppe Bonghi
testo: da Ugo Foscolo, Tutte le poesie, a cura di Ludovico Magugliani, Rizzoli, Milano 1952 -

Le odi

Sollicitae oblivia vitae
Hor.
Oblio della vita affannosa

Dedica

A Giovanni Battista Niccolini
fiorentino

A te, giovinetto di belle speranze, io dedico questi versi: non perché ti siano di esempio, ché né io professo poesia, né li stampo cercando onore, ma per rifiutare così tutti gli altri da me per vanità giovenile già divolgati. Ti saranno bensì monumento della nostra amicizia e sprone, ad onta delle tue disavventure, alle lettere, veggendo che tu sei caro a chi le coltiva, forse con debole ingegno, ma con generoso animo. E la sola amicizia può vendicare gli oltraggi della fortuna, e guidare senza adulazioni gl'ingnegni sorgenti alla gloria.

Milano, 2 aprile 1803
UGO FOSCOLO

[I]
A Luigia Pallavicini caduta da cavallo

 

1
 
 
 
 
 
 
2

 
 
 
 
 
3

 
 
 
 
 
4

 
 
 
 
 
5

 
 
 
 
 
6

 
 
 
 
 
7

 
 
 
 
 
8

 
 
 
 
 
9

 
 
 
 
 
10

 
 
 
 
 
11

 
 
 
 
 
12

 
 
 
 
 
13

 
 
 
 
 
14

 
 
 
 
 
15

 
 
 
 
 
16

 
 
 
 
 
17

 
 
 
 
 
18
      I balsami beati
per te Grazie apprestino,
per te i lini odorati
che a Citerea porgeano
quando profano spino
le punse il piè divino,

      quel dì che insana empiea
il sacro Ida di gemiti,
e col crine tergea,
e bagnava di lacrime
il sanguinoso petto
al ciprio giovinetto.

      Or te piangon gli Amori,
te fra le Dive liguri
Regina e Diva! e fiori
votivi all'ara portano
d'onde il grand'arco suona
del figlio di Latona.

      E te chiama la danza
ove l'aure portavano
insolita fragranza,
allor che, a' nodi indocile,
la chioma al roseo braccio
ti fu gentile impaccio.

      Tal nel lavacro immersa,
che fiori, dall'inachio
clivo cadendo, versa,
Palla i dall'elmo liberi
crin su la man che gronda
contien fuori dell'onda

      Armonïosi accenti
dal tuo labbro volavano,
e dagli occhi ridenti
taluceano di Venere
i disdegni e le paci,
la speme, il pianto, e i baci.

      De! perché hai le gentili
forme e l'ingegno docile
vôlto a studj virili?
Perché non dell'Aonie
seguivi, incauta, l'arte,
ma i ludi aspri di Marte?

      Invan presaghi i venti
il polveroso agghiacciano
petto, e le reni ardenti
dell'inquïeto alipede,
ed irritante il morso
accresce impeto al corso.

      Ardon gli sguardi, fuma
la bocca, agita l'ardua
testa, vola la spuma,
ed i manti volubili
lorda, e l'incerto freno,
ed il candido seno;

      e il sudor piove, e i crini
sul collo irti svolazzano;
suonan gli antri marini
allo incalzato scalpito
della zampa, che caccia
polve e sassi in sua traccia.

      Già dal lito si slancia
sordo ai clamori e al fremito;
già già fino alla pancia
nuota::: e ingorde si gonfiano
non più memori l'acque
che una Dea da lor nacque.

      Se non che il re dell'onde
dolente ancor d'Ippolito
surse per le profonde
vie dal tirreno talamo,
e respinse il furente
col cenno onnipotente.

      Quel dal flutto arretrosse
ricalcitrando e, orribile!
sovra l'anche rizzosse;
scuote l'arcion, te misera
su la pietrosa riva
strascinando mal viva.

      Pera chi osò primiero
discortese commettere
a infedele corsiero
l'agil fianco femmineo,
e aprì con rio consiglio
novo a beltà periglio!

      Ché or non vedrei le rose
del tuo volto sì languide;
non le luci amorose
spiar ne' guardi medici
speranza lusinghiera
della beltà primiera.

      Di Cinzia il cocchio aurato
le cerve un dì traeano,
ma al ferino ululato
per terrore insanirono,
e dalla rupe etnea
precipitàr la Dea.

      Gioìan d'invido riso
le abitatrici empie,
perché l'eterno viso,
silenzïoso e pallido,
cinto apparia d'un velo
ai conviti del cielo.

      Me ben piansero il giorno
che dalle danze efesie
lieta facea ritorno
fra le devote vergini,
e al ciel salì più bella
di Febo la sorella.
 

 
 
5

 
 
  
 
10

 
 
 
 
15

 
 
 
 
20

 
 
 
 
25

 
 
 
30

 
 
 
 
35

 
 
 
 
40

 
 
 
 
45

 
 
 
 
50

 
 
 
 
55

 
 
 
60

 
 
 
 
65

 
 
 
 
70

 
 
 
 
75

 
 
 
 
80

 
 
 
 
85

 
 
 
90

 
 
 
 
95

 
 
 
 
100

 
 
 
 
105

introduzione

[II]
All'amica risanata

 

1
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
 
 
 
7
 
 
 
 
 
 
8
 
 
 
 
 
 
9
 
 
 
 
 
 
10
 
 
 
 
 
 
11
 
 
 
 
 
 
12
 
 
 
 
 
 
13
 
 
 
 
 
 
14
 
 
 
 
 
 
15
 
 
 
 
 
 
16
      Qual dagli antri marini
l'astro più caro a Venere
co' rugiadosi crini
fra le fuggenti tenebre
appare, e il suo vïaggio
orna col lume dell'eterno raggio;

sorgon così tue dive
membra dall'egro talamo,
e in te beltà rivive,
l'aurea beltate ond'ebbero
ristoro unico a' mali
le nate a vaneggiar menti mortali.

Fiorir sul caro viso
veggo la rosa, tornano
i grandi occhi al sorriso
insidïando; e vegliano
per te in novelli pianti
trepide madri, e sospettose amanti.

Le Ore che dianzi meste
ministre eran de' farmachi,
oggi l'indica veste
e i monili cui gemmano
effigïati Dei
inclito studio di scalpelli achei,

e i candidi coturni
e gli amuleti recano,
onde a' cori notturni
te, Dea, mirando obliano
i garzoni le danze,
te principio d'affanni e di speranze:

o quando l'arpa adorni
e co' novelli numeri
e co' molli contorni
delle forme che facile
bisso seconda, e intanto
fra il basso sospirar vola il tuo canto

più periglioso; o quando
balli disegni, e l'agile
corpo all'aure fidando,
ignoti vezzi sfuggono
dai manti, e dal negletto
velo scomposto sul sommosso petto.

All'agitarti, lente
cascan le trecce, nitide
per ambrosia recente,
mal fide all'aureo pettine
e alla rosea ghirlanda
che or con l'alma salute April ti manda.

Così ancelle d'Amore
a te d'intorno volano
invidïate l'Ore.
Meste le Grazie mirino
chi la beltà fugace
ti membra, e il giorno dell'eterna pace.

Mortale guidatrice
d'oceanine vergini,
la parrasia pendice
tenea la casta Artemide,
e fea terror di cervi
lungi fischiar d'arco cidonio i nervi.

Lei predicò la fama
Olimpia prole; pavido
Diva il mondo la chiama,
e le sacrò l'elisio
soglio, ed il certo telo,
e i monti, e il carro della luna in cielo.

Are così a Bellona,
un tempo invitta amazzone,
die' il vocale Elicona;
ella il cimiero e l'egida
or contro l'Anglia avara
e le cavalle ed il furor prepara.

E quella a cui di sacro
mirto te veggo cingere
devota il simolacro,
che presiede marmoreo
agli arcani tuoi Lari
ove a me sol sacerdotessa appari,

Regina fu, Citera
e Cipro ove perpetua
odora primavera
regnò beata, e l'isole
che col selvoso dorso
rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.

Ebbi in quel mar la culla,
ivi erra ignudo spirito
di Faon la fanciulla,
e se il notturno zeffiro
blando sui flutti spira,
suonano i liti un lamentar di lira:

ond'io, pien del nativo
Aër sacro, su l'itala
grave cetra derivo
per te le corde eolie,
e avrai divina i voti
fra gl'inni miei delle insubri nipoti.
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
10
 
 
 
 
 
15

 
 
 
 
20

 
 
 
 
25
 
 
 
 
30
 
 
 
 
 
35
 
 
 
 
 
40
 
 
 
 
 
45
 
 
 
 
 
50
 
 
 
 
 
55
 
 
 
 
60
 
 
 
 
 
65
 
 
 
 
 
70
 
 
 
 
 
75
 
 
 
 
 
80
 
 
 
 
 
85
 
 
 
 
90
 
 
 
 
 
95

introduzione

[III]
A Bonaparte liberatore

 

      Dove tu, diva, da l'antica e forte
dominatrice libera del mondo
felice a l'ombra di tue sacre penne,
dove fuggivi, quando ferreo pondo
di dittatoria tirannia le tenne
umìl la testa fra servaggio e morte?
Te seguìr le risorte
ombre de' Bruti, ai secoli mostrando
alteramente il brando
del padre tinto e del figliuol nel sangue;
te, o Libertà, se per le gelid'onde
del Danubio e del Reno
gisti fra genti indomite guerriere;
te se raccolse nel sanguineo seno
Brittannia e t'ascondea mortifer angue;
te se al furor di mercenarie spade
de l'Oceàno da le ignote sponde
t'invitàr meste, e del tuo nome altere
le americane libere contrade;
o le batave fonti,
o tu furo ricetto
coronati di gel gli elvezi monti;
or che del vero illuminar l'aspetto
non è delitto, or io te, diva, invoco:
scendi, e la lingua e il petto
mi snoda e infiamma di tuo santo foco.

      Ma tu l'alpi da l'aërie cime,
al rintronar di trombe e di timballi
Ausonia guati e giù piombi col volo;
anelanti ti sieguono i cavalli
che Palla sferza, e sul latino suolo
Marte furente orme di foco imprime:
odo canto sublime
di mille e mille che vittoria, o morte
da l'italiche porte
giuran brandendo la terribil asta;
e guerrier veggo di fiorente alloro
cinto le bionde chiome
su cui purpuree tremolando vanno
candide azzurre piume; egli al tuo nome
suo brando snuda e abbatte, arde, devasta;
senno de' suoi corsier governa il morso,
ardir li 'ncalza, e de' marziali il coro
Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno
in aer librate con perpetuo corso
Sorte, Vittoria, e Fama.
Or che fia dunque, o diva?
Onde tal'ira? e qual fato te chiama
a trar tant'armi da straniera riva
su questa un dì reina, or nuda e schiava
Italia, ahi! solo al vituperio viva,
al vituperio che piangendo lava!

      E depor le corone in Campidoglio,
e i re in trionfo tributari e schiavi
Roma già vide, e rovesciati i troni:
re-sacerdoti or con mentite chiavi
di oro ingordi e di sangue, altri Neroni,
grandeggiar mira in usurpato soglio:
siede a destra l'Orgoglio
cinto di stola, e ferri e nappi accoglie
sotto le ricche spoglie,
vendendo il cielo, ai popoli rapite;
sgabello al seggio fanno e fondamento
cataste di frementi
capi co gli occhi ne le trecce involti,
e tepidi cadaveri innocenti,
cui sospiran nel fianco alte ferite
pel fulminar di pontificio labbro;
e misti in pianto e in sangue, atro cemento,
calcati busti e cranj dissepolti
fanvi; e lo Inganno di tal soglio è fabbro:
quindi, al Solopossente
la folgore è strappata,
eran d'Orto terrore e d'Occidente,
e si pascean di regni e di peccata.
Non più. - Dio disse: e lor possa disparve;
pur ne l'Ausonia ancor egra e acciecata
passeggian truci le adorate larve.

      Passeggian truci, e 'l diadema e il manto
de' boreali Vandali ai nepoti
vestendo, al scettro sposano la croce;
onde il Tevere e l'Arno a te devoti,
Libertà santa dea, cercan la foce
sdegnosamente in suon quasi di pianto;
e la turrita Manto
offre scampo ai tiranni, e il bel Sebeto
irriga mansueto
le al Vesuvio soggette auree campagne
e ricche aduna a usurpator le messi;
abbevera il Ticino
Ungari armenti, e l'ospitali arene
non saluta il Panaro in suo cammino;
t'ode gridar oltre le sue montagne
la subalpina donna e l'elmo allaccia
e s'alza e terge i rai nel suol dimessi,
ma le gravano il piè sarde catene,
onde ricade e copresi la faccia;
e le a te care un giorno
città, nettunie, or fatte
son di mille Dionisj empio soggiorno:
Liguria avara contro sè, combatte;
e l'inerme leon prostrato avventa
ne' suoi le zampe e la coda dibatte
e gli ammolliti abitator spaventa.

      De! mira, come flagellata a terra
Italia serva immobilmente giace
per disperazïon fatta secura:
or perché turbi la sua dolente pace,
e furor matto e improvida paura
le movi intorno di rapace guerra?
Piaghe immense rinserra
nel cor profondo; a che piagar suo petto,
forse d'invidia oggetto,
per chi suo gemer da lontan non sente?
ma tu, feroce Dea, non badi e passi,
e a l'armi chiami, a l'armi,
e al tuon de' bronzi e al fulminar tremendo
e a l'ululo guerrier perdonsi i carmi.
Cede Sabaudia, e in alto orribilmente
del tuo giovin Campion splende la lancia;
tutto trema e si prostra anzi i suoi passi,
e l'Aquila real fugge stridendo
ferita ne le penne e ne la pancia.
Gallia intuona e diffonde
di Libertade il nome
e mare e cielo Libertà risponde:
l'Angel di morte per le imbelli chiome
squassa ed ostende coronata testa:
Libertà! grida a le provincie dome,
del Re dei folli Re vendetta è questa.

      Del Re dei Re! - Quindi tra il fumo e i lampi
s'involve in sen di tempestosa nube,
che occupa e offusca di Germania il suolo;
donde precorsa da mavorzie tube
balda rivolge e minacciosa il volo
l'Aquila, e ingombra di falangi i campi;
e par che Italia avvampi
di foco e guerra, di ruina e morte:
né spezzar sue ritorte
osa, né armarsi del francese usbergo.
Ma s'affaccia l'Eroe; sieguonlo i prodi
repubblicano in fronte
nome vantando con il sangue scritto;
ecco d'estinti e di feriti un monte,
ecco i schiavi aleman ch'offrono il tergo
e la tricolorata alta bandiera
in man del Duce che in feral conflitto
rampogna, incalza, invita, e in mille modi
passa e vola qual Dio di schiera in schiera:
pur dubbio è marte; ei dove
più de' cavalli l'ugna
nel sangue pesta, e sangue schizza e piove,
e regna morte in più ostinata pugna
co' suoi si scaglia, e la fortuna sfida
guerriero invitto, e tra le fiamme pugna
e vince; e Italia libertade grida.

      E del Giove terren l'augel battuto
drizza a l'aere natio tarpati i vanni
e sotto il manto imperïal si cela:
ma il vincitor lo inceppa, e gli alemanni
colli che borea eternamente gela,
senton lo altero vertice premuto
dal Guerrier cui tributo
offre atterrita dal suo cenno e doma
la pontificia Roma,
dal Guerrier che ad Esperia i lumi terge
e falla ricca de' tuoi puri doni,
o Libertà gran dea,
e l'uom ritorna ne gli antichi dritti
che prepotente tirannia premea.
In vetta a l'Aventin Cesare s'erge
tirannic'ombra rabbuffata e fera,
e mira uscir di Libertà campioni
popoli dal suo ardir vinti e sconfitti,
ond'alza il brando, e cala la visiera...
Ombra esecranda! torna
sitibonda di soglio
ove lo stuol dei despoti soggiorna
oltre Acheronte a pascerti d'orgoglio:
eroe nel campo, di tiran corona
in premio avesti, or altro eroe ritorna,
vien, vede, vince, e libertà, ridona.

      Italia, Italia, con eterei rai
su l'orizzonte tuo torna l'aurora
annunziatrice di perpetuo sole;
vedi come s'imporpora e s'indora
tuo ciel nebbioso, e par che si console
de' sacri rami dove a l'ombra stai!
I desolati lai
non odi più di vedove dolenti,
non orfani innocenti
che gridan pane ove non è chi 'l rompa: -
ve' ricomporsi i tuoi vulghi divisi
nel gran Popol che fea
prostrare i re col senno e col valore,
poi l'universo col suo fren reggea;
vedi la consolar guerriera pompa
e gli annali e le leggi e i rostri e il nome!
Come, non più del civil sangue intrisi,
vestonsi i campi di feconde messi
e di spiche alla pace ornan le chiome!
E come benedice
il cittadin villano
tergendo il fronte, Libertà felice!
Come dovizïanti a l'oceàno
fendon gl'immensi flutti onusti pini,
cui commercio stranier stende la mano
sin da gli americani ultimi fini!
      Ma de l'Italia o voi genti future, me vate udite cui divino infiamma
libero Genio e ardor santo del vero:
di Libertà la non mai spenta fiamma
rifulse in Grecia sin al dì che il nero
vapor non surse di passioni impure;
e le mura secure
stettero, e l'armi del superbo Serse
dai liberi disperse
di civico valor fur monumento:
ambizïon da le dorate piume
sanguinosa le mani,
e di argento libidine feroce,
e molli studj, piacer folli e vani
a libertà cangiar spoglia e costume.
Itale genti, se Virtù suo scudo
su voi non stende, Libertà vi nuoce;
se patrio amor non vi arma d'ardimento,
non di compre falangi, il petto ignudo,
e se furenti modi
dal pacifico tempio
voi non cacciate, e sacerdozie frodi,
sarete un dì a le età misero esempio:
vi guata e freme il regnator vicino
de l'Istro, e anela a farne orrido scempio;
e un sol Liberator dievvi il destino.
 
 
 
 
5
 
 
 
 
10
 
 
 
 
15
 
 
 
 
20
 
 
 
 
25
 
 
 
 
 
30
 
 
 
 
35
 
 
 
 
40
 
 
 
 
45
 
 
 
 
50
 
 
 
 
 
55
 
 
 
 
60
 
 
 
 
65
 
 
 
 
70
 
 
 
 
75
 
 
 
 
 
80
 
 
 
 
85
 
 
 
 
90
 
 
 
 
95
 
 
 
 
100
 
 
 
 
 
105
 
 
 
 
110
 
 
 
 
115
 
 
 
 
120
 
 
 
 
125
 
 
 
 
130
 
 
 
 
 
135
 
 
 
 
140
 
 
 
 
145
 
 
 
 
150
 
 
 
 
155
 
 
 
 
 
160
 
 
 
 
165
 
 
 
 
170
 
 
 
 
175
 
 
 
 
180
 
 
 
 
 
185
 
 
 
 
190
 
 
 
 
195
 
 
 
 
200
 
 
 
 
205
 
 
 
 
 
210
 
 
 
 
215
 
 
 
 
220
 
 
 
 
225
 
 
 
 
230

introduzione


Biblioteca
Progetto Foscolo
Progetto Foscolo
Biografia di Ugo Foscolo
Biografia

Indice

Fausernet

© 1996 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
ultimo aggiornamento: mercoledì 30 settembre 1998