Bono Giamboni

Il libro de' Vizî e delle virtudi

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CAPITOLO LXI
De la carità che si fa de le cose de la sconfitta de' Vizî.

         Da che le cose furo un poco racquetate, sí si mise un bando da parte delle Virtú che tutte le persone a cui fosse venuto a le mani di quel de' nimici, in mano della Carità incontanente il dovesse[r] rassegnare. La qual cosa cosí si fece, e non ne fu frodata d'un danaio; e fu tanta la roba di quel che si trovò de' nimici, che non si potrebbe contare. E quando la Carità ebbe a sé ogni cosa, raunò tutti i poveri del mondo, sí come quella che ben li sapea, e per volontà de le Virtudi tutta questa roba tra' poveri dispensò, dando a ciascun piú e meno secondo la sua povertade. E quando ebbe fedelmente dispensato ogni cosa, non si trovò neun uomo nel mondo che fosse mendico, perché ciascuno avea pienamente reggimento della vita sua: tanto fue quello che le genti de' Vizî dell'altrui in mala parte teneano. Perché, bastando le cose del mondo pienamente a tutte le genti, tanto aviano i detti Vizî soprapreso de l'altrui (e convertiallo in mal uso), che molti ne stavano in gran mendicitate. E dacché fu fatta la detta carità, sí si raccolsero le Virtú con tutta la lor gente, e abbandonaro il campo e tornârsi nell'oste; nel qual luogo fuoro dalla Religione e da le sue figliuole a grande onore e con molta allegrezza ricevute.

CAPITOLO LXII
Delle parole che dice la Filosofia per andare a le Virtú, per compiere il viaggio.

         Tornate nell'oste le Virtú e abbandonato il campo là ove le battaglie si facíeno, disse la Filosofia: - Figliuolo mio, fatte sono le battaglie tra' Vizî e le Virtú; sola è rimasa quella della Fede Cristiana co la Fede Pagana per racquistare la terra d'oltremare. Ma questa guerra è ammannata gran tempo di durare, Perché la gente che tiene co la Fede Pagana è maggior gente che la nostra; anche ha di là da mare rei e pericolosi passi, per certi fiumi che si convengon passare, e havvi certe province con istrette e pericolose intrate a cagione di montagne; e sopra tutto è ancora perché la Fede Cristiana ha di Roma fatto suo capo, e la gente d'oltremare vuol gran male a' Romani, perché fur già segnoreggiati da loro, e fecero loro dura e aspra segnoria: e però hanno presa la Fede Pagana molto tenacemente, e vorrebbe catuno di loro anzi morire che la Fede Pagana perdesse, non tanto per tema di Dio, quanto per cagion de' Romani, perché hanno paura che la Fede Cristiana non li rimettesse in lor podestà per le dette cagioni. E anche assai richiederà quella guerra gran gente e molto navilio e grandissime spese; e però non si farà a questi tempi, ma predicherassi in prima la Croce, e ricoglierassi il decimo di tutti i Cristiani; e le Virtudi si partiranno, e torneranno al tempo chente porranno tra loro,
         – Onde montiamo a cavallo e andiamo alle Virtú mentre che sono insieme raunate, e compiamo nostro viaggio; perché ci sarebbe piú duro ad andarle caendo per lo mondo, dacché fossero partite.

CAPITOLO LXIII
Dell'andata che la la Filosofia alle Virtudi.

         Quando la Filosofia ebbe cosí detto, sí ci apparecchiammo e montammo a cavallo, e andammo tanto che fummo nell'oste; e trovammo che tutte le Virtú erano a consiglio nel mastro padiglione del Comune; e ragionavaro di fare un bellissimo tempio e un grande spedale nel luogo ov'erano fatte le battaglie, in memoria delle vittorie ch'aveano avute, e di fare predicare la Croce, e di fare raccogliere il decimo di tutti i Cristiani, e di fare molto navilio e grande apparecchiamento d'avere molta gente per lo passaggio d'oltremare.
         E quando fummo ivi, smontammo e intrammo là entro. E quando le Virtudi videro la Filosofia loro donna e maestra, incontanente la conobbero, e gittârsi in terra ginocchioni, e corsero a' piedi per baciargliele; ed ella nol sofferse, ma pigliolle per la mano e rizzolle. E dacché fuoro ritte, sí l'abbracciò catuna per sé, e poi le salutò e disse: - Figliuole mie care, e verage amiche e ministre di Dio, da Cristo e da me siate sempre benedette, che veracemente siete la salute e il campamento delle genti, tante fatiche portate per l'umana generazione -. Elle tutte la risalutaro, e dissero: - Maestra e donna nostra, l'onnipotente Dio ti guardi e salvi d'ogni tempo, acciò che sempre possiamo esser partefici della tua dottrina, verace luce di Dio, per cui è alluminato tutto 'l mondo.
         E quando s'ebbero insieme salutate, sí s'asettarono a sedere; e le Virtu[de] cominciaro a ragionare de le battaglie ch'erano state, e de le vittorie ch'aveano avute, e come tutti i Vizî erano morti e spenti; laonde la Filosofia fece grande allegrezza. E quando ebbero assai ragionato di quella materia, cominciaro a ragionare del fatto del tempio e dello spedale che voleano edificare nel luogo ov'erano state le battaglie. Allor disse la Filosofia: - Degna cosa è che bellissimo tempio e grande spedale sia fatto in cosí vitturioso luogo, e in memoria di sí alta e gloriosa vittoria. E io medesima li voglio disegnare, perché siano bellissimi e grandi -. Allor tolse la canna e disegnolli in presenzia di maestri; ed elli iscrissero il suo disegnamento, perché non uscisse loro di mente.
         E poi tornaro a l'albergo, sonata già terza, e ivi era apparecchiato il desinare. E desinò la Filosofia con tutte le Virtudi ad una mensa a grandissimo agio e con molta letizia.

CAPITOLO LXIV
Del rapresentamento che la la Filosofia del fattore dell'opera alle Virtudi.

         Desinato ogni gente, e levate le mense e rassettati a sedere, dacché si avide la Filosofia che le Virtudi erano chiare e di buona voglia, cominciò a loro de' mie' fatti cota' cose a parlare: - Virtudi, ministre di Dio, per cui si salva l'umana generazione, voi sapete che Cristo nel Vangelio disse che molto è allegro quando un peccatore si converte a penitenzia; e son certa che sempre state ammannate per dare a Dio di queste allegrezze. Onde qui ha un valletto in mia compagnia, che fue già molto mondano; e perché non li seguitavan le cose del mondo tutte a sua volontà, ne fu tanto nell'animo dolente che ne infermò e aggravò della persona malamente. Onde io il visitai come amico, perch'era stato a un tempo sotto mia disciplina, e fecimi aprire la cagione del suo male; e quando l'ebbi conosciuta, il medicai co le medicine de' miei gastigamenti, e fecili l'errore suo apertamente conoscere e vedere; ed elli, siccome uomo ch'ode volentieri quando è gastigato, puose fede alle medicine de' miei gastigamenti. E quando s'accorse che la medicina era buona, e che 'l gastigava come amico, abandonò i primai intendimenti e prese la dieta che l'impuosi, come si dovesse reggere e guardare, e guerie tosto della sua malatia; e oggi è fermo di volere conquistare il santissimo regno di paradiso. Ed essendo certo che non si può avere per altre mani che per le vostre, viene a voi per diventare vostro fedele e per giurare le vostre comandamenta e intrare di vostra compagnia, acciò che l'atiate in su questa vicenda.
         E allor mi pigliò per la mano e menommi dinanzi alle Virtudi, e disse: - Eccol qui, ch'io il v'apresento; e priegovi che come porta l'uficio vostro il dobbiate servire -. E quando m'ebbe rappresentato, e io m'inginocchiai dinanzi da loro con gran reverenza; ed elle si sceveraro da una parte a consiglio.
         E dacché furon consigliate, tornaro; e cominciò la Prudenzia, per volontà dell'altre Virtù, cotali cose a parlare:

CAPITOLO LXV
Di quel che dice la Prudenzia de la Filosofia,
e le parole che dice al fattore dell'opera della Fede.

         – O verage maestra delle Virtudi, o chiara luce di questo mondo, per cui tutte le genti sono alluminate, quanti n'hai già recati a penitenzia di coloro che andavano per questo mondo cieco come matti, e tu li hai dirizzati in buona via co le parole de' tuoi ammonimenti! Ben veggio che chi ritiene teco amistà, malagevolmente può perire: e questi non scampa per altro de la morte, se non perch'ebbe teco contezza alcuna volta. E sappi che per noi sarà bene atato, purché si possa acconciamente.
         E poi si rivolse inverso di me, e disse: – Figliuol mio, noi non ti riceveremmo per fedele né ti prometteremmo alcuno aiuto di dare, se prima non fossi esaminato da la Fede Cristiana, e avesseti ricevuto per fedele. E ben lo ti volessimo noi fare, e dessimoti i nostri amonimenti, e tu li servassi fedelmente, tutte le buone opere del mondo non ti varrebbero neente, se prima suo fedele non diventassi: onde con noi t'afaticheresti invano, se prima da lei non ti facessi, perch'ella è fondamento di coloro che vogliono intendere al servigio di Dio.
         E quando ebbe cosí detto, sciolsi una tasca e trassine una carta e puosila in mano della Prudenzia, e dissi: – Ecco la carta del mio esaminamento, e come per fedele fui ricevuto –.
         E quando ebbe la carta, sí la lesse; e veduto il tinore, fue molto allegra, perché vide ch'era vero il detto mio. Allora disse: – Ben hai fatto buono cominciamento.

CAPITOLO LXVI
De le parole che dice la Prudenzia della gloria mondana.

         Appresso disse: – Figliuol mio, due sono le glorie che l'uomo e la femina può avere, cioè quella di paradiso perpetuale e quella di questo mondo temporale; e tanto è contraria l'una a l'altra, che chi ha l'una, l'altra a niuno partito puote avere. E però disse san Bernardo: "Neuno può avere i beni di questo mondo e dell'altro, e che qui il ventre e colà la mente possa empiere, e che di ricchezze a ricchezze passi, e in cielo e in terra sia glorioso". Onde se di questa mondana avessi alcuno intendimento, non richiedere nostra compagnia, perché ad avere vita eterna non ti potremmo alcuna cosa valere –. E io dissi: – Come intendete voi gloria mondana? È forse vostro intendimento che chi è ricco non si possa salvare? – Ed ella disse: – No, ma chi la desidera e dilettasi con essa. E però disse il Profeta: "Se abonde in ricchezza, non vi porre il cuore tuo" –. E io dissi: – Molto desiderai ad un tempo questa gloria mondana, avegna che mal me ne cogliesse; ma in mano de la Filosofia vi rinunziai, e per lo consiglio di suoi ammonimenti. E se non mi credete, ed ecco ne le vostre vi rinunzio –. Ed ella disse: – Ben mi piace, e stovvi contenta, dacché per sue mani se' tornato a vita di migliori reggimenti.

CAPITOLO LXVII
De le parole che dice di non atare in altro il fattore dell'opera
che in acquistar paradiso.

         Appresso disse: – Figliuol mio, se ti ricevessimo per fedele, non voglio che sia tuo intendimento che t'atassimo in altra vicenda che in acquistare paradiso. E se per altra vicenda ci volessi, non saresti servito; anzi, se ci acorgessimo che ci menassi sotto spezie di questo, e altri tuoi intendimenti ne compiessi, l'avremmo molto per male, e mosterremmolti per innanzi che ne fossimo dolenti. E io dissi: – Perché dite queste parole? Crede' forse che io sia traditore, che cosí malamente v'ingannasse, che desse vista d'una cosa e un'altra facesse? – Ed ella disse: –Figliuol mio, non ti dare maraviglia perché ti diciamo queste parole, perché troviamo che la maggior parte de' gran mali che son fatti nel mondo, son fatti e compiuti alle nostre cagioni e sotto specie di ben fare, e per altra via non sarebbero menati a compimento. Di questo non ci possiamo accorger dinanzi, se non quando il male è commesso: perché tant'è la buona fede ch'aviamo ne le belle parole che ne dite e ne' be' reggimenti che mostrate, che vi riceviamo per fedeli e facciànvi venire in grazia de le genti, e non sappiamo i vostri mali intendimenti, perché solo Idio il cuor delli uomini conosce: e voi ne gittate queste zare. Ma vendichialle molte volte grandemente, a tal otta che a pena ne ricorda a chi l'ha fatto – ma a noi non esce di mente mai. E come a te dinanzi il ricordiamo, cosí si ricorda a tutti quelli che voglion esser di nostra compagnia –. E io dissi: – Non voglio che in altro mi serviate principalmente, che in acquistar paradiso. Ma non può esser che la vostra amistade non vaglia a molt'altre cose in questo mondo; e di quel non voglio esser repetato, perché non intendo a quelle principalmente venire, né vi richiedere per quelle cagioni. E se per neun tempo mi venisse voglia d'ingannarvi per quella via ch'avete detto, delle vostre mani non possa campare, che in questo mondo gran vendetta non ne sia, ché nell'altro son io certo che Dio ne farà grandissima vendetta: perché li ipocriti, che sono di cotesta maniera, che mostran di fare una cosa e fannone un'altra, Dio li innodia sopra li altri peccatori.

CAPITOLO LXVIII
Delle parole che dice di star fermo nel buon cominciamento.

         Appresso disse: – Molti sono che con grande affezione ricolgono la parola di Dio, quando l'odon seminare ad alcuno savio predicatore; e vengon a noi incontanente, e prèganne che li facciamo di nostra compagnia, e diàn loro i nostri amonimenti; e dacché sono ricevuti e amoniti, li oservano un gran tempo fedelmente, ma ritornano addietro e lasciansi ingannare alle cose del mondo e perdonsi il benificio c'hanno fatto. E questi cotali non sono aconci ad aver paradiso; e però dice il Vangelio: "Neun uomo che ponga mano a l'aratro e rivolgasi adietro è aconcio al regno di Dio". Però ti ricordo questo, che se dovessi essere di que' cotali, non adimandi nostra compagnia, perché ad avere paradiso non ti varrebbe neente.
         E io dissi: – Neun uomo può giudicare de le cose che debbono avenire, perché solo Dio le vede e le conosce; ma dirovvi sopra cotesto fatto il mio intendimento. Io son fermo di ben cominciare, e credomi cosí seguitare e finire, e credo oservare i vostri amonimenti. E il dí che mi vien voglia di mutare, mi vegna la morte incontanente, sí che più non viva in questo mondo: perché conosco certamente che molto è ria la vita di coloro che non vivono a Dio, ma solo al mondo.

CAPITOLO LXIX
De le parole che dice de le cinque Virtù che tegnono le cinque chiavi di paradiso.

         Risposto alla Prudenzia a tutte le sue adomandagioni secondo che desiderava d'udire, disse: – Figliuolo mio, da che se' in cotesta volontà di ben fare, io ti vo' di nostri fatti alcuna cosa dire. Sappi che cinque sono le porti per le quali s'entra, anzi che andare si possa in paradiso. De la prima porta tiene le chiavi la Fede Cristiana, e a neuno la diserra, né 'l lascia andare in quel luogo beato, se non conosce Dio e crede secondamente che comanda. Della seconda porta tien le chiavi la Prudenzia, e a neuno la diserra né 'l lasci' andare in paradiso, se non è savio e scalterito ne le cose del mondo, in conoscere il bene dal male per diritta ragione, e in elegger lo bene e fuggir lo male c'ha conosciuto. De la terza porta tien le chiavi la Giustizia, e a neuno la diserra né 'l lascia andare in paradiso, se non è d'animo giusto, e redde ad ogni persona sua ragione a cui è obligato. De la quarta porta tien le chiavi la Fortezza, e a neuno la diserra né 'l lascia andare in paradiso, se non è d'animo forte a sostenere con molta pazienzia i pericoli e le fatiche de le tribulazioni e aversità del mondo, e in non pigliare troppa allegrezza ne le prosperevoli cose. De la quinta porta tiene le chiavi la Temperanza, e a neuno la diserra, né 'l lascia andare in paradiso, se non è d'animo temperato a refrenare i desiderî de la carne e a tenere il mezzo in tutte le cose.
         – E sono qui presente le dette Virtù; e catuna ha suoi amonimenti, e faratti intendere ciascuna di suoi, e mosterraliti apertamente. E tu sie savio in saperli pigliare e diligentemente commendare e in memoria ritenere, acciò che ti sappi consigliare che via sopra i nostri fatti ti convegna tenere.

CAPITOLO LXX
Delli ammonimenti della Prudenzia.

         Quando la Prudenzia ebbe parlato come di sopra avete inteso, cominciò a pensare e a recarsi a memoria li suoi ammonimenti. E quando ebbe una pezza pensato, disse: – Figliuol mio, la Fede Cristiana, sí come capo e fondamento di coloro che vogliono intendere al servigio di Dio, tiene le chiavi de la prima porta di paradiso, e a neuno la diserra, né 'l lascia andare in quel luogo beato, se prima non conosce Dio e crede, secondo ch'amonisce e comanda. E però accaderebbe a lei di darti imprima i suoi ammonimenti; ma ella t'ha già esaminato e ammonito e ricevuto per fedele, secondo che si contiene nella carta che tu mi mostrasti.
         – E cosie viene ora a me la vicenda di farti intendere de' miei, perché tengo le chiavi della porta seconda. E vo' che sappie per certo che a neuno apro questa porta, né 'l lascio in paradiso andare, se prima non è prudente, cioè savio e iscalterito in su le cose c'hae a fare, in conoscere il bene dal male per diritta ragione, e aleggere il bene nelle sue operazioni, e fuggire il male c'ha conosciuto. E puote usare questa virtù per quattro virtù che nascono di lei: cioè per buona memoria, per buono conoscimento, per buono provedimento, per buono esaminamento delle cose contrarie.
         – Per buona memoria puote l'uomo usare questa virtù, quando l'uomo ha memoria e ricordasi di molte cose passate e di molti fatti che sian già avenuti e incontrati, e adatta il fatto c'ha a fare ad alcun fatto passato, e dice: "Questo fatto simigliantemente dee andare, o in questo fatto simigliante via si dee tenere". Per buon conoscimento puote l'uomo usar questa virtude, quando imagina bene il fatto c'hae a fare, e conosce il ben dal male per diritta ragione, o la cosa giusta da la non giusta o la convenevole da la sconvenevole, e sí guarda il bene c'ha conosciuto e manda a compimento. Per buon provedimento può l'uomo usare questa virtù, quando del fatto c'hae a fare provede dinanzi che ne può incontrare o avenire, perché si giudicano le buone cose da le rie solamente da la fine. Per buono esaminamento puote l'uomo usar questa virtù, quando l'uomo esamina bene ogni cosa del fatto o de la cosa c'ha a fare, perché molte cose paion buone, che non sono, perché i contrarî e le cose che posson nuocere non sono bene esaminate e cercate.

CAPITOLO LXXI
Delli ammonimenti della Iustizia.

         Appresso venne la Giustizia ad aprire i suoi ammonimenti, e disse: – Figliuol mio, io tegno le chiavi della terza porta di paradiso, e non diserro a neuno la detta porta, se non è d'animo giusto, e redde ragione a ogni persona a cui è obligato. Ed è l'uomo per tre ragioni obligato: per ragione scritta e per ragione non scritta e per ragione naturale; per ragione scritta, cioè o per legge romana o per istatuto; per ragione non scritta, cioè per alcuna usanza che sia tenuto d'oservare.
         – Per ragione naturale è l'uomo obligato in sei modi, cioè per via di religione, per via di pietà, per via d'amore, per via di vendetta, per via d'osservanza, per via di verità. Per via di religione è l'uomo obligato naturalmente a Dio; per via di pietà è obligato il padre al figliuolo e 'l figliuolo al padre e lo cittadino alla sua città; per via d'amore è obligato il parente al parente e l'amico all'amico; per via di vendetta è obligato il nemico al nemico; per via d'oservanza è obligato il suggetto al segnore; per via di verità è obligato naturalmente l'un uomo a l'altro.
         E io dissi: – Fammi bene intendere come l'uomo è obligato a Dio naturalmente per via di religione –. Ed ella disse: – Religione ha sotto sé tre virtù, secondo ch'io t'ho detto di sopra, cioè fede, carità e speranza. Per la fede si conosce e crede Idio; per la carità s'ama e obedisce e portalisi reverenza; per la speranza s'ha ferma credenza d'esser da Dio guiderdonato. Tutte le dette cose siàn tenuti di rendere e di fare a Dio naturalmente; e quelli è in verace religione e redde a Dio perfettamente sua ragione, che tutte le dette cose li rende, cioè che conosce e crede Dio, e amalo e ubidiscelo e falli reverenza e ha in lui ferma speranza d'esser del ben guiderdonato.
         E quando ebbe cosí detto, dissi: – Mostrami come il padre al figliuolo e il figliuolo al padre e 'l cittadino alla sua cittade è naturalmente obligato per via di pietade –. Ed ella disse: – Il padre è tenuto al figliuolo naturalmente di fare tre cose, cioè nutricarlo e amonirlo e gastigarlo: nutricarlo, perché cresca e possasi aiutare; amonirlo di Dio e darli di buoni costumi, perché sia buono; gastigarlo di peccati e de' mali, perché non doventi reo. E 'l figliuolo è tenuto di rendere al padre altre tre cose, cioè onorarlo, ubidirlo e sovenirlo: onorarlo, per lo benificio che n'ha ricevuto; ubidirlo, perché li sono utili i suoi comandamenti; sovenirlo quand'è bisognoso, per renderli cambio de' suoi benificî. E 'l cittadino è tenuto naturalmente di rendere alla sua città due cose, cioè consigliarla e atarla: consigliarla è tenuto, cioè darle buoni e diritti consigli; atarla è tenuto in su' bisogni e pericoli suoi. E tutti questi si muovono a rendere loro ragione, come ho detto di sopra, per via di pietade. E quando ebbe cosí detto, dissi: – Dimmi come l'amico è obligato a l'amico, e 'l parente al parente, naturalmente per via d'amore –. Ed ella disse: – L'amico è tenuto a l'amico, e 'l parente al parente, a due cose, cioè a consigliarlo e aiutarlo: a consigliarlo è tenuto, cioè a darli fedeli e diritti consigli; ad atarlo è tenuto in su' bisogni e pericoli suoi. E a queste cose fare si muove l'amico o 'l parente solamente per amore che nel suo amico e parente dé avere.
         E quando ebbe cosí detto, dissi: – Dimmi in che modo è obligato il nemico al nemico naturalmente per via di vendetta –. Ed ella disse: – Quando il nemico vuole offendere al suo nemico, questi che vuol essere offeso si può naturalmente difendere da lui e non lasciarsi fare né forza né ingiuria; e questo cotale difendere è appellato vendetta, e la ragione che 'l nemico contra 'l nemico puote usare, cioè di difendersi da lui, acciò che forza né ingiuria no li faccia. E avegna che per questa via si possa redder naturalmente ragione al nemico, Dio volle che colui che vuol esser perfetto questa cotale ragione contra 'l nemico non usi, né si difenda da lui. Onde dice il Vangelio di colui che vuole esser perfetto: "Chi ti dà nell'una gota, para l'altra; e chi ti vuol tòrre la gonnella, dagli con essa la guarnacca".
         E quando ebbe cosí detto, dissi: – In che modo è obligato il suggetto al signore naturalmente per via d'osservanza? – Ed ella disse: – Il suggetto è tenuto al segnore a tre cose, cioè onorarlo, ubidirlo e venerarlo con molta reverenzia: ché a queste cose li è obligato naturalmente per via d'osservanza, perché sempre è cosí usato di fare.
         E quando ebbe cosie detto, dissi: – In che modo è obligato un uomo a l'altro naturalmente per via di veritade? – Ed ella disse: – L'un uomo a l'altro èe obligato naturalmente di dire verità e servarli quello che giustamente li promette. E anche è tenuto l'un uomo a l'altro a tre cose, cioè sovenirlo, sopportarlo e gastigarlo: sovenirlo quand'è bisognoso; soportarlo quand'è infermo over matto; gastigarlo quando e' vede ch'elli erra in commettere o fare alcun peccato. In tutti i modi che son detti di sopra dé rendere l'un uomo a l'altro la ragion sua, a cui è obligato, acciò che la mia porta di paradiso gli diserri.

CAPITOLO LXXII
De li ammonimenti della Fortezza.

         Appresso venne quella Virtù che s'appella Fortezza ad aprire e mostrare i suoi amonimenti, e disse: – Io tegno le chiavi della quarta porta di paradiso, e a neuno la diserro se non è d'animo forte a sostenere i pericoli e le fatiche delle tribulazioni e angosce del mondo, e in non esaltarsi malordinemente per le prosperevoli cose della ventura. E d'animo forte può esser l'uomo per sei virtù che nascono di fortezza, cioè per magnificenzia e speranza e fermezza e pazienzia e perseveranzia e longanimitade. Per magnificenzia è l'animo forte, quando l'uomo ardisce le gran cose di fare, acciò che dirittamente la cosa si faccia. Per isperanza è l'animo forte, quando spera l'uomo fermamente di ben capitare, quando la cosa si fa dirittamente. Per fermezza è l'animo forte, quando sta l'uomo fermo in sul buon provedimento e porta igualmente tutte le cose. Per pazienzia èe l'animo forte, quando soffera l'uomo in pace i pericoli e le fatiche delle tribulazioni e angosce del mondo. Per perseveranza è l'animo forte, quando persevera l'uomo infino alla fine delle cose che dirittamente incomincia. Per longanimità è l'animo forte, quando pazientemente aspetta l'uomo d'esser in vita eterna guiderdonato. Per tutte queste virtù è bisogno che sia forte l'animo di colui che vuole che la mia porta li sia diserrata.

CAPITOLO LXXIII
Delli amonimenti della Temperanza.

         Appresso venne la Temperanza ad aprire e mostrare i suoi amonimenti, e disse: – Figliuol mio, io tegno le chiavi de la quinta porta di paradiso, e no·ll'apro a neuno che nel detto luogo vogli'andare, se non è d'animo temperato in refrenare i desiderî de la carne laonde è assalito e tentato, e in tenere il mezzo di tutte le cose. E puote l'uomo esser d'animo temperato per [otto] virtudi, cioè per [contenenza] e castitade e pudicizia e astinenzia e parcitade e umilitade e onestade e vergogna. [Per contenenza puote l'uomo esser d'animo temperato, quando s'astiene dai desiderî non liciti]. Per castità è l'animo temperato, quando costrigne l'uomo l'incendî de la lussuria col freno della ragione. Per pudicizia è l'animo temperato, quando non solamente l'incendî, ma i segni della lussuria rifrena, che sono ne' reggimenti del corpo e ne' vani ornamenti. Per astinenzia è l'animo temperato, quando s'astiene l'uomo del manicare e del bere di soperchio. Per parcitade è l'animo temperato, quando ritiene l'uomo quello che si conviene: ché la larghezza è quando quello ch'è convenevole si ispende. Per umiltà è l'animo temperato, quando porta l'uomo vile abito, e 'l ben che fa sí nasconde, acciò che non paia di fuori. Per onestà è l'animo temperato, quando tutte le cose che li fanno bisogno a la vita reca ad uso temperato. Per vergogna è l'animo temperato, quando si vergogna l'uomo de le soperchianze e de' mali e delle sozze parole. Per tutte le dette virtù è bisogno ch'abbia l'animo temperato chi per la detta porta vuole intrare.

CAPITOLO LXIV
Che parole dice la Prudenzia al fattore dell'opera.

         Compiuto di dire i loro amonimenti le quattro Virtù principali che tengono le quattro chiavi delle quattro porte di paradiso, disse la Prudenzia: – Figliuol mio, tu hai intese le parole degli amonimenti che detti ti sono, i quali si vogliono tutti oservare, perché non è niuna delle dette Virtudi che la sua porta ti degnasse d'aprire, se' suoi amonimenti non fossono oservati – e niuno potrebbe andare in paradiso, a cui alcuna delle dette porte fosse serrata. Però ti pensa dinanzi se ti credi bene poterli oservare; e se vi ti accordi, diventa fedele e entra di nostra compagnia, e noi t'aiutereno volentieri e apirenti le nostre porti se sarai buono fedele. E se credessi non poterli oservare, non ti imbrigare de' nostri fatti, perché non sarebbe altro che inganno del mondo, e non te ne potrebbe altro che male incontrare.

CAPITOLO LXXV
Come 'l fattore dell'opera piglia consiglio della Filosofia.

         Incontanente che la Prudenzia ebbe compiuto di dire come di sopra avete inteso, mi levai ritto in piede del luogo ov'era stato ginocchione innanzi alle Virtudi per udire i loro ammunimenti, e pigliai la Filosofia per la mano, e trassila d'una parte a consiglio, e dissi: – Maestra delle Virtudi, pregoti, per l'amore e per la fede che t'ho sempre portato, che in su questi fatti mi debbi consigliare: che non son sí savio che per me ci sappia pigliare buon consiglio. Ché, quando mi penso del regno di paradiso, ch'è cosí grandissima cosa come m'hai di sopra mostrato, molto s'accende l'animo mio di patirne ogne durissima e asprissima cosa per averlo; ma quando mi reco a memoria li amonimenti che m'hanno dato le Virtudi, li quali mi conviene tutti oservare, non veggio che per neuno modo io far lo potesse. Die aiuta! chi sarebbe di tanta bontà, che conoscesse e credesse e amasse e ubidisse e reverisse Dio nostro signore, e avesse in lui ferma speranza, come Religione comanda per le dette tre virtudi che nascono di lei? e fosse sí savio e scalterito, che in tutte le cose ch'avesse a fare, il bene dal male e la cosa giusta da la non giusta o la convenevole da la sconvenevole per diritta ragione conoscesse, il bene eleggesse e 'l male schifasse e fuggisse, come comanda Prudenzia? e fosse sí giusto, che reddesse suo diritto a qualunque persona fosse obligato o per legge o per usanza o, per ragion naturale, come comanda Giustizia? e fosse sí d'animo forte, che ne le prosperevoli cose non si esaltasse, e i pericoli e le fatiche de le tribulazioni e angosce del mondo in pace portasse, come comanda Fortezza? e fosse d'animo temperato tanto, che li desiderî de la carne, laonde è tentato e assalito, costrignesse e temperasse, e pesasse sí le cose che in tutte il mezzo tenesse, secondo che Temperanza comanda? Certo non sono io colui che le dette cose credesse oservare; onde ti dico certamente che non ci vorrei esser venuto, in tanti duri pensieri sono intrato. Perché prima mi vivea di buona fede semplicemente, e a le dette cose non pensava; ma or che veggio quello che far mi conviene, vivo com'uomo disperato, e non credo potere avere il regno di Cielo, il quale desiderava sopra tutte le cose.

CAPITOLO LXXVI
Del consiglio che dà la Filosofia al fattore dell'opera; e come fue ricevuto per fedele.

         Compiuto di dire le dette parole, la Filosofia cominciò a pensare; e quando fue stata una pezza, disse: – Figliuol mio, tre sono le potenzie dell'anima in questo mondo, cioè lavorare, imaginare, desiderare. Per la potenzia ch'è nell'anima del lavorare, sempre mai in questo mondo lavora e non può stare oziosa; per la potenzia ch'è nell'anima dello imaginare, sempre mai in questo mondo vuole imparare, e di ciò non si sazia; per la potenzia ch'è nell'anima del desiderare, sempre mai desidera stando nel mondo, e non adempie i suoi desiderî. Dunque, se l'anima dell'uomo è data naturalmente in questo mondo a queste tre cose, e fuggire no·lle puote, perché sono in lei naturali, qual è meglio tra che lavori a Dio o al mondo, con ciò sia cosa che 'l lavorio che si fa a Dio sia con frutto, e quel che si fa al mondo sia sanza frutto per innanzi? Del quale lavorio fa menzione san Giovanni, quando dice: "Beati que' morti che muoiono a Dio perch'oggimai dice allo spirito che si riposi de le fatiche sue, e da le sue opere sarà seguitato". E qual è meglio tra che appari la sapienzia di Dio o quella del mondo, con ciò sia cosa che quella di Dio sia di verità e dirizzi l'uomo a verace conoscimento de le cose, e quella del mondo sia di vanitadi e bugie, e conduca l'uomo in grandissimi errori? Della quale fa menzione il Salterio, quando dice: "Figliuoli degli uomini, perché siete voi di cosí vano cuore, perché desiderate voi le vanitadi e andate caendo le bugie?"; e appella il savere delle cose mondane vanità e bugia. E qual è meglio tra desiderare i beni celestiali o quelli del mondo, con ciò sia cosa che i celestiali siano stabili e fermi e adempiano i desiderî dell'uomo, e que' del mondo siano fallaci e a termine dati, e' desiderî dell'uomo non possan compiere? Certamente ti dico che non è aguaglio dall'uno lavorio a l'altro, dall'uno apparare all'altro, dall'un desiderare all'altro. E per le Virtù si lavora a Dio e s'appara la sapienzia di Dio e desideransi le cose celestiali.
         – Onde, da che m'hai chiesto consiglio, e io il ti do volontieri, e consiglioti per la fede, onde m'hai scongiurato, che incontanente ti facci fedele de le Virtù ed entri di lor compagnia e prometti d'oservare i loro ammonimenti, e compî quello per che tu se' venuto. E non ti sbigottire né abbi paura perché ti paiano ora duri i loro ammonimenti, perché molte cose paiono agre nel cominciamento, che sono molto agevoli a seguitare e compiere: e quest'è una di quelle. E però dice Dio nel Vangelio alle genti: "O voi che lavorate e affaticati siete (intendi de le cose del mondo), venite a me e io vi sazierò; e sappiate che 'l mio giogo è soave e l'incarico mio sí è lieve" –. E quando ebbe cosí detto, sí mi pigliò per la mano, perché s'accorse che io dubitava e non era d'animo fermo; e menommi dinanzi alle Virtù e disse: – Ecco l'uomo, che s'è accordato al postutto d'esser vostro fedele e d'intrare di vostra compagnia e osservare i vostri ammonimenti fedelmente.
E le Virtù, vogliendo le dette cose di mia bocca sapere, dissero: – Vuo' tu, figliuolo, diventare nostro fedele? – Ed io, ch'era già rassicurato per li buoni conforti che la Filosofia m'avea dati, dissi: – Sí voglio molto volontieri –. Ed elle dissero: – E vuo' promettere d'osservare i nostri ammonimenti? – E io dissi: – Sí prometto co l'aiuto e a la speranza di Dio –. Ed elle allotta sí mi benedissero e segnaronmi ciascuna per sé, e dissero: – E noi t'amettiamo per fedele e compagno; e fedelmente ti serviremo, e promettiamo in questo mondo di darti la grazia delle genti, e nell'altro paradiso e 'l regno di Cielo: nel quale luogo ti farai glorioso e beato e partefice co li angeli della gloria e della beatitudine di Dio onnipotente.
         E dacché m'ebbero benedetto e segnato e ricevuto per fedele, scrissero
BONO GIAMBONI nella matricola loro, secondo che la Filosofia disse ch'io era chiamato.

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Edizione telematica  a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
da: Bono Giamboni, Il libro de' Vizî e delle virtudi e il trattato di virtù e di vizi, a cura di Cesare Segre, Giulio Einaudi editore, Torino 1968.

© 1999 – by prof. Giuseppe Bonghi
– E–mail: Giuseppe Bonghibonghi@mail.fausernet.novara.it
Data ultimo aggiornamento: 14 maggio 1999