Bono Giamboni

Il libro de' Vizî e delle virtudi

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CAPITOLO  XLVI
De la battaglia tra la Fede Cristiana e la Pagana.

         Allevata e cresciuta questa Legge Pagana nelle parti d’oltremare, e creduta per legge di Dio da molta gente, i demonî di ninferno la condussero con tutto loro sforzo nel campo là ove le Virtù co li Vizî faccíano le battaglie; e appellò a battaglia la Fede Cristiana.
         E allor s’accorse di prima la nostra Fede di questa Resia, e cominciossi in questo modo a lamentare: – O Idio onipotente, verranno mai meno le mie fatiche? Vedrò mai tempo ch’io mi possa riposare? Ecco, in mezzo de la gran pace ch’avea, essendo tutti i miei inimici vinti, e convertite tutte le genti del mondo alla mia fede, m’è nata di nuovo crudele guerra, e sí di sùbito che non me ne sono potuta avedere. Ben veggio che chi ha a fare con cosí reo inimico com’è Satanasso non si dé mai disarmare, perché di sùbito assalisce le genti.
         - E tu Satanas, inimico di Dio, rimarra’ti tu mai di trovar novità per tòrre a Dio l’anime delli uomini, che sa’ che sono di sua ragione, e fur fatte da lui per aver paradiso e ché riempiessero le sediora vòte di paradiso che perdesti? Ben ti converrà esser ingegnoso, che ’l possi ingannare o trarre a dietro i suoi proponimenti. E accorgomi per quel che tu fai che la fede è la maggior virtude che l’uomo in questo mondo possa avere a potersi salvare, per tanti ingegni t’asottiglie di provare l’uomo e di farlo cadere in errore.
         E quando ebbe cosí detto, fece incontanente nuov’oste, e raunò grandissima gente, perché la vecchia era partita, e, apparecchiata d’ogni cosa, tornò al campo per combattere co la Fede Pagana. E quando di ciascuna parte fur fatte le schiere e ammonite le genti di ben fare, sí si cominciò tra queste Fedi una battaglia sí terribile e grande, e di mortalità di tanta gente, che mai non fu nel mondo neuna simigliante né ove tanta gente perisse. Ma al dassezzo perdeo la Fede Cristiana per lo grande aiuto de’ dimonî, e fue cacciata di tutta la terra d’oltremare; e tutta la gente che abitava di là si convertio a quella Fede, e appellârsi Saracini.

CAPITOLO XLVII
De la venuta che fa di qua da mare la Fede Pagana.

         Vinta la Fede Pagana tutta la terra d’oltremare e convertito a sua legge tutte le genti, colse baldanza sopra la Fede Cristiana; e fece fare molto navilio, e passò il mare, e venne di qua con grandissimo stuolo di gente, e arrivò ne le parti di Cicilia.
         Quando la Fede Cristiana udí queste novelle fu molto dolente, perché non avea gente che con lei si potesse assembiare, per la gran perdita ch’avea fatta nell’altra battaglia: e però no le si fece a rincontro, ma cominciò a guernire cittadi e castella per difendersi da lei, se potesse, che non perdesse più terra. Ma non valse neente, perché poscia che la Fede Pagana fu scesa in terra co la sua gente, e suo navilio ebbe allogato ne’ porti di Cicilia, da che vide che la Fede Cristiana non ebbe ardimento di rincontrarla, venne pigliando tutta la terra in qualunque parte andava, sicché in picciol tempo tutta Italia conquistò. E dacch’ebbe vinta Italia, ch’era donna de le provincie a quella stagione, tutti li altri reami e provincie fecer le comandamenta e giuraro la fedaltà, se non solamente il reame di Francia; e convertîrsi alla Fede Pagana tutte le genti, e ispensesi la Fede Cristiana di tutto ’l mondo, sicché in niuna parte palesemente si predicava, avegna che ne fossero molti credenti, ma non palesemente.

CAPITOLO XLVIII
Del consiglio che piglia la Fede Cristiana.

         Nel reame di Francia, che stette fermo, fuggío la Fede Cristiana con quella gente che la vollero seguitare; e stando ivi pigliò consiglio da’ suoi savi, che fosse da fare sopra tanto pericolo, quanto in questa guerra le era incontrato. E fue consigliata che tornasse nel campo a combattere co la Fede Pagana, e che rinchiedesse tutte le sue amistadi, ch’a certo tempo la venissero ad atare, ché non era versimile che Dio onnipotente la Fede ch’avea data per lo suo figliuolo Gesù Cristo cosí al postutto lasciasse perire. Il quale consiglio cosí mandò a compimento; e rinchiese per lettere e suoi messi speziali tutti li amici ch’avea nel mondo, e pregolli che la Pasqua prossima di Risurressio la venissero ad atare, e fece loro assapere per certo che colla Fede Pagana a quella stagione tornerebbe a la battaglia.

CAPITOLO XLIX
Della raunanza delli amici che fa la Fede Cristiana.

         Fatta la richiesta delli amici, e sparta la novella per lo mondo che la Fede Cristiana tornava alla battaglia, vennero a lei d’ogni parte li amici, e spezialmente due Virtù, con grandissima gente; laonde fue sí grande letizia nel campo, come se ciascuno fosse di morte a vita suscitato.
         E quando vidi questa allegrezza, dissi a la Filosofia: – Chi son questi segnori onde questa gente è cosí confortata, che stava in prima cosie trista? – Ed ella disse: – Quelle sono due Virtudi, le quali sono sí congiunte colla Fede, che non vale neuna cosa l’una sanza l’altra; ma insieme raunate e congiunte non è cosa neuna che da loro si difendesse. E oggimai vedrai che i fatti di questa guerra andranno tutti d’altra maniera. – E io dissi: – Come hanno nome? – Ed ella disse: – L’una s’apella Caritade, e l’altra Speranza. – E io dissi: – Ben ho già udito di queste Virtù molte volte predicare; ma dimmi, in che è la loro congiunzione cosí perfetta? – Ed ella disse: – Queste tre Virtudi, cioè Fede, Carità e Speranza, son serocchie, e nate d’una Virtù che si chiama Religione. Per la Fede si conosce Dio e crede; per la Carità s’ama e ubidisce e adora; per la Speranza si ha ferma credenza delle dette cose esser da Dio meritato. E cosie interviene che chi ha l’una di queste Virtù sanza l’altra, non li adopera neente; ma chi l’ha tutte insieme, cioè conosce e crede Idio per la Fede; e amalo e ubidiscelo e portali reverenza per la Caritade; e ha ferma Speranza da lui esser de le dette cose meritato: queste tre cose in uno uomo ragunate ha sí per bene Dio onnipotente, che quel cotale non lascia perire, ma in tutti suoi bisogni l’aiuta e fal vincitore. E cosí queste tre Virtudi che sono ora insieme raunate e sono state scevere in questa nuova guerra, quando si verranno a consigliare in su questi fatti che sono comuni tra loro, Dio onnipotente sarà in mezzo di loro; e di tutte le cose piglieranno e faranno il migliore.
         E dicendo queste parole vedemmo che queste tre Virtudi si trassero da una parte a consiglio, per vedere e per pensare che sopra queste vicende avessero a fare. E diliberaro e fermaro tra loro d’eleggere di tutta loro gente dodici uomini fortissimi e savi e prodi e valentri e scalteriti di guerra, i quali, dacché la battaglia fosse cominciata, a neun’altra cosa de la battaglia intendessero ch’a confondere il signore de’ nimici, cioè la Fede Pagana, e sempre le fossero a petto in qualunque parte della battaglia fosse; credendo per quella via, cioè quando il loro segnore fosse morto, tutta l’oste de’ nimici mettere in isconfitta e in caccia. E secondo che diliberaro e pensaro, cosí mandaro a compimento; ed elessero dodici uomini che trovaro fortissimi e savi e iscalteriti di guerra, e appellârgli Paladini. E puosero loro in mano che facessero, cominciato la battaglia co’ nimici, come di sopra avete inteso che avieno ordinato.

CAPITOLO L
De la seconda battaglia tra la Fede Cristiana e la Pagana.

         Raunata l’oste della Fede Cristiana, e cresciuta molto per li amici che trassero d’ogni parte per atarla, e fatta la compagnia de’ Paladini, e dato loro un leone per insegna, e tutte l’altre genti assettate per ischiera, e dato loro buono capitano, venne nel campo là ove si facíano le battaglie molto scalteritamente, e richiese di battaglia i nimici.
         La Fede Pagana, ch’era a Roma a quella stagione, e dividea tra’ suoi baroni i reami e le provincie ch’avea conquistati, e ammonivali e confortavali di ben fare e che fossero prodi e valenti, promettendo loro vie maggiori cose per innanzi, quando udie che la Fede Cristiana era nel campo ove le battaglie si facíeno con grande oste, e che la richiedea di battaglia, avegna che del detto suo facesse gran beffe e il suo fatto avesse per niente, tuttavia s’apparecchiò e rifece sua oste per combattere con lei, se fosse ardita d’aspettarla. E raunò un’oste di tanta gente, che tutto ’l mondo copriano, e non potrebbe esser annoverata se non come l’arena del mare; e rifece sue schiere, e molto assettatamente venne nel campo là dov’era la Fede Cristiana che l’aspettava.
         E quando fur le genti ammonite di ben fare dall’una parte e dall’altra, che dovesser esser prodi e valentri, si cominciò una battaglia sí pericolosa e grande, e ove moriro tanta gente da catuna delle parti, che molto sarebbe lungo a contare e crudele e terribile a udire, chi ben volesse ogni cosa contare. Perché nel mondo non ne fue anche neuna sí crudele, né ove tanta gente perisse: perché da ciascuna parte avea franca gente e iscalterita e savia di battaglia, e volonterosa di vincere l’una e l’altra. Imperò che quando la gente della parte della Fede Cristiana si ricordava dell’onta e del disonore ch’avea ricevuto da’ nimici, molto s’acendeva l’animo loro alla battaglia, per potersi vendicare; e quando la gente dell’oste della Fede Pagana si raccordava del gran dono ch’avea ricevuto dal loro segnore, ch’avea lor donata tutta la terra conquistata, sí s’acendea molto l’animo loro a la battaglia, acciò che non perdessero il beneficio che con gran fatica aviano conquistato. E cosí pensando, ciascuna parte stava dura e ferma contra ’l suo nimico, e non si lasciava tòrre terra. Anche i re di ciascuna parte eran franchi segnori e scalteriti di guerra: per che ciascuno andava per lo campo confortando i suoi di ben fare e lodando l’opere di colui che facea bene e promettendo di farline guiderdone (laonde accendea l’animo loro), e atando e sovenendo i suoi là ove facea bisogno. E cosí facendo, questi franchi segnori manteneano sí iguale la battaglia, che neuno potea acquistare terra sopra l’altro, né si potea vedere chi de la battaglia stesse meglio; ma era pericolosa, perché in ogni parte avea guai e strida e crudele mortalità di gente.

CAPITOLO LI
De la sconfitta della Fede Pagana.

         Nel detto modo durò la battaglia infino a nona, che non si potea vedere chi stesse meglio; ma nell’ora di nona i demonî, che sempre erano ivi presenti per atare la lor gente, avegna che non avessero potenzia di nuocere a neuno che fosse da la parte della Fede Cristiana, alla detta stagione cominciaro a rilevare i loro, incontanente ch’erano caduti, e a fare gran romore per lo campo, sí che colà ove n’avea cento di loro, pareano più di mille. E cominciaro a confortare i loro in su’ bisogni e a sbigottire i nimici e spander bugie per lo campo, dicendo d’alcun barone della parte della Fede Cristiana ch’era morto (e non era vero): sicché le dette opere faccendo e altre simiglianti, que’ de la parte della Fede Cristiana cominciaro a sbigottire, e trassersi un poco a dietro per paura.
         Quando la Fede Cristiana vide questo, avegna che avesse da lo ’ncominciamento paura, tostamente fue rassicurata, perché s’acorse onde questo venía. E incontanente adorò a Dio onnipotente, e disse: – Segnore mio Gesù Cristo, tu vedi e conosci la niquitade de’ dimonî e quello che ci fanno, che siamo tuoi ministri; onde ti leva e pugna per noi, che questo è tuo fatto. – Dette queste parole, incontanente fuor cacciati i demonî e cessò l’aiuto a’ nimici. Allor la Carità e la speranza, ricordandosi e recandosi a memoria il grande vitiperio e ’l disinore ch’era fatto alla Fede loro serocchia, e che toccava loro comunemente, cominciaro di tal virtù a pugnare, che non era schiera di nimici sí forte o tanto stretta o serrata che no la rompessero e diserrassero, e che no la mettessero in caccia. E la Fede da la sua parte, pensando ch’era acompagnata dalla Caritade e da la Speranza, e là ov’eran tutte e tre era Idio in miluogo di loro, sí cominciò a prender sí gran baldanza, che confondea i nimici in qualunque parte ella andava: di tanta virtude combattea. E i Paladini, che sempre erano a petto a la Fede Pagana in qualunque parte de la battaglia ella fosse, e impedimentivano tutte l’opere sue, e sempre guardavan con gran diligenzia com’a lei potesser dare morte, veggendo che la schiera sua era diserrata e aperta da le dette Virtudi, che tutto ’l die era stata serrata, e che a lei potiero andare, l’assaliro con tanto vigore, ch’al postutto l’avrebbero morta, se non fosse che si mise a fuggire.
         Quando la gente sua vider fuggire lo signore, e che da’ detti Paladini era cacciato, e non avea ardimento di volgersi per atare, cominciò tutta quanta a fuggire e abandonar la battaglia. Allora fue sí grande sconfitta, e durò tanto la caccia della gente della Fede Pagana, che tutti fuor quali morti di ferro, e qual traffelò, sicché molti pochi ne camparo.

CAPITOLO LII
Della rivinta delle terre di qua da mare che fa la Fede Cristiana.

         Vinta e cacciata la Fede Pagana, e morta e traffelata la maggior parte della gente sua, la Fede Cristiana la venne poi seguitando di terra in terra e di provincia in provincia e d’ogni luogo cacciando senza regger battaglia in neuna parte: sicché in picciol tempo l’ebbe rivinte tutte le provincie e' reami che di qua da mare avia conquistati, se non si fuoro certe castella che sono nelle montagne di Cicilia, le quali guerní grandemente d’assai gente e di molta vivanda e d’ogni altro fornimento che fa bisogno a difensione di castella, ad intendimento che se mai s’aconciasse di tornare di qua, avesse luogo ove in terra potesse ismontare. E dacché l’ebbe guernite, sí si ricolse in su le navi con tutta la gente che l’era rimasa, e molto dolente si fuggío oltremare.

CAPITOLO  LIII
Del consiglio che pigliano le Virtudi perché la Fede Cristiana
abbandoni il campo e torni nell’oste a riposarsi.

         Racquistata e rivinta la Fede Cristiana tutta la terra di qua da mare per forza di battaglia, avegna che nell’animo suo fosse molto allegra, secondo che dice il Vangelio, che colui che perde la cosa c’ha molto cara, e poscia la racquista, sí no lile pare aver fatto nulla; considerando il Savio che dice: "Nulla è ancora fatto della cosa che non è tutta compiuta di fare": però tornò nel campo là ove si facíeno le battaglie, e cominciò a raunare grande stuolo di gente e a far fare molto navilio e grande apparecchiamento per passare oltremare a racquistare la terra e la gente che di là avea perduta.
La qual cosa espiaro le Virtù ch’erano nell’oste, e raunate pigliaro consiglio che avessero a fare sopra queste vicende; e fermaro tra loro di fare ambasciadori che andasser nel campo alla Fe’ e a la Carità e a la Speranza a pregarle da parte delle Virtudi che debbia lor piacere d’abandonare lo campo e di tornare nell’oste oggimai con tutta loro gente a riposarsi una pezza e a guardare l’oste, tanto che facciano elle le lor battaglie, le quali aveano a le loro cagioni molto indugiate. E dacché le lor battaglie fien fatte, che sarà tostamente, s’a Dio piacerà, elle tutte passeranno poscia con loro oltremare e ateranno loro tutta la terra e le genti conquistare, e elle medesime cacceranno via i Vizî da quella gente, onde a cagione della mala fede c’hanno presa son tutti contaminati e corrotti.

CAPITOLO LIV
Delli ambasciadori che vanno per la Fede Cristiana.

         Dacché fue partito il consiglio, come fue ordinato, cosie mandaro a compimento; ed elessero per ambasciadore una Virtù che s’appella Concordia, ch’è del parentado della Fede e delle sue serocchie, e pregârla che dovesse fare questa ambasciata. Ed ella, volendo servire le Virtudi, v’andò volentieri.
         E dacché fu giunta, sí raunò la Fede e la Carità e la Speranza (ed ebbevi la Religione lor madre) e disse e ispuose loro diligentemente l’ambasciata, e aprí loro la volontà delle Virtù, e perché era venuta. Ed elle, dacché ebbero inteso quel che le Virtù voleano, non volendole crucciare, ma seguitare la loro volontà, il concedettero, e dissero di tornare, avegna che mal volontieri, perché, dacch’erano tutte e tre serocchie raunate con tutte lor genti, e sapeano che Dio era in mezzo di loro, tostamente credíano la loro guerra finire.

CAPITOLO  LV
Del triunfo che fanno le Virtudi a la Fede Cristiana.

         Conceduto la Fede Cristiana e le sue serocchie d’abbandonare lo campo delle battaglie e tornarsi nell’oste, incontanente si raccolsero co le lor genti e co li padiglioni e co le tende e con tutto loro arnese, e cominciârne a venire.
E dacché fuor mosse, la Concordia incontanente il fece assapere alle Virtudi per suoi messi speziali; ed elle, dacché l’ebbero saputo, raunaro loro consiglio, nel quale ordinaro e fermaro che a la Fede Cristiana e a la sua gente si facesse il triunfo, cioè quello onore che s’usa di fare a coloro che tornano a casa con vittoria; e cosí mandaro a compimento. Imperò che le Virtudi in prima, e tutti i cavalieri dell’oste appresso, e poi tutti uomini a piede, uscirono incontro alla Fede e alla sua gente con rami d’ulivi e co le ghirlande in testa, faccendo grandissima allegrezza e cantando Gloria in excelsis Deo e altri belli salmi ad onore e a laude di Dio, con dolcissime e soavi melodie. E quando furono insieme congiunte, si salutaro, e fece l’una a l’altra gran festa; e poi misero la Fede e la Carità e la Speranza sotto tre bellissimi palî, i quali portaro loro sopra capo. E fecero andare la Fede innanzi, per la quale si conosce Dio e crede, perché questo dee andare innanzi a tutte le cose. Apresso fecero andare la Carità, per la quale s’ama Dio e ubidisce e adora, perché questo dé poscia seguitare. Di dietro misero la Speranza, per la quale si spera fermamente d’essere da Dio guiderdonato, perché questo dé venire dipo le dette due cose, acciò che l’uomo sia in perfetta religione e per essa si possa salvare. E cosie le vennero menando a grande onore e con sí grandissima festa infin nell’oste; nel quale luogo le ricevette la Religione lor madre con grande allegrezza ne’ padiglioni che per loro aveano amannati.

CAPITOLO  LVI
Del consiglio che piglian le Virtudi
per uscire nel campo a le battaglie, e de la fossa de la Frode.

         Abandonato il campo delle battaglie la Fede e la Carità e la Speranza, e tornate nell’oste per posarsi con tutte le lor genti, l’altre Virtù fecero un parlamento, nel quale deliberaro e fermaro che la Religione, insieme co le dette sue figliuole, dovessero rimamere alla guarda dell’oste; e tutte l’altre Virtudi co le loro genti uscisser nel campo delle battaglie il martedí prossimo vegnente a richiedere di battaglia i nimici.
         Il quale ordinamento dacch’ebbe espiato, un pessimo Vizio che s’appella Frode, molto iscalterito e ingegnoso delle malizie del mondo, di nottetempo si levò molto celatamente e andò nel campo delle battaglie, là ove le dette Virtù aveano stanziato di venire, e fece una fossa molto grande e profonda, e ordíla di verghette da la parte di sopra, e puose ghiove di terra erbosa, acciò che neuno della detta fossa s’accorgesse. E quando ebbe cosí fatto, si partí tanto nascosamente che neuna persona se n’accorse. E tutto questo facea ad intendimento di farvi cadere le Virtù, quando venissero nel campo per richiedere di battaglia i nemici.

CAPITOLO  LVII
Dell’uscita che fanno le Virtù e i Vizî nel campo a le battaglie.

         Da che venuto fue il giorno che per uscire alle battaglie le Virtudi aviano ordinato, sí s’armaro e apparecchiaro grandemente, e co le loro genti molto assettatamente usciro nel campo là ove le battaglie si faceano, avegna che non tant’oltre quanto era la fossa de la Frode, ma molto ivi presso; e richiesero di battaglia i nimici.
Veduto la Superbia i nimici nel campo, e udita la richesta ch’avien fatta, s’adirò sí fortemente, che gittava schiuma per bocca come fosse cavallo, e per lo volto e per li occhi fiamme di fuoco: tanto ebbe a dispetto quella richesta; e armossi incontanente, e montò a cavallo in su ’n un destriere grandissimo e nero, il qual non era men feroce di lei. E fece armare e apparecchiare tutta sua gente, e venne nel campo a petto a’ nimici; e quando fue sí presso, che da le Virtù potea esser intesa chiaramente, cominciò a parlare co’ nimici parole di sozzi rimprocci in questo modo:

CAPITOLO  LVIII
De’ rimproverî de la Superbia contra le Virtudi.

         – O misera gente, non vi vergognate voi, con cosí cattivi cavalieri di popolo, e con cosí misero popolazzo e uomini tutti poveri e brolli, di richiedere di battaglia i re e’ baroni e tutta la gentilezza del mondo, a’ quali, per li gran fatti di loro antecessori, è dato tutto ’l mondo a segnoreggiare e a godere? Or non vi ricorda come tutte le battaglie ch’avete avute co noi avete perdute, e delle vostre pruove venute al di sotto? Certo ben vi dovrebbe ricordare della pugna primaia che da noi a voi si comincioe ne’ discendenti d’Adamo, e duroe infino a Noè, come nella detta gente vi vincemmo e vi cacciammo; e non si trovava neuno che alcun bene o alcuna virtù volesse fare, ma tutti ubidivano le nostre comandamenta a fare sfrenatamente ogni generazion di peccato; se non si fuor certi che fuor del seme d’Abel, e que’ fuor sí pochi, che agevolmente si poteano annoverare. Per la qual cosa Dio onnipotente no li sofferse; ma ucciseli e annegolli tutti per acqua, se non fue Noè e tre suoi figliuoli, li quali trovoe giusti nel mondo, ch’erano del seme d’Abel, i quali servò per rifarne l’umana generazione, acciò che tornasse migliore, dacché di buon seme procedea.
         – Anche vi dovrebbe stare a mente della seconda pugna che si ricominciò da noi a voi ne’ discendenti di Noè, come in quella gente vi vincemmo e cacciammo al postutto: che non solamente fugíano voi e non volieno fare alcun bene né adoperare alcuna virtude, né si chiamavano contenti d’ubidire noi a fare ogni vizio e ogni generazione di peccato, ma adoravano nelli idoli i demonî e faceano loro reverenza come a Dio. La qual cosa ebbe Dio onnipotente sí per male, che tutta quella gente abandonò a’ demonî e a’ Vizî, a farne tutta loro volontà. E disse Dio onnipotente a quella stagione di sua bocca: "Pentomi ch’i’ ho fatto l’uomo"; e andonne ad uno che si chiamavan Abraam, cui solo trovò giusto nel mondo, e disse: "Io vo’ di te far nascere gente la qual s’apelli mio popolo, e avrò cura di loro, e farolli multiplicare come le stelle del cielo e come l’arena del mare, e darò loro terra abondevole di latte e di mèle e d’ogni generazione di vivanda. Ma voglio che si congiungano co le Virtudi e discaccino i Vizî e seguitino le mie volontà". E fermato il detto patto tra loro, si partio Idio onnipotente, e servolli tutti i patti che promessi li avea.
         – Anche dovresti avere a memoria, e dovrebbevi bene ricordare, come ne’ discendenti d’Abraam ricominciammo la terza pugna; ed avegna che tutta l’altra gente del mondo fosse in nostra podestà, quel cotanto popolo ch’era cosí poco a respetto dell’altra gente, non vi volemmo quetare né lasciare in pace. Anzi in quel medesimo popolo, che s’apellava di Dio, v’assalimmo, e combattemmo con voi; e avegna che dal cominciamento faceste gran pugna e vi difendeste francamente da noi a bontà de patriarche e de profeti e d’altri fini capitani ch’aveste, e a bontà della legge che vi diè Moisè, al dassezzo quella pugna perdeste, e recammo quel popolo a peccare e a seguitare i Vizî e’ peccati e adorare l’idoli e a ubidire le nostre comandamenta, come tutte l’altre genti facieno. Per la qual cosa Dio onnipotente non volle che questa mala gente più suo popolo s’apellasse; ma mandò il suo figliuolo Gesù Cristo di cielo in terra, e prese carne mortale, e fecesi uomo, e fece nel mondo nuova legge ci volle tòrre la gente di mano, e rimetterla in vostra podestà. Della qual cosa ci accorgemmo, e incontanente a uomini medesimi del suo populo in cui più si fidava il facemmo pigliare e straziare e mettere nella croce e di crudel morte morire; e a’ suoi apostoli ch’avea fatti, e andavano questa legge predicando per suo comandamento, facemmo fare il simigliante.
         Dunque se tutte le battaglie ch’avete avute con noi avete perdute, e de le vostre pruove venute al disotto, e Dio onnipotente medesimo e li apostoli, suoi messi speziali, non ve n’hanno potuto aiutare, ma hannola duramente comperata, in che avete dunque speranza che de le nostre mani possiate campare, che vi levate ora a richiederne di battaglia? Avete forse fidanza ne la Prudenzia? Molto siete ingannate, ch’ella rumina e cerca tanto le cose, che di neun suo fatto viene a capo. Avetela nella Giustizia? Deh, come fate gran senno, che di neun tempo andò armata, ma sempre sta con sua mazza in mano fasciata tra’ panni come se fortemente la gelasse. Avetela nella Fortezza? Unquanche non vinse battaglia, ma sempre sta con suo scudo in braccio a sostenere i pericoli e le fatiche delle tribulazioni del mondo. Avetela nella Temperanza? Certo tuttavia tiene in mano le bilance per trovare il mezzo delle cose.
         – Or ecco bella gente che si trae innanzi a battaglia, che qual è magro e afflitto per troppo digiunare, agrestando il corpo di molta astinenza, e qual è palido nel volto per troppo vegghiare, stando dí e notte in orazione. Certo molto ne sarebbe gran disinore se in cosí misera gente s’adoperassero nostre mani, o nostro ferro di vostro sangue si sozzazze: però con voi cotal battaglia fermeremo, che solamente vi faremo cadere co le pettora de’ nostri cavalli; e quando sarete per terra vi scalpiteremo tanto co’ piè de’ destrieri, che sarete ben macinate.

CAPITOLO  LIX
De la morte de la Superbia e de la sconfitta della sua gente.

         Favellato la Superbia le dette parole de rimproverî, diè de li sproni al destriere (e cominciò per lo campo a rotare), il quale parea che volasse, sí di forza correa; e comandò alla sua gente che la dovessero seguitare. E nel correre che facea, ambedue i piè dinanzi del cavallo s’abbattiero nella fossa che la Frode avea fatta, e caddevi entro col capo dinanzi, insieme con esso la Superbia, e cadde ella di sotto, e ’l cavallo le cadde adosso; e fue sí grande lo stoscio per la fossa ch’era cava e profonda e per lo destriere che adosso le cadde, che tutta quanta si lacerò e infranse.
         E quando i Vizî videro caduto il loro signore, e giacere morto nella fossa, e ’l corpo suo tutto lacerato e infranto per la dura caduta ch’avea fatta, e videro le Virtù che veniaro contra loro molto strette e serrate, perché s’erano accorte che’ Vizî eran già mossi a venire contra loro, diedero le reni e cominciaro a fuggire insieme colle loro genti; e le Virtù, veggendo questo, li seguitaro e miserli in caccia. Allora fue sí grande la sconfitta e la mortalità de le genti de’ Vizî che moriro a quella battaglia, che la larga strada che mena l’anime a l’inferno andò sí calcata, e a la larga strada che mena l’anime a l’inferno ebbe sí grande stretta, che non si ricorda mai che per neuna sconfitta o mortalità di genti che nel mondo fosse quella strada cosí calcata andasse, o a quella porta cosí grande stretta avesse.
         E quando i detti Vizî insieme co le anime de le lor genti furono in inferno, meritaro tanta pena e tormento che il solfo e ’l fuoco di ninferno multiplicò e crebbe di tal guisa che la terra non potte tanto incendio patire, anzi ruppe in molte parti del mondo, e apparve il fuoco di sopra a la terra, e spezialmente in Mongiubello, ch’è un gran monte in Cicilia. E allor fue manifesto a le genti che ’l ninferno era nel ventre della terra per lo detto fuoco che allotta apparve, il quale è poscia sempre durato.

CAPITOLO  LX
De’ rimproverî della Pazienzia, che fa sopra ’l corpo della Superbia.

         Morti e spenti tutti i Vizî, e scacciata e sconfitta tutta lor gente, le Virtù tornarono a la fossa ove la Superbia era caduta, e fecerne trarre il corpo morto, il quale era tutto macerato e infranto, e porre in su ’n una vilissima stuoia. E trassesi innanzi la Pazienzia e disse: – O Superbia, capo e seminatrice di quanti mali nel mondo si fanno, giaci oggimai abbattuta e morta, sicché ’l mondo possa posare! che l’hai cotanto tribulato, che ben t’è incontrato quello che dice il Vangelio: "I superbi abbatte Idio e falli cadere; e a li umili dà grazia e falli montare". Molto hai superbiamente favellato, non solamente contra le Virtù, ma contra Dio onnipotente: che ti vantasti che ’l facesti a’ tuoi servi di crudele morte morire. Molto fue cotesto a dire grande ardimento; nol ti pensave, quando cotali parole dicei, che avessi la fossa cosí presso, là ove dovessi cadere. E come fue a te, penso cosí è a tutti coloro che voglion te seguitare, perch’e’ medesimi la si fanno spesse volte, o altro amico loro carissimo, e però non se ne posson guardare. Come a te, Superbia, è intervenuto, che la Frode, che tu hai sempre cosí amata e cara tenuta sopra li altri tuoi amici cari, ti fece la fossa là ove tu se’ caduta; la quale avea fatta per farvi cadere le Virtudi, quando venissero al campo là ove le battaglie si facieno; della qual cosa s’è trovata ingannata, e ha morta sé e tutta sua amistà.
         E quando ebbe cosí detto, fece fare uno grande fuoco, e arsevi il corpo della Superbia, e isparse la polvere al vento, acciò che più mai non rapparisse né si potesse trovare.

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biografia

introduzione

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Edizione telematica  a cura di: Giuseppe Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
da: Bono Giamboni, Il libro de' Vizî e delle virtudi e il trattato di virtù e di vizi, a cura di Cesare Segre, Giulio Einaudi editore, Torino 1968.

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Ultimo aggiornamento: 14 maggio, 1999