Bono Giamboni
Il libro de' Vizî e delle virtudi
CAPITOLO XXXI
De le schiere de la Lussuria e de' suoi capitani
Appresso venne
il settimo Vizio, e fece sei schiere de le sue genti, e diede a catuna il suo capitano. E
quando ebbe cosí fatto, dissi: - Chi è quel Vizio c'ha ora le sue genti schierate, e chi
sono i capitani delle schiere? - Ed ella disse: - Quello è un Vizio che s'appella
Lussuria; e commettesi in sei modi questo peccato, e catuno modo hae il suo nome. E que'
sono i Vizî che nascon di Lussuria, e sono cosí appellati: Semplice fornicazione,
Incesto, Avolterio, Strupro, Peccato contra natura e Rapinamento.
E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi, che è Lussuria? - Ed ella disse: - Lussuria è una mala volontà del corpo non
rinfrenata che nasce del pizzicore della libidine -. E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi alcuna cosa della natura de' Vizî che nascon di Lussuria -. Ed ella disse: -
Semplice fornicazione è un carnale uso fatto contra ragione, cioè o co la vedova o co
l'amica o co la putta. Incesto èe uno uso carnale che si fa co la parente o co la monaca.
Avolterio è un carnale uso che si fa co l'altrui moglie. Strupo è un carnale uso che si
fa co la vergine. Peccato contra natura è quando si isparge il seme altrove che nel luogo
naturale. Rapinamento è quando la vergine si rapisce ad intendimento, quando l'avrà
corrotta, di farlasi a moglie.
- Dunque si
commette questo peccato che s'apella Lussuria con molte persone, e avegna che tutta sia
fornicazione, sí dé' sapere ch'è maggior peccato coll'una persona che coll'altra, e
però son diverse nomora trovate. Solo è conceduto l'uso carnale co la moglie sanza
peccato per lo sacramento del matrimonio.
CAPITOLO XXXII
Il partimento delle quattro osti de le Virtú per
ischierarsi.
Fatte tutte le schiere delle genti de' Vizî, e dato a ciascuna il suo capitano e gonfalone de la sua insegna, e sceverata per sé ciascuna schiera al suo gonfalone, cominciammo a guardare nell'oste de le Virtudi, a sapere che riggimento facessero. E poco stante vedemmo che fue tutta in quattro parti divisa. E quando vidi questo, dissi: - Maestra de le Virtudi, che intendono di fare queste genti che sono divise in quattro parti? E chi sono i segnori di ciascun'oste? - Ed ella disse: - Queste Virtú son provocate a battaglia: però voglion fare le schiere loro, da che veggono i loro nimici schierati. E i quattro segnori che son guidatori de le dette quattro osti, cioè catuno della sua, son quattro Virtú principali laonde nascono tutte l'altre Virtudi -. E io dissi: - E come hanno nome? - Ed ella disse: - Prudenzia, Giustizia, Fortezza e Temperanzia -. E io dissi: - Ben so' coteste grandissime Virtudi, e molto ho già udito predicare dell'opere loro -. Ed ella disse: - Le loro opere son tutte perfette, e nasconne quanti beni nel mondo si fanno.
CAPITOLO XXXIII
Delle schiere de la Prudenzia e de' suoi capitani.
Compiuto di dire
queste parole, vedemmo che una delle dette Virtudi fece sei schiere de la sua gente, e a
ciascuna diede il suo capitano. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Chi è quella Virtude
c'ha ora le sue genti schierate, e chi sono i capitani delle schiere? - Ed ella disse: -
Quella è una nobile Virtude che s'apella Prudenzia; e usasi questa Virtú in sei modi, e
ciascuno modo hae il suo nome. E quelle son le Virtú che nascon di lei e son fatte
capitane delle schiere, e son cosí nominate: Guardar le cose passate, Conoscer le cose
presenti, Considerare quelle che possono avenire, Esaminar li contrarî, Guardarsi dal
male c'ha conosciuto, Seguitar lo bene c'ha considerato.
E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi, che è Prudenzia? - Ed ella disse: - Prudenzia è un verace conoscimento del bene e
del male, con fuggir lo male ed eleggere il bene. E però diss[i] conoscimento del bene e
del male, perché non sarebbe savio colui che sapesse discernere il bene dal male, se non
sapesse discernere il bene per sé, cioè qual fosse buono e qual migliore; e il male per
sé, cioè qual fosse reo e qual peggiore. E anche non basterebbe tutte le dette cose
saper discernere, se non seguitasse l'elezion del bene e il dispregio del male. Per le
dette cose appare che Prudenzia è quando il bene dal male si conosce e la cosa giusta da
la non giusta o la convenevole dalla sconvenevole, ed eleggesi il bene e fuggesi il male
-. E quando ebbe cosí detto, dissi: - Dimmi alcuna cosa della natura delle Virtú che
nascon di Prudenzia -. Ed ella disse: - Guardare le cose passate si è quando l'uomo ha
memoria di molte cose che sono avenute e incontrate, e assomiglia la cosa presente ad
alcuna di quelle, e considera in che modo sono andate, ed estima le cosi presenti che nel
detto modo debbiano andare, o simigliante via vi si debbia tenere. E questo è un modo di
prudenzia del quale favella Ezechia profeta, e dice: " Recherotti a memoria li anni
miei ne l'amaritudine dell'anima mia". Conoscere le cosi presenti si è quando l'uomo
imagina la cosa presente e pigliane verage intendimento, e conosce per diritta ragione che
è il bene e che è il male di quella cosa: perché di neuna cosa si potrebbe verace
intendimento pigliare se cosí perfettamente non si imaginasse e vedesse. E questo è un
modo di prudenzia del qual favella Salamone, quando dice: "I tastamenti vadano
innanzi a la tua via". Considerare quelle che possono avenire è quando l'uomo
considera che de la cosa per innanzi può incontrare e avenire. E questo è un altro modo
di prudenzia del quale fa menzione Boezio quando dice: "Non basta di considerare solo
quello che si vede coll'occhio; ma colui ch'è savio pensa che de la cosa può incontrare
o che uscita la cosa può avere". Esaminare li contrarî si è considerare
diligentemente ogni cosa che nuocer li puote sopr'alcuna cosa. E di questa prudenzia fa
menzione Salamone quando dice: "Con ogni diligenzia guarda il cuor tuo"; e cosí
vedi che, dicendo "guarda", disse "con ogni diligenzia", acciò che,
se ti guardassi d'esser avaro, guarda che non diventi guastatore. E [il] medesimo
Salamone, faccendo in un altro luogo menzione di questa Prudenzia, dice: "Son vie che
paiono all'uomo diritte, ma la fine loro li mena a la morte": e questo aviene perché
non sono bene tutte le cose che nuocere possono considerate. Guardarsi dal male c'ha
conosciuto è un altro modo di prudenzia del quale fa menzione san Paolo quando dice:
"Gastigo il corpo mio e recolo in servitudine". Eleggere e far lo bene c'ha
conosciuto si è un altro modo di prudenzia del quale favella Salamone quando dice:
"Ciò bene che puo' fare co le mani tue, sanza dimora il fa".
CAPITOLO XXXIV
Delle schiere della Fortezza e de' suoi capitani.
Appresso venne
la seconda Virtude, e fece otto schiere della sua gente, e diede a catuna suo capitano. E
quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, chi è quella Virtú c'ha ora le sue genti
schierate, e chi sono i capitani delle schiere? - Ed ella disse: - Quella è una Virtú
che s'apella Fortezza; e usasi questa Virtú in molti modi, e ciascun modo ha 'l suo nome,
che sono le Virtú che nascon di Fortezza.
E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi, che è Fortezza? - Ed ella disse: - Fortezza è una virtú d'animo per la quale
l'uomo né per tribulazioni del mondo si fiacca, né per lusinghe de la Ventura monta in
altura. E cosí vedi che Fortezza è virtú per la quale l'animo dell'uomo stae fermo
contra l'aversità a sostenere i pericoli e le fatiche de le tribulazioni del mondo. E
però si riferiscono a costei tutte le Virtú che nell'aversità fanno l'uomo fermo e
costante, e son queste: Magnificenzia, Fidanza, Sicurtà, Fermezza, Pazienzia,
Perseveranzia, Longanimità, Umiltà, Mansuetudine -. E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi alcuna cosa de la natura de le Virtú che nascono di Fortezza -. Ed ella disse: -
Magnificenzia è virtú per la quale l'animo dell'uomo ardisce per sua propia volontà di
cominciare le gran cose, acciò che le cose si faccian dirittamente. Fidanza è ferma
speranza di trarre a capo le cose che dirittamente comincia. Sicurtà è una virtú
d'animo di credere fermamente ben capitare se dirittamente si fa la cosa. Fermezza è
virtú d'animo per la quale l'uomo sta fermo in sul buon proponimento e porta igualmente
tutte le cose. Pazienzia è fortezza d'animo per la quale l'uomo soffera in pace le
fatiche e i pericoli de le tribulazioni del mondo. Perseveranza è virtú per la quale
l'uomo sta fermo insino a la fine in sul buon proponimento. Longanimità è virtú per la
quale pazientemente aspetta l'uomo d'essere in vita eterna guiderdonato. Umiltà è virtú
per la quale soffera l'uomo di portare vile abito, e il ben che fa nasconde, acciò che
non apaia di fuori a le genti. Mansuetudine è virtú per la quale è arrendevole l'animo
dell'uomo.
CAPITOLO XXXV
Delle schiere della Temperanza e de' suoi capitani.
Appresso venne
la terza Virtú, e fece otto schiere de la sua gente, e diede a catuna suo capitano. E
quando ebbe cosí fatto, dissi: - Chi è quella Virtú c'ha or le sue genti schierate, e
chi sono i capitani delle schiere? - Ed ella disse: - Quella è una Virtú che s'apella
Temperanza, e fassi questa Virtú in otto modi, e ciascun modo hae il suo nome. E quelle
sono le Virtudi che nascon di Temperanza, che son fatte capitane delle schiere, e son
cosí nominate: Continenza,
Castitade, Pudicizia, Astinenzia, Parcità, Umiltà, Onestà e Vergogna.
E quando ebbe cosie detto, dissi: - Che
è Temperanza? - Ed ella disse: - Temperanza è virtú d'animo per la quale l'uomo rifrena
i desideri della carne ond'è assalito e tentato -. E io dissi: Dimmi alcuna cosa delle
virtú che nascono di Temperanza Ed ella disse: - Contenenza è virtú per la quale l'uomo
s'astiene de' desideri non liciti. Castità è virtú per la qual l'uomo costringe lo
'ncendio della lussuria col freno della ragione. Pudicizia è virtú per la qual non
solamente si rifrena lo 'ncendio della lussuria, ma rinfrenasi i suoi segni; e sono i
segni della lussuria i reggimenti del corpo e l'abito del vestimento. E cosí vedi che
differenza ha tra Castità e Pudicizia, perché Castità rinfrena i movimenti della
lussuria, ma Pudicizia i movimenti e i segni. E dividesi Castità in tre parti: perché
altra è Castità virginale, che non ebbe anche uso d'uomo, e altra è castità vedovale,
che già uso d'uomo hae avuto, ma or se ne astiene; e altra è castità matrimoniale, c'ha
uso d'uomo, ma legittimamente; e catuna di queste è detta castità. Astinenzia è virtú
per la quale si costrigne la volontà della gola, cioè del mangiare e del bere di
soperchio. Parcità è virtú per la quale si ritiene quel che si convien ritenere,
secondo che Larghezza è virtú per la quale quel ch'è convenevole si spende. La Umilità
è virtú per la quale l'uom porta vile abito, e 'l ben che fa nasconde acciò che non
appaia di fuori; e dividesi in tre parti: per la prima s'umilia l'uomo al maggiore, e
questa è detta bastevole; per la seconda s'aumilia al pare, e questa è detta perfetta;
per la terza s'aumilia l'uomo al minore, e questa è detta sopraabbondevole. Onestà è
virtú per la quale tutte le cose che bisognano alla vita dell'uomo si recano ad uso
temperato. Vergogna è virtú per la qual si vergogna l'uomo de le soperchianze e de'
mali, e si rifrena la lingua che sozze parole o di soperchio non favelli.
- Dunque
vedi che s'usa Temperanza quando s'astiene l'uomo da' desideri non liciti, o quando
costrigne l'incendî della lussuria col freno della ragione, o quando costringe i segni
della lussuria, o quando s'astiene del mangiare e del bere di soperchio, o quando tempera
le spese a quel che si conviene, o quando è umile inverso 'l prossimo, o quando è onesto
e reca le cose de la vita a uso temperato, o quando si vergogna de le soperchianze e de'
mali e de le sozze parole. E sempre s'usa questa virtude quando si tiene la via del mezzo
nelle cose.
CAPITOLO XXXVI
Delle schiere della Iustizia e de' suoi capitani.
Appresso venne
la quarta Virtú, e fece nove schiere della sua gente, e a catuna diede il suo capitano. E
quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, chi è quella Virtú c'ha ora le sue genti
schierate, e chi sono i capitani delle schiere? - Ed ella disse: - Quella è una Virtú
che s'apella Iustizia; e usasi questa Virtú in nove modi, e ciascheuno modo hae il suo
nome, che son Virtú che nascono di Iustizia, e son cosí appellate: Religione, Pietà,
Sicurtà, Vendetta, Innocenzia, Grazia, Reverenzia, Misericordia, Concordia.
E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi, che è Giustizia? - Ed ella disse: - Iustizia è una virtú d'animo di ferma
volontà di rendere a ciascun sua ragione servando la comune uttilità -. E quando ebbe
cosí detto, dissi: - Dimmi alcuna cosa delle Virtú che nascono di Giustizia -. Ed ella
disse: - Religione è virtú per la quale si muove l'uomo a rendere a Dio la sua ragione;
e divídesi in tre parti, cioè in Fede, Carità e Speranza -. E io dissi: - Che è Fede?
- Ed ella disse: - Fede è una ferma credenza di verità onde ragion non si può
assegnare. E perché la verità si crede molte volte, ma non s'ha per lo fermo, però ti
dissi "ferma credenza". E perché la verità si crede molte volte fermamente, ma
non puossi mostrare e provare per ragioni naturali, però ti dissi "onde ragion non
si può assegnare": perché non sarebbe fede quella onde si potesse render ragione,
ma sarebbe scienzia; e però disse san Gregorio: "Quella fede non ha merito, che si
crede per naturali e vive ragioni". Carità è virtú per la quale si muove l'uomo ad
amare e ubidire e reverire Idio. Speranza è virtú per la quale s'ha ferma credenza
d'esser da Dio del ben guiderdonato -. E quando m'ebbe di Religione e de le sue parti
cosí mostrato, dissi: - Che è Pietade? - Ed ella disse: - Pietà è virtú per la quale
redde il padre al figliuolo e 'l figliuolo al padre e 'l cittadino alla sua città la sua
ragione. Sicurtà è virtú per la quale si fa del malificio vendetta e non si lascia
neuna cosa a punire. Vendetta è virtú per la quale l'uomo contasta al nimico, che no li
faccia né forza né ingiuria, difendendosi da lui. Ma pare che Vendetta e Sicurtà non
sian virtú, perché ogni virtú intende d'operare alcuna cosa buona, perché hanno
cominciamento dalla natura; e per queste non si fa bene, ma puniscesi il male. Grazia è
virtú per la quale rediamo ragione a' nostri benifattori, cioè a l'amico e al parente si
rende cambio de' lor benifici. Innocenzia è virtú per la quale de le 'ngiurie mal merito
non si rende. Reverenzia è virtú per la quale a' nostri maggiori o a coloro che sono in
alcuna dignità facciàn quello onore che si conviene. Ed è detta Reverenzia uno amore
mescolato con paura, e dividesi in due parti, cioè venerazione e ubidienzia: venerazione
è virtú per la quale a li nostri maggiori facciamo reverenzia o in umiliare lo corpo o
ne' riggimenti o nell'umili parole; obedienzia è virtú per la quale facciam quello che
giustamente n'è comandato: perché, se secondo discrezione comandato non fosse, non siam
tenuti d'ubidire. E obedienzia si divide in due parti: l'una, quando è comandato cosa che
s'apertenga ad onore (e in questa non dee esser la nostra volontà, perché non dovemo
onore desiderare); l'altra, quando è comandato cosa d'aversità o di dispetto: e in
questo dee essere la volontà nostra, perché ci si conviene di volere aversità. E però
disse san Gregorio: "Da sapere è, ch'è da nulla obedienzia se ha da sé alcuna
cosa; e molte volte, se da sé non ha nulla, è cosa da neente; perché, quando è
comandato cosa da onore, cioè che vegna in maggiore stato colui che ubidisce, perde il
merito dell'ubidienza se desidera quella: perché non è ubidienza degna di merito quando
l'uomo ubidisce a quello ov'è 'l desiderio dell'animo suo. Ma quando è comandato cosa di
dispetto o di briga, se la volontà di colui che ubidisce non v'è, menoma il merito che
dee avere per l'ubidienza: imperò che a quelle cose che sono di dispetto in questa vita
viene contra sua volontade. E cosí vedi che obedienzia nelle cose contrarie dé alcuna
cosa di suo avere, ma ne le prosperevoli non dee avere al postutto nulla".
Misericordia è virtú per la quale l'uomo nelle miserie del prossimo suo si muove a
pietà per ispiramento di divino amore; e spezialmente è detta misericordia quando per
l'amor di Dio colui ch'è bisognoso d'alcuna cosa soveniamo: e allotta non noi di nostro,
ma quel ch'è suo a Dio reddiamo. Concordia è virtú per la quale li cittadini, overo
coloro che sono d'uno paese, lega sotto una medesima ragione, overo che coloro che abitano
insieme in un volere lega e congiugne.
CAPITOLO XXXVII
Del concedimento cke possa la Fede aringare.
Assettate e fatte tutte le schiere, sí de' Vizî come de le Virtú, e dato a catuna schiera buon capitano e gonfalone della sua insegna, la Fede cristiana, la quale era venuta nel campo per atare le Virtudi con grande sforzo di gente, per volontà di tutte l'altre Virtudi si levò ad aringare, acciò che confortasse le genti e ammonissele di ben fare. E disse le sue parole in questo modo:
CAPITOLO XXXVIII
De l'aringamento della Fede, nel qual dice quando si
cominciò la guerra
tra Satanas e l'uomo, e tra' Vizî e le Virtudi, e tra l'una Fede e l'altra.
- Da ch'è
volontà delle Virtudi che sono qui raunate che io dica queste parole, dirolle per loro
comandamento, avegna che per ciascuna di loro fossero me' dette e piú saviamente che per
me. Veritade è che nel tempo che Dio onnipotente fece il cielo e la terra, e formò e
fece il mondo e tutte le cose, in quella stagione ch'elli ebbe luce da tenebre sceverata,
formò e fece de la luce nel paradiso nove ordini d'angeli, l'un grande e l'altro
maggiore; e allogò catuno angelo nel suo sedio in paradiso, acciò che in quelle luogora
fossero gloriosi e beati e participassero con Dio la gloria e la beatitudine sua. E quando
li ebbe fatti e allogati come ho detto di sopra, diede loro pieno arbitrio di far tutte le
lor volontà.
Dopo l'arbitrio dato e conceduto, Lucifero, veggendosi cosí bello e lucente, insuperbio,
e volle porre la sua sedia allato a quella di Dio. E a commettere questo peccato ebbe
seguaci molti angeli di ciascuno ordine; per lo qual peccato fuor cacciati di paradiso e
posti nell'aria ch'è qui di sopra da noi, e fuor poscia appellati demoni.
- Cacciati i detti angeli di paradiso, e
rimase vòte le sediora loro, Dio onnipotente, veggendo e considerando che non era
convenevole cosa che avesse alcun sedio vòto in cosí nobile luogo, dipo tutte l'opere
sue fece l'uomo e la femina, acciò che quelle santissime sediora vòte dovessero
riempiere, e co' buoni angioli fosser partefici de la gloria e beatitudine di Dio. La qual
cosa seppe Lucifero, appellato Satanas, principe de' dimoni, e fu molto dolente che niun
potesse aver le sediora laond'elli co li suoi seguaci era cacciato, over potesse montare o
salire colà ond'erano discesi. Però si puose contra loro, e per invidia li tentò e
feceli peccare e mangiare il pome vietato, e rompere il comandamento di Dio; per lo qual
peccato fuor cacciati di paradiso e posti in su la terra ne le miserie di questo mondo. E
allotta si cominciò la gran guerra tra l'uomo e la femina co' demoni di ninferno, la
quale è durata infino a ora e durerà infin che basterà l'umana generazione.
- Ma Dio onnipotente, veggendo e
considerando che l'uomo e la femina non avien peccato contra lui per lor movimento, ma
erano stati tentati dal Nimico; e ricordandosi che gli avea fatti perché riempiessero le
santissime sediora vòte di paradiso, fece le Virtudi e dielle all'uomo e a la femina, co
le quali si difendessero da' demoni e racquistassero paradiso ch'avian perduto per le loro
proprie operazioni. La qual cosa veggendo Satanasso, e pensando che non potea avere parte
nell'uomo né ne la femina infin che de le Virtú fossero acompagnati, incontanente fece
suoi ministri e appellolli Vizî, li quali dovesser combattere co le Virtudi e
discacciarle dall'uomo e da la femina, sicché, privati di quelle, rimanessero in sua
podestà secondo ch'eran di prima.
E allora si cominciò la gran battaglia
tra' Vizî e le Virtú, la quale infino a questi tempi è durata, e durerà insino che 'l
mondo si verrà a giudicare e a disfare, e perirae l'umana generazione.
- Ora intervenne che a una stagione i
Vizî vinsero le Virtudi e cacciálle dall'uomo sí malamente, che neuno uomo si trovava
né femina nel mondo, che alcun bene facesse; anzi li avea sí Satanasso in sua podestà,
che non solamente li facea peccare d'ogni generazion di peccato, ma sé e li altri demoni
facea nelli idoli adorare e fare sacrificio in luogo di Dio. La qual cosa Dio onnipotente
non sofferse, ma mandò il suo figliuolo Gesú Cristo nel mondo, il qual diede nuova
legge, e per virtú di quella legge discacciò tutti i Vizî e ripuose in su la segnoria
le Virtudi; e convertissi a quella legge tutto 'l mondo, e trassesi l'uomo e la femina
della segnoria del Nemico.
- De la qual cosa fue Satanasso molto
dolente; e conoscendo per certo che dell'uomo non potea ravere alcuna signoria mentre che
da lui non discacciasse la Fede che Cristo li avea data, seminoe nel mondo molte Risie, e
fece credere molte Fedi, acciò che mettesse l'uomo in errore, e non sapesse che si
credesse né qual fosse la verace Fede di Dio.
- Le quali Fedi e Resie, e ancor tutti i
Vizî, che son ministri de' dimoni, ha ragunati in un campo, e sono a petto di noi tutti
armati e schierati per combattere; e crede le sue Fedi far combattere co la Fede di Dio,
e' Vizî co le Virtudi. E se la ventura l'atasse, sí che vincessero le sue Resie la Fede
di Dio, e' Vizî le Virtudi, e discacciassersi le Virtú e la Fede da le genti, ravrebbe
per questa via la segnoria che dell'uomo e de la femina è usato d'avere e neuno mai gliel
trarrebbe di mano. De le qua' cose nascerebbero questi mali, che, con ciò sia cosa che 'l
mondo debbia durare tanto che le sediora vòte di paradiso siano piene, quelle sediora non
s'empierebbero giamai, perché neuno n'andrebbe in paradiso; e cosí durerebbe il mondo
d'ogne tempo, e tutti uomini e femine che nascessero per innanzi sarebbero in podestà del
Nemico sí in questo mondo come nell'altro, e romperebbersi li ordinamenti di Dio, che
volle che questo mondo durasse tanto tempo, che li uomini e le femine del mondo le dette
sediora santissime vòte di paradiso dovessero riempiere. Però vi prego, voi Virtú che
siete mie compagne, e tutta quest'altra buona gente ch'è qui raunata per vostro
comandamento, che della detta gran iniquità de' dimoni vi debbia sovenire; e a voi
Virtudi debbia ricordare come v'è l'uomo da Dio raccomandato, e ne la battaglia che
s'ammanna d'esser tra noi e' detti nimici che sono a petto di noi dobbiate esser sí prodi
e valentri e franche e ardite, che le dette Risie, che i demoni hanno nel mondo seminate,
siano tutte morte e spente; e' Vizî siano vinti e cacciati via, e neuno si ne truovi nel
mondo; e noi Virtú possiam mai sempre, infin che 'l mondo basterà, acompagnare la femina
e l'uomo, sicché coloro che son oggi e che per innanzi nasceranno possano avere verace
fede e di Dio perfetto conoscimento; e le loro opere possan esser tutte perfette, e
vadanne tutti in paradiso a riempiere quelle santissime sedie vòte per che l'uomo e la
femina fue fatto: acciò che questo puzzolente mondo là ove le genti sono tormentate di
cotante miserie si debbia tosto disfare, e vegna tosto il dí del giudicio laonde i giusti
stanno in paura.
- E neuno di voi si spaventi perché i
nimici siano gran gente: ché, dopo la venuta che Cristo fece nel mondo per ricomperare li
peccatori, la loro virtú è menomata e la nostra cresciuta; e' sono sbigottiti, e noi
rassicurati. E Cristo, che sempre pugna per noi, non sofferrà che contra noi abbian
difensa.
CAPITOLO XXXIX
Del romore de l'aringheria
Posto fine la fede Cristiana a le parole de la suadiceria, si levò un grido sí grande come se tonasse fortemente, e bastò grandissima pezza. E dicea ciascuno a gran boci: - Vivano le Virtudi, e muoiano i Vizî; e facciasi il servigio di Dio onnipotente, acciò che si riempiano le sediora vòte di paradiso e disfacciasi tosto questo mondo puzzolente -. E inanimârsi sí le Virtù e le lor genti a combattere co li Vizî, che neuna ne desiderava altro che battaglia; ed era ciascuna ferma di questo, o di vincere o di morire al postutto.
CAPITOLO XL
De la battaglia tra la Fede Cristiana e quella dellidoli.
Dacché fu rimaso il romore, una delle dette Virtudi si sceverò co le sue genti, ed
essendo disarmate e mal vestite, confidandosi solamente ne la forza delle loro braccia,
sí nandaro a lo steccato, il qual era in mezzo delloste, e fecerlo ruvinare e
cadere, e le fosse riappianare cherano fatte per guardia delloste di ciascuna
delle parti; e fuoro nel campo là ove le battaglie si facíano, e richiesero di battaglia
i nimici.
E poco stante venne contra lei un
grandissimo cavaliere molto sformato e terribile a vedere, tutto armato darme nere,
in su n un grandissimo destriere; e avea seco tanta gente, che tutto l campo
copriano. E quando vidi questo dissi: Fontana di sapienzia, chi è quella Virtù
che essendo disarmata e in abito tanto vile ha fatto ruvinare lo steccato e le fosse
rappianare cosí francamente, e con cotanto vigore ha richesto di battaglia i nimici?
Ed ella disse: Quella è la Fede Cristiana, la cui fedaltà tu hai giurata;
e però è venuta disarmata a la battaglia, perché tanto ha posto la speranza ne la
potenzia di Dio, che darme e di vestimenta e di neuna cosa mondana non si cura; e
per quella speranza si crede fermamente vincere i nimici e trarre a capo tutti i suoi
intendimenti.
E quando ebbe cosí detto dissi:
Maestra de le Virtudi, chi è quel signore chè cosí disformato e grande e
terribile a vedere, chè venuto con cotanta gente a combattere co la Fede Cristiana?
Ed ella disse: Quella è la Fede de li antichi che si chiamano Gentili, e
appellasi Idolatria. E però è cosí grande, perché si distese questo errore per tutto
l mondo, e credettero tutte le genti questa Fede. E però è cosí sformata e
sconcia, chè sozza cosa e rea a credere che nellidole delloro o
dellariento o di marmo potesse avere deità. E però è cosí terribile a vedere,
perché nellidole che adoravano li antichi si nascondiano i demonî, e facíansi
alle genti adorare; e dacché li aviano adorati, erano poscia in lor podestà e tenealli
in grandissima paura. E perciò sono le sue armi nere, perché sempre porta la
nsegna nera de' demonî.
E quando ebbe cosí detto, vedemmo che
tra queste due Fedi si cominciò una battaglia molto pericolosa e grande e di mortalità
di molta gente; e durò grandissimo tempo. E fuoro morti, da la parte della Fede
Cristiana, in quella battaglia, tutti li apostoli, se non si fu santo Giovanni, il qual
campò di molti pericoli; e tutti martori, maschi e femine, laonde si fa menzione
nella Chiesa di Dio, e molti altri sanza numero, laonde non è fatta menzione; e i
Confessori vi duraro gran fatica, i quali erano venuti in aiuto della Fede Cristiana. Ma
al dassezzo vinse la Fede Cristiana per molti miracoli che fece Dio per lei in presenzia
delle genti; e cacciò e spense la Fede dellidoli di tutto l mondo, sí che
poscia non rappariro.
CAPITOLO XLI
Della battaglia tra la Fede Cristiana e la Giudea.
Cacciata e spenta la Fede dellidoli del mondo, come di sopra avete inteso, crebbe
loste della Fede Cristiana ismisuratamente per molte genti cha quel tempo si
convertirono a la Fede. Però con tutto suo sforzo tornò nel campo là ove le battaglie
si facieno, a combattere con molte altre Fedi e Resie chella sapea che i demonî
aveano seminate e sparte nel mondo per metter le genti in errore, acciò che non sapessero
conoscere qual fosse la verace Fede di Dio, né che credessero dirittamente. E stando nel
campo, venne contra lei un cavaliere molto vecchio con una gran barba canuta, e con tanto
bella forma, quanto più fue possibile a la Natura di fare; armato di tutte armi bianche,
in su n un grandissimo destriere; e avea seco molta gente.
E quando vidi questo dissi: Dimmi,
maestra delle Virtudi, chi è quel barone che viene a combattere co la Fede nostra,
chè cosí vecchio e canuto e di cosí bellissima forma, e larmi sue son cosí
bianche, avegna che un poco siano offuscate e nere? Ed ella disse: Quella
sapella la Fede Giudea; e però è cosí vecchia e canuta, perchè
antichissima fede; e però è cosí bella e sono le sue armi bianche, perché fue legge
data da Dio. Ma perché Cristo, quando venne nel mondo, in molte cose la mutoe, secondo
che la nostra legge dice, il colore delle sue armi, chera candidissimo in prima, si
offuscoe un poco, e cominciò a imbrunire e a cambiare, e sono sozzissime armi divenute.
E dicendo queste parole, vedemmo che la
Fede Giudea tolse cinquanta cavalieri savi e scalteriti di guerra, e mandògli a provedere
loste della Fede Cristiana. E quando furo in luogo che pottero vedere, la guardaro e
consideraro assai; e quando lebbero veduta e ben guatata, sí si maravigliaro molto
come cosí era cresciuta; e tornârsi nel campo a dire le novelle. E quando fuor dinanzi
alla Fede Giudea, sí dissero: Donna e Fede nostra, tu hai fatta mala venuta, e
se morta con tutta tua gente, se non taiuti dinanzi: però che loste
della Fede Cristiana non è sí poca come suole, ma per la vittoria cha avuta sopra
la Fede dellidoli è sí multiplicata e cresciuta che son più che non sogliono ben
mille cotanti, e vienne più che cento per uno de la tua gente. Però piglia consiglio co
li tuo savi, e vedi quello che far ti conviene, anzi che co·llei vegni alle mani,
perché non avresti alcuna difensa.
Quando la Fede Giudea udí cosí rie
novelle, fue nellanimo suo molto dolente; ma argomentossi dinanzi per non perire al
postutto, e raunò il consiglio de suo savi, e propuose innanzi loro queste
novelle, e adomandò consiglio di quello chavesse a fare. Al dassezzo fue
consigliata che facesse una ricca ambasceria di savi uomini, e uno sindaco co·lloro
andasse a giurare le comandadmenta della Fede Cristiana; e se solo la vita vuol perdonare
a Giuderi, e che possano usare lor legge, e le persone e lavere loro mettan
tutto in sua podestade. Il qual consiglio la Fede Giudea cosí mandò a compimento.
E dacché i suo ambasciadori ebbero
saviamente e bene proposta e detta la loro ambasceria, la Fede Cristiana, ricordandosi
comera nata della Fede Giudea; e ricordandosi di molti benefici chavea già
ricevuto da li suoi patriarchi e profeti, e riceveva ogni die de le loro santissime
parole; e considerando il detto delli ambasciadori, come i Giuderi diliberamente veniano
alla mercede, si mosse a misericordia, e ricevette il saramento della loro fedaltà, e
perdonò loro la vita. E cotali patti tra loro stabiliro e fermaro, che stando i Giuderi
tra Cristiani potesser sicuramente la loro fede usare, acciò che mai sempre fosser
servi, e le persone loro e lavere fosse tutto in sua podestà.
CAPITOLO XLII
Della battaglia tra la Fede Cristiana e le sei Risie.
Fatte le comandamenta la Fede Giudea, e la Fe dellidoli morta e spenta,
cominciò la Fede Cristiana a segnoreggiare tutto l mondo, ed esser creduta da tutte
le genti sanza contradicimento daltra Fede. E credendosi tutti suoi nimici
aver vinti, sí si tornava nelloste per posare, e perché potessero fare le loro
battaglie laltre Virtù.
E nel tornare chella fece, ebbe
novelle da li suoi cavalieri che sei Resie eran giunte nel campo con grande sforzo di
gente e con grandissimo furore, e richiedevalla di battaglia. A queste novelle tornoe nel
campo co la sua gente, amannata di combattere con qualunque altra Fede si trovasse. E
quando vidi questo dissi: Dimmi, maestra de le Virtudi, chi son queste Fedi che
sono tanto indugiate, e ora son giunte con cotanto furore, che pariano tutte le battaglie
de la nostra Fede racquietate? Ed ella disse: Questi sono sei grandissimi
baroni de la Fede Cristiana, che si sono rubellati da lei per malizia di troppo senno; e
catuno ha fatta sua legge. E io dissi: In che modo per malizia di troppo
senno? Ed ella disse: Questi baroni furono sei grandissimi prelati della
Chiesa di Dio, e uomini molto litterati e savi maestri, che leggendo nella Divina
Scrittura trovaro, secondo verace intendimento, che la vita delluomo era molto
stretta a potersi salvare: perché neuno potea avere paradiso seguitando il diletto della
carne e la gloria del mondo. Della qual cosa eran questi prelati molto dolenti, ché
sentendosi in grandi dignitadi da potere ben godere, voleano paradiso e questo mondo
abracciare: però singegnaro con grandi sottigliezze, e trovaro nuovi intendimenti a
la Divina Scrittura, per li quali allargâr la vita delluomo con potersi salvare. E
per questi intendimenti ha catuno trovata sua legge (e non saccorda luna
collaltra); ed hanno la predicata alle genti, e fatta credere a molti matti, per la
larghezza della vita, e spezialmente a coloro che saviano già posto in cuore di non
servare la legge di Dio, tanto gli stringea il diletto del mondo. E quando ebbe
cosí detto dissi: Come hanno nome queste Risie? Ed ella disse:
Paterini, Gazzeri, Leoniste, Arnaldiste, Speroniste, Circoncisi; e catuna è dal suo
prelato nominata.
E dicendo queste parole, vedemmo che
tutte e sei le dette Resie si raccolsero insieme; e di tutte le genti loro, cheran
diverse, fecero una schiera molto grande, ad intendimento di venire molto stretti e
schierati cosí grossi contra la Fede Cristiana, e di rompere e di mettere in caccia tutta
sua gente. E quandebber questa schiera fatta cosí grossa, trassersi innanzi a
cominciar la battaglia. Quando la Fede Cristiana vide venire i servi suoi contra sé, e
coloro che le aveano giurata fedaltà e aviengliele rotta, ricordandosi del tradimento che
le avean fatto fue molto allegra, perché vide chera tempo e stagione che se ne
potea vendicare; e aperse loro la via e lasciolle venire, perché saccorse che
veniano molto sfrenatamente e con gran furore e con molte parole. E quando fuor venute
quanto le parve, le rinchiuse nel miluogo della sua gente e preseli tutti, sí che neuno
ne poté campare. E quando li ebbe presi e legati, li esaminò diligentemente e fecesi
aprire tutte le loro credenze e lintendimenti che davano alla Scrittura Divina.
Allora savide che per semplicità veran caduti e per diletto delle cose del
mondo: però perdonò a coloro che di buon core volle tornare; e li altri fece ardere
incontanente in un fuoco il qual facea sí fiatoso fummo, che tutte le contrade appuzzò.
CAPITOLO XLIII
Delledificare delle chiese, e dellordinare
de prelati.
Dopo questa vittoria si partí del campo la Fede Cristiana, e venne a Roma, e ivi edificò e fece molte chiese in onore delli apostoli e di martiri che furon morti nella battaglia chebbe co la Fede Pagana; e in onore di molti confessori che in quella battaglia duraro gran fatica; e in onore di molti altri santi e sante di Dio, per li cui meriti era molto cresciuta la Fede Cristiana. E nelle dette chiese mise ministri per li quali si lodasse il Segnore, e le dette chiese si dovessero ministrare; e fece calonaci e preti e piovani e priori e arcidiacani e arcipreti e proposti e abati e vescovi e arcivescovi e patriarche e cardinali, e dassezzo fece il papa, che di tutti i cherici fosse signore; e diede il suo officio a catuno, e comandoe che come il suo officio portasse dovesse ministrare. E la Fede Cristiana innanzi, e tutti i detti cherici apresso, e poi tutta la gente del mondo fecero nelle chiese gran sacrificio; e con devote e fedeli orazioni lodaro lo Segnore de la gran vittoria che sopra nimici avea lor data. E dipo quelle orazioni fuorono poscia tutti li uomini e le femine del mondo, per li amonimenti della Fede, molto perfetti.
CAPITOLO XLIV
Del consiglio chebbe Satanasso co le Furie
infernali.
Veggendo Satanasso, il quale è prencipe de demonî, che tutta la gente del mondo
era convertita a la Fede Cristiana, e per li suoi amonimenti erano molto perfetti
divenuti, e cheran cacciate via tutte le sue Fedi e Resie chavea seminate nel
mondo, che mettiamo le genti in errore, cominciò ad esser molto dolente, e specialmente
perchera certo che non potea più luomo o la femina ingannare infin che de la
verace Fede fossero armati. Però raunò tutti i demonî e le Furie infernali, e pigliò
consiglio da loro che via sopra questi fatti dovesse tenere, che de le genti del mondo
cosí al tutto perdente non fosse.
E fuoro certi demonî che diedero per
consiglio che con Dio onnipotente cominciassero la guerra e dessesi grande impedimento
alle sue operazioni, sicché li venisse voglia di conciarsi co·lloro, e delle genti del
mondo quetare una parte: che peggio non potea lor fare Dio che privarli de li uomini e
delle femine del mondo cosí al postutto. E altri vebe che dissero che per li
demonî si turbassero e commovessero i pianeti e impedimentissesi il corso loro, sí che
la Natura non potesse in terra fare le sue operazioni; e facesser venire nel mondo gran
piaghe e grandissime e terribili pestilenzie, sicché si spegnesse lumana
generazione e neuno non andasse poscia in paradiso, e rimanessero vòte le sante sediora
di paradiso che si debbon riempiere.
Al dassezzo si levoe Mamone, cioè quel
demonio chè sopra le ricchezze e sopra amministrar la gloria del mondo; e
consigliando disse: A cominciare con Dio onnipotente guerra non mi pare che sia
convenevole, perché la cominciammo altra volta, e piglioccene male, e fummone di buon
luogo cacciati, cioè di paradiso, e delle santissime sediora là ove eravamo allogati. E
ad impedimentire il corso dei pianeti, e a tòrre a la Natura in terra la sua operazione,
e a far venire nel mondo pestilenzie e piaghe, non credo che ci fosse licito a fare: che
avegna chogni mal si faccia per noi, non è niuno sí piccolo o vile che per noi si
possa fare, se non è prima da Dio conceduto.
- Ma se vogliamo spegnere la Fede
Cristiana e spogliarne luomo al postutto, sicché ritorni in nostra podestà, parmi
che tegnamo questa via. Io ho un uomo alle mani il qual sappella Maommetti, che
insin da teneretta età è riposto nel mio grembo e nutricato del mio latte e cresciuto e
allevato del mio pane; e oggimai è compiuto e grande, e hae in sé tanto scalterimento di
malizia, ed è sí desideroso dellavere e delli onori e della gloria del mondo, che
già mi soperchia di retà, e non mi posso ingegnare che io in me nabbia cotanta; e
ha una bellissima favella, e di Dio non ha alcuno intendimento. Se voi da capo volete fare
nuova legge contraria a quella di Dio, e insegnarla a costui e farla per lo mondo
predicare, questi la farà credere per legge di Dio, e corromperanne tutte le genti, e
farà spegnere la verace Fede Cristiana, e rimetterà luomo in nostra podestà; ma
vorrà per queste cose esser da noi grandemente benificiato, ed elli menerà a capo tutti
i nostri intendimenti.
CAPITOLO XLV
Della legge che dànno i demonî a Maometti.
Al
detto consiglio sacordaro tutti i demonî e le Furie infernali; e fue comandato che
più non si dovesse in su questa proposta indugiare. E quando fue partito l
consiglio, si raunaro i demonî di ninferno e fecer nuova legge contraria a quella di Dio,
e tutta daltre credenze, e chiamârla Alcoran; e insegnârla a Maommetti
perfettamente, perché lavesse bene a mano. E poi dissero: Va e predica
questa legge, e dí che sia data da Dio; e noi saremo sempre teco in tutte le tue
operazioni. E se tu ne farai questo servigio e andrà innanzi per lo tuo fatto questa
legge, noi ti daremo molte ricchezze e segnoria di molte genti, e distenderemo la tua
fama, e avanzeremo il tuo nome e farello glorioso nel mondo, più che non fu anche neuno
che nascesse di femina corrotta.
E quando Maommetti si udí fare queste
impromesse, essendo uomo molto mondano e di vanagloria pieno (e di Dio non avea alcun
pensamento), e sentendosi scalterito de le malizie del mondo e con una bella favella e
bene aconcio a queste cose, pigliò questa legge e cominciolla oltremare a predicare,
acciò che la Fede Cristiana, che era a Roma a quella stagione, non se ne potesse avedere.
E convertivvi in piccol tempo molta gente, tra per suoi scalterimenti, e per lo grande
aiuto de demonî: e appellasi Alcoran, e appo noi legge pagana.
Edizione telematica a cura di: Giuseppe
Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
da: Bono
Giamboni, Il libro de' Vizî e
delle virtudi e il trattato di virtù e di vizi, a cura di
Cesare Segre, Giulio Einaudi editore, Torino 1968.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 14 maggio, 1999