Bono Giamboni
Il libro de' Vizî e delle virtudi
CAPITOLO XVI
Del rapresentamento cke fece la Filosofia del fattore
dell'opera a la Fede.
Cenato ogni
gente, e rassettate a sedere, disse la Fede a la Filosofia: - Grande vicenda' ti mena in
questa contrada, quando ci vieni cosí palesemente. So bene che ci vieni e vai a tua
posta, ma piú di celato, perché, se cosí non fosse, in malo stato saremmo, secondo che
sono le contrade ove non regne e governe. Onde dimmi se posso fare alcuna cosa che ti sia
a piacere.
Ed ella disse: - Tu sai, cara figliuola,
ch'a me conviene avere rangola dell'umana generazione, e spezialmente di coloro che
vogliono intendere al servigio di Dio; e solamente son mandata da Dio onnipotente di cielo
in terra per questa cagione. Onde qui ha un valletto che da teneretto è nutricato in mia
magione, e hae sempre volentieri studiato, e sa oggimai convenevolmente, ed èlli venuto
in talento di conquistare il regno di Cielo; e sappiendo che non si può conquistare se
non per mano delle Virtudi, sí viene a te e a l'altre per farsi vostro fedele e giurar le
vostre comandamenta, acciò che possa esser acompagnato da voi, e lo regno di Cielo li
atiate conquistare; e fassi da te, perché sa che se' fondamento e capo dell'altre. Onde
ti prego che, come porta l'officio tuo, il debbi servire.
Ed ella
disse: - Tu sai che mia usanza è d'isaminare l'uomo anzi che per fedele sia ricevuto o
che d'atare li si faccia promessione; ma di costui si faccia tutta la tua volontade,
perché so che non può esser altro che sufficiente, da ch'è rapresentato per te -. Ed
ella disse: - A me piace che ne osservi tua usanza, perché non vo' che si spenga neuna
buona usanza per me -. Allora mi chiamò la Filosofia, e fecemi inginocchiare dinanzi alla
Fede; e rappresentommi e disse: - Ecco l'uomo: esaminatelo sicuramente, ché 'l troverete
ben perfetto, e degno di vostra compagnia.
CAPITOLO XVII
Dell'esaminamento che fece la Fede.
Quando la
Filosofia m'ebbe rapresentato, mi cominciò la Fede a domandare in questo modo: - Io ti
domando che mi dichi quanti sono i nostri sacramenti -. E io dissi: - Sette; - E qua' sono
essi? - E io dissi: - Battesmo, Penitenzia, Corpus Domini, Matrimonio,
Confermagione, Ordine e Unzione -. Ed ella disse: - Sa' tu qua' sono le credenze de'
sacramenti e i loro benifici? - E io dissi: - La credenza del Battesmo si è che si
rimetta il peccato originale a colui che si battezza, e dealisi lo Spirito Santo. La
credenza della Penitenza si è che si rimettan le peccata a colui che si confessa e si
pente. La credenza del Corpus Domini si è che 'l pane e 'l vino che piglia 'l
prete nell'altare a la messa si faccia verace corpo e sangue di Cristo; e secondo che
diede sé per noi nella croce, cosí si dà ogni dí nella messa in memoria di quella
passione laonde si congiungon le genti d'amore con Cristo. La credenza del Matrimonio si
è che si possa congiugnere l'uomo colla femina carnalmente sanza peccato per virtú di
quel sacramento. La credenza della Confermagione, cioè del cresimare, che fanno i
maggiori prelati, si è che lo Spirito Santo dato nel battesmo si confermi a colui che si
cresma. La credenza dell'Ordinare si è che per virtú di questo sacramento i preti e li
altri cherici ordinati abbian podestà e balía di fare certe cose che li altri non hanno.
La credenza dell'Unzione si è che se ne rimettano le peccata veniali a colui che s'ugne,
e giovi a la infermità del corpo.
Da che m'ebbe domandato de le credenze
de' sacramenti, disse: - Sa' tu le credenze del Credo in Deo, e chi l'orazione del Credo
in Deo fece? - E io dissi: - Ben so le dette credenze, e ho inteso che la detta
orazione fecero tutti e dodici li Apostoli per partite -. Ed ella disse: - Vièllemi per
ordine dicendo, e distinguimi le parti che ciascuno apostolo vi puose -. E io dissi:
Credo in uno Idio patre onnipotente, fattore del cielo e de la terra e di tutte le
cose visibili e non visibili, secondo che nel detto Credo in Deo disse santo Piero.
E in Gesù Cristo unico suo figliuolo, verace segnore nostro, secondo che varose
santAndrea. Il quale fue dallo Spirito Santo formato, e nacque dalla vergine Maria,
secondo che vaggiunse san Giovanni. E ne la segnoria di Pilato fu crucifisso e morto
e sepulto, secondo che santo Iacopo minore disse. Discese a lo nferno, e al terzo
dí risuscitò da morte, come arose santo Tomaso. E andonne in cielo e siede da la diritta
parte del suo Padre, come disse santo Iacopo maggiore. E quindi verrà a giudicare i vivi
e morti, come varrose santo Filippo. Credo nello Spirito santo, come disse
santo Bartolomeo. E nella santa Ecclesia catolica, come disse santo Mateo. E ne la
comunione di santi, e ne la remissione de peccati, come disse san Simone cananeo. E
nella resurressione della carne, come disse santo Tadeo. E ne la vita eterna, amen, [come
disse santo Mattia].
E quando
ebbi dette tutte le credenze che nel Credo in Deo si contengono, cosí per ordine
come ne la detta orazione le dissero li apostoli, disse la Fede: E sai tu quanti
sono i comandamenti di Dio che si convegnono osservare? E io dissi: Dieci,
cioè quattro che sapartengono a Dio, e sei che sapertengono a le genti del
mondo. Ed ella disse: Qua sono essi? E io dissi: I
quattro che sapertengono a Dio sono questi: Uno solo Dio credi. Lui solo ama sopra
tutte le cose. Il suo nome non aver per cosa vana. Guarda le feste che a suo onore e
de suoi santi sono ordinate di guardare. E li sei che sapertengono alle genti
del mondo sono questi: Onora e ubidisci il padre e la madre, e sovvielli se sono
bisognosi. Ama il prossimo tuo come te medesimo, e sovviello se l vedi in
necessitade. Co la moglie del prossimo tuo non commetterai avolterio, né con
neunaltra persona ti maculerai di lussuria non licita. Il prossimo tuo non ucciderai
e nol fedirai e no li farai in persona alcuno rincrescimento. De la cosa del prossimo tuo
non farai furto, né in mal modo non gliela torrai, né non la userai contra sua
voluntade. Falsa testimonianza contra l prossimo tuo non porterai.
E quando li
comandamenti di Dio ebbi cosí per ordine detti, disse la Fede: E credi, chi fa
contra le dette comandamenta, che commetta peccato? E io dissi: Sí, pecca
mortalmente dalcun di sette peccati mortali. E qua sono essi? E
io dissi: Avolterio, micidio, furto, pergiurio, falso testimonio, rapina e
bestemmia.
CAPITOLO XVIII
Della fedaltà che fece a la Fede.
Quando la Fede
mebbe domandato di tutte le cose che avete udito di sopra, si rifece da capo e
disse: Credi tu bene i detti sacramenti e le lor credenze? E io dissi:
Cosí credo veracemente. E credi le credenze che nel Credo in Deo si
contengono, secondo che di sopra dicesti? E io dissi: Cosí veracemente
credo. E chi fa contra le dette comandamenta, credi che pecchi mortalmente?
E io dissi che sí, dalcuno de detti sette peccati mortali. E credi che
si perda chi mortalmente pecca, se non si confessa e si pente? E io dissi:
Sí.
E quandebbi cosí chiaramente a
ogni cosa risposto, secondo che la Filosofia mavea insegnato e ammaestrato, disse la
Fede: Figliuol mio, non ti dare maraviglia perché non tho lodato, avegna che
abbi ben risposto, perché neuno si loda dirittamente se non a la fine. Ma or ti dico che
a tutte le domandagioni delle mie credenze hai risposto perfettamente, e se ben
degno di nostra compagnia. E poi disse: Vuo tu diventar nostro fedele,
e giurar le nostre comandamenta? E io dissi: Sí, molto volontieri.
Ed ella disse: Vuo tu promettere di fedelmente servire, e stare fermo in su
coteste credenze? E io dissi: Sí, e cosí avea creduto dogni
tempo; ed eranmi sí convertite in natura che non me ne potrei partire per neuna ingiuria
che fatta mi fosse. Ed ella disse: E io tametto per fedele da oggi
innanzi, e promettoti, giusta la possa mia, datarti conquistare il regno di
paradiso, insino che stara fermo in su coteste credenze. E cosí un notaio
che vera ivi presso di tutte queste cose trasse carta.
CAPITOLO XIX
Perché la Fede non si cura dornare la persona.
Ricevuto per
fedele da la Fede Cristiana, e giurato le sue comandamenta, nandammo a letto; e a
lalba del giorno ci levammo, e scommiatati da la Fede ci partimmo per compier nostro
viaggio.
E cavalcando cominciai co la Filosofia a
sollazzo cota cose a parlare: Maestra de le Virtudi, molto è bella creatura
questa Fede, le cui comandamenta i ho giurate; ma è vilissimamente vestita, e sta
tutta cotale aviluppata. Credo che se avesse belli vestimenti e curassesi la persona come
laltre femmine fanno, nel mondo sí bella creatura non avrebbe. Ma forse chè
povera reina; e ben lo mostrò iersera, sí ne diede povera cena.
E quando èi cosí detto, la Filosofia rise un poco molto piacevolmente, e stette una
pezza, e parlò e disse: Figliuol mio, mal conosci questa Virtù; ma
conoscerala meglio per innanzi, da che se diventato suo fedele. E io ti dirò
alcuna cosa de suoi fatti, sopra le parole chai dette. Questa donna è la più
ricca reina che neuna che si truovi nel mondo, e quella cha i piue ricchi fedeli:
perchella sola ha in questo mondo il sovrano bene a godimento, e aministralo e
dàllo a fedeli suoi. E dirotti in che modo il sovrano bene è un ragunamento
perfetto di tutti i beni laonde si compiono alluomo tutti i suoi desiderî: e questo
è Idio, in cui sono tutti i beni perfettamente raunati, e riempiene colui che
perfettamente lama, e compieli tutti i suoi desiderî, perché si fa uno spirito e
una cosa co·llui, secondo che vedi per esemplo di due che perfettamente samano
insieme, che susa di dire: "Questi due sono solamente una cosa, sí gli ha
congiunti lamore". E colui che perfettamente è nella fede, ama Dio sopra tutte
le cose, e però non si cura né di manicare, né di bere dilicatamente, né di vestire,
né di calzare pulitamente, né della gloria del mondo, però che sa che a Dio non
piacciono queste cose; ma pensa Idio, imagina Idio, contempla Idio; e questo pensiero li
sa sí buono che non se ne sazia, ma die e notte vi pensa, perché si sente per quello
pensamento tutti i suoi desiderî compiere. E però disse santo Ambruogio: Chi nella
magione dentro dal suo cuore alberga Cristo, di smisurati delettamenti pasce lanima
sua". E santo Augustino, favellando inverso Idio quando di lui fue bene innamorato,
disse: "Segnor mio, tu mhai menato a una allegrezza ismisurata, che non è
altro che vita eterna in questo mondo".
CAPITOLO XX
De la buona cena.
Mostrato la
Filosofia perchera la Fede mal vestita e stava cotale aviluppata, e come era la più
ricca reina del mondo e aveva più ricchi fedeli, disse: Anche dicesti, figliuole,
che ne diede povera cena; e io ti dico che ne diè cena buona, e chente susa di dare
agli amici; e dirotti in che modo.
- Tutte le cene che si fanno o son buone
o son rie o son perfette. Buona è detta quella cena che per necessità del corpo si
piglia; rea è detta quella cena che si piglia a vanagloria o per compiere i desiderî
della gola; perfetta è detta quella cena quando si pasce lanima della letizia
spirituale. E di queste tre cene ti voglio alcuna cosa dicere.
- Dico che quella è detta buona cena, che per necessità del corpo si piglia solamente:
ché, con ciò sia che li omori del corpo si consumino e disecchino tuttavia per lo calore
naturale, sí fa bisogno di pigliar tanto cibo che ristori quelli omori desiccati; perché
se lomore perduto non si ristorasse, tostamente il corpo diseccherebbe e morrebbe. E
questa cena, avegna che per bisogno si pigli, non dee esser grande, acciò che si mangi di
soperchio; anzi dee esser piccola e temperata, perché quello omor desiccato per poco cibo
si ristora: onde dice Boezio: "La natura di poche cose si chiama contenta; e se le
darai il soperchio, o farale male o avrallo a dispetto". E non dee esser questa
cena nascosa, né a ricchi, ma a poveri fatta e apparecchiata: onde dice santo Luca nel
Vangelio: "Quando farai convito, non apellerai li amici o parenti o
vicini o ricchi, perché riconvitino te poscia e rendanti vicenda; ma chiamerai li
poveri o linfermi o li ciechi o gli attratti; e sarai beati, perché no hanno onde
ti possano ristorare: però serai guiderdonato nel guiderdonamento de giusti".
E la Fede, se ben ti ricorda, ne diede cena di questa forma, perché vebbe da cena
quanto fue bastevole a coloro che vi cenaro; e fue il cibo sano per lo corpo e saporito
per la bocca; e del rilievo della sua mensa si consolaro tanti poveri, che non credo che
giamai de le cento parti luna ne vedessi.
CAPITOLO XXI
De la cena rea.
La
seconda cena si è detta cena rea; e questa è quando non si piglia per necessità, ma per
vanagloria o per compiere i desiderî della gola. E però è detta rea questa cena,
perché quando ne la cena ha molti mangiari di diversi sapori, lo stomaco si diletta in
questo sapore e in quellaltro, sie che se luomo non è savio in temperar la
volontade, mangia e bee di soperchio; per la qual cosa saffoga il calore naturale, e
non può ricuocere il cibo che è ito di soperchio nel ventre; e dacché non è ricotto
non esce, anzi vi si corrompe entro, laonde singenerano nel corpo gravissime e
pericolose infermità. Onde credi tu che nascan tanti dolori di capo, tante torzion di
ventre, tanti corrompimenti di tutti omori di corpo, se non del troppo mangiare? E però
disse uno poeta: "De la lunga e gran cena si ingenera a lo stomaco gravissima pena:
se tu vuogli esser lieve, fa che la tua cena sia breve".
- Anche è ria, perché quivi la lingua
isfrenatamente favella; quivi si dicono bugie e parole di scherne; quivi ha canti e
stormenti; quivi sono le femine di sozze cose richeste, e sono spesse volte concedute;
quivi hae ogni cosa disfrenata. Certo, quando a cotale cena sintende, Dio e il
prossimo si offende. E questi cotali mangiari sono minacciati dal Profeta, e dice:
"Guai a voi che vi levate la mattina a seguitare lo vizio della gola, e manicate e
bevete di forza, e soprastatevi insino a vespero, e nellopere di Dio non guardate:
però ha sciampiato il ninferno il seno suo, e discenderannovi i grandi e forti e li
gloriosi del mondo a lui". E questa è forse quella cena che tu volei che la Fede ti
desse; ma ella, conoscendo chera rea e abominata da savi e minacciata da Dio,
ce ne volle guardare.
CAPITOLO XXII
De la cena perfetta.
- La terza cena sí è detta cena perfetta; e questa è quando si pasce lanima della letizia spirituale. Di questa cena quando lanima piglia, di molta allegrezza si riempie: ché, con ciò sia cosa che sia gran diletto quando coloro che si convengon di riggimenti si congiungono insieme, quanta allegrezza credi che sia quando la creatura si congiugne col suo creatore, o il figliuolo col suo padre, o la sposa collo sposo suo chama? E però dice il glorioso del Segnore: "Io sto alluscio, e picchio; e se mi sarà aperto intrerrò là entro e cenerò co·llui, ed e meco". O dilettevole cena, quando Idio, cui tu ami, ricevi ad albergo nel tuo cuore, quando per grande amore labracce e lo stringi! Qual metallo è sí duro che il fuoco no lo incenda e rechilo a sua natura? Se questo fuoco chè appo noi lavora cosí nel duro ferro, come credi che l fuoco de lamor divino chè di virtù maravigliosa lavori nellanima? E di questa cotal cena ti pascerà la Fede, se tu per innanzi le sarai buon fedele.
CAPITOLO XXIII
Del luogo onde si cominciaro a vedere i Vizî e le Virtú.
Parlando a sollazzo per la via, come di sopra avete inteso, cavalcammo tanto che fummo in su 'n un monte ben alto, laove avea un romito in una cella; e a piede avea una pianura molto grande, ne la quale avea sí gran gente raunata che non potrebbe esser annoverata se non come le stelle del cielo o la rena del mare. E io, guardando cosí gran gente, mi maravigliai, e dissi: - Maestra delle Virtudi, che gente è questa cosí grande, e perché è qui raunata? - Ed ella disse: - Questa è tutta la gente del mondo, ch'è divisa in due parti, secondo che tu vedi ch'è tra lo steccato ch'è in mezzo tra loro. E sonci assembiati per combattere -. E io dissi: - Chi è l'una gente, e chi è l'altra? e chi sono i segnori delle parti? - Ed ella disse: - Questa che tu vedi da la parte d'oriente sono le Virtudi con tutto loro sforzo; e questa che tu vedi dal ponente sono li Vizî con tutta loro amistade -. E io dissi: - Molto sono male partiti: se debbono combattere insieme non veggio che le Virtudi da' Vizî si possan difendere, se Dio nol facesse per gran maraviglia, ché son piú di loro ben cento cotanti -. E la Filosofia disse: - E Dio l'aterae, come hae fatto altre volte quando sono venute alle mani; perché le Virtudi son savie e scalterite e prodi e valentri; e' Vizî sono rigogliosi e matta gente -. E io dissi: - Dio il faccia per la sua misericordia. Ma pregoti che mi dichi chi sono i segnori delle parti, e chi sono le loro amistadi -. Ed ella disse: - Cotesto non ti poss'io mostrare, che tu sapessi ch'io mi dicesse, se non in sul fare delle schiere; ma allotta ti mostrerroe tutte le cose pienamente. Onde iscavalchiamo e stiamo a veder tanto che questa battaglia si faccia.
CAPITOLO XXIV
Della segnoria della Superbia.
Ismontati e assettati a sedere sotto un bel
porticale de la cella del romito, e guardando l'osti di ciascuna parte, vedemmo nell'oste
de' Vizî un segnore ch'andava cavalcando per lo campo, e tutta la cavalleria dell'oste il
seguitava, e le genti a piè lo 'nchinavano con gran reverenzia. E quando vidi questo,
dissi: - Maestra delle Virtudi, chi è quel signore che cosie grandemente cavalca e da
questa gente è cosí onorato? - Ed ella disse: - Questo è lo 'mperadore e segnore di
tutta l'oste di Vizî, e ha quasi sotto sé tutto il mondo, e ballo in sette parti diviso;
e in ciascuna delle dette parti ha uno re incoronato ch'è suo fedele e rendeli trebuto -.
E io dissi: - Come ha nome questo imperadore, e come hanno nome i re incoronati che sono
sotto lui? Ella disse: - Lo 'mperadore ha nome Superbia; e li sette re che son sotto lui
sono sette Vizî principali che nascon e vengon da lui, e son questi: Vanagloria, Invidia,
Ira, Tristizia, Avarizia, Gula, Lussuria. Questi sono que' Vizî laonde nascono tutti i
peccati che per le genti si fanno -. E io dissi: - Ben son cotesti gran segnori e di gran
nominanza; e molto ho già udito di loro gran fatti novellare. Ma una cosa vorrei che mi
dicessi: come poteo venire questo imperadore in cotanta grandezza che potesse avere fedeli
di cotanta potenzia come sono questi Vizî che nominasti di sopra? - Ed ella disse: - Li
Vizî che di sopra t'ho detto sono inimici di Dio, e intendono a corrompere li buon
costumi e li savi reggimenti delle genti, perché sanno che piacciono a Dio sopra tutte le
cose; ma li uomini e le femine, che naturalmente conoscono Idío, e sanno che a lui
piacciono cotesti reggimenti, non si lasciavano corrompere, per paura che avevano che Dio
sopra loro non pigliasse vendetta; e cosí non potevano li Vizî venire a capo di loro
intendimento, e far le genti peccare. Ma lo 'mperadore 'che t'ho detto di sopra
insuperbisce l'uomo, e fallo da Dio rubellare; e dacché èe rubellato ogni peccato
commette; e per questa via fanno tutti li Vizî le genti peccare. E però disse un savio:
"Quando la Superbia piglia l'uomo, ogni peccato commette; e quando si parte, ogni
peccato abandona": e per questa via vedi che fanno tutti li Vizî le genti peccare.
La Superbia è capo de' Vizî e partefice di tutti i peccati.
E ragionando cosí
tra noi, udimmo un trombadore che sonò una tromba; e da ch'ebbe sonato, cominciò a
bandire in questo modo: - Il grande imperadore messer la Superbia fa metter bando e
comandare che si vadano ad armare tutte le genti; e li re e segnori che son venuti
nell'oste per aiutarlo debbiano le loro genti schierare e dare a ciascheuna schiera buon
capitano e gonfalone della sua insegna, perché egli intende d'andare sopra l'inimici.
CAPITOLO XXV
Delle schiere de la Vanagloria e de' suoi capitani.
Dacché
'l detto bando fu messo, sí cominciò tutto 'l campo a bollire, e andârsi ad armare le
genti, e trasse catuna al suo segnore, là ove vedevano poste le 'nsegne. E sceverato
catuno re per sé co la gente sua, vedemmo uno di questi Vizî principali che fece otto
schiere della sua gente, e a ciascheuna diede il suo capitano e gonfalone della sua
insegna. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, maestra delle Virtudi, chi è quel
Vizio che ha già le sue genti schierate, e chi sono i capitani delle schiere? - Ed ella
disse: - Quello è un pessimo Vizio che si chiama Vanagloria; e commettesi questo peccato
in otto modi, e hae ciascuno il suo nome. E quelli sono i Vizî che nascono di lei, che
sono fatti capitani delle schiere, e sono questi: Grandigia, Arroganza, Non usanza,
Ipocresia, Contenzione, Contumacia, Presunzione e Inobedienzia.
E quando ebbe cosí detto, dissi: - Che
è Vanagloria? - Ed ella disse: - Vanagloria è un movimento d'animo disordinato, per lo
quale si muove l'uomo a volere quello onore che non li si conviene -. E io dissi: Dimmi
alcuna cosa della natura de' Vizî che nascono di lei -. Ed ella disse: - Grandigia è
quando l'animo dell'uomo non soffera che alcun sia pare o maggior di lui; e questa è
detta vanagloria. Arroganzia è quando si vanta l'uomo d'esser quello che non è; e
quest'è vanagloria. Non usanza è quando l'uomo hae sí in dispetto li altrui fatti, che
non soffera di fare la cosa come li altri la fanno, ma ingegnasi di farla per nuovo modo e
d'avere nuovi riggimenti o altra cosa divisata da li altri; e quest'è vanagloria.
Ipocresia è quando l'uomo dà vista od apparenza alle genti d'essere quello che non è, o
di fare quello bene che non fa; e quest'è vanagloria. Contenzione è quando l'uomo
contende e impugna la verità e credelasi vincere o per grida o per sottigliezza di
parole; e questa è vanagloria. Contumacia è quando l'uomo hae in dispetto suo maggiore,
e negali di fare l'onore o 'l servigio che per ragione li dé fare; e quest'è vanagloria.
Presunzione è quando l'uomo s'apropia l'altrui fatto per darsi onore; e questa è
vanagloria. Innobedienzia è quando l'uomo, per disdegno, non ubidisce il suo maggiore ne
le cose che giustamente li son comandate, overo l'onore che li dee fare no li rende; e
quest'è vanagloria.
CAPITOLO XXVI
Delle schiere de la 'Nvidia e de' suoi capitani.
Appresso
il detto primaio Vizio venne il secondo, e fece delle sue genti cinque schiere, e a
ciascheuna diede il suo capitano. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, chi è quel
Vizio c'ha ora le sue genti schierate? - Ed ella disse: - Quello è un Vizio che s'appella
Invidia; e commettesi questo peccato in cinque modi, e ciascuno modo hae il suo nome. E
quelli sono li Vizî che nascono di lei, che sono capitani de le schiere; e sono cosí
nomati: Ditramento, Dipravamento, Ingratitudine, Maltrovamento, Rallegramento o
Contristamento.
E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi, che è Invidia? - Ed ella disse: - Invidia è un mal calore che nasce all'uomo del
bene e de la felicitade altrui, che lo incende e dibatte malamente e fallo dolere. E nasce
questo duolo per due cose: o quand'elli non vuole ch'a quello ch'è elli altri possa
venire; o quando si duole che non può venire elli a quello che vede alcuna persona. Ed è
a dire Invidia, cioè "non vedere", perché colui ch'è invidioso non soffera il
bene altrui di vedere -. E quando ebbe cosí detto, dissi: - Dimmi alcuna cosa della
natura de' Vizî che nascono d'Invidia -. Ed ella disse: - Ditraimento è quando l'uomo
nasconde li altrui beni; e quest'è invidia. Dipravamento è quando l'uomo li altru' beni
in altra guisa travolge, e li mali suoi dice e reca a memoria; e questo è invidia.
Ingratitudine è quando l'uomo del bene che gli è fatto per disdegno grazia non rende; e
quest'è invidia. Maltrovamento è quando l'uomo appone altrui peccato o vizio onde non è
colpevole; e quest'è invidia. Rallegramento o Contristamento è quando si rallegra l'uomo
dell'altrui male o del bene si contrista; e quest'è invidia.
CAPITOLO XXVII
De le schiere dell'Ira e de' suoi capitani.
Appresso
il detto Vizio venne il terzo, e fece diece schiere delle sue genti, e a ciascheuna diede
il suo capitano. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, chi è quel Vizio c'hae ora le
sue genti schierate, e chi sono i capitani de le schiere? - Ed ella disse: - Quello è un
Vizio principale che s'apella Ira; e peccasi per questo vizio in diece modi, e ciascuno
modo hae il suo nome. E quelli sono i detti Vizî che nascono di lei, che sono capitani
delle schiere, e sono cosí appellati: Odio, Discordia, Ressa, Ingiuria, Contumelia,
Impazienzia, Protervia, Malizia, Nequizia e Furore.
E quando ebbe cosí detto, dissi: - Che
è Ira? - Ed ella disse: - Ira è una súbita tempesta d'animo laonde si muove l'uomo
contra alcuna persona -. E io dissi: - Dimmi alcuna cosa de la natura de' Vizî che
nascono d'Ira -. Ella disse: - Odio è una malavoglienza d'animo inviziata. Discordia è
una diversità d'animo tra coloro ch'erano imprima congiunti d'amore. Ressa è una
malavoglienza d'animo tra coloro che sono congiunti di sangue. Ingiuria è quando l'uomo
fae o dice alcuna cosa contra altrui non giustamente. Contumelia è una ingiuria di
parole. Impazienzia è i súbiti movimenti dell'animo non rinfrenare'. Protervia è uno
movimento d'animo a rispondere a parole che siano dette. Malizia è una mala volontà
d'animo nascosta di dare altrui danno. Nequizia è quando l'uomo ardisce a fare quello
ch'elli non può. Furore è una súbita tempesta d'animo che non considera ragione.
CAPITOLO XXVIII
De le schiere de la Tristizia e de' suoi capitani.
Appresso
venne il quarto Vizio, e fece delle sue genti otto schiere, e diede a ciascuna il suo
capitano. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Maestra delle Virtudi, chi è quello Vizio
che ha ora le sue genti schierate, e chi sono li suoi capitani? - Ed ella disse: - Quello
Vizio s'appella Tristizia; e commettesi questo peccato in otto modi, e ciascun modo hae il
suo nome. E quelli sono i Vizî che nascono di Tristizia, e sono cosí appellati: Desidia,
Pigrizia, Pusillanimità, Negligenzia, Improvedenza, Non intorno guardare, Tepiditade e
Ignavia -. E quando ebbe cosí detto, dissi: - Dimmi, che è Tristizia? - Ed ella disse: -
Tristizia è una pigrezza e cattività d'animo, per la quale l'uomo il ben che puote fare
non incomincia, o quello che ha cominciato non compie -. E io dissi: - Dimmi alcuna cosa
de la natura de' Vizî che nascono di Tristizia -. Ed ella disse: - Desidia è una miseria
d'animo per la quale il bene che potrebbe fare non comincia. Pigrizia è una cattività
d'animo per la quale il ben c'ha cominciato non compie. Pusillanimità è una angoscia di
mente per la quale si teme l'uomo di cominciare le gran cose. Negligenzia è una pigrizia
d'animo per la quale l'uomo non è bene studioso di seguitare quello che dovrebbe
seguitare. Improvedenzia è una cattività di mente per la quale l'uomo non è bene
accorto di provedere le cose che possono incontrare. No intorno guardare è una cattività
d'animo per la quale l'uomo non considera scalteritamente tutte le cose che nuocer li
possono. Tiepiditade è una pigrizia d'animo per la quale l'uomo è nighiettoso ove
dovrebbe esser rangoloso. Ignavia è un vizio d'animo per lo quale l'uomo neun suo fatto
fa con discrezione.
- Dunque pecca di questo vizio che
s'apella Tristizia ch[i] il ben che potrebbe fare non incomincia, o lo incominciato non
compie, o li gran beni che potrebbe fare non ardisce, o colà dove dovrebbe esser
rangoloso non è, o non si provede bene de le cose che possono avenire, o non guarda bene
ogni cosa che li può nuocere, o le cose che fa non fa con discrezione.
CAPITOLO XXIX
Delle schiere dell'Avarizia e de' suoi capitani.
Appresso
venne il quinto Vizio, e fece delle sue genti dodici schiere, e diede a ciascuna il suo
capitano. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, maestra de le Virtudi, chi è quel
Vizio c'ha ora le sue genti ischierate, e chi sono li capitani? - Ed ella disse: - Quello
è un pessimo Vizio, e apellasi Avarizia; e commettesi questo peccato in dodici modi, e
ciascun modo hae il suo nome, che sono li Vizî che nascono d'Avarizia; e son cosie
appellati: Simonia, Usura, Ladorneccio, Pergiurio, Furto, Bugia, Rapina, Forza,
Inquietare, Mal giudicare, Ingannare e Onor desiderare.
E quando ebbe cosí detto, dissi: -
Dimmi, che è Avarizia? Ed ella disse: - Avarizia è una pestilenzia d'uno desiderio
d'animo di guadagnare o di ritenere ricchezze -. E io dissi: - Dimmi alcuna cosa della
natura de' Vizî che nascono di lei -. Ed ella disse: - Simonia è una studiosa cupidità
di rivendere le cose spirituali, ed è detta Simonia da Simone incantatore, il qual volle
comperare dalli Apostoli lo Spirito Santo ad intendimento di guadagnare. Usura è uno
studioso desiderio d'avere alcuna cosa oltre la sorte. Ladorneccio è una palese tolta de
l'altrui contra la volontà del segnore. Pergiurio è una bugia con saramento affermata; e
però s'apertiene Pergiurio ad Avarizia, perché dice la Scrittura: "La persona ch'è
avara ha per nulla il saramento". Furto è uno ascoso pigliamento de l'altrui cose
contra volontà del segnore. Bugia è una falsa boce detta con intendimento d'ingannare.
Rapina è uno predamento per forza dell'altrui cosa. Forza è una ingiuria per forza
commessa. Inquietare è altrui non giustamente commuovere o molestare. Mal giudicare è
non giustamente sentenziare per intendimento di guadagnare. Ingannare è inganno per frode
commesso. Onore desiderare è una sollicitudine d'avere piú onore che non si conviene; e
avegna che questo si possa attribuire a vanagloria, sí è detto questo cotale avaro; onde
si dice ne la Scrittura che Adamo fu avaro perché peccò a intendimento d'avere piú
onore che no li si facea.
- Dunque dé' sapere che que' pecca di questo vizio che s'apella Avarizia, che guadagna
per via di simonia o d'usura o di ladorneccio o di pergiurio o di furto o di bugia o di
rapina o di forza o d'inquietare o di mal giudicare o d'ingannare o di desiderare onor che
no si convegna.
CAPITOLO XXX
De le schiere della Gola e de' suoi capitani.
Appresso
venne il sesto Vizio, e fece nove schiere delle sue genti, e diede a catuna il suo
capitano. E quando ebbe cosí fatto, dissi: - Dimmi, chi è quel Vizio c'ha ora le sue
genti schierate, e chi sono li capitani de le schiere? - Ed ella disse: - Quello s'apella
il Vizio della Gola; e commettesi questo peccato in nove modi, e ciascun modo hae il suo
nome. E quelli sono i Vizî che nascono di lei e che sono fatti capitani delle schiere, e
son cosí appellati: Golosità, Ebrietà, Prodigalità, Non astenersi, Non temperarsi,
Vanamente parlare, Non esser pudico, Non esser modesto, Non esser onesto.
E quando ebbe cosí detto, dissi: - Che
è a dire Vizio di Gola? - Ed ella disse: - Vizio di Gola è una disiderosa volontà di
mangiare o bere di soperchio -. E io dissi: Dimmi alcuna cosa de la natura de' Vizî che
nascono di lei -. Ed ella disse: - Ebrietà è nel bere di soperchio. Golosità è nel
troppo mangiare. Prodigalità è ispendere oltre misura. Non astenersi è non mangiare a
le stagioni. Non temperarsi è desiderare troppe imbandigioni. Vanamente parlare è a dire
parole oziose. Non esser pudico è a dire parole onde appaia lussurioso e vano. [Non esser
modesto è ... ]. Non esser onesto è adomandare cose ad uso de la vita non convenevoli a
lui.
- Dunque quelli pecca di questo vizio
della gola, che mangia di soperchio, o bee oltre misura, o spende quello che non si
conviene, o alle stagioni non mangia, o troppe imbandigioni desidera, o parla cose vane, o
dice parole onde appaia vano e lussurioso, o cose non convenevoli adomanda ad uso della
vita.
Edizione telematica a cura di: Giuseppe
Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
da: Bono
Giamboni, Il libro de' Vizî e
delle virtudi e il trattato di virtù e di vizi, a cura di
Cesare Segre, Giulio Einaudi editore, Torino 1968.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 14 maggio, 1999