Bono Giamboni
Il libro de' Vizî e delle virtudi
CAPITOLO I
Incominciasi il libro de' Vizî e delle Virtudi e delle loro
battaglie e ammonimenti.
Ponsi in prima il lamento del fattore dell'opera onde questo libro nasce.
Considerando a una stagione lo stato mio, e la mia ventura fra me medesimo esaminando, veggendomi subitamente caduto di buon luogo in malvagio stato, seguitando il lamento che fece Iobo nelle sue tribulazioni, cominciai a maladire l'ora e 'l dí ch'io nacqui e venni in questa misera vita, e il cibo che in questo mondo m'avea nutricato e conservato. E piangendo e luttando con guai e sospiri, li quali veniano della profondità del mio petto, contra Dio fra me medesimo dissi: " Idio onnipotente, perché mi facesti tu venire in questo misero mondo, acciò ch'io patisse cotanti dolori, e portasse cotante fatiche, e sostenesse cotante pene? Perché non mi uccidesti nel ventre della madre mia, o, incontanente ch'io nacqui, non mi desti la morte? Facestilo tu per dare di me esemplo alle genti, che neuna miseria d'uomo potesse nel mondo piú montare? Se cotesto fu di tuo piacimento, avessimi fatto questa misericordia, che de' beni de la Ventura non m'avessi fatto provare, e avessimi posto in piú oscuro e salvatico luogo, e piú rimosso da genti, sicché di me non fossero fatte tante beffe e scherne, le quali raddoppiano in molti modi le mie pene! "
CAPITOLO II
La risponsione de la Filosofia.
Lamentandomi duramente nella profundità d'una oscura notte nel modo che avete udito di sopra, e dirottamente piangendo e luttando, m'apparve sopra capo una figura, che disse: - Figliuol mio, forte mi maraviglio che, essendo tu uomo, fai reggimenti bestiali, in ciò che stai sempre col capo chinato, e guardi le scure cose della terra, laonde se' infermato e caduto in pericolosa malatia. Ma se rizzassi il capo, e guardassi il cielo, e le dilet tevoli cose del cielo considerassi, come dee far l'uomo naturalmente, d'ogni tua malizia saresti purgato, e vedresti la malizia de' tuo' riggimenti, e sarestine dolente. Or non ti ricorda di quello che disse Boezio: "Con ciò sia cosa che tutti gli altri animali guardino la terra e seguitino le cose terrene per natura, solo all'uomo è dato a guardar lo cielo, e le celestiali cose contemplare e vedere"?
CAPITOLO III
Come la Filosofia si conobbe per lo fattore dell'opera.
Quando
la boce ebbe parlato come di sopra avete inteso, si riposò una pezza, aspettando se
alcuna cosa rispondesse o dicesse; e veggendo che stava muto, e di favellare neun
sembiante facea, si rapressò inverso me, e pigliò il gherone de le sue vestimenta, e
forbimmi gli occhi, i quali erano di molte lagrime gravati per duri pianti ch'avea fatti.
E nel forbire che fece, parve che degli occhi mi si levasse una crosta di sozzura
puzzolente di cose terrene, che mi teneano tutto il capo gravato.
Allora apersi li occhi, e guarda'mi
dintorno, e vidi appresso di me una figura tanto bellissima e piacente, quanto piú inanzi
fue possibile a la Natura di fare. E della detta figura nascea una luce tanto grande e
profonda, che abagliava li occhi di coloro che guardare la voleano, sicché poche persone
la poteano fermamente mirare. E de la detta luce nasceano sette grandi e maravigliosi
splendori, che alluminavano tutto 'l mondo. E io, veggendo la detta figura cosí bella e
lucente, avegna che avesse dal cominciamento paura, m'asicurai tostamente, pensando che
cosa ria non potea cosí chiara luce generare; e cominciai a guardar la figura tanto
fermamente, quanto la debolezza del mio viso potea sofferire. E quando l'ebbi assai
mirata, conobbi certamente ch'era la Filosofia, ne le cui magioni era già lungamente
dimorato.
Allora incominciai a favellare, e dissi:
- Maestra delle Virtudi, che vai tu faccendo in tanta profundità di notte per le magioni
de' servi tuoi? - Ed ella disse: - Caro mio figliuolo, lattato dal cominciamento del mio
latte, e nutricato poscia e cresciuto del mio pane, abandoneret'io, ch'io non ti venisse a
guerire, veggendoti sí malamente infermato? Non sa' tu che mia usanza è d'andare la
notte cu' io voglio perfettamente visitare, acciò che le faccende e le fatiche del dí
non possan dare alcuno impedimento a li nostri ragionamenti? - E quando udi' dire che
m'era venuta per guerire, suspirando dissi: - Maestra delle Virtudi, se di me guerire
avessi avuto talento, piú tosto mi saresti venuta a visitare; perché tanto è ita
innanzi la mia malizia, che m'hanno lasciato li medici per disperato, e dicono che non
posso campare.
Allora si levò la Filosofia, e puosesi a
sedere in su la sponda del mio letto, e cercommi il polso e molte parti del mio corpo; e
poi mi puose la mano in sul petto, e stette una pezza, e pensò, e disse: - Per lo polso,
che ti truovo buono, secondo c'hanno li uomini sani, certamente conosco che non hai male
onde per ragione debbi morire. Ma perché, ponendoti la mano al petto, truovo che 'l cuore
ti batte fortemente, veggio c'hai male di paura, laonde se' fortemente sbigottito ed
ismagato. Ma di questa malattia ti credo a la speranza di Dio tostamente guerire, purché
meco non t'incresca di parlare, né ti vergogni di scoprire la cagione de la tua malatia
-. E io dissi: - Tostamente sarei guerito, se per cotesta via potessi campare, perché
sempre mi piacquero e adattârsi al mio animo le parole de' tuoi ragionamenti.
CAPITOLO IV
Le cagioni perché 'l fattore dell'opera era infermato.
Poscia
che per via di ragionamenti la Filosofia mi tolse a guerire, cominciaro i nostri
ragionamenti in questo modo: - Io t'adomando - disse la Filosofia -, con ciò sia cosa che
'l medico non possa lo 'nfermo ben curare se prima non conosce la cagione del suo male,
che mi mostri e apri la cagione della tua malatia -. A questo domandamento, suspirando
imprima duramente, dissi: - Maestra de le Virtudi, a volere cotesto di mia bocca sapere,
non è altro che voler or qui rinovare le mie pene. Chi sarà quelli di sí duro cuore che
udendo lo mio dire non si muova a pietade e dirottamente non pianga? Ma dirolloti, avegna
che mal volentieri, sol per la volontade ch'i' ho di guerire.
- Tu sai, Madre delle Virtudi, come la
potente Natura dallo 'ncominciamento della mia nativitade mi fece compiutamente con tutte
le membra, e come a ciascun membro diede compiutamente la virtú dell'oficio suo, secondo
ch'è usata - di fare cui ella vuole perfettamente naturare. Veracemente posso dire che
m'avea perfettamente ornato di suoi ornamenti, ché 'l capo m'avea ornato di quattro sensi
principali, cioè di vedere e d'udire e d'odorare e di saporare; e a ciascun membro avea
dato compiutamente la sua virtute. E sai bene come la vaga Ventura m'avea allargata la
mano sua, e arricchito di doni suoi desiderati e goliati, cioè di gentilezza e ricchezza,
amistadi, onori, di cittadinanza ed essere bene nutricato e costumato; e sai ben che con
questi doni della Ventura era morbidamente cresciuto e al levato.
- Oimè misero, essendo da la Natura
cosí ornato, e dalla Ventura cosí avanzato e fornito, e dilettandomi e gloriandomi ne'
detti benifici, non so la cagione, Dio contra me suscitò l'ira sua, e subitamente mi
tolse uno de' maggiori benifici che la Natura m'avea dato. E avegna che nol mi togliesse
al postutto, sí 'l mi tolse in tal modo, che mi rendé inutili tutte le mie operazioni,
laonde io era al mondo buono e caro tenuto. Da ind'innanzi m'abandonâr l'amistadi e li
onori e' guadagni e tutti li altri beni della Ventura, e sopravennermi tante e sí diverse
tribulazioni, che no le potrei co la lingua contare, e son caduto in molte miserie.
- Solo un dono della Ventura m'è rimaso,
cioè la cittadinanza, esser conosciuto da le genti; e questo è solamente per mio danno,
ché sono piú beffato e schernito, e sono quasi com'una favola tra loro, laonde si
raddóppiaro in molti modi le mie pene. Per le qua' cose ch'io t'ho dette di sopra, sono
sí malamente sbigottito e ismagato che non mi giova di manicare né di bere né di
dormire né di posare; ma penso e piango e lamentomi die e notte, ed èmmi in noia la
vita, e prego la Morte che vegna tostamente, che mi tragga di questi gravi tormenti; ed
ella è sí dura e crudele che non mi degna d'udire, anzi si fugge e dilunga da me, e pare
che m'alunghi la vita. E dommene gran maraviglia, perché, essendo in qua dietro in buono
stato, poco meno che in una trista ora la vita mia non terminò.
CAPITOLO V
Risponsione alla prima cagione,
che fu per la perdita de' beni della Ventura.
Dacché
puosi fine alle mie parole, e per lo mio detto la Filosofia ebbe conosciuta la cagione del
mio male, cominciò in cotal modo a parlare: - Veggio oggimai e conosco la cagione della
tua malatia, e so certamente per lo tuo detto che se' infermato per due cose: l'una, per
la perdita de' beni della Ventura e della gloria del mondo; l'altra, per la perdita di
certi beni che la Natura t'avea dato. Ond'è tempo e stagione di trovare medicine a le tue
malatie, e in prima a quella onde se' infermato per la perdita de' beni de la Ventura e de
la gloria del mondo; appresso a quella onde se' infermato per la perdita de' beni che la
Natura t'avea dato. E a ciò ch'io ti possa ben medicare de la malatia onde se' aggravato
per la perdita de' beni della Ventura e della gloria del mondo, vo' che mi dichi qual fue
la cagione per che Dio fece l'uomo e la femina, e a che fine volle che l'uno e l'altro
venisse -. E io dissi: - Hoe inteso da' savi che l'uomo e la femina fur fatti da Dio
perché riempiessero le sediora vòte delli angeli che caddero di cielo; e 'l loro verace
fine è de andare in paradiso in quelle luogora santissime, acciò che si facciano
gloriosi e beati e partefici colli buoni angeli della gloria di Dio -. Ed ella disse: -
Cosí è come tu hai contato; e cotesta è la cagione per che Dio fece l'uomo e la femina,
perché venissero a quel fine glorioso.
E poi disse: - Se tu sai il fine tuo e la cagione per che da Dio fosti fatto, dommi gran
maraviglia che ti turbi e infermi come m'hai detto di sopra perché abbi perduto le
ricchezze e la gloria del mondo e' beni della Ventura. Or non vedi tu che son tutte le
dette cose contrarie, e impedimento molto grande di venire al detto fine? Se ben ti
ricorda del Vangelio, che dice: "Cosí puote intrare lo ricco nel regno di Cielo,
come lo cammello per la cruna dell'ago"; e però intrare non vi puote, perché le
ricchezze son l'erbe, secondo che dice il Vangelio, ch'affogano lo seme che cade nella
buona terra. Dio aiuta! quant'uomini son già stati nel mondo che volentieri e con
grandissimo desiderio hanno udita e ricolta la parola di Dio nel cuore e nella mente loro!
Ma quello buono pensamento è stato affogato solo perché hanno avuto ricchezze, e quelle
sole sono state la cagione per che hanno perduto paradiso, e di venire a quel fine
glorioso e beato per che fu fatta la femina e l'uomo. Vuo' tu vedere come le ricchezze e
la gloria del mondo dilungano l'uomo dal servigio di Dio? Or ti ricordi come Dio disse nel
Vangelio: "Neuno può servire Dio e Mamone ", cioè quello demonio ch'aministra
le ricchezze e la gloria del mondo.
- Questi due signori voglion esser diversamente serviti: perché Mamone vuol esser
dall'uomo servito di due cose, cioè di cupidità e d'avarizia. Di cupidità vuol esser
servito, perché vuole che l'uomo sia cúpido di guadagnare, acciò che rauni molte
ricchezze; d'avarizia vuol esser servito, acciò che le ricchezze guadagnate strettamente
conservi e ritenga. E la cupidità del guadagnare vuole che sia tanta, che per guadagnare
ricchezze e ragunare avere ne offenda Dio, ne offenda il prosimo, ne offenda la sua
conscienza, ne offenda la sua fama, e non si curi perché sia mal detto di lui; e però
vuol che ne faccia micidî e tradimenti e forze e ingiurie e furti e rapine e frodi e
inganni, e faccia ogni sozzo peccato per moneta. E la sua avarizia vuol che sia tanta, che
per ritenere e conservare quello che nel detto modo ha guadagnato, il prossimo non
sovegna, come Dio comandò là ove dice: "Inchina al prossimo sanza tristizia
l'orecchie tue e rédili il debito suo", l'amico non aiuti, come naturalmente è
tenuto di fare, onde dice Seneca: "Aiuta e consiglia l'amico tuo in su' bisogni,
acciò che 'l possi ritenere e vogliati bene, perché sanza amici non s'ha mai vita
gioconda; e come del campo sanza siepe son tolte e portate le cose, cosí sanza li amici
si perdono le ricchezze"; né di se medesimo non li ricordi di farsene bene; e però
dice Salamone: "L'uomo cúpido e tenace è una sustanzia sanza ragione: che, dacché
non è buono a sé, non sarà mai buono a neuno: però si perderà colle sue
ricchezze". E vuole che colui ch'è guadagnatore tutto 'l tempo della vita sua dalle
ricchezze non adomandi guiderdone; il quale, come dice un savio: "Le ricchezze
ispendendole, non raunandole, beneficaro altrui ". E dopo la morte di costui vuol
Mammone che 'l figliuolo o l'erede manuchi e bea e vesta e calzi ismisuratamente, cioè
oltre a quello che dovrebbe far di ragione, e compia tutti i desiderî della carne, e
abbia molta famiglia e be' cavagli e gran magioni e ricche possessioni, e faccia di sé
gran falò e vista alle genti, e mostri la gloria del mondo, acciò che per lo fatto di
costui ne possa molti ingannare a cui dica di far lo simigliante.
- Ma Dio onnipotente vuol esser servito dall'uomo tutto di diversi riggimenti da quelli,
perché vuole che l'uomo, nel suo guadagnare, non l'offenda, ma servi le sue comandamenta,
e la sua conscienzia non danni; e però disse santo Paolo: "Questa è la nostra
allegrezza nel mondo, che la conscienza nostra nell'opere nostre buona testimonianza ci
porti", e la fama sua guardi e salvi sopra l'altre cose del mondo; onde dice
Salamone: "Quel guadagno onde l'uomo è male infamato, si dee veracemente perdita
appellare".
- Se' tu forse di sí vano pensamento che credi che l'uomo possa avere i beni di questo
mondo e dell'altro? Certo non può essere; e questo mostra santo Bernardo, che dice:
"Neuno puote avere i beni di questo mondo e dell'altro; e certo non puote essere che
qui il ventre, e colà la mente possa empiere, e che di ricchezze a ricchezze passi, e in
cielo e in terra sia glorioso". Anzi, chi al mondo piace, a Dio piacer non puote; ma
quanto piú è vile al mondo, cotanto è piú prezioso e grande appo Dio; e però santo
Iacopo, favellando di sé e degli altri Apostoli, disse: "Domenedio fece noi apostoli
vilissimi, e al parere de le genti vie piú sottani che li altri, e uomini quasi pur della
morte, e com'una spazzatura del mondo". Onde, se tu hai perdute le ricchezze e la
gloria del mondo, non te ne dovresti crucciare, ma esserne allegro, pensando che se'
meglio acconcio di venire a quel fine glorioso per che fosti fatto da Dio. E però disse
Cato: "Dispregia le ricchezze, e stiati a mente di rallegrarti del poco, perché la
nave è vie piú sicura nel picciol fiume che nel gran mare ". E altrove dice:
"Se nell'animo tuo vuoli esser beato, dispregia le ricchezze ", però che neuno
uomo giusto né santo le disiderò anche d'avere.
CAPITOLO VI
Responsione alla seconda cagione,
che fu per la perdita de' beni della Natura.
-
Ramaricastiti ancora, e dicesti che se' infermato e aggravato fortemente, perc'hai perduti
certi beni che la Natura t'avea dati, laonde ti sono abbondate molte tribulazioni che non
se' usato d'avere, e se' caduto in molte miserie. E acciò che a questa gran malatia
possiam trovar medicina, fa bisogno che mi dichi s'ha' inteso come Dio formò Adamo ed Eva
nel paradiso, e come peccaro contra lui, e come fur cacciati di quel luogo, e posti in su
la terra in questo mondo -. E io dissi: - Ben so tutta cotesta materia, e holla già molte
volte letta nella Bibbia -. E quando èi cosí risposto, disse: - E sai tu che parole ebbe
tra Dio e Adamo ed Eva, quando li ebbe posti in su la terra, e di
che
maladizione li maladisse, quando da loro si partio? - E io dissi: - Ben lo soglio sapere,
e hol già letto ne la Bibbia; ma èmmi uscito di mente per molte altre vicende che mi
stringon nel mondo -. Ed ella disse: - Credo bene che l'abbi dimenticato, perché se
l'avessi a mente tenuto, nel mal che tu hai non t'avrebbe lasciato cadere. Ma
ramenterolti, con cotali patti tra noi, che 'l ti tenghi mai sempre sí a memoria, che mai
non t'esca di mente, acciò che non possi piú in quella malatia ricadere.
E po' disse:
- Poscia che Dio ebbe Adamo ed Eva, per lo peccato ch'aveano fatto, tratti di paradiso e
posti in su la terra in miluogo del mondo, cioè in quel luogo dove la città di Ierusalem
è fondata, sí chiamò Dio Adamo ed Eva, e disse: "Adamo ed Eva, mal faceste, che
trapassaste le mie comandamenta, tanto v'avea buon luogo assegnato e dato a godere cotanto
bene. Ma perché nol faceste per vostro movimento ma dal serpente inimico nostro foste
tentati, non vi voglio eternalmente dannare, come feci colui che vi tentò: il quale per
suo propio movimento insuperbio, vogliendo porre la sua sedia allato a la mia. Ma questo
vi faccio per lo vostro peccato: che stiate oggimai in su la terra a termine chente sarà
la mia volontade; e li desideri de la carne, i quali non poteano in voi luogo avere, vi
debbiano mai sempre segnoreggiare, e patiate oggimai fame e sete e freddo e caldo, e
quattro durissime e asprissime cose, cioè dolori e fatiche e paura e morte. Dolori di
molte generazioni di pene, le quali sono apparecchiate per voi tormentare; fatiche di
diverse maniere, perché vo' che del sudore del volto vostro vi sia dato il pane vostro, e
per via di fatica vo' che abbiate tutte l'altre cose che bisogno vi fanno a la vita; paura
vo' ch'abbiate di molte terribili e spaventose cose che sentirete e vedrete stando nel
mondo; e da sezzo vo' che vi segnoreggi la Morte, la quale non potea avere luogo in voi; e
morti non sareste, se contra me non aveste peccato.
- " E
se sentirete le dette pene stando nel mondo, non vo' che ve ne crucciate né vi lamentiate
di me, ma con molta pazien zia le portiate in pace per mio amore. E io vi dico e prometto
che se queste pene e fatiche in pace porterete, e non vi lamenterete di me, che dopo la
vostra morte io vi darò luogo che sarà vie migliore che quello ch'avete perduto: perché
avete perduto lo paradiso diliziaro il quale è in su la terra; ma io vi renderò il
paradiso celestiale, là ove sono li angeli miei, e metterovvi nelle sante sediora di
quelli angeli che caddero di cielo, acciò che voi siate partefici co li buoni angeli
della gloria e de la beatitudine mia. Ma se in pace no le porterete per mio amore, ma
crucceretevi e dorretevi e lamenteretevi di me, infin a ora vi dico ch'e' vi converrà al
postutto patire, e non ne sarete da me meritati. E avegna che questo luogo del mondo sia
molto tormentoso e rio, e sie valle di lagrime appellato, perché dato è all'uomo acciò
che possa qui piangere e purgarsi de le sue peccata, io vi dico che dopo la vostra morte
io il vi darò vie peggiore, perché vi metterò in podestà del Nimico, il qual vi
metterà nello inferno e vi tormenterà mai sempre di molte pene eternali ".
CAPITOLO VII
Della detta materia.
Aperto
e mostrato la Filosofia come Dio onnipotente si partio da Adamo e da Eva quando gli ebbe
tratti di paradiso e posti in su la terra nel mondo, e le maledizioni che diede loro nel
suo partimento, disse: - Credi tu forse che le dette maledizioni toccassero solamente
Adamo ed Eva per lo peccato ch'avieno fatto? Non vo' che sia di tua credenza; anzi toccaro
bene i loro discendenti; e però si dice nella Bibbia: "I padri nostri manicaro l'uve
acerbe, e' denti de' figliuoli ne sono allegati". E veggendo Dio che per le dette
cose si ricomperava il peccato, e andavane l'uomo in paradiso se pazientemente le
sostenesse; e vogliendo che l'uomo in pace le portasse, acciò che venisse al detto
benificio, de la sua persona medesima ne diede esemplo, che, faccendosi omo e vegnendo nel
mondo, tutte le dette pene ne la sua persona in pace sofferse; e però dice l'Apostolo:
"Con ciò sia cosa che Cristo abbia portata e sofferta molta pena ne la sua carne, e
voi v'apparecchiate di simigliante pensiere". Chi fu anche verage figliuolo di Dio,
che per questa via non passasse? Pensa d'Abel, che fu il primaio giusto del mondo, come
fue morto da Caino suo fratello. Pensa de' profeti e delli apostoli e de' martiri, come
furono straziati e tormentati. Vedi santo Paulo, che fue cosí amato da Dio; di se
medesimo favellando disse: "Chi è quelli ch'abbia in questo mondo sofferte pene e
tribulazioni, e io no?"; e quando ha contate molte tribulazioni e angosce ch'avea
sofferte in questo mondo, in terra e in acqua, sí torna alle pene della sua carne e dice:
"Dato è a me lo stimolo de la carne mia, l'angelo Satanasso che mi offenda. Però
adorai tre volte a Dio che lo sceverasse da me, per li gravi tormenti che sentia; e Dio mi
disse: Basti a te, Paulo, la grazia mia". Or non ti ricorda de l'Apostolo, che dice:
"Color che pietosamente voglior vivere in Cristo, bisogno fa che siano perseguitati e
molestati"?
- Se questa
è dunque la via di buoni, non vuole esser buono chi de le tribulazioni del mondo non vuol
sentire. Perché secondo che si dilunga da la bontà e dal ben fare colui che disdegna i
gastigamenti che fatti li sono, e hae in odio colui che 'l gastiga, cosí non puote esser
buono chi le tribulazioni del mondo e i pericoli non soffera in pace, ma se ne cruccia e
lamenta contra Dio: perché le tribulazioni e l'angosce del mondo sono i gastigamenti di
Dio, e allora dé pensar l'uomo che Dio l'ami, quando di tribulazioni da lui è visitato e
tormentato. E però disse san Paolo: "Figliuol mio, non avere in negligenzia la
disciplina e i gastigamenti di Dio, imperò che cui egli riceve per figliuolo, sí 'l
gastiga, e gastigando sí 'l fiagella e, tormenta" e poi conchiude e dice: " Se
tu se' fuori de' suoi gastigamenti, di quali sono partefici tutti i figliuoli, dunque non
se' tu legittimo figliuol di Dio, ma bastardo". Chi vuol dunque esser verace figliuol
di Dio, porti in pace le pene e le tribulazioni del mondo, i quali sono i suoi
gastigamenti, e laonde coloro cui egli riceve per figliuoli sono gastigati: pensando che
se sarà compagno di Dio nelle passioni, sarà suo compagno nelle consolazioni.
CAPITOLO VIII
Il lamento della Filosofia.
Poscia
che la Filosofia ebbe parlato come di sopra avete inteso, cominciò a sospirare fortemente
e turbarsi nel volto; e con una boce molto adirata disse:
- O umana generazione, quanto se' piena
di vanagloria, c'hai gli occhi de la mente e non vedi! Tu ti rallegri delle ricchezze e
della gloria del mondo, e di compiere i desideri della carne, che possono bastare quasi
per un momento di tempo, perché poco basta la vita dell'uomo; e queste sono veragemente
la tua morte, perché meritano nell'altro mondo molte pene eternali; e della povertà e de
le tribulazioni del mondo ti turbi e lamenti, che poco tempo posson durare; e queste sono
veracemente la tua vita, perché, se si portano in pace, meritano nell'altro mondo molta
gloria perpetuale.
- E perché poca gloria nel mondo merita nell'altro molta pena, e poca pena nel mondo, in
pace sofferta, merita nell'altro molta gloria, disse un savio: " Quel che ne diletta
nel mondo è cosa di momento, e quel che ne tormenta nell'altro durerà mai sempre".
E l'Apostolo disse: "Non son degne né da aguagliare le passioni di questo tempo alla
gloria di vita eternale, la qual sarà aperta e data a noi". Che aguaglio può esser
da la cosa finita a quella che non ha fine, da la cosa piccola alla grande, da la cosa
temporale a la eternale? E però disse san Paulo: "Il Signore di tutta la grazia n'ha
chiamati ne la sua gloria eternale, per sofferendo nel nome di Cristo poca cosa". E
Salamone dice: "Di poca cosa tormentati, in molte cose sarem ben disposti".
CAPITOLO IX
Opposizioni al detto della Filosofia.
Parlato
la Filosofia cosí profondamente sopra la materia del mio rammaricamento, e mostratomi per
cotante vive ragioni come era matta e vana cosa il mio lamentare, e la cagione della mia
malatia, sí mi sforzai di difendere il mio errore, se per alcuna via o modo potesse.
Però dissi: - Se cotesta è la via
d'acquistar paradiso e di ricoverare la perdita che facemmo per lo primo peccato d'Adamo e
d'Eva, e di venire a quel fine beato per che fuor fatti l'uomo e la femina, bene fece
dunque Dio se, favellando alli apostoli suoi, disse: "Lasciate i parvuli venire a me,
perché di costoro è lo regno di Cielo", perché veracemente è de' parvoli
solamente, e non d'altra persona che viva con alcuno conoscimento delle cose del mondo.
Cui mi saprestú contare con alcuno conoscimento, che fosse di tanta fermezza, che per
amore d'aver paradiso, cioè cosa che non vede né palpa, ma solamente l'ode a parole,
disideri di vivere in povertade, e abbia in dispregio e in disdegno i beni della ventura e
la gloria del mondo; e se di doglie o di tribulazioni è gravato, le porti in tanta
pazienzia, che contra Dio non se ne crucci e doglia fortemente? Certo non me ne sapresti
alcuno nominare. Potrebbe forse essere delli apostoli, che fur pieni dello Spirito Santo
in tal modo che poscia non pottero peccare, ché furo di cotesta maniera; ma non d'altra
persona che de lo Spirito Santo e della grazia di Dio cosí fornito non fosse. Anzi sai tu
che dicono i savi? ch'ogni creatura è sottoposta e data alla vanità del mondo, e quanto
può istudia di compiere i diletti della carne. Per la qual cosa il detto tuo pare che sia
nulla a volere confortare l'uomo per le parole c'ha' dette, che de le cose del mondo abbia
alcuno conoscimento.
CAPITOLO X
Risponsioni a le dette opposizioni.
A
queste parole rispuose la Filosofia, e disse: - Intendi, figliuole, il detto mio, e pon
ben fede a le mie parole, e guarda che non t'inganni il desiderio della gloria del mondo.
Il regno di Cielo è la maggior cosa che l'uomo e la femina possa avere, perch'è 'l fine
loro, e la cagione per che fuor fatti da Dio, e lo loro luogo naturale e stanziale, e il
loro paese; e però Cristo n'amonisce nel Vangelio, e dice: "Imprima e sopra tutte le
cose chiedete il regno di Cielo, e poscia tutti li altri beni vi saranno dati". E
anche ne l'orazione del paternostro la prima chiesta che Dio insegna fare all'uomo
si è questa: "Vegna l'anima mia allo regno tuo"; e questo regno di Cielo ch'è
cosí grandissima cosa, Idio onnipotente nol dà all'uomo, ma ciascun per li suoi meriti
propri l'acquista e vince per forza; e però dice il Vangelio: "E regno di Cielo
patisce forza, e que' l'acquistan che voglion pugnare". E questa vuol esser gran
pugna, perch'è posto molto ad alti, e vavisi per una via molto stretta, e per una piccola
porta vi s'entra; e però dice il Vangelio: "Stretta è la via, e picciola è la
porta che ne mena alla vita, e pochi son che vadaro per quella; e ampia è la via e larga
la porta che ne mena alla morte, e molti sono che per quella vanno". E avegna che
voglia gran forza e richieggia gran pugna, non si dé l'uomo anighiettire, ma francamente
pugnare, perché dice il Savio: "Sanza grave fatica le gran cose non si possono
avere".
- Or pensa e
considera bene le vilissime cose del mondo che appo li uomini mondani sono alcuna cosa
tenute, sí come scienzia e signorie e onori e ricchezze e gran nominanza e fama tra le
genti, con quanta forza e fatica nel mondo s'hanno; tanto maggiormente il regno di Cielo
vuole fatica e forza grandissima, il qual è sommo e perpetual bene all'uomo, e compimento
ma' sempre di tutti suoi desideri. Sola una cosa dé muovere l'uomo a fare volentieri
questa pugna, perché chi pugnare vuole è certo di conquistare questo regno. Ma la gloria
del mondo è sí vana e fallace, che non si può avere a posta dell'uomo; anzi molte
volte, quando ha molto pugnato e credela abracciare e pigliare e tenere, si parte e fugge
da lui, e lascia e abandona l'uomo molto dolente.
- Dio aiuta!
quanti uomini sono già stati c'hanno voluto abracciare e pigliare questa gloria del
mondo, e hannovi messo tutto loro ingegno e forza, e sonsi morti, e non hanno potuto avere
niente! E altri sono stati che l'hanno abracciata e pigliata con molta fatica e angoscia,
e per neuno ingegno e senno l'hanno potuta tenere; ma tostamente s'è fuggita e partita da
loro, e halli lasciati molto dolenti.
- La qual
cosa non può intervenire del regno di Cielo; anzi è cosa stabile e ferma, e non si parte
giamai la gloria sua, da ch'è conquistata; e a posta dell'uomo si conquista e si vince,
purché 'n questo mondo voglia pugnare. E avegna che sian pochi, che per questa stretta
via che mena l'uomo a·regno di Cielo vogliano andare e che vogliano fare quella durissima
e asprissima pugna, sappi che non sono pur li pargoli, come tu dicesti di sopra, ma sono
molti altri c'hanno buono e perfetto conoscimento delle cose del mondo; ma nel Vangelio
sono appellati pochi, perché pochi sono a rispetto degli altri che per la larga via e
ampia porta che ne mena alla morte vogliano andare.
CAPITOLO XI
Del convertimento per le dette risponsioni,
e inviamento per andare alle Virtudi, onde s'acquista paradiso.
-
Maestra delle Virtudi, molto m'hai consolato delle mie tribulazioni, e hammi inolto
migliorato e rallevato de la mia malatia, in ciò che m'hai apertamente mostrato che le
tribulazioni e l'angosce del mondo sono i gastigamenti di Dio, e coloro ha per veragi
figliuoli, cu' elli visita di cotale gastigamento; e ha'mi mostrato come la povertà è la
diritta via laonde piú sicuramente si può andare allo regno di Cielo. Anche m'hai detto
che lo regno di Cielo è la maggiore e la miglior cosa che l'uomo e la femina possa avere;
e hailmi mostrato e provato per molte belle e aperte ragioni: per la qual cosa m'è venuto
in talento questo regno di paradiso beato voler conquistare.
- Ma d'una cosa mi spavento, che m'hai
detto di sopra che non si può avere se non s'acquista e vince per forza; e io mi sento
sí poca balía, che non posso vedere com'io potesse fare questa pugna, sicché a buon
capo ne venisse. Però ti priego che in su questi fatti mi debbi consigliare, sicché di
cotanto bene non potesse esser perdente: perché se 'l perdesse a mia pecca o per
providemento che far si potesse, io ne sarei mai sempre dolente, e non me ne potrei
consolare.
A queste
parole la Filosofia levò alte le mani, e rizzò li occhi al cielo, e umilmente adorò, e
disse: - Benedetto sia Gesú Cristo, che t'ha recato a buon pensamento, e a quello c'hanno
li òmini savi, che non istanno pur col capo chinato a guardare le scure cose de la terra,
come hai fatto tu per li tempi passati; ma rizzano il capo e guardano il cielo e le
dilettevole cose della luce: però sempre stanno coll'animo allegro, e per neuna
tribulazione del mondo si posson turbare; e però dice un savio: "Con ciò sia cosa
che tutti li altri animali guardin la terra, solo all'uomo è dato a guardare lo cielo e
le dilettevoli cose della luce".
- Onde, da
che m'hai chesto consiglio in ciò, che di' che vuoli lo regno di paradiso conquistare, e
io ti consiglierò volontieri; e solo per confirmarti in su questa volontà ti sono venuta
a visitare. E daroloti tale, se credermi vorrai, che tosto verrai a capo del tuo
intendimento.
E poi disse:
- Il regno di Cielo è molto forte a conquistare, perché è posto molto ad alti, e vavisi
per una stretta via, e per una piccola porta vi s'entra, secondo che t'ho detto di sopra.
E ha ne la detta via molti nimici, i quali die e notte assaliscono altrui, e non dormono
niente, e se truovano alcuno in questa via che ben guernito e armato non sia e
acompagnato, sí il fanno sozzamente a dietro tornare. E però fa bisogno a coloro che vi
vanno che sian forniti di fedeli amici; e in altra guisa sarebber malamente traditi e
ingannati.
E io dissi:
- Mal son fornito di cotali amici, anzi li ho tali che m'àmaro solamente a la loro
utilità -. Ed ella disse: - E io li t'insegnerò tali acquistare che t'ameranno e
serviranno solamente a la tua utilità, e ti guarderanno e salveranno da' detti nimici, e
tosto ti daranno la vittoria del regno -. E io dissi: - Chi son coloro cui io mi potesse
fare ad amici, onde ricevesse cotanto benificio? - Ed ella disse: - Sono la bella
compagnia delle Virtudi. - E chi so queste Virtudi? - Ed ella disse: - I cortesi costumi e
li belli e piacevoli riggimenti. - E ove stanno? Ed ella disse: - Nel nobile castello de
la mente. - E ov'è questo castello? - Ed ella disse: - Dentro a la chiusura del cervello,
là ove si raccolgono i sensi e' sentimenti del corpo. E in quello luogo hanno una magione
molto forte, tutta di fortissimo osso murata; ed è in tre parti divisa: nella primaia,
ch'è nella fronte dinanzi, si imaginano e si veggono tutte le cose; ne la seconda
seguente tutte le cose vedute e imaginate si conoscono e sentenziano e giudicano; nella
terza tutte le cose sentenziate e giudicate si scrivono e fassene memoria, acciò che non
escano di mente. A la qual magione càpitano tutte le genti c'hanno alcun perfetto
conoscimento, ma pochi n'albergano co le dette Virtudi: non che per lor volontà non
albergassero assai - e sarebbero ben ricevuti, chi vi volesse albergare, e onorati e
serviti -; ma sono fuggite e schifate dalle genti del mondo, perché vivono sotto grande
ubidenza.
- E chi è
segnore di queste Virtudi? - Ed ella disse: - Non hanno segnoria d'alcuna persona, ma so'
in questo mondo libere e franche; e però disse un savio: "Sole le Virtú sono libere
nel mondo; e tutte l'altre cose sono sottoposte a la Ventura ". Ma fanno di loro
gente un capitano c'ha nome Umilità, quando in servigio d'alcun loro amico vanno a
conquistare questo regno; e mettonlo innanzi a tutte le cose, perch'egli è capo e
fondamento di tutti coloro che vogliono intendere al servigio di Dio; e però disse santo
Bernardo: "Per l'umilità sarai alla grandezza, e questa è la via, e altra non si
truova che questa; e chi per altra via sale, cade poscia ch'è montato".
E io dissi:
- Prègoti che m'insegni andare a queste Virtú, e che m'acompagni co·lloro, perché vo'
doventare loro fedele, e giurare le loro comandamenta, acciò che questo regno di paradiso
beato m'aiutino conquistare. Ed ella disse: - Figliuol mio, non fa bisogno ch'io t'insegni
andare alle Virtudi, né ch'io t'aconti' co·lloro: per che se andare vi vuoli, ritorna
alla tua conscienza ed entra per la via de' buoni costumi e savi e cortesi riggimenti; e
quella strada, se tu non ti torci, ti conducerà allo loro albergo, e ivi ti potrai
co·lloro acontare, e richiederle de' tuoi bisogni. Elle sono tanto cortesi che t'udiranno
volentieri; e se parrai loro persona con bei riggimenti, ti riceveranno e faranti onore e
acompagnerannosi teco; e da te non si partiranno giamai, se da te non viene il partimento,
infino che non t'hanno data la vittoria del regno che tu hai detto di voler conquistare.
CAPITOLO XII
Amonimenti della Filosofia.
Poscia che la Filosofia m'ebbe insegnata la via onde si poteva andare alle Virtudi, e insegnata la casa dove mi potea co·lloro acontare, disse: - Figliuol mio, io ti vo' dire alcuna cosa di riggimenti di queste Virtudi, acciò che, se pigliassi loro amistade, de' lor fatti non ti trovassi ingannato. Egli è ben vero che 'l regno di Cielo sanza queste Virtudi non si può conquistare, ed elle hanno sí l'ingegni alle mani, che non si può difendere da loro. Ma se pigliassi loro amistà per cagione di conquistare questo regno, converrebbeti aver puro e fermo proponimento di menarle solamente per questo regno conquistare e avere, ché per altra cagione non ti farebbero compagnia né vorrebbero tua amistade. E se le movessi da casa dandone questa cagione, ed elle si potessero acorgere in niuno modo che le menassi per compiere altri tuoi intendimenti - come hanno già fatto molti altri che sotto loro cagione hanno commesso molto male - elle si recherebbero questi fatti fortemente a gravezza, e sceverrebbersi da te, e partirebberti da' buoni; e quando fossero sceverate ti infamerebbero, e farebberti gran vitiperio, e non avresti mai onore. E anche se intervenisse che le movessi da casa per questo regno conquistare, e quando fossi nella via, sí come vile e codardo, l'abandonassi per paura ch'avessi di molti nimici che si veggono d'intorno, o l'abandonassi per alcuna promessione delle cose del mondo che da que' nimici fatta ti fosse, abbandonerebberti incontanente e partirebberti di tra' buoni, e rimarresti vituperato. E se ti pentessi per alcun tempo, e tornassi a loro con buono intendimento per cagione d'aver paradiso, avegna che sien tanto cortesi che il loro aiuto non ti negassero' al postutto, molto si farebbero pregare anzi che palesemente t'acompagnassero o di servire ti promettessero. A questo considerando, un savio disse: "Chi d'infamia d'alcuna macula si sozza, molta acqua vi vuole a potersi lavare". Però ti ricordo e dico che se in alcuna de le dette tre cose credessi cadere, non t'acompagni co·lloro, perché non te ne potrebbe altro che male incontrare; e del tuo buono incominciamento non nascerebbe altro che mala fine.
CAPITOLO XIII
La promessione della Filosofia di menare il fattore
dell'opera alle Virtudi.
Dacch'ebbe
la Filosofia posto fine al suo consiglio e alle parole de' suoi amonimenti, dissi: -
Dimmi, maestra delle Virtude, qual è la via de' buoni costumi e de' cortesi e savi
riggimenti, per la quale si può andare alle Virtudi?
Ed ella disse: - Figliuole, come ti mostri semplice ne li tuoi adimandamenti! Chi è colui
che voglia ricorrere a la sua conscienzia, che cotesta via non sappia tenere?
E io dissi: - Non te ne dare maraviglia
perché te n'abbia domandato: ché m'hai detto di sopra che cotesta è una strettissima
via, e vannovi poche persone, e truovasi in cotesto viaggio larghissime strade onde vanno
molte genti; però potrei errare sozzamente, e tornare adietro mi sarebbe gravoso. Però
ti priego che vegni meco, e faccimi il tuo servigio a compimento.
Ed ella disse: - Molto volentieri, da che
me ne prieghi, avegna che 'l mio venire non faccia bisogno.
CAPITOLO XIV
Dello 'ncominciamento del viaggio per andare a le Virtú.
Poscia
che la Filosofia m'ebbe promesso d'acompagnare in questo viaggio, il giorno che ponemmo
insieme movemmo, e cavalcammo tanto che fummo a un prato là dove avea una bellissima
fonte ad una ombra d'un pino.
Allora disse la Filosofia: - Riposianci a
questa fonte una pezza, che ti vo' favellare -. E ismontati e assettati a sedere, disse: -
Qui presso ha una Virtù che s'apella Fede Cristiana, la quale è capo e fondamento di
tutte l'altre Virtú a coloro che vogliono intendere al servizio di Dio. Imperò che colui
che il regno di Cielo vuol conquistare, convien due cose in sé avere, cioè fede buona e
opere perfette; e fede sanza opera, overo opera sanza fede, è neente a potere avere
paradiso. E però dice la Scrittura: "Fede sanz'opera, overo opera sanza fede, è
cosa perduta". E questa sola virtù dà all'uomo la Fede Cristiana, e tutte l'altre
Virtú intendono solamente a fare buone l'opere dell'uomo. E però è questa capo
dell'altre e verace fondamento, perché non è d'avere alcuna buona speranza dell'uomo
c'ha in sé buon'opere sanza fede; ma chi ha solamente buona fede, poscia che l'opere non
vi siano, può stare a grande speranza nella misericordia di Dio, e in una ora, per uno
buono pentimento, può paradiso acquistare; e però disse uno savio: "Io voglio che
mi vegnaro anzi meno l'opere che la fede". Onde se paradiso vuoli avere, di questa
Virtú ti converrà diventare verace fedele, e ubidire e oservare tutte le sue
comandamenta. Ma solo d'una cosa mi spavento, che, anzi che riceva promessione o fedeltà
da neuno, ne fa gran cercamento e diligente inquisizione, s'è bene d'ogni cosa in
concordia co·llei: perché se 'l trovasse pur d' una vile cosa discordante, nol
riceverebbe per fedele, né il prometterebbe d'atare; e per questa via n'ha già molti
schifati e fuggiti. E però ti vo' qui ammaestrare di tutte le cose onde da lei sarai
dimandato, acciò che sappi rispondere perfettamente.
E quando
m'ebbe cosí detto, tutte per ordine le m'insegnò, e disse e ridisse molte volte, perché
non mi uscisser di mente, ma perfettamente le sapesse.
CAPITOLO XV
De l'albergheria de la Fede Cristiana.
Ammaestrato
finemente dalla Filosofia di tutti li articuli de la fede, laonde sapea che sarei
domandato, montammo a cavallo per compiere nostra giornata, e cavalcammo tanto ch'a ora di
vespero fummo giunti a l'albergo della Fede. E questo era un palagio molto grande, le cui
mura eran tutte di diamante, lavorate sottilmente ad oro e con buone pietre preziose; e
ivi smontammo, e cominciammo il palagio a guardare.
E quando avemmo assai veduto, disse la
Filosofia: - Che ti pare di questa magione? - E io dissi: - Questa è tanto maravigliosa e
bella, che mi pare una de le magioni di paradiso, c'ho già udito a' frati molte volte
predicare -. Ed ella disse: - Questo
è il tempio che ad onore di Dio edificò Salamone; e avegna che non sia cosí bello come
sono le magioni di paradiso, vo' che sappi che questa è fatta a similitudine di quelle.
E quand'ebbe cosí detto, entrammo là
entro e montammo ne la sala là ov'era la Fede, che sedea in su una sedia molto
maravigliosa e grande; e intorno di sé avea molta gente, cu' ella insegnava e
ammaestrava; ed era vestita d'un umile vestimento, e stava tutta cotale accercinata.
E quando la Filosofia fue tanto presso a
la Fede che la potea vedere, incontanente dalla lunga la conobbe, e rizzossi in piede e
scese della sedia e vennele incontra. E quando le fu presso, si inginocchiò per baciarle
il piede; e la Filosofia nol sofferse, ma pigliolla per la mano e rizzolla; e quando fue
ritta in piede l'abbracciò, e cominciaro per gran letizia a lagrimare. E quando poteron
riavere lo spirito, sí si salutaro; e dipo 'l saluto disse la Filosofia: - Figliuola mia,
Fede, come ti contien tu nel servigio e nella grazia di Dio? - Ed ella disse: - Assa'
bene, quando sono di te acompagnata, perché sanza la tua compagnia non si può Dio
conoscere né niuno bene adoperare -. Ed ella disse: - E a me il mio conoscimento poco
varrebbe, se non fosse la fede tua e le devote orazioni, che die e notte fai al Signore
per l'umana generazione.
E quando
ebbero cosí detto, s'asettaro a sedere e ragionaro di loro fatti comuni. E quando ebbero
assai ragionato, furono appellate che n'andassero a cena; e andarne, e cenaro a grand'agio
e con molta allegrezza. E avegna che fosse lieve la cena e di poche imbandigioni, ma del
rilievo si consolarono tanti poveri, che non avrei creduto che nel mondo n'avesse cotanti.
Edizione telematica a cura di: Giuseppe
Bonghi, 1999
Revisione, Edizione HTML e impaginazione a cura di: Giuseppe Bonghi, Aprile 1999
da: Bono
Giamboni, Il libro de' Vizî e
delle virtudi e il trattato di virtù e di vizi, a cura di
Cesare Segre, Giulio Einaudi editore, Torino 1968.
© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 12 maggio, 1999