Eugenio Montale
Voce giunta con le folaghe
a cura di
Giuseppe Bonghi
Questa poesia, scritta
ne 1947, fa parte della sezione Silvae della raccolta La
bufera e altro pubblicata nel 1956 presso l'editore Neri Pozza di Venezia e in
prima edizione con la Mondadori l'anno successivo. È ambientata a Monterosso delle Cinque
terre. Il poeta immagina di salire al cimitero di Monterosso, dove è sepolto il padre,
accompagnato da Clizia (Irma Brandais, conosciuta nel 1933, emigrata in America durante la
guerra per sfuggire alle retate antiebraiche nazifasciste ) rappresentata come un angelo
messaggero, la cui missione è quella di far compiere alle anime il definitivo balzo da
una condizione in cui ancora forti sono i legani memoriali con la vita terrena a una
condizione in cui diventano pure essenze, entelechie nelle quali non esiste l'abiezione
del ricordo.
L'idea della morte e dell'oltretomba,
della vita ultraterrena, che si pone in contrasto logico con la vita vissuta al di qua del
margine/muro, attraverso la figura dell'ombra che parla (l'angelo) e dell'ombra muta (il
padre) acquista una dimensione nuova e profonda che va al di là degli schemi dello spazio
e del tempo. La memoria che unisce vivi e morti porta ancora una volta verso la concezione
esistenzialistica del nulla come vuoto anteriore e successivo al breve periodo
dell'esistenza terrena che aspetta di essere riempito dalla nostra presenza sia
individuale che collettiva, nel senso di un'attesa reciproca: il vuoto attende noi per
riempirsi e noi attendiamo il vuoto, nel corso della nostra esistenza legata l tempo e
allo spazio, per riempirlo e per entrare nel mondo retto da quella Verità che vivendo al
di qua del muro non conosciamo.
Giovanni Macchia in un saggio pubblicato
sul Corriere della Sera del 24/1/1982 "Montale e la donna salvatrice" (la
seconda parte dal titolo "Quando Montale inventò una donna per salvare il
mondo" fu pubblicata il successivo 7 febbraio) scrive alcune cose molto importanti
proprio su questa poesia:
In quelle mie poche pagine (pubblicate sulla rivista L'Immagine, ndr) sulla "Voce giunta con le folaghe", sorretto da alcune dichiarazioni che il poeta aveva riasciato in una intervista immaginaria, un punto prendeva ancora più consistenza: un punto che aveva pur avuto forti annunci nella produzione poetica precedente; un sentimento di profonda religiosità. Non poteva parlarsi (come per un altro grande poeta operante in quegli anni e con cui è facile stabilire più d'una affinità: Eliot) di conversione. Ma quel sentimento era maturato e reso necessario da un dato di fatto: la condizione dell'umanità durante la guerra. La guerra non era lontana o imminente come al tempo delle "Occasioni". Era una realtà viva e lacerante. Era la "calanca vertiginosa" che inghiottiva le sue vittime. L'immobilità del poeta - figura simbolica della stessa condizione della poesia moderna - non era, come negli "Ossi di seppia", quella dell'"agave che s'abbarbica al crepaccio dello scoglio e sfugge al mare". Era l'immobilità di chi assiste ad uno spettacolo tremendo e attende di essere trascinato nell'abisso. Consolarsi nella registrazione delle dissonanze e dei lampi di quella tempesta pareva futile giuoco. Il poeta doveva cercare una ragione e un rifugio in quella lotta. Doveva crewdere in qualcosa di vivo. Ed ecco lo soccorre una figura di donna: un'immagine luminosa e dolente, che, sacrificandosi, arrechi conforto all'umanità immersa nella notte del mondo. Non è più l'amuleto, il fantasma, ma una figura umana. E' una donna con una sua connotazione precisa, in cui è racchiusa la destinazione stessa di quella poesia: l'attesa del miracolo.... Clizia, che era comparsa già nelle "Occasioni", quale espressione della "tipica situazione d'ogni poeta lirico che vive assediato dall'assenza-presenza di una donna lontana", diventa un vero e proprio personaggio che ha una sua storia... Riesce a parlare in prima persona. E il poeta la segue, tiene a farla vedere, a farla riconoscere...
Tutta la poesia di Montale è una "poesia con personaggi". Nati da un'idea della lirica non quale giuoco di suggestioni sonore, ma simile a un frutto che contenesse "i suoi motivi senza rivelarli", con un totale assorbimento delle intenzioni nei risultati raggiunti, l'identificazione di questi personaggi resta difficile. I loro volti, quasi tutti femminili, sono sfuggenti, eppur mossi dal desiderio di esistere in quanto personaggi: Arletta, Esterina la tuffatrice, la pianista (nella più gozzaniana delle sue liriche) e Gerti, E Dora Markus. Anche "La Bufera" contiene più d'un'immagine di donna: la malata della "Ballata", manichino di gesso dagli spessi occhiali di tartaruga, con le sue lenti di lagrime, e, affidata a un breve cielo, l'altra donna chiamata Volpe. Ma "La Bufera" è soprattutto il "romanzo di Clizia", il romanzo della "strana sorella".
... dal Corriere del 7 febbraio...
"Senza scialle e berretto" gli riappare il padre, fuor del buio senza quello scialle di lana che si buttava sulle spalle quand'era vivo, anche nel più caldo mese di agosto, finita la cena all'aperto, piena di falene e altri insetti: uno dei pochi che sentirono dapprima che "il fresco stava per giungere"...
... Date queste premesse, sarebbe arbitrario e fallace riconoscere in Clizia la donna che porta solo salute e credere che il poeta, in quel sentimento che lo spinge verso di lei, ritrovi la via della luce e della salvezza. Una così drammatica e oscura vicenda spirituale è legata ad una storia aggrovigliata, ad un materiale espressivo di cui è oltremodo difficile ricercare il bandolo. Certo nessunmisticismo placa Montale, nessuna pace, nessuna serenità. Egli è come diviso su due fronti. In uno è il quadro della tempesta, dall'altro non c'è ancora Dio e non c'è nessuna Beatrice, ma soltanto una donna sofferente e infelice il cui dstinoil poeta contempla con un trasporto violento e con raccapricco. Ella ha lasciato l'Oriente, e torna a noi - scrisse - come continuatrice e simbolo dell'eterno sacrificio cristiano. Paga lei per tutti. Come Cristo, dunqua. Ma quale Cristo? Quale idea di Cristo?
... Noi fummo e restiamo due, potrebbe ripetere Montale alla donna che si sacrifica per gli altri ma che non salva il poeta. Nessuna fiducia nel trascendente lo calma, ma un eterno dualismo, assai più drammatico di quel che animò la sua prima produzione, continua ad agitarlo...
nota: riprendiamo il testo da Eugenio Montale, Tutte le poesie, collana Lo specchio, ed. Mondadori, MI 1977
Poiché la via percorsa, se mi volgo, è più lunga
del sentiero da capre che mi porta
dove ci scioglieremo come cera,
ed i giunchi fioriti non leniscono il cuore
ma le vermene, il sangue dei cimiteri,
eccoti fuor dal buio
che ti teneva, padre, erto ai barbagli,
senza scialle e berretto, al sordo fremito
che annunciava nell'alba
chiatte di minatori dal gran carico
semisommerse, nere sull'onde alte.L'ombra che mi accompagna
alla tua tomba, vigile,
e posa sopra un'erma ed ha uno scarto
altero della fronte che le schiara
gli occhi ardenti e i duri sopraccigli
da un suo biocco infantile,
l'ombra non ha più peso della tua
da tanto seppellita, i primi raggi
del giorno la trafiggono, farfalle
vivaci l'attraversano, la sfiora
la sensitiva e non si rattrappisce.L'ombra fidata e il muto che risorge,
quella che scorporò l'interno fuoco
e colui che lunghi anni d'oltretempo
(anni per me pesante) disincarnano,
si scambiano parole che interito
sul margine io non odo: l'una forse
ritroverà la forma in cui bruciava
amor di Chi la mosse e non di sè,
ma l'altro sbigottisce e teme che
la larva di memoria in cui si scalda
ai suoi figli si spenga al nuovo balzo.- Ho pensato per te, ho ricordato
per tutti. Ancora questa rupe
tu tenta? Sì. la bàttima è la stessa
di sempre, il mare che ti univa ai miei
lidi da prima che io avessi l'ali,
non si dissolve. Io le rammento quelle
mie prode e pur son giunta con le fòlaghe
a distaccarti dalle tue. Memoria
non è peccato fin che giova. Dopo
è letargo di talpe, abiezioneche funghisce su sè... -
Il vento del giorno
confonde l'ombra viva e l'altra ancora
riluttante in un mezzo che respinge
le mie mani, e il respiro mi si rompe
nel punto dilatato, nella fossa
che circonda lo scatto del ricordo.
Così si svela prima di legarsi
a immagini, a parole, oscuro senso
reminiscente, il vuoto inabitato
che occupammo e che attende fin ch'è tempo
di colmarsi di noi, di ritrovarci...
analisi del testo
il tema centrale
La poesia ruota intorno al limite tra il mondo della vita terrena e il mondo dell'oltrelimite, nel quale dimenticare il passato, anche degli affetti più cari, perché creatore di dolori e angosce, di abiezione che si autoalimenta, e nel quale esistono le condizioni per superare le dolorose condizioni di questa vita con l'aiuto ci Colui che vive per sè e che infonde il fuoco dell'amore negli uomini. Il tema è collegabile a quello della poesia Noi non sappiamo, al contrasto di natura temporale fra il presente e un futuro sconosciuto, che non possiamo conoscere e nel quale inevitabilmente cadremo, e il passato che rischia di perdersi al momento del nuovo balzo verso la spiritualizzazione assoluta dello spirito con il distacco definitivo dal corpo duro e pesante.
la struttura
La poesia è composta di cinque strofe di 11 versi ciascuna, formate
prevalentemente di endecasillabi liberi (senza rima), corrispondenti a cinque momenti ben
definiti della poesia legati al tema centrale che possiamo definire come il contrasto fra
l'esistenza caratterizzata dalla memoria che sfocia in una condizione di attesa e il mondo
ultraterreno rappresentato dalla figura del padre al quale un'ombra dice qualcosa che
riguarda la sua stessa condizione di appartenente al mondo ultraterreno e che il poeta non
può capire perché interito, cioè ancora intero con il corpo e quindi non scorporato
dall'interna fiamma che sarà la sua essenza nel mondo ultraterreno.
La poesia vive sul contrasto tra il mondo
terreno, privo di quelle consolazioni che l'uomo cerca con tenacia, e il mondo
ultraterreno che non si conosce ma nel quale sicuramente il ricordo di questa vita ad un
certo punto deve essere cancellato insieme alla sensazione del tempo che caratterizza le
vicende umane e ai sentimenti che sono le scorie pesanti di questa vita e che dovranno
essere purificati dall'interna fiamma alimentata dall'amore di Colui che è principio di
tutte le cose.
piano denotativo generale
1a strofa - Se mi volgo indietro a guardare la via già percorsa (a pensare al passato, la vita vissuta occupa uno spazio di tempo maggiore di quello che mi resta da vivere e irto di difficoltà come un sentiero usato dalle capre, che porta alla morte, al punto in cui il nostro essere si scioglierà come cera; non i giunchi fioriti (cose ordinarie e terrestri) ma le vermene (erbe e ramoscelli odorosi e sacri) leniscono il dolore del cuore (poichè anch'io sono vicino alla morte) eccoti, o padre, fuori dal buio che ti teneva, quindi, presente nel mio ricordo, attaccato, legato ai barbagli (come attimi e come ricordi-barbagli: luce intermittente in modo disordinato; per questo il barbaglio diventa simbolo dell'attimo del tempo e del ricordo limitato nel tempo) senza scialle e berretto,nel momento in cui si ode, annunciando l'arrivo dell'alba, il sordo (cupo) fremito (rumore) delle chiatte dei minatori, nere sulle onde alte e semisommerse poer il grande carico.
2a strofa - L'ombra vigile,che mi accompagna quando vengo alla tua tomba, riposa sulla solita statua (erma), mentre un movimento altero (superbo) della fronte le rischiara gli occhi ardenti e i duri sopraccigli sotto i boccoli infantili; quest'ombra non ha più peso della tua, padre, sepolta da tanto tempo, mentre la trafiggono i primi raggi del giorno, l'attraversano veloci le farfalle, la sfiora l'erba sensitiva, che al contatto non si rattrappisce.
3a strofa - L'ombra fidata, colei che ormai ha del tutto staccato dal corpo l'interno fuoco che le permette di vivere nell'oltretempo, e il muto che risorge dal passato, colui che lunghi anni d'oltretempo hanno disincarnato, ma non del tutto staccato dal corpo ancora legato ai ricordi della vita terrena, al tempo che viene misurato in anni dal poeta gravato ancora dal peso del corpo (del tempo e dello spazio), si scambiano parole che io non odo perchè reso pesante e intero dal corpo che vive ancora la vita terrena, mentre aspetto al margine tra il tempo e l'oltretempo: l'una forse ritroverà la forma in cui bruciava l'amore non di sè ma di Colui che la mosse e che tutto muove, ma l'altro sbigottisce temendo che la larva (il residuo) di memoria in cui si scalda presentandosi ancora nel ricordo dei figli si spenga al momento del nuovo balzo verso il mondo ultraterreno del tutto staccato dal mondo terreno.
4a strofa - Il poeta ascolta la voce dell'ombra fidata: "Ho pensato per te, ho ricordato per tutti. Ancora ti tenta questa rupe col carico dei suoi ricordi terreni? Sì, la bàttima (il punto su cui si infrange l'onda) è la stessa di sempre e non si dissolve il mare che ti univa ai miei lidi (il tempo che univa le nostre vite) quando io non avevo ancora le ali (quando ancora vivevo la vita terrena). Io le rammento quelle mie prode (le rive sulle quali è facile approdare), eppure sono giunta con le folaghe a distaccarti dalle tue: la memoria non è peccato finchè giova. Quando invece impedisce il nuovo balzo verso la vera condizione che dipende da Colui che infonde amore e che tutto alimenta, diventa letargo di talpe, un'abiezione, una condizione di vita ignobile e spregevole che si autoalimenta, dalla quale l'individuo non può salvarsi da solo.
5a strofa - Il vento del giorno confonde l'ombra viva (venuta con le folaghe, Clizia) e l'altra (del padre) ancora riluttante di fronte al nuovo balzo in un atteggiamento che respinge già le mie mani, perché io appartengo al mondo che lui deve cancellare dalla sua memoria, e il respiro si spezza, come si spezza la sensazione dello spazio (la fossa) e del tempo (il punto dilatato) e nella rottura fa precipitare in un vuoto dove il ricordo di questa vita non ha più importanza ma fa scattare improvvisamente il ricordo di un'altra vita, di un altro tempo e di un altro spazio. Così si svela prima di legarsi a immagini e a parole tratte dalla nostra esperienza di questa vita quell'oscura sensazione di ricordo vago di un vuoto inabitato che occupammo prima di nascere al mondo e rimasto vuoto in attesa di ricolmarsi di noi al momento opportuno, di ritrovarci...
l'erma e l'ombra vigile
Presso i greci e i
romani era il pilastro a forma quadrata sormontato dalla testa del dio Ermes o da una
testa barbuta che veniva posto ai crocicchi, sulle piazze, sui confini, nei ginnasi, nelle
biblioteche, sulle tombe. In generale rappresenta qualunque testa che sormonta una colonna
cilindrica o quadrata.
Talvolta la testa presentava due facce,
una sorridente e l'altra piangente o truce, specialmente nei cimiteri, ad indicare la vita
e la morte (celebre il Giano bifronte dei romani). Presso le religioni naturali l'erma
bifronte rappresentava il limite spaziale e il punto temporale di passaggio tra la vita
(la faccia ridente) e la morte (la faccia piangente); per la religione cristiana può
rappresentare il contrario: la vera vita, la vita dell'aldilà è raffigurata dalla faccia
ridente, e l'esistenza in questo mondo è raffigurata dalla faccia piangente.
Clizia, l'ombra vigile che accompagna il
poeta presso la tomba del padre posa sopra un'erma, che rappresenta visivamente il
limite tra la vita e la morte, il distacco completo da questo mondo e dal ricordo di tutti
gli affetti terreni, che tengono ancora legata l'anima del padre ai barbagli
dell'esistenza che giungono attraverso la memoria della vita terrena e degli affetti
familiari. La donna-angelo-erma parla con l'ombra del muto padre che risorge sollevandosi
e allontanandosi dai ricordi terreni; ma il poeta non può capire le loro parole, non può
nemmeno sentirle, perché si trova ancora sul margine, al di qua del limite, del punto di
rottura, del muro che lo separa dal mondo misterioso dell'aldilà che gli appare solo
nella presenza dell'ombra della donna e dell'ombra del padre; sul margine si trova ancora
in una condizione di durezza e di immobilità di pensiero (interito), pesante per
il peso del corpo legato ancora al trascorrere del tempo terreno e alla precisione dello
spazio umano.
L'incontro avviene all'alba, nel momento
più adatto alla rivelazione di una nuova vita e più propizio per cominciare qualcosa di
nuovo e di straordinario.
La donna è caratterizzata dagli occhi
ardenti, dall'interno fuoco, dalla possibilità di ritrovare la "forma in cui
bruciava / amor di Chi la mosse".
la figura del padre
Il "padre"
non è più un modello da imitare, di lui non si odono più le parole sapide di sale greco
(Noi non sappiamo), piene di saggezza, ma diventa l'essenza di un passato finito,
che deve essere cancellato, in quanto non è importante tanto la saggezza di questo mondo
ma il fuoco ardente di Colui che tutto muove; ma compiere questo balzo decisivo richiede
la forza che occorre per tutte le scelte che sono definitive: per questo si mostra
riluttante di fronte a un futuro che nulla può conservare di umano. Anche la memoria
assume il senso di una condanna, se non si è capaci di liberarsene, di una abiezione che
si autoalimenta, quando non permette alla forma-corpo di
diventare spirito-senza-forma.
La religione si presenta sotto
laspetto del contrasto temporale presente-futuro, espresso sia col tema della
memoria che lega i vivi ai morti sia dalla successione delle fasi della vita dopo la morte
da quella in cui resiste laspetto memoriale a quella in cui avviene lo scorporamento
completo dellinterno fuoco: Colui che si incarnò per poi ridiventare puro spirito,
passando attraverso la sosta agli Inferi per liberare i puri della storia ebraica (aspetto
memoriale), rappresenta ciascun uomo incarnato che per ritrovare la vera vita deve
percorrere la via della purificazione che lo porta a diventare puro spirito in un processo
cosciente ed accettato di scorporazione totale, sia fisico che memoriale.
Il padre-mito, quindi, non è più
presente nelle cose terrene, non può più essere uno spirito legato semplicemente alla
memoria, ma uno spirito vivente nella mente dei vivi che ha abbandonato tutte le cose
terrene e la loro memoria.
il problema esistenziale
Ritorna il problema
dellesistenza: chi è luomo, quali sono i suoi destini; ritorna il problema
della ricerca di ciò che si trova al di là del muro, dibattere il muro, -
affermava Montale, - di vedere ciò che poteva esserci al di là della parete, convinto
che la vita ha un significato che ci sfugge.
Se la figura del padre assume gli aspetti
del mito, della trasfigurazione del passato, la ricerca diventa la condizione quasi
disperata del sapere ciò che si trova al di là della morte, quale è il significato
reminiscente di idee oscure e difficili da capire che qualche volta ritornano
nella memoria e che ci portano a intuire mondi lontani e diversi.
Sono gli stessi problemi degli Ossi di
seppia; ma là vera una descrizione della condizione umana al di fuori del tempo
e dello spazio (o meglio, dove il tempo e lo spazio risultano pietrificati), un tempo e
uno spazio concepiti comunque al di qua del muro, cioè in questa condizione esistenziale;
in questa poesia diventano la ricerca della vera vita nel contrasto tra passato
(lesistenza terrena) e presente/futuro (lesistenza dopo la morte, presente per
lombra fidata e il muto che risorge e futura per il poeta che è ancora interito sul
margine che separa la nostra esistenza dalla vera vita). Il muro di Meriggiare pallido
e assorto o il margine di questa poesia dividono
il poeta dalla possibilità di vivere la vera vita o perlomeno di sapere qualcosa delle
verità cercate.
Nellansia della ricerca si
stabilisce quasi un filo con loltretempo
attraverso lombra fidata e il muto padre che si scambiano parole che non possono
essere sentite; e questo filo è rappresentato proprio dalla memoria affettiva
concretizzata attraverso i correlativi oggettivi bàttima,
rupe e mare:
... Ancora questa rupe
ti tenta? Sì, la bàttima è la stessa
di sempre, il mare che ti univa ai miei
lidi da prima che io avessi lali,
non si dissolve...
Per un momento sembra riprendere forza il presente nello scorrere del tempo alla presenza di Clizia, che pure è tornata per dire al padre che è ora di compiere il definitivo balzo proprio pensando che la bàttima di sempre, come il frangente che ripullula sulla balza che scoscende ne La casa dei doganieri, rappresentando il filo oscuro che li lega ai vivi, non si dissolve.
le folaghe
Come le fòlaghe
migrano alla ricerca del clima ideale e più temperato dalle latitudini nordiche ai primi
freddi della stagione invernale, per continuare a vivere, così lanima cerca
lideale condizione per continuare la propria vita nelleternità scorporando
linterno fuoco dal gelo del corpo: si verifica, quindi, un passaggio dal freddo al
caldo.
Per questo è destinata a cadere
nelluomo la memoria dellesistenza in questo mondo al momento della
scorporazione e della trasformazione dallaspetto fisico a quello ultrafisico
dellinterno fuoco. La fòlaga è un correlativo oggettivo negativo se tutto resta
legato alla fisicità del corpo, ma è positivo nel momento in cui rappresenta
larrivo del momento della scorporazione: essa è la stessa ombra fidata che giunge
per annunziare che è giunto il momento atteso.
Nelle latitudini nordiche, mai toccate
dalluomo nellantichità, veniva posta la sede delloltretomba,
lestensione orizzontale dellErebo, nel quale vagano senza sosta le ombre dei
trapassati, mai allietate da un raggio di luce ma solo confortate dal ricordo della vita
felice passata sulla terra, in mezzi a familiari ed amici. LErebo è rappresentato
come un luogo freddo proprio perchè non è presente il calore dello scambio memoriale tra
vivi e morti.
Questa concezione cambia col
Cristianesimo, nel senso che la vita nel paradiso è rappresentata dalla luce e dal
calore, ma laldilà è pur sempre ritenuto dalluomo come un luogo freddo, come
lErebo. La fòlaga-Clizia, dagli occhi ardenti che rischiarano la fronte altera e
dal biocco infantile, è portatrice essa stessa del fuoco scorporato dellaldilà, in
cui occorre che luomo si rechi, se non vuole cadere nellabiezione che si
autoalimenta del ricordo non cancellato.
note linguistiche
Sul piano delluso della lingua nella costruzione dei versi possiamo notare:
- Solo la prima
strofa è costruita in un linguaggio chiaro e colloquiale, quasi familiare;
- Le altre quattro
strofe presentano difficoltà di interpretazione sia sul piano linguistico che su quelle
espressivo-contenutistico; un qualche lume può venire da un lato dalla conoscenza di
specifici elementi della vita di Montale (la presenza di Clizia dal biocco infantile, le
estati a Monterosso con la bàttima e il mare di sempre, il padre rappresentato senza scialle e berretto), sia dalla lettura Sul limite da La farfalla di Dinard.
limmobilità è sinonimo della morte, come la pesantezza del corpo; la mobilità è sinonimo della vita: la poesia si pone tra la mobilità e limmobilità, tra lessenza della vita e lessenza della morte
Questa poesia, scritta ne 1947, fa parte della sezione Silvae della raccolta La bufera e altro pubblicata nel 1956 presso l'editore Neri Pozza di Venezia e in prima edizione con la Mondadori l'anno successivo. È ambientata a Monterosso delle Cinque terre. Il poeta immagina di salire al cimitero di Monterosso, dove è sepolto il padre, accompagnato da Clizia (Irma Brandais, conosciuta nel 1933)
erma - presso i greci e i romani era il pilastro a forma quadrata sormontato dalla testa del dio Ermes o da una testa barbuta che veniva posto ai crocicchi, sulle piazze, sui confini, nei ginnasi, nelle biblioteche, sulle tombe. Spesso la testa presentava due facce, una sorridente e l'altra piangente o truce, specialmente nei cimiteri, ad indicare la vita e la morte. Presso le religioni naturali l'erma bifronte rappresentava il limite spaziale e il punto temporale di passaggio tra la vita e la morte: la vita (la faccia ridente) e la morte (la faccia piangente); per la religione cristiana può rappresentare il contrario: la vera vita, la vita dell'aldilà è raffigurata dalla faccia ridente, e l'esistenza in questo mondo è raffigurata dalla faccia piangente. L'ombra vigile che accompagna il poeta presso la tomba del padre posa supra un'erma, cioè rappresenta anch'essa il limite tra la vita e la morte, il distacco completo da questo mondo e dal ricordo di tutti gli affetti terreni, che tengono ancora legata l'anima del padre ai barbagli dell'esistenza che giungono attraverso la memoria della vita terrena e della famiglia.
La donna-angelo-erma parla con l'ombra del muto padre che risorge, ma il poeta non può capire le loro parole, non può nemmeno sentirle, perché si trova ancora sul margine, al di qua del limite, del punto di rottura, del muro che lo separa dal mondo misterioso dell'aldilà che gli appare solo nella presenza dell'ombra della donna e dell'ombra del padre; sul margine si trova ancora in una condizione di durezza e di immobilità di pensiero (interito), pesante per il peso del corpo legato ancora alla fluidità del tempo terreno e alla precisione dello spazio umano.
L'incontro avviene all'alba, nel momento più adatto alla rivelazione di una nuova vita e più propizia per cominciare qualcosa di nuovo e di straordinario.
La donna è caratterizzata dagli occhi ardenti, dall'interno fuoco, dalla possibilità di ritrovare la forma in cui bruciava / amor di Chi la mosse.
- via percorsa - allegoria della vita, che si presume della durata media di settantanni; Dante percorre il suo viaggio ultraterreno alla metà del suo cammino terrestre, Montale ha questo contatto con l'ultraterreno quando la via percorsa è più lunga di quella da percorrere e la parte restante della via è diventata un santiero da capre difficile e faticoso, come il sentiero da capre dell'aspro e povero paesaggio delle Cinque Terre, descritto in una prosa pubblicata nella raccolta Fuori di casa (Mondadori 1975) scritta nel 1946 e intitolata Le Cinque Terre: "avaro vi è lo spazio che non permette passeggiate se non a coloro che vogliano inerpicarsi come capre fra terrazze di vigneti digradanti verso il mare... Paesaggio roccioso e austero simile ai più forti di Calabria, asilo di pescatori e di contadini viventi a frusto a frusto su un lembo di spiaggia che in certi tratti va sempre più assottigliandosi, nuda e solenne cornice di una delle più primitive d'Italia."
- sentiero da capre - reminiscenza dei sentieri tante volte percorsi a Monteroso delle Cinque Terre
- giunchi fioriti: il giunco fiorito è detto anche biodo, sorta di pianta palustre (cresce al margine di acque stagnanti), terminante con una ombrella di fiori rosei; di diverse famiglie, una delle quali ha foglie assai lunghe, che opportunamente lavorate servono per impagliare fiaschi, fare stuoie, ecc. Nel Purgatorio dantesco (I,102) il giunco è simbolo dell'umiltà di Dio fatto uomo, e in generale dell'umiltà umana
- eccoti - appare la figura del padre del poeta
- barbagli - attimi di ricordi degli affetti familiari che legano ancora alla vita e che squarciano il buio di una vita nell'aldilà che non è ancora cominciata effettivamente
- chiatte - forse usate dai minatori delle cave della Punta del Mesco, il promontorio delle Cinque Terre
- semisommerse: sempre nella prosa citata nella nota 1 il poeta scriva: "E chi non ha visto tornare all''alba, semisommerse da cento rubbi (ottocento chili) di acciughe una di queste barche, entro le queli i vogatori sembrano arare i flutti stando in piedi sulle acque..." La figura dei pescatori, di evangelica memoria, si è trasformata in quella dei minatori ad indicare non solo l'immane fatica quotidiana ma anche la ricerca nelle viscere della terra di materiali utili da riportare alla luce per il bene di tutti, come la verità viene portata alla luce dal buio dell'ignoranza e trasmessa con fatica agli altri uomini; la trasmissione faticosa della verità è determinata dal fatto che davanti ad essa gli uomini restano scettivci perché troppo legati alla vita e alle conoscenze passate. Lo stesso succede al padre quando riceve il messaggio dell'angelo (versi 23-33, III strofa)
- erma - colonna quadrata sormontata da una testa rappresentante Ermes o una testa bifronte con una faccia ridente e una piangente - Clizia 'posa' sull'erma, come a posare su se stessa
- lombra non ha più peso dal momento in cui è priva del corpo e sicuramente anche dei ricordi della vita e degli affetti terreni
- trafiggono - Dante, Pg., III, 88-96:
Come color dinanzi vider rotta
la luce in terra del mio destro canto
.......
... questo è corpo uman che voi vedete;
per che il lume del sole in terra è fesso
vedi anche: Pg. III,18 - Pg. VI, 57
- da Farfalla di Dinard (La farfalla di Dinard, p 246):
La farfallina colore zafferano che veniva ogni giorno a trovarmi al caffè, sulla piazza di Dinard, e mi portava (così mi pareva) tue notizie, sarà più tornata dopo la mia partenza, in quella piazzetta fredda e ventosa?... Passeggiata mattutina o messaggio segreto?
La farfalla rappresenta, quindi, Clizia
- muto - l'ombra del padre è muta perché deve ascoltare l'ombra che viene a parlarle del nuovo balzo - Il silenzio è condizione necessaria dell'obbedienza
- scorporò linterno fuoco - Clizia ha ormai staccato dal corpo la propria anima, linterno fuoco riunendosi allEssere universale: Clizia è detta da Montale la Cristofora, la portatrice di Cristo, e quindi anche della sua parola. In questo caso porta al padre del poeta la parola di Cristo, il suo ordine di superare la barriera della prima zona dopo la morte, per iniziare il vero processo di scorporazione e di abbandono degli affetti familiari
- anni - forse una reminiscenza dantesca dal canto Pg. XVI, 26-27:
... di noi parli come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi.
Il concetto comunque è lo stesso: il tempo, che, per me che sono pesante perché ancora incarnato nel corpo, si misura in anni, è misurabile in modo diverso nell'oltretempo, forse in termini di disincarnazione e di purificazione
- disincarnano - il tempo trascorso (in anni secondo gli uomini) ha ormai disincarnato l'ombra del padre che si mantiene legata solo a barbagli di ricordi provenienti da affetti familiari
- interito - reso duro a causa del corpo che impedisce all'anima di sentire quel che le due ombre si dicono: prima occorre disincarnarsi
- Scrive nella prosa Sul limite (La farfalla di Dinard, p. 207):
... La prima volta si è ancora attaccati alle storie di prima. È come accadeva a me quand'ero tra i vivi, che dico?, tra i morti dell'Antelimite da cui tu giungi ora; sognavo e al risveglio ricordavo ancora il sogno, poi anche questa memoria si perdeva: Lo stesso ora succede a te; c'è ancora una frangia terrestre da addormentare nella tua mente, ma è questione di poco... Pare sia così fino a Zona 1... Poi dicono che questa memoria si perde e se ne acquista un'altra.
Il nuovo balzo si verifica, quindi, tra Zona 1, ancora legata ai ricordi terreni, e Zona 2, dove si acquista una nuova dimensione e una nuova coscienza di sè, senza ricordi terreni, prima di passare a Zona 3, dopo un lungo periodo di purificazione
- rupe - l'amore che lega alla vita di questo mondo, l'elemento cui aggrapparsi per superare le difficoltà esistenziali e i dolori causati dagli avvenimenti quotidiani
- non si dissolve - nella trasformazione dalla forma-corpo della vita terrena alla forma-spirito della vita ultraterrena, quando l'anima si sarà scorporata e sarà diventata fuoco che viene da Colui che tutto muove
- una volta compiuto il balzo definitivo scorporando l'interno fuoco dalla materia che lega l'anima ai ricordi della vita terrena
- respinge / le mie mani - reminiscenza dantesca dell'episodio di Casella (Pg. II, 76-81):
Io vidi una di lor trarresi avante
per abbracciarmi con sì grande affetto,
che mosse me a fare il simigliante.
Ohi ombre vane, fuor che nell'aspetto!
tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
e tante mi tornai con esse al petto.
- punto dilatato - nel momento in cui la mente è ormai piena dell'interno fuoco scorporato tanto da cancellare il ricordo di questa vita, la sua natura terrena
13a - vedi Sul limite (cit.) - nell'incidente vede tutto dilatato: "Dopo un tempuscolo che parve eterno..."
- si svela - il mondo della disincarnazione
- vuoto inabitato - il mondo iperuranio di Platone? ogni uomo alla nascita si stacca dal mondo iperuranio lasciando un vuoto che viene riempito al ritorno con la morte del corpo
- ritrovarci - nota l'ambiguità: ciascuno ritroverà il suo posto inabitato o ci ritroveremo insieme