GIACOMO BONGHI
4 Novembre 1995 - classe VB
Liceo Classico Statale Carlo Alberto
Primo Levi
La tregua
VITA E OPERE
Nasce il 1919 a Torino
dove trascorre l'infanzia e la prima giovinezza e dove ha vissuto con la propria famiglia.
Nel 1934 si iscrive al primo anno di liceo presso il ginnasio liceo D'Azeglio di Torino.
Nel 1941 presso l'Università di Torino, si laurea in chimica "summa cum laude".
Per ragioni di lavoro, nel 1942 è costretto a trasferirsi a Milano. Nel 1943 si rifugia
sulle montagne sopra Aosta, unendosi ad altri partigiani, però viene quasi subito
catturato dalla milizia fascista e un anno dopo internato nel campo di concentramento di
Fossoli e successivamente deportato ad Auschwitz. Viene liberato il 27 Gennaio 1945 in
occasione dell'arrivo dei Russi al campo di Buna-Monowitz, anche se il suo rimpatrio
avverrà solo nell'ottobre.
Nel 1947 pubblica Se questo è un
uomo ripubblicato anche nel 1954. Nel 1963 pubblica il suo secondo libro "La
tregua" col quale vince il premio Campiello. Altre opere da lui composte sono: una
raccolta di racconti dal titolo Storie naturali, con il quale gli viene conferito
il Premio Bagutta; una seconda raccolta di racconti Vizio di forma, una nuova
raccolta Il sistema periodico, con cui gli viene assegnato il Premio Prato per la
Resistenza; una raccolta di poesie L'osteria di Brema; La chiave a stella;
La ricerca delle radici; Antologia personale; Se non ora quando
con il quale vince il Premio Campiello per la seconda volta e infine nel 1986 I
Sommersi e i Salvati.
Muore suicida l'11 Aprile 1987.
RIASSUNTO dell'opera
Il libro inizia con
l'arrivo dei Russi al campo di Buna-Monowitz, quattro giovani soldati a cavallo che
osservano sbigottiti e increduli dall'alto di un colle, il 27 Gennaio 1945, mentre Levi e
un altro sopravvissuto stanno trasportando alla fossa comune un compagno morto durante la
notte.
La storia prosegue con la rievocazione
degli avvenimenti accaduti dopo l'avvento dei Russi: giungono i primi rifornimenti, i
primi soccorsi, pagarre polacche si aggirano per il campo occupandosi dei superstiti. I
prigionieri ancora in vita, i malati, i moribondi vengono trasferiti al Campo Grande di
Auschwitz ("una sterminata metropoli" al cui confronto Buna-Monowitz sembra un
villaggio), in cui l'autore, appena giunto, si ammala dove avrà modo di conoscere molti
personaggi.
Ristabilitosi, abbandona il campo
aggregandosi a coloro che sono in grado di affrontare il viaggio di ritorno nei rispettivi
paesi. Ma ha inizio così quella estenuante odissea che lo avrebbe condotto per circa un
anno attraverso l'Europa Orientale, facendolo partecipe di avventure assurde; e rendendo
il rimpatrio come un miraggio, e ambientando la narrazione in episodi e figure da incubo,
a rendere suggestivo il racconto è lo sfondo in cui si muove: un'Europa devastata, un
paesaggio in disfacimento che presenta ovunque i segni della recente catastrofe e dove si
collocano uomini sconvolti dalla guerra.
Nel corso dei suoi spostamenti da un
campo di raccolta ad un altro viene a contatto con uomini che egli definisce
"esemplari scaleni, difettivi, abnormi". Ad esempio la figura del Greco,
un'Ebreo di Salonicco, con il quale l'autore trascorre una "settimana randagia"
giungendo dapprima a Tracara, quindi a Katowice. Un'altra figura è quella di Marja
Fjodorovna che incontra nel campo di sosta di Katowice e con la quale collabora per un
certo tempo come "farmacista" presso l'infermeria dello stesso campo. Sempre qui
conosce l'Italiano Cesare con il quale instaura una solida amicizia. È Cesare che lo
introduce nel mercato nero di Katowice. Qui la situazione diventa meno tesa e l'angoscia
lentamente si trasforma in una momentanea serenità. Nel Maggio del 1945, la guerra ha
fine. La natura esplode "come un uragano" nel campo i russi si lasciano
trasportare dall' euforia e organizzano festeggiamenti e spettacoli. Ma poco dopo Levi si
ammala di pleurite ed è in questa occasione che incontra altri singolari personaggi, come
il dottor Gottlieb che esercitava la professione di medico proprio a Katowice. In quei
giorni, fu comunque un vecchio Italiano soprannominato il Moro di Verona, ad attirare la
sua attenzione.
Sul finire della primavera, dopo quattro
mesi di attesa nel medesimo campo, giunge la notizia del rimpatrio. I reduce Italiani,
circa ottocento, con "fragorosa allegria" salgono nei vagoni merci in partenza
per Odessa dove li attende un treno che, come molti dicono, dovrebbe portarli in Italia.
Ma ciò non accade in quanto il treno non giunse mai ad Odessa. Alla stazione di Emermka
nella Russia Bianca, dopo sei giorno di viaggio in condizioni alquanto sgradevoli, i
reduci apprendono che il convoglio non può proseguire.
Intraprendono così un viaggio verso
Nord, che di tappa in tappa, li conduce nella splendida località di Staryie Doroghi, che
raggiungono a piedi dopo aver sostato, per circa dieci giorni, a Slark. Giunti a Staryie
Doroghi, risiedono in un gigantesco edificio detto la casa Rossa, "piena di misteri e
trabocchetti come un castello di fate", situato in un luogo ai margini di una
foresta. Qui, sempre in attesa di un rimpatrio, sostano per due mesi, fino al 15 Settembre
del 1945. Finalmente arriva l'annuncio della partenza e, dopo una notte di festeggiamenti,
tutti gli Italiani raccolti nel campo si dirigono alla stazione del piccolo villaggio dove
c'è un treno. Ma rimangono delusi quando si accorgono che il treno ripercorre
all'indietro le tappe del viaggio fatto in precedenza e ciò conferma il disordine
dell'organizzazione russa.
Il convoglio viaggia con molta lentezza,
con continue soste e inciampi. Giunto a Zmerinka, dove i superstiti alcuni mesi prima
avevano già trascorso giorni d'attesa angosciosi, anziché dirigersi verso il
centro-Europa, scende verso Sud, fin quasi alle sponde del mar Nero, per poi risalire
lentamente attraverso la Romania, l'Ungheria, la Cecoslovacchia e giungere a Vienna l'8
Ottobre, dopo un viaggio durato più di venti giorni. Sia lo spettacolo d'un'Europa
distrutta che i continui ricordi dei reduci, fanno sembrare sempre più lontana la gioia
del rimpatrio. A Bratislava, vedendo quei monti che sbarravano il lugubre orizzonte di
Auschwitz, sono assaliti dall'angoscia, patiscono nuove sofferenze quando il convoglio,
lasciata l'Austria, entra in Germania e raggiunge Monaco. Guardandosi attorno, osservando
la gente che camminava per le strade, non possono fare a meno di chiedersi se i Tedeschi
sono a conoscenza di quanto è avvenuto ad Auschwitz.
Le ultime pagine, quelle che narrano il
passaggio del Brennero nella notte del 16 Ottobre sono molto tristi, in quanto se La
tregua sta per concludersi, se la lunga odissea del rimpatrio sta per finire, per loro
il futuro rimane sconosciuto, levi si pone quindi della domande che consistono in ciò che
egli ha definito "il veleno di Auschwitz" e la ragione per cui l'offesa subita
è inguaribile e incancellabile nel tempo.
ANALISI PERSONAGGI
Thylle
Un "triangolo rosso", un prigioniero politico tedesco, un anziano
del lager; per questo conferiva dei diritti dell'aristocrazia del campo, non aveva dovuto
lavorare manualmente e aveva ricevuto alimenti e vestiti da casa.
Yantiel
Un Haftling, un giovane ebreo russo, forse l'unico russo superstite, e per
questo ricopriva la carica di interprete e di ufficiale di collegamento coi comandi
saretici. Con il suo carrettino doveva trasportare al lager centrale di Auschwitz tutti i
vivi.
Il piccolo Hurbinek
Un bambino nato ad Auschwitz. Era figlio di Auschwitz, dimostra circa tre
anni, non sa parlare e non ha un nome. Hurbinek è un soprannome che gli hanno assegnato.
È paralizzato dai reni in giù. Le gambe sono atrofiche e sottili; ma i suoi occhi, persi
nel viso triangolare e smunto, saettano terribilmente vivi pieni di richiesta. Egli non
riesce a parlare, ma finché ebbe vita tentò di uscire da quella tomba del mutismo. Morì
nel 1945 libero ma non redento.
Henek
Il ragazzo, deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia, era rimasto orfano,
ma aveva saputo accattivarsi le simpatie dei suoi persecutori e in qualità di kapo
soprintendeva alla "selezione dei bambini". Era un giovane di 15 anni robusto e
florido, tranquillo e testardo, l'unico che si occupava del piccolo Hurbinek. Anche il suo
era un soprannome attribuitogli dalle infermiere polacche che provavano per lui un certo
desiderio. Era nato ed abitava in una fattoria in Transilvania, e questo spiega la sua
muscolatura da atleta benché fosse piccolo di statura.
Peter Pavel
Il "capo" del chiuso e riservato "club" dei bambini.
Aveva solo 5 anni, un bel bambino biondo, robusto, dal viso intelligente e impassibile, ma
non parlava con nessuno.
Klein Kiepura
Il ragazzo dodicenne, il più giovane tra i prigionieri dell'ex campo di
Buna-Monowitz, che, sopravvissuto a causa dei suoi ambigui rapporti con il più alto Kapo
in carica, nel delirio ingiuria e minaccia alla maniera delle SS i degenti ricoverati con
lui nell'infermeria del "Campo grande". Era cresciuto troppo e male, aveva busto
tozzo e corto; braccia e gambe lunghissime da ragno; da sotto il viso pallido, dai tratti
non privi di grazia infantile, si notava un'enorme mandibola più sporgente del naso.
Hanka e Sadria
Le due infermiere polacche, grottesche figure femminili in balia dei loro
istinti alle quali si contrappone quella nobilissima di Fraue Vita. Hanka era un ex kapo,
infatti la chioma non era rasata e aveva modi protervi; aveva circa 24 anni, di media
statura, di carnagione olivastra e di lineamenti duri e volgari. Sadria era invece una
creatura povera; una ragazza piccola e timida, dalla carnagione rosea, sentiva così
fortemente la necessità d'un uomo che era attratta da tutti i maschi che passavano nel
campo.
Noah
Grande amico di Henek. Un uomo nomade e libero, il ministro delle latrine
e dei pozzi neri di Auschwitz. Era un giovane pantagruele, forte come un cavallo, vorace e
salace.
Fraue Vita
Un'ebrea italiana reduce da Birkenau, dove era stata comandata al trasporto
dei cadaveri, di pezzi di cadaveri, di miserande anonime spoglie. Trascorreva molto tempo
con Levi ed era l'unica che si occupava dei malati e dei bambini e quando aveva del tempo
libero lavava i vetri e i pavimenti.
Olga
Una partigiana ebrea croata anch'essa proveniente da Birkenau, l'unica
sopravvissuta della sua famiglia. Quando Levi la vide per la prima volta, gli parve una
ragazza di grande intelligenza e cultura, forte e bella; ma dopo aver raccontato la sua
storia, Olga si tolse il fazzoletto dalla testa e Levi vide un volto devastato e un cranio
completamente calvo.
Greco
Un ebreo di Salonicco, rosso di pelo e di pelle, i cui attributi fisici
lo rendevano simile "ad un uccello notturno sorpreso dalla luce", a un pesce da
preda fuor del suo elemento naturale. Con questo personaggio il cui ideale di vita si
ispira ad un codice anarchico e mercantile fondato su pochi principi fondamentali fra cui
"l'uomo è lupo all'uomo".
Marja Fjodorovna
È una donna che Levi incontra nel campo di sosta di Katowice e con la quale
collabora per un certo tempo come "farmacista" presso l'infermeria dello stesso
campo. Marja era un'infermiera militare di circa 40 anni, simile ad una gatto sia per gli
occhi obliqui e selvatici, che per il naso breve dalle narici frontali, e per le movenze
agili e silenziose. I suoi modi riflettevano bene le sue origini: veniva dai boschi, dal
cuore della Siberia, da un luogo dove ogni movimento è teso alla sopravvivenza fisica.
Cesare
Un italiano proveniente anch'egli dal lager di Buna-Monowitz e più
precisamente dal campo da dissenteria dove era stato soccorso da Levi durante gli ultimi
tragici giorni che precedettero l'arrivo dei Russi. Tra i due ex compagni di prigionia si
stabilisca un'amicizia profonda; di lui Levi dice che "era un figlio del sole,
un amico di tutto il mondo, non conosceva l'odio né il disprezzo, vario come il cielo,
festoso, furbo e ingenuo, temerario e cauto, molto ignorante, molto innocente, e molto
civile". È Cesare che lo introduce nel mercato nero di Katowice e durante questo
periodo di imprese commerciali Levi acquista una relativa serenità.
Gohlieb
Il misterioso dottore che esercitava a Katowice la professione di medico, in
uno "studio non molto legale ma ben attrezzato". Sapeva essere molto
intelligente e astuto in ogni tempo, senza alcuno sforzo, con la stessa silenziosa e
penetrante continuità.
Il Moro di Verona
Un italiano che attirò l'attenzione dello scrittore: era un vecchio aspro
dalle ossa grandi alto e forte benché fosse molto vecchio e avesse dovuto sopportare
molte fatiche. Il cranio era calvo, la faccia scarna e rugosa; gli occhi erano infossati.
Era colpito da una demenza senile ma in questa sua demenza c'era della grandezza, della
forza, della dignità.
LUOGHI
Le varie tappe, che
dal campo di Auschwitz hanno condotto Levi e i suoi compagni fino in Italia, rappresentano
un viaggio di ritorno verso la civiltà, verso un mondo lontano dalla violenza cieca e
dalla brutalità bestiale; è un lento risalire dall'annientamento umano in cui il lager
lo aveva cacciato, in cui agivano uomini che per noi lettori restano senza nome e senza
volto, come senza volto e senza nome restano le bestie feroci che in taluni momenti il
destino pone sul cammino degli uomini.
Per questo molte scene avvengono all'aria
aperta, in spazi senza confini visibili, nei quali si perde lo spirito annientato: ogni
tanto accade che lo spirito prenda coscienza della realtà, delle altre persone, e allora
ogni cosa appare come dominata da un grande senso di ingenuità, come quella provata da
chi per la prima volta prova certi sentimenti, per la prima volta vede certe cose così
diverse da quelle che avevano occupato il suo animo nei mesi o negli anni di lager.
Il lager dà una configurazione nuova
allo spirito, costringendolo entro confini precisi di oppressione, convincendolo che
null'altro possa esistere al di fuori di quelle regole, di quegli atteggiamenti e di quei
confini. Durante il viaggio si riscopre l'altra configurazione della realtà, che esisteva
prima del lager, ma che era stata violentemente cacciata via dalla mente con un immediato
e brutale processo di disumanizzazione, di "animalizzazione". Queste due
configurazioni entrano spesso in conflitto, senza che l'una prenda decisamente il
sopravvento sull'altra; la "normalità" sarà sempre dominata da un senso di
angoscia provocato da quel processo, che ogni tanto rivive anche se la volontà cerca di
farlo diventare oscuro per sempre.
SPIEGAZIONE DEL TITOLO
Lo stesso autore ci
spiega i motivi per cui ha dato al libro il titolo La tregua, nelle pagine
conclusive quando rammenta le sensazioni che ha provato con i suoi compagni di viaggio nel
momento in cui il treno è entrato in Italia. La tregua è infatti un'odissea, il
ritorno inteso come travaglio interiore, lotta contro i ricordi, la ricerca della propria
persona, dell'integrità umana calpestata ed avvilita. Ma la tregua è anche quel
momento di sospensione fra l'una e l'altra configurazione dello spirito che abbiamo già
visto, il momento della normalità intima.
"I mesi or ora trascorsi, pur duri,
di vagabondaggio ai margini della civiltà, ci apparivano adesso come una tregua, una
parentesi di illimitata disponibilità, un dono provvidenziale ma irripetibile del
destino"; il dono di uno stacco tra ciò che era rappresentato dall'inferno del lager
e il ritorno alla "normalità" conquistata e assaporata a poco a poco nel corso
di un viaggio di circa cinquemila chilometri in quasi nove mesi: un viaggio di nove mesi
per il ritorno alla vita.
Ma il ritorno alla vita sarà sempre
dominato da una voce ben nota e da "una sola parola, non imperiosa, anzi breve e
sommossa. È il comando dell'alba in Auschwitz, una parola straniera, temuta e attesa:
alzarsi, «Wstawac»".
TEMI
L'indignazione scaturita non tanto dagli effetti delle atrocità compiute da altri, quanto dagli effetti che ne conseguono e che conducono coloro che le hanno subìte a provare un senso di vergogna. Il tema dell'amore si presentava come "simbolo inconsapevole di una libertà perduta e non più sperata."
COMMENTO
È un libro che narra della libertà tanto sperata nei campi di concentramento. Primo Levi con questo seguito vuole mostrare il cambiamento che i superstiti hanno subìto dopo la liberazione: ritrovano le forze e la speranza di un futuro, ritornano alle loro case anche se continuano ad essere tormentati da quei terribili ricordi. Durante questa odissea c'è chi intraprende la strada del commercio per procurarsi del denaro con il quale sopravvivere e chi ruba; ma nello stesso tempo si mescolano tra di loro, si aiutano l'un con l'altro e si compatiscono: sono così "tornati ad essere delle persone" con sentimenti, emozioni, desideri, in quanto possono finalmente pensare e riposare. Più si avvicinano alle proprie terre e più sono assaliti da sentimenti opposti: l'ottimismo e l'angoscia che qualcosa possa impedire loro il rimpatrio e infatti, all'inizio sono increduli del loro arrivo, ma infine riacquistano la loro sicurezza.
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 24 febbraio, 1998