Giuseppe Bonghi

Biografia
di
CARLO GOLDONI
(1707-1793)

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Parte Seconda

IV. Goldoni al Teatro di S. Luca.
      La lotta col Chiari.
      Goldoni librettista.

         Il Goldoni, che aveva annunciato al Medebac di volersi separare da lui alla scadenza del suo impegno, il 15 febbraio 1752 firma un nuovo contratto per dieci anni, a partire dalla Quaresima del ’53, col patrizio veneziano Vendramin, proprietario del teatro di S. Luca (detto anche di S. Salvador), a condizioni sicuramente più vantaggiose, insieme alla garanzia della proprietà dei suoi scritti, obbligandosi a scrivere otto commedie l’anno per il compenso di 600 ducati (l’accordo col Medebac era di otto commedie per 450 ducati l’anno, dieci comprendendo anche tragicommedie e canovacci). Nel 1753 grandi mutamenti avvengono nei teatri veneziani. La nuova attività comincia con la rappresentazione de L’Avaro geloso del 7 ottobre 1753, tratto dalle vicende di un individuo "vergogna dell’umanità" che viveva a Firenze e di cui gli avevano narrato la storia: la commedia, dopo un iniziale fiasco, affidata a un diverso primo attore, il Rubini che nella compagnia rivestiva i panni della maschera Pantalone, ottiene un lusinghiero successo per molte repliche; segue La sposa persiana, e quindi la trilogia.
         Fin dall’autunno del '49, come abbiamo già avuto modo di vedere, recitava al teatro di S. Samuele, la compagnia di un commediografo che si presentava come un nuovo riformatore, con pretese letterarie, l’ex-gesuita abate Pietro Chiari di Brescia, che scriveva azioni drammatiche il cui argomento derivava qua e là da romanzi francesi e inglesi, e commedie veneziane che scopiazzava da quelle del Goldoni, sotto il pretesto di correggerle. Ora proprio il Chiari, avversario acerrimo di Goldoni, che aveva riscosso gli applausi del pubblico del S. Samuele, fu assunto quale poeta dal Medebac al Sant'Angelo, e vi fece rappresentare una serie di commedie in versi martelliani. Si formarono così due partiti teatrali, i chiaristi e i goldonisti, e piovvero dall'una e dall'altra parte le satire, spesso violente e volgari. Nell'anno comico 1753-54 e nei seguenti restò impedito il regolare svolgimento dell'arte goldoniana trovandosi costretto il Goldoni a ricercare continue e bizzarre novità, sia nelle commedie storiche, sia nelle commedie orientali, per allettare e sorprendere il pubblico e seguirne i gusti alla moda. La prosa cede il posto ai sonanti versi martelliani; la scena è ambientata a Roma nel Terenzio, alla corte di Ferrara nel Torquato Tasso, a Londra nel Filosofo inglese, a Leida nel Medico olandese, a Tetuan, in Marocco, nella Dalmatina; si ammirano le Belle selvagge e le Peruviane, ma i più strepitosi applausi accolsero la Sposa persiana e la seconda Ircana: tutti argomenti esotici.
         Ogni carnevale tuttavia, per rallegrare il palcoscenico, soleva il Goldoni portarvi una commedia veneziana. Con queste una luce nuova entra nell'arte italiana, troppo accademica e aristocratica; In questo mondo reale e pittoresco dei gondolieri, delle lavandaie, dei "paroni de tartana", delle "massère" (serve di casa), delle rivendugliole, delle "rampignone" (donne che risparmiano), dei merciai, il Goldoni è sovrano; qui non esistono fantasmi o simboli, ma figure reali e vive rappresentate nella scorrevolezza e naturalezza del dialetto veneziano. Nelle Massere, mirabili per alcune scene, manca il soffio d'umanità dei veri capolavori; ma nelle Donne de casa soa la chiacchiera di Anzola e di Betta riempie ancora l'umile abitazione dell'antica Venezia, e ogni frase è una pittura dell'anima e del carattere dei due personaggi e un'eco del tempo lontano, che acquista suggestioni nuove e affascinanti quando al coro si unisce la vecchia Laura, un'altra massera, o Bastiana la "revendìgola". Solo la grande arte sa dare simili illusioni. Nel Campiello tutto è semplice, chiaro e naturale: un piccolo angolo di Venezia, una giornata del Settecento rivivono davanti a noi, il palcoscenico del teatro sembra improvvisamente trasportato nella piazzetta, identificandosi con essa e creando.
         Il suo nome era ormai popolare in tutta la pianura del Po, a Genova e in Toscana. L’edizione Bettinelli di Venezia e la Paperini di Firenze si esauriscono rapidamente; varie ristampe uscirono a Bologna, a Pesaro, a Napoli, a Torino. A Vienna fin dal '51 si traduceva e si recitava qualche sua commedia. Nel '53 anche i Romani poterono godere le fortunate creazioni. Pubblica testimonianza di stima gli aveva reso Scipione Maffei; l'epiteto di "Molière italiano" risonava frequente all'orecchio del Goldoni. Si stamparono poemetti in sua lode, del patrizio Beregan (1754), di Pietro Verri, (1755), di G. B. Roberti (1755). Nel '56 il duca di Parma gli assegnò il titolo di "poeta" con una pensione; e migliori condizioni otteneva nel teatro di S. Luca dal Vendramin, in un nuovo contratto.
         Nel decennio 1748-1757 un cenno a parte meritano le sue composizioni destinate ad essere musicate. Quand'era impegnato sia nel teatro di S. Angelo, sia in quello di S. Luca, Goldoni ha sempre avuto libertà di scrivere opere serie o buffe per i teatri di musica; abbiamo visto che fin dall'inizio del carnevale 1749 era apparsa nel teatrino di S. Moisè la Favola dei tre gobbi, esilarante farsetta a quattro voci musicata da Vincenzo Ciampi; e, nella stessa stagione, il Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, dramma giocoso musicato pure dal Ciampi, che era stato rappresentato al di là delle Alpi col titolo di Bertoldo in corte. Più fortunata ancora l'Arcadia in Brenta, musicata con molte sue altre, fortunatissime, da Baldassarre Galuppi, detto il Buranello, per la fiera dell'Ascensione del '49. Rappresentata al S. Angelo, questa farsa che, nonostante i cattivi versi e qualche dialogo insulso, è uno dei più felici drammi comici, è stata accolta poi calorosamente nelle principali città d'Italia, e in tutta la Germania e a Lisbona. Un nuovo trionfo del Goldoni e del Galuppi è stato il Mondo della Luna, nel carnevale del '50. Infine, dopo altre opere pure fortunate, sui versi del Filosofo di campagna il Buranello compone, nell'autunno del 1754, il proprio capolavoro. Quantunque il Goldoni considerasse con disprezzo i suoi melodrammi, qualcuno di essi ispirò quattro o cinque compositori, e molti maestri di musica che nel sec. XVIII hanno musicato quei libretti, fra cui i più celebri sono indubbiamente Paisiello, Mozart, Haydn e Salieri: per più di vent'anni il Goldoni ha dominato anche nei teatri musicali del Settecento. Il suo maggior trionfo è stato senza dubbio la Buona figliuola che, musicata la prima volta nel '56 a Parma dal Duni, rivisse nel 1760 a Roma per opera di N. Piccinni, conquistando tutto il mondo col nome popolare di Cecchina.
         Ai primi del 1754 gli giunge una lettera del fratello Giovanni, che non si faceva vivo da una dozzina d’anni e che non vedeva dai fatti di Genova del 1740. Giovanni si era sposato con la vedova di un avvocato romano e aveva avuto de figli, e una volta rimasto vedovo si era fatto vivo per tornare a casa. I due fratelli nel mese di marzo poterono riabbracciarsi e formare colla vecchia madre una famiglia unita e ben affiatata: è un momento di felicità, da vivere e consumare tutto all’interno della propria famiglia, allietata dall’amore della moglie Nicoletta. Ma quando sembra andare tutto per il verso giusto, un nuovo attacco della malattia di cui da tempo soffriva (forse ipocondria) lo attacca, favorita anche dalle vicissitudini di lavoro, dalla fatica eccessiva e molto più dalla violenza e dall'acredine delle satire rivolte contro di lui e contro il suo successo. Si decide allora di fare un viaggio per distrarsi e porta tutta la famiglia con sé, ma a Modena si aggrava, destando molta preoccupazione. Si sposta a Milano, dove migliora un poco e dove conosce un grande ma emotivo attore, Angeleri, che soffriva come lui dello stesso male. Ma l’improvvisa morte di questi dietro le quinte scatena il male, tutto di natura psicologica, che il suo medico, Baronio, gli guarisce con un apologo: il male di cui soffriva è come un bambino che rivolge la spada contro di lui: se si fa attenzione il bambino non può ferire, ma se ci si abbandona a lui allora può anche uccidere, come era successo al povero Angeleri. Goldoni guarisce ma non può far tacere le critiche degl'ignoranti e dei maligni, né gli era consentito mai di riposare, anche perché infastidito dalle continue richieste di versi d'occasione da rimpinzare le raccolte, usanza e mania del Settecento.

V. La lotta con Carlo Gozzi.
     Compimento della riforma goldoniana.

         La battaglia con Pietro Chiari aveva perso ormai tutta la sua violenza e ciascuno proseguiva per la sua strada: il Chiari aveva perso la partita e gli insulti, uniti al fatto che ormai erano in tanti a sapere che molte sue commedie erano state plagiate su quelle del Goldoni, erano diventati inefficaci e si stavano ritorcendo contro di lui. Ma a Venezia sorge un nuovo nemico, più potente perché intelligente, preparato, colto: il conte Carlo Gozzi, il quale nel '57 inizia una guerra aperta e implacabile in difesa delle maschere e di tutto il passato a cui era avvinto, contro il Goldoni e contro lo stesso Chiari, con la pubblicazione della Tartana degli influssi, specie d'almanacco poetico satirico in stile burchiellesco, trascinandosi dietro l'intera accademia dei Granelleschi. Il Gozzi, per rimettere in auge le maschere, avviate verso un inarrestabile declino, introduce sulla scena un nuovo genere di commedia, rappresentando in forma drammatica i più noti racconti di fate e mescolando il serio e l’affettuoso col fantastico e col ridicolo. Con grande gioia del Gozzi, il "truffaldino" attore Antonio Sacchi, che già conosceva e stimava il Goldoni, tornato con la sua compagnia a Venezia dopo cinque anni, nel 1758, fa risorgere al S. Samuele la vecchia commedia dell'arte, ormai già quasi messa al bando dai teatri veneziani.
         Ma le fiabe gozziane avranno solo un successo di breve durata, dovuto soprattutto alla novità e a un certo spirito satirico che al suo apparire non manca mai di fare una certa impressione. Al fiabesco e innaturale gozziano si contrappone l’immagine goldoniana della vita domestica in tuta la sua naturalezza, e ben lo sapeva il Sacchi. La polemica è comunque destinata a durare finchè Goldoni resta a Venezia.
         Il Goldoni amareggiato dalla "volubile inclinazione" del pubblico e dalla tenacia dei nemici vecchi e nuovi, e preoccupato dell'avvenire, presumibilmente già da allora comincia a pensare di lasciare Venezia (e forse anche l'Italia). Nell’estate 1756 viene invitato a Parma dall’Infante don Filippo, che gli chiede tre commedie giocose, premiandolo con sovrana munificenza e nominandolo poeta al servizio della Corte, assegnandogli una pensione annua. Il soggiorno a Parma, dove tornerà anche nel 1757, unitamente al diploma e alla pensione ricevuta, eccitano l’invidia e in qualche caso anche l’ira dei suoi avversari, facendo perfino correre durante la sua assenza la voce che era morto e ci fu addirittura chi osò affermare di aver partecipato al suo funerale.
         Nel novembre del '58 viene invitato a Roma dal cardinale Rezzonico, nipote del nuovo papa Clemente XIII. A Roma resta per sei mesi e le sue opere gli procurano nuovi ammiratori; viene ammesso con grande onore in udienza dal Papa nel suo "gabinetto di ritiro", ma le speranze concepite nel soggiorno romano non gli diedero alcun frutto, per cui ritorna deluso dopo dieci mesi d’assenza da Venezia, dove le sue nuove opere stavano precipitando per l'ostilità stessa dei comici della sua compagnia. Alcune delle commedie recitate in quegli anni al S. Luca, forse per lo stato d'animo del commediografo, non sono certo tra le meglio riuscite: annotiamo per es. la Donna stravagante, la Donna di governo, le Donne di buon umore, ecc. L’aspetto più positivo di questo periodo è che passando dal S. Angelo, dove la compagnia Medebac lo costringeva spesso a una certa fissità di personaggi e all'uso delle maschere a divertire comunque il pubblico, al S. Luca, vi aveva acquistato una libertà maggiore: solo là, venuto meno, col chetarsi della lotta col Chiari, il motivo che aveva, come abbiamo visto, interrotto il regolare svolgimento della riforma della sua arte, viene condotta alla sua perfezione la vagheggiata riforma, anche se nella nuova compagnia tra gl'interpreti si distingueva soltanto Caterina Bresciani.
         Il Goldoni, giunto alla sua piena maturità, si trova a percorrere ormai un’altra strada, lontana dalle polemiche sterili e inutili e continua a creare con assiduo lavoro e con sorprendente facilità l'opera sua. Il ritorno al successo coincide col ritorno alla rappresentazione della realtà quotidiana: ne escono commedie straordinarie per abilità di costruzione, per verità e comicità di scene, per arguzia e spontaneità di dialogo, come Un curioso accidente (11 ottobre 1760). Il viaggio a Roma gli ispira nel 1759 la fine e mirabile commedia Gli Innamorati che ha come protagonista una coppia di sposi che realmente aveva conosciuto a Roma e veramente litigava in maniera spesso furibonda: Li avevo veduti a Roma, ero stato l’amico e il confidente di entrambi, ero stato testimonio della loro passione, della loro tenerezza, e sovente de’ loro eccessi di furore, e de’ trasporti loro ridicoli. Aveva intese più d’una volta i loro lamenti, le loro grida, le loro disperazioni: fazzoletti stracciati, vetrate buttate in pezzi, coltelli sfoderati. I miei innamorati sono indispettiti, ma non sono men veri: Confesso che in questa Commedia vi è più verità e più verisimiglianza; ma dietro alla certezza del fatto, credei poter tirare un quadro, che facesse ridere gli uni, e recasse spavento agli altri.
         Subito dopo esce con La Casa nova (11 dicembre 1760), ben degna di stare accanto ai Rusteghi. Proprio quest’ultima commedia, che nasce dall’esperienza del Goldoni che in quel tempo era indaffarato nei lavori per il cambio di casa, tecnicamente sembra un’opera perfetta, tanto che l'autore stesso osava "proporla altrui per modello": "le feci dire tutto ciò che aveva detto io medesimo ai miei Lavoranti, e le cattive loro ragioni sono presso a poco come quelle che mi avevano impazientato per due mesi intieri. I personaggi, anche i minori, hanno rilievo e fisionomia caratteristica; stupendo il dialogo; mirabile la condotta. Quindici giorni dopo viene rappresentato il piacevole Impresario delle Smirne (26 dic. 1759), e un mese dopo, La buona madre (31 gennaio 1761). Finalmente la sera del 16 febbraio 1760 viene recitata al S. Luca la Compagnia dei salvadeghi, ossia i Rusteghi. Nella commedia moderna "sior" Lunardo Cròzzola il gran "rustego", non trova rivali che in qualche figura di Molière. Ma dietro il riso dei Rusteghi si cela un dramma severo: il contrasto dei caratteri, specie nella grande scena centrale, ci fa assistere all'eterno dissidio tra i vecchi e i giovani, alla vittoria non della donna sull'uomo, bensì del sentimento sull'egoismo. Di qui la grande umanità di questo capolavoro. Infine chiude in pratica la stagione.
         Il 19 giugno 1760 Voltaire mandava al marchese Albergati di Bologna, amico del nostro commediografo, una poesia, i cui primi versi sono: En tout pays on se pique, nella quale ritroviamo un grande elogio di Goldoni che è una specie di diploma di cittadinanza europea, conferiva al nostro commediografo, che segna il riconoscimento della grandezza ormai europea di Goldoni e del teatro italiano che a Parigi ottiene sempre più frequenti successi al Théatre de la comédie italienne. Poco dopo Voltaire scrive anche a Goldoni, che celebrato come "figlio e pittore della natura". Contro questo successo goldoniano, Carlo Gozzi induce l’Accademia dei Granelleschi a stampare il diluvio delle loro scioccherie condite di insulti e immagina una satira più velenosa del solito contro il Goldoni e contro il Chiari, sceneggiando la fiaba dell’Amore delle tre melarance, che ottiene un buon successo facendo ridere per sette sere i Veneziani durante il carnevale del '61.
         Il tempo e l’esperienza, come ebbe a scrivere nelle Memorie, lo avevano ormai tanto familiarizzato "coll’arte di far Commedie, che immaginati i soggetti, e scelti i caratteri, il resta non era più … che un facile giuoco."
        La creazione della Commedia richiedeva quattro operazioni:

         La nuova e ultima stagione 1761-1762 si apre con la trilogia della Villeggiatura (ottobre-novembre 1761) e continua con il Buon compatriotto (26 dicembre 1761), allegra risurrezione delle maschere, seguito dal capolavoro Sior Tòdero brontolon (6 gennaio 1762), e poi le Baruffe chiozzotte (gennaio 1762), per chiudersi con Una delle ultime sere di carnovale (febbraio 1762). Nel Buon compatriotto l'azione, benché vecchia e meccanica, corre rapida e agile e i personaggi ci divertono con l’arguto cicaleccio e con le gaie movenze. Ed ecco un altro "rustego", sordido prepotente e ostinato: sior Todero, che ci si pianta per sempre nella memoria, come don Marzio, come Mirandolina e come "sior" Lunardo. Ma il Goldoni, stanco di aggirarsi in un'angusta famiglia, fra pochi e noti personaggi, portò alfine sul palcoscenico un paese intero dove un popolo semplice ama, infuria, si placa come il suo mare. Il primo atto delle Baruffe chiozzotte, dal dialogo rotto e pittoresco, dalle figure di una verità sorprendente e commovente, è una meraviglia di dramma popolare. Le scene del secondo atto, nelle quali culmina il dramma d'amore di Lucietta e Titta Nane, sono forse le più originali e più belle del Goldoni e tra le più originali di tutto il teatro italiano. Nell'atto terzo scoppiano tra le donne nuove insolenze e il palco si riempie un'altra volta di popolo; ma infine anche la fiera Lucietta, la più viva figura femminile del teatro goldoniano dopo Mirandolina, cede piangendo e ottiene da Titta Nane il perdono e la mano. Così, senza rettorica, con genio giocondo e quasi inconsapevole, il Goldoni ha creato il capolavoro comico popolare.
Il Goldoni si accingeva ad abbandonare Venezia e le sue lagune; il dolore della partenza, ormai privo di ogni risentimento contro nemici e rivali, appare nella tenerezza che pervade qua e là i personaggi di Una delle ultime sere di carnovale e nel saluto che, nella stessa commedia, Anzoletto dà alla patria. La sera del martedì grasso (23 febbraio 1762) l'ultima recita si chiuse fra le grida della folla che augurava buon viaggio e felice ritorno al grande commediografo, e questi si sentì intenerire per tale dimostrazione: parte da Venezia nell'aprile, ma fu una partenza senza ritorno.

VI. Goldoni a Parigi.

Alla fine del 1761 al Goldoni, che era stato conosciuto a Parigi attraverso la rappresentazione alla Comédie italienne de Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato, arriva per mezzo di De Baschi, Ambasciatore di Francia a Venezia, una lettera di Zanuzzi "primo amoroso" della compagnia italiana a Parigi. Nella lettera Zanuzzi, confermando il vivo desiderio di vedere a Parigi il commediografo veneziano, "era incaricato dai primi gentiluomini della Camera del Re, ed ordinatori degli spettacoli di Sua Maestà, di propormi un impegno di due anni con onorevoli assegnamenti". Il Duca d’Aumont, primo gentiluomo della Camera del Re, spingeva perché partisse al più presto, dichiarandosi disposto a inviare una lettera formale alla Repubblica della Serenissima.
Alla fine Goldoni accetta, dopo aver chiesto il permesso al Duca di Parma, dal quale riceveva una pensione annua e ottenuto il permesso del nobile Vendramin col quale aveva sottoscritto il contratto per il teatro di San Luca, visto che vani erano risultati i tentativi di far restare Goldoni a Venezia con un impiego nella magistratura o una pensione onorevole che lo preservasse dalla povertà negli anni della vecchiaia imminente, da vivere nella sua Venezia, dove, scrive nelle Memorie, "vi era accarezzato, festeggiato, applaudito, eran cessate le critiche e vi godeva una dolce tranquillità". Il viaggio a Parigi sarebbe stato un passo era importante, in un momento della vita in cui le forze cominciano a diminuire e i bisogni si accrescono, e in terra straniera tutto diventa difficile, e difficile sarebbe stato il ritorno a Venezia per una serie lunga di considerazioni, la prima delle quali era la lunghezza del viaggio e i disagi che ne sarebbero derivati.
         Il Goldoni era stato invitato in Francia non proprio a dirigere, bensì ad assistere per due anni con nuove produzioni il teatro della Comédie Italienne, che stava attraversando un difficile momento. L'assegno annuo era di sei mila lire. Parigi (dove arriva il 26 agosto, dopo un lento viaggio, con due lunghe soste a Parma e a Bologna, accompagnato dalla moglie e dal nipote Antonio), fin da principio gli piace, lo stordisce, lo seduce: il suo carattere, la sua modestia, il suo cuore gli fanno conquistare molte simpatie. Le prime difficoltà le incontra proprio a teatro: i comici non vogliono imparare le commedie scritte e non hanno molta esperienza per recitare quelle a soggetto; inoltre il pubblico degl'Italiani pretende a ogni costo il gioco grottesco e buffonesco delle maschere e tutti quegli elementi che da anni ormai a Venezia erano stati abbandonati.
         Il Goldoni, che sogna di compiere un'altra riforma sul palcoscenico del Teatro Italiano nella patria di Molière, deve logorare miseramente il suo ingegno nello sceneggiare scheletri di commedie, con l'Arlecchino, nuove farse e nuovi scenari; né l'esito riesce sempre felice. Alla fine riporta un vero trionfo con la trilogia degli Amori di Arlecchino e di Camilla (a questo primo titolo si aggiungono La gelosia d’Arlecchino e Le inquietudini di Camilla), eseguita sullo scorcio del 1763 dal Bertinazzi e dalla "servetta" Veronese, l'unica, la "grande Camilla", come la chiamava il Goldoni. La trilogia con alcuni cambiamenti verrà rappresentata in Venezia, dopo un’altra commedia, Il ventaglio (scherzo comico di puro intreccio, che si avvolge e si svolge con tale agilità con tale naturalezza, da nascondere ogni artificio), sempre spedita da Parigi da recitarsi al S. Luca, con scarso successo nella stagione 1764-1765 con i titolo Gli amori di Zelinda e di Lindoro, La gelosia di Lindoro (sicuramente la migliore e che può essere annoverata subito dopo i grandi capolavori) e Le inquietudini di Zelinda (che rappresentano le nuove gelosie dei recenti sposi e mostra ancora una volta la potenza inesauribile della fantasia del Goldoni. Una farsa spiritosa e delicata, uno scherzo di delicato divertimento sono gli Amanti timidi (25 gennaio 1765), che conservano quel sapore popolare, quel colorito di un mondo tra reale e fantastico, ch'è proprio della commedia dell'arte. Anche la burla dialettale che s'intitola nella stampa Chi la fa l'aspetta, e s'intitolò nella prima recita i Chiassetti del Carneval (carnevale 1765), contiene nuove sfumature di antichi caratteri e scene d'antica vita veneziana ancor giovani e liete, e un meraviglioso dialogo che da solo è arte allegrezza. È questa l'ultima commedia veneziana del Goldoni.
         I successi passeggeri e le beghe del palcoscenico lo amareggiano comunque sempre più accrescendogli la nostalgia dell'Italia e della sua città. Si propone quindi di ritornare in Italia appena finito il proprio impegno; ma viene chiamato alla corte di Versailles (febbraio 1765) come insegnante di lingua italiana delle figlie di Luigi XV, Adelaide e Luisa, mentre il nipote ottiene un lusinghiero posto come segretario-interprete nell’ufficio nuovo creato subito dopo l’acquisto della Corsica. Il ritorno viene procrastinato fino ad essere del tutto annullato. A Versailles abita per circa quattro anni, ma l'insegnamento non dura più di tre, dopo i quali ottiene una modesta pensione di tremilaseicento lire francesi. Fin dal 1765 era rimasto cieco dell’occhio sinistro, e ci vedeva poco.
         Il ricordo dei trionfi veneziani, contrapposti alla piatta vita per il teatro che viveva tra Parigi e Versailles, lo tormentava, anche se la vita a corte era divertente e spensierata; gli viene allora la tentazione di cimentarsi nella scrittura di una commedia in lingua francese, da rappresentare nella sala più illustre della Comédie Française, che accoglieva i capolavori dei grandi maestri del teatro classico. Scrive, dopo nove anni di soggiorno francese e di conoscenza di questa lingua, Le Bourru bienfaisant (Il burbero benefico), che l’autore stesso ritiene come il sigillo definitivo alla sua opera; la commedia viene rappresentata per la prima volta a Parigi la sera del 4 novembre 1771 e alla fine, nel tripudio generale, viene trascinato a braccia dagli attori sulla ribalta, ricevendo gli applausi della Corte e del pubblico parigino (Il re Luigi XV lo gratifica con 150 luigi). Tutti gli attori recitarono in modo splendido, da Preville (il Burbero) a Bellecour (Dorval), da Molè (Dalancour) a Madame Preville (M.me Dalancour) a M.lle Doligny. "Tutti i comici, scrive Goldoni, erano attaccati a questa commedia fin dalla sua prima lettura: il ricevimento e l’esclusiva delle Commedie si fa al Teatro francese per biglietti secreti sottoscritti da quelli che compongono l’assemblea. Tutti questi biglietti non erano in quel giorno che tanti elogi per me e per la mia Commedia".
         Il Burbero benefico è ancora una volta uno di quei grandi personaggi che il Goldoni trova nella Natura, nella realtà sociale, ed è un carattere che incontrasi dappertutto, che nondimeno era scappato alla vigilanza degli autori antichi e moderni. La caratteristica del Burbero è la beneficenza e la vivacità del benefattore mette in evidenza quell’aspetto comico che è inseparabile dalla beneficenza e che deriva da un insieme assai complesso di sentimenti che agitano il benefattore, quel misto di vergogna e ritrosia, di apparire e non apparire, di fare senza urtare suscettibilità e senza offendere che rende maldestri e appunto burberi. La beneficenza è una virtù dell’anima; la scortesia non è che un difetto di temperamento: questi due elementi mettono in evidenza la sensibilità del Burbero e lo rendono tollerabile e accettabile agli occhi del pubblico.
         Bellissima commedia, il Burbero, per quanto presente già ne La Casa nova, è comunque ben diverso da questa: non sentiamo più il sapore dei canali veneziani e della lingua dei campielli; qui tutto è veramente Settecento francese, anche se una certa musicalità della vita e un sottofondo di brontoloneria è comune ai due ambienti. Forse per questo il buon Geronte ha avuto virtù di soddisfare intellettuali come Bettinelli o Baretti e di umiliare, benché non lo confessasse, Carlo Gozzi. Tutti gli altri scrittori italiani rimpiangevano il vuoto lasciato dalla scomparsa del grande Veneziano. Del Burbero si contano soltanto a Parigi, sullo stesso teatro della Comédie française, trecento repliche fino alla metà del secolo scorso; ed è stato tradotto in molte lingue.
         Nel 1773 Goldoni scrive l’ultima sua opera che verrà rappresentata in teatro l'Avaro fastoso, pure in francese, ma il tempo della rappresentazione era sbagliato: la sala era semivuota a Fontainebleau. La fredda accoglienza lo convinsero a chiedere la sospensione delle programmate rappresentazioni a Parigi. Dal febbraio del 1775 alla primavera del 1780 insegnò di nuovo l'italiano a Versailles alle giovani sorelle di Luigi XVI, prendendo parte alla vita di corte. Nel 1777 da Venezia gli viene chiesta un’opera buffa: nasce la commedia I Volponi, che metteva sulla scena gente di Corte, gelosi d’un forestiero, al quale nel contempo facevano molte gentilezze tramando nel contempo intrighi per rovinarlo: è la rappresentazione di se stesso. Intanto la sua vista s'indebolisce sempre più, ricomincia a soffrire di convulsioni, la pensione di 1200 lire accordatagli dal Re non sempre gli bastava per vivere: per fare ritorno a Parigi dovette perfino vendere la sua modesta biblioteca. Per fortuna tutti gli volevano bene: aveva ormai fedeli amici fra attori e scrittori di teatro: primo di tutti il buon Favart.
         Nel 1780 per risollevare le sorti della Comédie italienne, gli attori gli chiedono di tornare a scrivere; Goldoni produce sei nuove Commedie, che non verranno mai rappresentate: in quello stesso anno, la Commedia italiana viene soppressa dalle autorità e gli attori vengono licenziati, eccetto l’attore Carlino, per i suoi quarantanni. Nel 1784 comincia a scrivere le Memorie, in francese, uno dei più piacevoli libri del Settecento, ridestando nel suo ingegno, insieme coi lontani ricordi, lampi felici d'arte e d'umorismo; l’opera viene compiuta e stampata nel 1787, a ottant'anni.
         La Rivoluzione scosse a un tratto la società nella quale era vissuto e che vive immortale nelle sue commedie. Il Goldoni vide la povertà avanzarsi; pure, in mezzo alle proprie miserie, quel nobile cuore si commoveva delle miserie di qualche amico, maggiori delle sue, e cercava di alleviarle. Gli cessò improvvisamente la pensione nel luglio del 1792; abbandonato da tutti, in quel terribile anno per le sorti della Francia, privo d’ogni compenso per far fronte ai suoi più stretti bisogni, s'ammalò, languì in una soffitta della capitale. Soli, durante la lunga malattia, vagavano intorno al suo letto la moglie, il nipote e i gloriosi fantasmi del suo teatro.
         All’inizio di Gennaio 1793 gli viene consigliato di rivolge una supplica all’Assemblea di "ottenere dalla loro bontà e dalla loro giustizia i mezzi di sussistenza per i pochi giorni che ancora gli restano da vivere assieme alla moglie settuagenaria".
         Questo il testo (pubblicato in Carlo Goldoni, Tutte le opere, Mondadori, Milano, vol. XIV, p. 421-2 e Carlo Goldoni, Memorie, Biblioteca universale Rizzoli, Milano 1985, introduzione di Luigi Lunari, p. 22):

Legislatori,
         Il Cittadino Goldoni fu chiamato in Francia nel 1762 affinchè la Compagnia Italiana che esisteva allora a Parigi adottasse la riforma del Teatro Italiano che egli aveva fatta in Italia con successo. Goldoni, che da tanto tempo non faceva altro che ammirare e studiare anche gli autori francesi, fu infinitamente lusingato dalla proposta che gli era stata fatta. Egli non esitò ad accettarla. Superò tutte le difficoltà che si opponevano alla sua partenza dall'Italia. Lasciò la sua patria, i suoi parenti, i suoi amici, la sua posizione per seguire il proprio desiderio venendo a vivere in Francia assieme ai maestri dell'arte che egli professava.
         Arrivato a Parigi, Goldoni pensò trovarsi nella propria patria. Tutti i letterati lo conoscevano, tutti gli autori lo ricevettero con amicizia.
         Ciò che segnò il culmine della sua felicità e della sua gloria fu il suo Burbero benefico, che lo pose nel repertorio della Comédie Française tra i maestri dell'arte.
         La sua ultima opera furono i Mémoires in francese in tre volumi per servire alla storia della sua vita e del suo teatro, nei quali non fece che rendere giustizia al talento e al merito della Nazione Francese.
         Goldoni percepiva a partire dal 1768 una pensione annuale di 4000 lire, che gli è stata versata dalla Lista civile fino al primo luglio dell'anno scorso. Questa pensione è venuta ora a cessare a seguito di un decreto dell'Assemblea Nazionale, il che lo ha ridotto in una situazione tanto più penosa in quanto si tratta della sola risorsa che egli ha per vivere.
         È in questa condizione di perplessità e d'incertezza che egli ricorre con fiducia ai degni rappresentanti dalla Repubblica Francese per ottenere dalla loro bontà e dalla loro giustizia i mezzi di sussistenza per i pochi giorni che ancora gli restano da vivere assieme alla propria moglie settuagenaria. All'età di 86 anni ed infermo, egli non è più in grado di lavorare e di intraprendere viaggi. Egli è troppo orgoglioso di morire in Francia portando nella tomba il titolo di Cittadino Francese.

         «La supplica viene sottopposta il 18 gennaio al Comitato per la Pubblica Istruzione.
         Il 7 febbraio il deputato Giuseppe Maria Chénier, fratello del poeta, riferisce all'Assemblea il parere positivo del Comitato all'accoglimento della supplica. Ma Carlo Goldoni era morto il giorno prima, o moriva forse quel giorno stesso. Tre giorni dopo, l'Assemblea assegnava alla vedova una pensione di 1500 lire, e il 17 dello stesso mese di febbraio il ministro dei Contributi Pubblici, Etienne Clavière, indirizzava una lettera agli attori della Comédie Française invitandoli ad una recita di beneficenza del Burbero benefico, a favore di Nicoletta Conio, affinché potesse saldare qualche debito lasciato dal grande commediografo. Scritta alla vigilia del Terrore, in un momento in cui enormi erano i problemi della giovane repubblica, la nobile lettera di Clavière - con il giudizio storico e ideologico che presuppone - è il più alto riconoscimento che Goldoni abbia mai avuto dalla Francia nei trenta e più anni che egli vi trascorse. Val la pena strapparla dalle "note" in cui solitamente è relegata, e leggerla per intero» (Luigi Lunari): (dal vol. cit.)

Parigi, 17 febbraio 1793, anno II della Repubblica

Il Ministro dei Contributi Pubblici
ai cittadini Attori del Teatro Nazionale

         Cittadini, Goldoni ha posto termine ai suoi giorni nella miseria. I rappresentanti della Nazione sono arrivati in suo soccorso quando già la morte gli aveva sottratto questa consolazione. Egli la meritava: le sue opere drammatiche appartengono ai tempi vicini a quelli della libertà. Il disgusto per la licenziosità teatrale, per quelle farse che non divertono che gli uomini avviliti, avvilendoli sempre di più, era anche un presagio della caduta del dispotismo, e Goldoni ha riformato il teatro italiano.
         Egli apparteneva talmente alla Rivoluzione, che il suo più grande tormento era di vedersi costretto dai propri malanni, dalla vecchiaia e dai bisogni della sua compagna, a reclamare una pensione di cui egli godeva fin dai tempi di Luigi XV e il cui pagamento era stato sospeso. Io stesso l'ho visto esprimere con calore il dispiacere di non poter gettarne il documento in quello stesso fuoco che ha distrutto i privilegi della regalità. Non vi sorprenderà dunque sapere che egli ha lasciato qualche debito, che la sua vedova non è in condizioni di saldare.
         Vi propongo, Cittadini, di provvedere a ciò che gli è mancato, con una rappresentazione del Burbero benefico. Può darsi che già l'abbiate deciso, poiché questo omaggio alla memoria di Goldoni è degno della vostra liberalità. Questa interessante commedia, ispirata da un grande senso di giustizia e da un eccellente senso morale, non è priva di un rapporto con le nostre circostanze. Ci si forza ad essere burberi, ed è opportuno pertanto non dimenticare che questo carattere non esclude la volontà di far del bene.
         Cittadini, non dovete dubitare che il pubblico possa non affrettarsi a rispondere alla vostra buona intenzione. Voi lo accommiaterete doppiamente soddisfatto, se lo spettacolo si concluderà con una musica che dia solennità a questa sorta d'orazione funebre in onore di Goldoni.
Clavière

         Una nota di Ortolani nel vol. XIV pag. 861 dell’edizione Mondadoriana citata ci fa sapere che "la rappresentazione ebbe luogo il 17 giugno e produsse una somma di 1859 lire e 13 soldi, versata integralmente alla vedova".


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Ultimo aggiornamento: 08 novembre, 1999