Giuseppe Bonghi

Biografia
di
CARLO GOLDONI
(1707-1793)

linecol.gif (2432 byte)

Parte Prima

I.  La giovinezza.

         Carlo Goldoni nasce il 26 febbraio 1707 a Venezia, nel palazzo dei Centani a S. Tomà, da Giulio e da Margherita Savioni; vive un’infanzia movimentata, come d’altronde un po’ tutta la sua vita, diviso tra la madre che viveva a Venezia e il padre che a causa degli impegni di lavoro viveva lontano da Venezia ma sovente lo tiene con sè. Anche il nonno Carlo Alessandro, notaio, aveva abbandonato Venezia, stabilendo il suo ufficio a Modena. Dal nonno (nella cui casa molto spesso si rappresentavano melodrammi e commedie o si esibivano rinomati musicisti) e dal padre, ereditò la passione per il teatro, l'umor gaio e socievole e una certa propensione a spendere. Sin dall'infanzia, su un teatrino di burattini, fatto costruire apposta dal padre in una loggia della casa, si divertiva, a improvvisare commediole.
         Nel 1712 muore il nonno, lasciando molti debiti e una precaria situazione economica, tanto che la famiglia è costretta a tagliare molto le spese. Sono anni difficili, dedicati per lo più allo studio; nei momenti d’ozio si diverte a leggere commedie, soprattutto quelle del Cicognini, che, sebbene cadano spesso nello scurrile, hanno l’arte di divertire e spesso anche di commuovere, tenendo desta l’attenzione del lettore fino allo scioglimento finale. La presenza della madre funge da elemento equilibratore nella vita del piccolo Carlo, che ad imitazione delle letture del Cicognini a nove anni scrive perfino   una commedia per intero, che mandò al padre, che si trovava in Roma e in quel tempo aveva conseguito la laurea in medicina e si porterà a Perugia per esercitarvi la professione.
         A Perugia nell'autunno del 1716 Carlo raggiunge il padre, che lo aveva chiamato presso di sé mosso anche dalla predisposizione dimostrata dal figlio, e per tre anni viene collocato nel collegio dei gesuiti dove studia grammatica e retorica. Durante le vacanze, nel palazzo Antinori, il padre di Goldoni, raccoglie un gruppo di ragazzi e li esercita all’arte della rappresentazione teatrale in una stanza che aveva fatto allestire a mo’ di teatro. Di questo periodo viene ricordata la recita di una nota commedia del Gigli, la sorellina di don Pilone, in cui, giacchè negli stati pontifici era proibito alle donne salire sul palcoscenico, Carlo recita una parte di donna, con esiti molto mediocri. Terminato il corso di Retorica, Goldoni viene inviato nel 1719 dal padre a Rimini, dove studia filosofia nel collegio dei Domenicani sotto la guida del professor Candini, ma la sua attenzione era attirata più dalle opere di Plauto, Terenzio, Menandro e Aristofane che dalla filosofia tomista.
         Ma nel secondo anno conosce una compagnia di Comici, fa amicizia con il capocomico Florindo dei Maccheroni, e specialmente con le giovani attrici veneziane, abbandonando Padre Candini e gli studi di filosofia, e alla fine delle recite fugge nella barca dei comici da Rimini a Chioggia, dove si trovava la madre, troncando per sempre il corso degli studi di filosofia scolastica. La madre gli perdona la scappatella, contenta della sorpresa, e avverte il marito, che si precipita molto adirato a Chioggia da Perugia: ma anche lui cede all’amore per il figlio accordandogli il suo perdono e il permesso di abbandonare gli studi di filosofia. Stabilitosi a Chioggia, il padre lo porta a vedere le rappresentazioni della compagnia di comici, ma lo porta anche con sé a visitare i malati, sperando che questa pratica gli potesse servire per invogliarlo a cominciare gli studi di medicina. Ma la vita a Chioggia e la medicina non garbano molto al giovane Carlo, e la madre ottiene di condurlo con sé a Venezia per fargli seguire un corso di giurisprudenza. Mentre si trova a Venezia e prende qualche pratica nelle leggi nello studio dello zio Indric, uno dei più stimati procuratori della Repubblica, o piuttosto a scarabocchiare intrecci e scene di commedie, un altro parente, il senatore Goldoni di Milano ottiene un posto gratuito per il nipote nel collegio Ghislieri di Pavia, e giacchè i posti gratuiti spettavano solo ai chierici, ecco che il giovane Carlo indossa il collarino e si fa tonsurare facendosi chierico: finalmente il padre lo conduce a Pavia, nel gennaio del 1723.
         Tre anni sarebbero dovuti durare gli studi del diritto civile e canonico presso l'università, benché interrotti dai viaggi a Chioggia nelle vacanze estive (durante uno di questi legge per ben dieci volte la Mandragola di Machiavelli; nel primo anno apprende scherma, ballo, musica, disegno, tanti tipi diversi di giochi, ma ben poco di diritto civile e canonico, con un comportamento da chierico che non può essere definibile propriamente come corretto. Nel secondo anno si impegna un po’ di più negli studi e le vacanze a Chioggia sono molto divertenti, rivelando comunque le sue doti di "teatrante": si mise in un galante burchiello insieme con una diecina di compagni, al par di essi allegri a meraviglia e faceti, i quali per tutto il viaggio, che durò più giorni, non fecero altro che giocare e ridere e cantare e sonare: il Goldoni, per non parer da meno, metteva in versi gli aneddoti che andava offrendo di mano in mano quella pazza brigata, e dopo desinare ne facea la lettura, levando intorno a sé continui scoppi di risa e applausi senza fine. Arrivato a Chioggia, egli non potè dispensarsi dal comporre un panegirico, che doveva essere recitato da un graziosi abatino, il quale godeva la protezione d’una monaca di S. Francesco, amica della madre del Goldoni. Piacque il bel porgere dell’abatino; ma piacque più d’assai il sermone del giovine oratore, il quale ben conoscendo il vezzo di quelle amabili monachette, avea avuto l’accorgimento di apostrofarle con attribuir loro tutte le virtù senza il difetto del bacchettonismo.
         Ma durante il terzo anno accade il fattaccio per cui viene espulso dal collegio Ghislieri. A Pavia era scoppiata una acerrima rivalità tra i collegiali e i ragazzi del luogo, in qualche modo spalleggiati da un certo numero di padri "di buona famiglia", fino ad arrivare a stabilire che qualunque ragazza pavese avesse ricevuto in casa un collegiale o avesse accettato le sue attenzioni, non sarebbe stata richiesta in sposa da nessun ragazzo pavese. Gli "amici" collegiali chiedono allora a Goldoni, che ritengono dotato di estro poetico oltre che singolare capacità di esporre i problemi in modo scherzoso e "goliardico", di scrivere qualcosa sulla situazione che si era venuta a creare: ne nasce una satira mordace e scandalosa per i tempi, Il colosso, una composizione, in cui compariva la gigantesca statua di una donna (pensiamo alla statua di Minerva che si trova all’ingresso di Pavia, una volta superato il ponte sul Po) costituita dal meglio delle grazie fisiche di una dozzina di ragazze pavesi. La vicenda suscita grande scalpore, tanto che Carlo viene espulso vergognosamente dal collegio e minacciato perfino di morte per cui è costretto a fuggire alla chetichella per sottrarsi alle ire dei parenti "delle fanciulle svillaneggiate in quella satira indecente": il segreto promesso dai suoi compagni non aveva resistito che poche ore. Goldoni deve abbandonare i suoi studi e il Ghislieri di Pavia, dove comunque aveva trascorsi tre anni allegri e sereni della sua vita.
In questo periodo pavese il Goldoni comunque matura il suo ingegno leggendo le principali opere del teatro antico e moderno; soprattutto attraverso la lettura di Molière e confrontando le messinscene del comico francese con quelle delle compagnie italiane, sente la inadeguatezza della commedia dell’arte ed ha la prima idea della riforma del teatro nel solco della tradizione di quello classico e di quello francese sul piano della rappresentazione scenica.
         Fuggito da Pavia, con qualche rimorso sulla coscienza e un po’ di rabbia presto dimenticata per il tradimento dei suoi compagni, non ha sul subito il coraggio di presentarsi davanti ai suoi genitori, che già una volta lo avevano perdonato. Si mette allora in viaggio per Roma, con l’intento di diventare l’allievo dell’illustre Gianvincenzo Gravina (ma non sapeva che era morto già dal 1718), per essere da lui indottrinato; ma il borsellino era vuoto come l’incertezza era tanta. Lungo il viaggio un frate lo induce a confessare il tutto e gli promette aiuto, dandogli qualche soldo e accompagnandolo fino a … Chioggia, dove, dopo i soliti rimproveri, gli viene perdonato tutto. Trascorre così due anni seguendo il padre a Udine, a Gorizia e a Vipack, nel castello del conte Lantieri, dove si prova di nuovo a maneggiare i burattini, e a rappresentare Lo starnuto d’Ercole bizzarro componimento di Pierjacopo Martelli, che il Goldoni chiamava La bambocciata.
         Dopo un breve viaggio in Germania, gli viene offerta l’occasione di compiere gli studi giuridici all’Università di Modena; qui assiste a un miserabile spettacolo: sopra un palco eretto in una piazza c’era un uomo colle mani legate e il capo nudo come un delinquente, da molti conosciuto e rispettato per le sue qualità letterarie, mentre un religioso era di fronte a lui con un libro in mano e un altro lo interrogava mentre dalla folla salivano urla e insulti e villane ingiurie: l’uomo era accusato d’aver tentato con "parole scandalose" una donna che amava tanto e dalla quale era stato denunciato. Goldoni viene colto da una forma di malinconia così grave che pensa addirittura di farsi frate e ritorna a Chioggia. Il padre lo accoglie colla solita benevolenza e gli promette di condurlo in un convento di Venezia, ma prima avrebbe avuto piacere di fare visita ai suoi parenti, i quali li invitano chi a mangiare e chi a cenare; fra scherzi e risate e qualche capatina ai teatri in cui si esibivano le compagnie dei comici, in capo a quindici giorni guarisce dalla malinconia e dimentica di farsi frate.
         A ventun'anni si decide a entrare nei pubblici uffici della Repubblica, prima come semplice aggiunto nella Cancelleria penale della podesteria di Chioggia (1728-29) e poi quale coadiutore in quella di Feltre (1729-30), dove s'innamora per la prima volta. Presso il palazzo pretorio di Feltre si trovava una sala da teatro; il Goldoni, formata una compagnia di dilettanti, insieme alla rappresentazione delle opere di Metastasio Didone e Siroe, compone due Intermezzi a tre voci, il Buon vecchio e la Cantatrice, per i quali viene molto festeggiato come attore e come autore. Il primo è andato perduto, ma il secondo, che si conserva col titolo di Pelarina, è stato rimaneggiato in parte da un certo Gori, che finirà col presentarla come opera sua: pur con molte ingenuità, Goldoni mostra fin d'allora una presentazione originale di tipi popolari.
         Nel 1730 il padre di Goldoni ottiene un posto molto lucroso a Bagnocavallo, nella Legazione di Ravenna; nel settembre Carlo raggiunge la famiglia nella nuova residenza, ma qualche mese dopo muore all'improvviso il padre (1731). Riconduce allora la madre a Venezia presso i parenti e riprende lo studio delle leggi; nell'ottobre del '31 ottiene presso l'Università di Padova la laurea dottorale e il 10 maggio dell’anno successivo entra nell'ordine degli avvocati veneziani, accolto con una solenne cerimonia, presentato alla curia in toga e parrucca e con tutte le altre solenni formalità in uso. Mentre attendeva i clienti, che in verità erano assai scarsi, per riempire il tempo e guadagnare qualcosa, si mette a scrivere un almanacco satirico, L'esperienza del passato fatta astrologa del futuro, seguito da un altro che ha un certo successo in tutta Venezia: Esperienza del passato, l’astrologo dell’avvenire, o sia l’Almanacco critico per l’anno 1732, insieme a un melodramma, l'Amalasunta.
         Ma un nuovo amore, nel quale rimane invischiato, produce un'incauta promessa di matrimonio con una giovane allevata nel lusso; le spese che ne conseguono lo sommergono di debiti. Si pente subito, e per raddrizzare la situazione ed evitare l’ultima rovina, rompe la parola data e si persuade ad abbandonare Venezia e a recarsi a Milano, sperando nella povera Amalasunta. È una fuga un po’ penosa e un po’ dolorosa, ma l’estrema soluzione a una situazione dalla quale non sarebbe uscito mai con onore. A Milano viene accolto onorevolmente, ottiene di leggere al "Direttore degli spettacoli" l'Amalasunta, che gli fa toccar con mano che la sua opera, pur non mancando di qualche pregio poetico, non avrebbe potuto essere comunque musicata: in albergo decide così di gettare alle fiamme la sua opera.

II. Il primo periodo dell'attività drammatica.

         Il mattino dopo si reca dal rappresentante della Serenissima a Milano, Orazio Bartolini, raccontandogli l’episodio dell’Amalasunta; il racconto diverte molto, tanto che il nobiluomo lo accoglie presso di sé come gentiluomo di camera, dandogli di tanto in tanto qualche impegno di poco conto. Nell’ozio determinato dalla carica conosce Bonafede Vitali da Parma, famoso medico e cantambanco, che si faceva chiamare l’Anonimo e dilettandosi di teatro manteneva a sue spese una compagnia di attori. Spinto da questa conoscenza compone l’intermezzo a due voci per musica Gli sdegni amorosi tra Bettina putta de campielo e Buleghin barcariol venezian titolo abbreviato poi in quello di Il gondolier veneziano, la sua prima opera giocosa che fosse rappresentata e poi stampata. In questa farsetta a due sole voci traspare già, anche se in modo frammentario e limitato, timidamente il realismo goldoniano.
         L'invasione delle armi franco-piemontesi in Lombardia nell’autunno del 1733, che fecero perdere all’Austria i possedimenti in Italia, interruppero quei piccoli tentativi teatrali, fra i quali una tragicommedia, il Belisario e costrinse il residente veneto Bartolini, di cui il Goldoni era divenuto segretario, a portarsi a Crema, da dove partivano i dispacci da spedire al Senato veneziano circa le mosse degli eserciti belligeranti, che il Goldoni stesso preparava. Ma dopo qualche mese le cose precipitarono e Goldoni, per un malinteso che racconta nel cap. XXXI della prima parte delle memorie, dà le sue dimissioni. Siamo nel 1734; ancora una volta riparte con la borsa vuota, che contiene solo un’opera, il Belisario, che aveva promesso all'attore Gaetano Casali. Dopo avventurose peregrinazioni per l'Emilia e la Lombardia, incontra per caso a Verona il Casali che recitava in quell'Arena con la compagnia veneziana del teatro di S. Samuele, diretta da Giuseppe Imer; fatta amicizia col capocomico e tornato con lui a Venezia, si impegna a scrivere per i teatri di cui era proprietario il nobile Michele Grimani.
         Qui comincia propriamente, nell'autunno del 1734, il primo periodo dell'opera artistica del Goldoni che dura fino alla primavera del 1743: un decennio di preparazione, durante il quale egli saggia le proprie forze in ogni genere di componimenti teatrali. Il primo trionfo del Goldoni sui teatri veneziani è proprio la recita del Belisario al S. Samuele il 24 novembre 1734, una recita che dura per venti giorni fino al 14 dicembre, per essere ripresa alla chiusura del carnevale dell’anno successivo. Era una trgicommedia popolare che commosse il pubblico che affollava la platea e legò indissolubilmente al teatro il Goldoni che fu indotto da questo primo successo a scrivere altre noiose tragicommedie di soggetto popolare, in versi endecasillabi (Griselda, Don Giovanni, Rinaldo); mentre nelle farsette per musica che le accompagnavano possiamo cogliere qua e là il suo genio comico.
         Gl'Intermezzi, nati al principio del Settecento insieme all'Opera buffa napoletana, noti anche nei teatri romani, dopo il 1730 furono introdotti a Venezia dal capocomico Imer nel teatro comico di S. Samuele, introducendoli fra un atto e l'altro nella recita delle tragedie e dei drammi. Sette ne compose fra il Goldoni 1734 e il 1736, e venivano cantati dall'Imer stesso, da Zanotta Casanova, madre dell'avventuriere, da Agnese, detta "delle serenate", e talvolta anche dalla Passalacqua. Nella Birba, in Monsignor Petiton, nella Bottega da caffè e nell'Amante Cabala l'autore diede maggior sviluppo all'Intermezzo, e maggiore naturalezza, vivacità e colore all'azione, ai caratteri, al dialogo. Graziose le arie; abili a vivaci soprattutto i finali. Il dialetto della laguna, facile e pittoresco, precorre nelle scene popolari le argute cadenze del Campiello, delle Massère e delle Morbinose. La novità degli intermezzi servì ad attirare un numero sempre più vasto di spettatori.
         Nel 1736 la compagnia del San Samuele deve trascorrere la primavera a Genova per una serie di recite al teatro Falcone e il direttore Imer decide di portare con sé anche Goldoni. Proprio a Genova avviene uno dei fatti più importanti nella vita del nostro autore: in poche settimane si innamora e si sposa con Nicoletta Conio, giovane figlia d'un notaio, nell'ottobre la porta a Venezia. Fu un matrimonio felice, sebbene senza figli, d'una felicità uguale e calma. Così narra questo momento della sua vita nelle sue Memorie:

         Il direttore ed io avevamo alloggio in una casa attigua al teatro. Avevo visto alle finestre dirimpetto alle mie una giovane che mi pareva bellina, e avevo voglia di conoscerla. Un giorno che era sola la salutai teneramente; lei mi fece una riverenza e scomparve subito, né più si lasciò vedere.
         Eccomi punto nella curiosità e nell'amor proprio; cerco di sapere chi sta di casa dirimpetto al mio alloggio: è il signor Conio, notaio del collegio di Genova, uno dei quattro notai deputati al banco di San Giorgio: rispettabile uomo, e ricco; ma che, per avere una famiglia numerosissima, non era agiato come avrebbe dovuto essere.
         Bene, voglio far la conoscenza del signor Conio; sapevo che Imer aveva degli effetti di quel banco, provenienti dall'affitto dei palchi, e che li negoziava sul posto con agenti di cambio; lo pregai di darmi uno di quegli effetti, il che fece senza farsi pregare; e andai al banco di San Giorgio a presentarlo al signor Conio, approfittando dell'occasione per saggiarne il carattere.
         Trovai il notaio circondato di gente; aspettai che fosse solo, mi accostai al suo scrittoio e lo pregai di cortesemente farmi rimborsare il valore dell'effetto. Quel brav'uomo mi accolse gentilmente, ma mi disse che m'ero sbagliato: che quei biglietti non si pagavano alla banca, ma che qualsiasi agente di cambio o qualsiasi negoziante me lo avrebbe pagato immediatamente. Mi scusai dicendo che ero forestiero, che ero suo vicino... Volevo dirgli parecchie cose, ma l'ora era tarda, mi domandò licenza di poter chiudere l'ufficio e mi disse che avremmo chiacchierato strada facendo.
         Uscimmo insieme; lui mi propone di prendere un caffè, aspettando l'ora del pranzo; accetto, in Italia si piglian dieci tazze di caffè al giorno. Entriamo da un caffettiere, e siccome il signor Conio m'aveva visto insieme agli attori, mi domandò che parti sostenevo nella commedia.
         - Signore, - gli dissi, - la vostra domanda non mi offende, chicchessia si sarebbe sbagliato come voi.
         Gli dissi chi ero e che cosa facevo; lui si scusò, gli piaceva il teatro, ci andava spesso, aveva visto i miei lavori, era felice di aver fatto la mia conoscenza, e così io di aver fatto la sua. Eccoci amici; lui veniva da me, io andavo da lui vedevo la signorina Conio, ogni giorno più mi pareva piena di grazie e di virtù. In capo a un mese domandai al Conio la mano di sua figlia.
         Non se ne meravigliò, s'era accorto della mia inclinazione, e non temeva un rifiuto da parte della ragazza; ma da quell'uomo savio e prudente che era mi domandò tempo, e fece scrivere al console di Genova a Venezia per avere informazioni sul mio conto. La dilazione mi sembrò ragionevole, anch'io scrissi nel medesimo tempo comunicando il progetto a mia madre: le feci un ritratto della mia bella, e la pregai di mandarmi immediatamente tutti i certificati necessari in simile occasione.
         In capo a un mese ricevetti il consenso di mia madre e le carte richieste; alcuni giorni dopo il signor Conio ricevette le più lusinghiere testimonianze in mio favore. Il matrimonio fu stabilito per il mese di luglio, la dote fissata e il contratto firmato. (Il matrimonio venne celebrato il 22 agosto 1736, ndr.)

         Imer non ne sapeva niente; avevo le mie buone ragioni per temere che ostacolasse la mia idea: infatti fu dispiacentissimo, doveva passar l'estate a Firenze e bisognava bene che ci andasse senza di me. Tuttavia gli promisi che non avrei lasciato la compagnia, che avrei lavorato per Venezia e che mi ci sarei trovato a tempo; e gli tenni la parola.
Eccomi il più contento uomo del mondo, il più beato; ma potevo forse avere una soddisfazione senza che fosse seguita da un dispiacere? La prima notte di matrimonio ecco che mi piglia la febbre, e il vaiuolo che già avevo avuto a Rimini da ragazzo viene ad attaccarmi per la seconda volta. Pazienza! per fortuna non era pericoloso, e non diventai più brutto di quello che ero. La mia povera sposina pianse molto al mio capezzale, era la mia consolazione e tale è sempre stata.
Finalmente partimmo, la mia sposa ed io, per Venezia, ai primi di settembre. Cielo! quante lagrime sparse, che crudele separazione per mia moglie! doveva lasciare di colpo padre, madre, fratelli, sorelle, zii e zie... Ma se ne andava con suo marito.

         … Giunto a Venezia con la moglie, la presentai a mia mamma e alla zia; mia madre fu deliziata dalla dolcezza della nuora, e mia zia, che pur non era facile, divenne amicissima della nipote. Era una cara famiglia, la pace ci regnava, io ero il più felice uomo del mondo.

         L’anno dopo al Goldoni ormai trentenne, che già dirigeva gli spettacoli musicali del teatro di S. Samuele per la fiera dell'Ascensione, viene affidata anche la direzione del teatro d'opera di S. Giovanni Grisostomo.
         Il 1738 è stato il primo anno importante nella vita artistica del Goldoni. Insieme col famoso "truffaldino" Antonio Sacchi che interpretava la parte di Arlecchino, entra nella compagnia Imer il "pantalone " Golinetti, che recitava molto bene con la faccia scoperta; è con essi che il Goldoni tenta una strada nuova per il teatro, nel tentativo di abbandonare la commedia dell’arte e di improvvisazione, scrivendo le varie scene che gli attori avrebbero dovuto poi imparare a memoria. Compone, anche se non per intero, la sua prima commedia di carattere, Mòmolo cortesan (carnevale 1738-39), e porta sulla scena un personaggio vivo quale da tempo il teatro comico italiano, non conosceva, gioviale rappresentante della sana borghesia delle lagune venete. Incoraggiato dal buon esito, prepara per il carnevale dell’anno successivo (1740) un'altra commedia, Momolo sulla Brenta, ossia il Prodigo, che colpiva un vizio comune nel Settecento, ma più fatale alla nobiltà veneziana. Meno felice artisticamente riuscì l'anno dopo il Mercante fallito, ossia la Bancarotta.
         L’idea riformatrice del Goldoni era semplice: occorreva eliminare dalla scena quelle stranezze, quelle battute grossolane e scurrili, quei concetti espressi chiaramente a sproposito, che molto spesso servivano agli attori per riprendere il ritmo della rappresentazione interrotto da qualche difficoltà che interviene naturale quando si recita a braccia seguendo solo un canovaccio. Scrivendo il testo della commedia non si può più tradire l’intenzione dello scrittore né si possono cambiare durante la rappresentazione le vicende preparate per formare o condurre l’intreccio. Ma Goldoni si rende anche conto che questo nuovo "gusto" della commedia, che nasce dalla regolarità dell’azione, può essere introdotto solo a poco a poco, perché tutti sono troppo abituati al vecchio modo di far commedia e di "divertirsi" in teatro.
         Nell'estate del 1740, essendo morto a Venezia il console (una sorta di ambasciatore) della repubblica di Genova, il Goldoni ottiene con l’interessamento dei parenti della moglie, quell'onorifico ufficio, che disimpegnerà con cura, ma che fin dal gennaio lo distoglierà dal teatro e lo ingolferà in molte noie e spese senza nessun compenso. Nascono in questo periodo il melodramma Oronte, la commedia in tre atti La bancarotta, che riscuote un buon successo, La donna di garbo, che verrà recitata solo quattro anni più tardi, L’Impostore una commedia senza attrici (nata da un raggiro in cui cade l’autore ad opera di un avventuriero, facilitato anche dal comportamento del fratello Giovanni semplicemente infatuato dall’avventuriero che aveva promesso a Giovanni un posto di capitano e a Carlo un posto di giudice nel piccolo esercito che stava reclutando per una, a suo dire, grande potenza e che gli costa ben seimila lire, una cifra considerevole ai tempi, che rappresentava quasi tutti i suoi averi), e il canovaccio della commedia dell’arte Arlecchino imperatore nel mondo della. La disavventura lo costringe, lasciando un sostituto al suo posto, a scappare da Venezia, insieme alla moglie, lasciando a mezzo le prove della Donna di garbo.
         La fuga lo porta prima a Bologna e poi a Rimini, dove ricomincia a vivere in una certa agiatezza, riprendendosi dallo smacco delle seimila lire. Ma purtroppo una nuova sciagura si abbatte sul suo capo: una nuova guerra; ma anche questa nuova vicissitudine viene superata. Parte allora per la Toscana, trattenendosi a Firenze per quattro mesi e vivendo per un po’ anche a Pisa, dove si fa molti amici, che lo portano a rivestire l’abito d’avvocato, quando all’improvviso gli arriva da Venezia una lettera dell’Antonio Sacchi proponendogli il soggetto di una nuova commedia (Il servitore di due padroni): di giorno lavorava come avvocato e di sera come commediografo. La commedia riscuote un enorme successo, tanto che gliene viene chiesta un’altra: nasce il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato, che gli dà una grande notorietà anche fuori dall’Italia, soprattutto in Francia. A Pisa conosce il giovane attore Darbes, della compagnia comica che in quel tempo recitava a Livorno ed era diretta da Medebac: per lui Goldoni scrive Tonin bella grazia, sul modello di una vecchia commedia dell’arte (Pantalon paroncin). Intanto anche Medebac si presenta al Goldoni e ottiene di rappresentare La donna di garbo. Nasce da qui il sodalizio del commediografo con la compagnia di Medebac. Il Goldoni si decide; e ripassa l'Appennino nell'aprile del 1748, con un lusinghiero contratto, che gli avrebbe permesso di condurre una vita decorosa.

III. Il Goldoni al teatro di  S. Angelo con la compagnia Medebac.

         Nel settembre, dopo cinque anni di assenza, rivede Venezia. Il 1748 è indubbiamente l'anno più importante nella vita del Goldoni e nella storia del teatro comico italiano. La sera di S. Stefano, 26 dicembre, i Veneziani che gremivano la platea e i palchi del Sant’Angelo applaudivano al trionfo di Rosaura (rappresentata dalla signora Medebac), la Vedova scaltra, circondata dai suoi quattro cavalieri: commedia fatta veramente di riso senza intrusione di elementi romanzeschi. Non era certo un capolavoro, ché l'artificio era troppo visibile; ma in qualche squarcio sia dei dialoghi che dello scenario vi appare realistica la vita del Settecento. Nel febbraio del 1749 altri applausi salutano la Putta onorata, prima commedia goldoniana di costume popolare, in dialetto. Qui i difetti sono maggiori, anche se è presente una ventata d'arte fresca e originale; in certi momenti commedia e vita si armonizzano su un fondo di letizia e di meraviglia, mentre sul palcoscenico si sente parlare l'antica Venezia con la voce del suo popolo.
         Cominciava così la straordinaria attività che durerà fino al 1762. Riuscita bene la prova del primo anno comico, il Goldoni si lega, come abbiamo detto, alla compagnia di Girolamo Medebac per quattro anni con l'obbligo di comporre per ciascun anno ben dieci opere fra commedie di carattere, commedie a soggetto e tragicommedie, col compenso annuo di 450 ducati da lire 6 e soldi 4 (pari a lire venete 3484). Nell'autunno del 1749, dopo che con successo La putta onorata aveva chiuso l’annata precedente e aperta quella in corso, per quindici sere di seguito si recita il Cavaliere e la dama, nella quale la satira, precorrendo il Parini di quasi tre lustri, osava toccare nel vivo, di là dal cicisbeismo, la nobiltà. Ma non tutto fila via liscio: i teatri a Venezia erano ben sette, e tutti erano in feroce concorrenza fra loro; è in questo periodo che, in un’atmosfera di concorrenza sfrenata di immagine, di poetica e di morale, oltre che economica,  sorge il suo primo grande nemico, l’abate Piero Chiari, che negli stessi giorni in cui Goldoni riscuote un grande successo, al teatro San Samuele viene rappresentata La scuola delle vedove, una specie di parodia della Vedova scaltra, dalla quale differisce solo nei dialoghi, pieni di "invettive e di insulti" contro Goldoni e gli attori della compagnia Medebac. A questo attacco Goldoni risponde con un opuscolo di difesa, stampato in tremila copie (una enormità per i tempi), il Prologo apologetico della vedova scaltra, in forma dialogata con tre interlocutori, che viene distribuito nei caffè e nei ritrovi di nobili e popolani: l’effetto è il ritiro dalle scene dell’opera del Chiari per ordine delle autorità.
         Di questo periodo è La Famiglia dell'antiquario, ossia la Suocera e la nuora, la prima vera grande commedia goldoniana, superiore a tutte quelle che l’anno preceduta, benché i diversi elementi che la compongono, come afferma qualche critico, non si fondano in perfetta unità; ma il Settecento circola, sorridendo, nei personaggi, nel dialogo, nell'azione, con qualche nota non sappiamo se di riso o di pianto, della follia umana. Le novità apportate da Goldoni non sono ben accette:

         Diventano anzi oggetto di discussioni vive e di fosche previsioni per l’arte goldoniana, tanto più che la compagnia perde il bravissimo Darbes, che doveva recarsi in Polonia, su richiesta alla Repubblica veneta del ministro di Sassonia, e l’ultima commedia, L’erede fortunata, non è affatto fortunata e fa fiasco, tanto che per l’anno successivo vengono rifiutati perfino i palchi del teatro.
         Nel carnevale del '50, di fronte ai maligni che per una recita disgraziata andavano predicando la sua prossima fine, il Goldoni lancia come sfida la promessa delle sedici commedie per il nuovo anno, mentre a sostituire il Darbes arriva da Vicenza Antonio Mattiuzzi detto il Collalto. La stagione autunnale si apre col Teatro comico, in cui Goldoni espone il suo programma artistico in una specie di colloquio del Medebac con gli attori della propria compagnia e, si direbbe, col pubblico. Tra le più belle citiamo: La bottega del caffè, La famiglia dell’antiquario, I pettegolezzi delle donne; ricompare nelle Femmine puntigliose la satira sui frolli conti e sulle pettegole contesse; sulla soglia della Bottega del caffè, assistiamo all'immortale maldicente, don Marzio, che sogghigna immobile mentre insorgono contro di lui tutte le voci della calle e del campiello; ecco, più vivo che mai, il buon Pantalone con gli occhi stupiti puntati su Lelio suo figliuolo che gli snocciola in poco più di un'ora le più stravaganti bugie (Il Bugiardo); ecco Pamela che lascia cadere una lagrima d'amore sulla mano del cavaliere, suo padrone; ecco infine un'altra calle veneziana, piena del chiacchierio e urlio della Checca, della Sgualda, dell'Anzoletta, della Cate, nel primo capolavoro di costumi popolari, intorbidato leggermente da un rimasuglio di romanzo (I Pettegolezzi delle donne); ecco La finta ammalata, in cui la protagonista nella vita reale è la stessa attrice signora Medebac, donna capricciosa e spesso malata, molto spesso in modo immaginario, che guariva all’improvviso quando si tentava di affidare la sua parte a un’attrice di secondo piano: la Medebac stessa la rappresentò alla perfezione, e forse non poteva essere altrimenti. Quando la sera del martedì grasso del 1751 cala la tela su quel pittoresco tumulto, strappato dall'arte alla vita, il pubblico del Sant'Angelo tra le acclamazioni, porta in trionfo al Ridotto l'autore delle sedici commedie. Intanto nello stesso anno coi tipi del libraio Bettinelli esce il primo volume a stampa delle commedie.
         Nei due ultimi anni del contratto col Medebac, il Goldoni crea, ancora per la sensibile "Rosaura" Medebac, quella forte scena, di sapore tutto moderno, in cui la Moglie saggia affronta nella sua casa e confonde la propria rivale. Tra le ultime opere per il Medebac compone la Serva amorosa, che ha sempre avuto successo, fino ai giorni nostri, nei teatri di   tutta Italia; e infine entra nel regno dell'arte Mirandolina (La Locandiera), rappresentata il 26 dicembre 1752, una commedia scritta per Corallina.
         Vedendo che la prima donna non era in grado di comparire in scena, per l’apertura del Carnevale composi una commedia per la servetta. La signora Medebac si fece vedere in piedi e in salute il giorno di Natale; ma quando seppe che il giorno dopo era stata affissa La locandiera, nuova commedia scritta per Corallina, andò a rimettersi a letto, con convulsioni inedite che facevan disperare sua madre, il marito, i parenti e i servi.
         Chi è Mirandolina? È l'astuta veneziana dal Goldoni conosciuta a Milano, o la bolognese Ferramonti, o la Passalacqua napoletana, o Anna Baccherini, la "servetta" fiorentina? Forse è tutte queste; ma è più di tutte Maddalena Marliani. È la donna del Settecento, spiritosa e imperiosa, che si tira dietro sciami di cicisbei; è la donna di tutti i tempi, innamorata e gelosa del suo potere femminile; è infine Mirandolina, che continua a cantare e stirare di generazione in generazione nella locanda goldoniana, sorridendo alle sue gloriose interpreti, ad Anna Pellandi, a Carlotta Marchionni, alla Ristori, alla Tessero, alla Reiter, alla Duse, passando qualche volta le Alpi per vestire alla tedesca, alla polacca, all'inglese, alla portoghese, alla giapponese, alla russa: Mirandolina, la figura di donna più viva di tutto il teatro goldoniano. Nessun'altra commedia di Goldoni vanta un così grande numero di traduttori. "L’esito della commedia, scrive lo stesso Goldoni,   fu così brillante che la si collocò a pari o addirittura al di sopra di tutto quanto avevo scritto in quel genere, nel quale l’arte supplisce all’interesse
         Alla compagnia del teatro di Sant'Angelo era venuta negli ultimi mesi ad aggiungersi la "servetta" Maddalena Marliani detta Corallina, moglie del Brighella: spirito di donna indiavolato, nata per far ammattire il marito (dal quale vive separata per tre anni per inseguire le sue fantasie) e far ingelosire la prima attrice Teodora Medebac. E il Goldoni che, come egli stesso più d'una volta ha confessato, soleva scrivere le sue opere teatrali "col carattere sotto gli occhi di quegli che dovevano rappresentarle", approfittando delle frequenti assenze di Rosaura Medebac dal palcoscenico per la sua cagionevole salute, lasciando il posto alla Marliani la Castalda, crea per questa la parte di "siora Lucrezia" nelle Donne gelose, commedia "veneziana venezianissima", come la chiamò l'autore, dove il dialetto di Rialto scintilla di arguzie e di colori nuovi nella recitazione di Corallina Marliani, la più curiosa delle Donne curiose.
         Ma intanto il rapporto col Medebac si andava deteriorando per una certa avidità del capocomico, che aveva sfruttato il gran talento del Goldoni, acquisendo molte più commedie di quante gli sarebbero spettate secondo contratto, dandogli in cambio qualche complimento e nulla più, tenendosi ben stretti i guadagni, fino ad appropriarsi dei proventi della pubblicazione delle opere, affermando che quelle commedie gli eran dovute, perché lui aveva pagato quanto pattuito, per cui era legittimo reclamare la proprietà e i diritti d’autore anche sulla pubblicazione a stampa che il Goldoni intrapresa col Bettinelli, della quale erano usciti i primi due volumi (Bettinelli ne pubblicherà complessivamente otto di cui solo i primi tre erano curati dall’autore). Per stampare la sua opera, Goldoni allora abbandona tutto e si mette d’accordo col libraio Paperini di Firenze presso il quale dal 1753 al 1757 usciranno cinquanta commedie in dieci volumi. Medebac riesce ad ottenere il divieto di vendita nello stato veneziano, ma questo non avrà effetto e le copie verranno vendute sotto gli occhi di tutti.


Biblioteca
goldoni.jpg (2104 byte)
Progetto Goldoni

Fausernet

© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: Giuseppe Bonghi - bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 07 novembre, 1999