Giuseppe Bonghi
Biografia
di
CESARE BECCARIA
Biografia
Discendente da
una nobilissima famiglia di pavia, che nei tempi medievali aveva
sostenuto e rappresentato in quella città il partito ghibellino
e dalla quale era stata scacciata alla fine del XIV secolo,
Cesare Beccaria Bonesana nasce a Milano il 17 marzo 1738 dal
marchese Giovanni Saverio Beccaria-Bonesana e da donna Maria dei
Visconti di Saliceto. Comincia i suoi studi nel Collegio dei
Nobili di Parma, lo stesso che aveva ospitato Pietro Verri, sotto
la guida dei Gesuiti senza essere un allievo brillante, come
scrive egli stesso al Morellet, traduttore della sua opera in
francese. Uscito dal collegio si iscrive all'Università di
Pavia, laureandosi in Giurisprudenza nel 1758 (laurea di Doctor
in utroque). Due anni più tardi conosce Pietro Verri ed
inizia a frequentarne il cenacolo culturale, appassionandosi alla
filosofia e alle idee illuministe; contemporaneamente si
allontana da casa, data l'opposizione della famiglia al suo amore
per Teresa Blasco.
Nel 1761 sposa,
contro il volere dei genitori, Teresa de Blasio (Blasco secondo
altri), figlia del tenente colonnello degli ingegneri nella armata
d'Italia, dalla quale ebbe due figlie, nel 1761 Maria e nel
1762 Giulia, che andrà sposa nel 1782 al nobile Pietro Manzoni e
sarà madre di Alessandro Manzoni. Siccome il padre
desiderava per il figlio un matrimonio altolocato oltre che
ricco, avversa aspramente questo amore, credendo indecorosa
quest'unione per il suo casato nobile e illustre, fino a
ricorrere al Governo, usando il diritto di patria potestà che i
nobili conservavano fin dal tempo medievale, chiedendo che il
figlio fosse imprigionato. Vano si rivela l'intervento del Duca
di Modena, che allora era Governatore di Milano, che nella
vicenda fa intervenire come paciere il marchese Stampa-Soncino:
la pace resta impossibile.
Il successivo
intervento del tenente colonnello De Blasio servirà comunque ad
ottenere dalla regina Maria Teresa d'Austria la grazia per
Cesare, che così viene liberato da una vergognosa prigionia e
può unirsi in matrimonio con l'amata Teresa, matrimonio che ha
luogo nel 1760, al quale il padre noninterverrà, limitandosi a
fornire al figlio gli alimenti secondo quanto era sancito dalle
leggi, che gli permettono appena di sopravvivere: "un
assegnamento col quale non ha pane", scriverà Pietro Verri
al fratello Alessandro in una lettera del 1762.
Il contrasto col
padre venne risanato comunque nel 1762 per intervento di Pietro
Verri, che nel frattempo era divenuto grande amico di Cesare
insieme al fratello Alessandro e ad altri importanti illuministi
milanesi del tempo, con uno stratagemma: vista l'ostinazione di
Giovan Saverio Beccaria nel non voler accettare le scuse
umilianti che il figlio gli porgeva con ripetute lettere, e
affermando pubblicamente che mai ardisse il figlio di presentarsi
dinanzi a lui, il Verri decide di introdurre senza preavviso il
giovane Beccaria in casa del padre insieme alla moglie. Questo il
racconto che ne fa il Verri stesso in una lettera al fratello
Alessandro:
"Il marchese padre e la madre seppi che erano buona gente; mi parve che tutto l'impegno venisse dal zio (don Nicola Beccaria, ndr.) e che un passo dopo l'altro, avendo spinto le cose all'eccesso, non avevano il coraggio di rientrare in loro stessi. Concepii l'idea di una sorpresa. Bisognava cogliere tutta la famiglia radunata. Dunque l'ora di pranzo. Bisognava togliere ogni appiglio che volgesse in senso d'una violenza quell'azione e percuiò disposi che andasse disarmato, senza spada. Bisognava pensare al personaggio che doveva rappresentare la moglie, e destinai che ella, come trascinata dal marito, fingesse uno svenimento sulla prima sedia che avesse trovata nella stanza dove era la famiglia. Disposi due lettere, nella quali Beccaria dava parte al ministro plenipotenziario ed al presidente del senato della risoluzione che prendeva di gettarsi ai piedi del padre, e disposi che le dovesse contemporaneamente portare nel momento dell'azione, affine di prevenire ogni accidente. Disposi il discorso che Beccaria doveva fare di scusa, umiliazione e preghiera. I pochi mobili e vestiti disposi di sottrarli dalla casa, acciocchè non venissero sequestrati per il fitto di essa. Tutto fu condotto col maggior segreto. Persuasi lui della necessità di farlo, lei sulla medesima e sulla convenienza di far sembiante che, essendo chiesta dal marito di fare una passeggiata, trovandosi davanti la casa, l'abbia quasi a forza dovuto seguitare. Insomma l'impresa è riuscita bene, la sorpresa fece il suo effetto, e la natura soffocò l'arte, e con lacrime, abbracci e cordialità fu accolto e collocato colla moglie nella casa paterna, tratto dall'inquietudine di vivere.
Nel 1762,
all'età di ventiquattro anni, Beccaria pubblica la sua prima
opera, "colle stampe di Lucca", alcune osservazioni
intitolate Del disordine e de' rimedii delle monete nello
Stato di Milano, che ha il merito soprattutto di farlo
conoscere al mondo intellettuale milanese; nell'opera mira a
mettere a nudo i difetti del sistema di monetazione allora in
vigore e a prospettare qualche soluzione per correggerne i
difetti, insistendo sul principio che non occorre alterare il
valore delle monete, calcolabile in base alla quantità di oro
posseduta dallo Stato e non in base anche alla quantità di lega
aurea che veniva utilizzata per coniare le monete stesse.
L'opuscolo dà
origine a una piccola controversia, animata dal marchese Carpani,
che dà alle stampe Una risposta ad un amico sopra le monete,
ancor prima che l'opuscolo uscisse, tanto che al Beccaria arriva
la censura che ne impedisce la pubblicazione entro i confini
dello Stato Milanese, per cui viene pubblicato, come abbiamo
detto, nel mese di luglio a Lucca nella tipografia di Vincenzo
Giuntini. Alle contestazioni del marchese Carpani rispondono i
due Verri, ALessandro con un'ironica Riflessione in punto di
ragione sopra il Libro dei disordini e dei rimedii delle monete
dello Stato, e Pietro con un volumetto edito a Lugano
intitolato Gran Zoroastro, ossia astrologiche osservazioni sui
principii della scienza monetaria in soccorso della Risposta ad
un amico. Dopo la pubblicazione resta un dato storico: dal
1763 in Lombardia quella riforma monetaria che verrà portata a
compimento nel 1778 sotto la guida dello stesso Beccaria.
Nel 1763, esortato dai fratelli Verri comincia ad interessarsi di problemi sociali e giudiziari, in special modo delle condizioni della giurisdizione penale del tempo e dei metodi dell'inquisizione criminale delle torture, di cui nulla conosceva, ma che Alessandro Verri conosceva bene, in quanto protettore dei carcerati, e a raccogliere le sue impressioni per iscritto, che nel contempo venivano dibattute e approfondite nelle conversazioni con gli stessi Verri ed altri amici, come il Lambertenghi, che collaboreranno al "Caffè" e che fanno parte dell'Accademia dei Pugni, che lo stimolano e gli danno utili suggerimenti anche in ordine alla divisione degli argomenti. Dal marzo 1763 al gennaio 1764, per dieci mesi, durano le discussioni e i dibattiti non solo sulle idee ma anche sullo stile; il risultato è la pubblicazione del suo capolavoro, il trattato Dei delitti e delle pene, che esce nel 1764 a Livorno, coi tipi del signor Aubert, che aveva stampato le Meditazioni sulla felicità di Pietro Verri. L'opera ottiene subito un grande successo in Toscana, tanto che la prima edizione, uscita in giugno, viene esaurita in soli tre mesi, e ad agosto non se ne trova in giro più una copia, ancor prima che se ne sentisse parlare nei circoli culturali di Milano. Era ciò che beccaria e i Verri aspettavano: dopo gli applausi della Toscana, anche in Milano l'opera, che pur conteneva una certa pericolosità per le idee progressiste e di condanna della pena di morte, non avrebbe potuto raccogliere dissensi
Lo
straordinario successo dell'opera, mette l'autore in una
situazione difficile, dato il suo carattere schivo e
fondamentalmente debole, durante la quale gli furono di grande
aiuto i fratelli Verri, che intervennero in suo favore con uno
scritto contro le accuse che gli erano state lanciate, in
particolar modo di offesa alla religione e di mancanza del
rispetto che è dovuto all'autorità del principe, che gli erano
state rivolte dal padre vallombrosano Ferdinando Facchinei, che
aveva ricevuto "dal Consiglio dei Dieci a Venezia l'incarico
di combattere con un apposito scritto le dottrine di Cesare
Beccaria, specialmente in riguardo all'abolizione della tortura e
della pena di morte. Ed il monaco compose alcune scipitissime sue
note e osservazioni, a cui Beccaria ebbe a rispondere subitamente
nell'ottobre di quell'anno".
In questo periodo
collabora attivamente anche con la pubblicazione di molti
articoli la rivista "Il Caffè", che comincia le
sue pubblicazioni nel giugno 1764 uscendo con una cadenza di
dieci giorni e durerà fino al maggio 1766: due anni ricchi di
animazione culturale e di contributi originali di idee. La
rivista viene così chiamata perché si finge di trascrivere le
conversazioni, le discussioni e i racconti che venivano narrati
in una bottega da caffè, di proprietà di una certo Demetrio, un
greco saggio e di intelligenza pronta che si era trasferito a
Milano. Nell'editoriale così scrive il Verri a nome di Demetrio:
"in essa bottega chi vuol leggere trova sempre i fogli di
novelle politiche... in essa bottega chi vuol leggere trova per
suo uso il Giornale Enciclopedico e l'Estratto della
Letteratura Europea e simili buone raccolte di novelle
interessanti, le quali fanno che gli uomini che in prima erano
romani, fiorentini, genovesi o lombardi, ora sieno tutti presso a
poco europei; in essa bottega v'è di più un buon atlante, che
decide le questioni che nascono nelle nuove politiche; in essa
bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli,
altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta
sul serio; ed io, che per naturale inclinazione parlo poco, mi
son compiaciuto di registrare tutte le scene interessanti che vi
vedo accadere, e tutt'i discorsi che vi ascolto degni da
registrarsi; e siccome mi trovo d'averne già messi in ordine
vari, così li do alle stampe col titolo "Il Caffè",
poiché appunto son nati in una bottega da caffè". I primi
articoli del Beccaria riguardano un frammento sulla natura dello
stile, un discorso sulle opere periodiche (che verrà tradotto e
riprodotto a Parigi nel tomo VIII della Gazzetta letteraria),
un altro sui piaceri dell'immaginazione. Con la nomina di Pietro
Verri nel consiglio supremo di economia, "Il caffè"
chiude i battenti in concomitanza col viaggio di Alessandro Verri
e dello stesso Beccaria a Parigi.
Intanto col susseguirsi delle edizioni, l'opera comincia ad
ottenere anche il plauso dei filosofi e dei giuristi stranieri,
come D'Alembert e il Duca di Wurtemberg, che gli scrivono lettere
piene di lodi. Nel 1766 l'abate André Morellet, nato a Lione nel
1727 e celebre a Parigi come polemista e scrittore di vivissimo
ingegno, traduce l'opera in francese e la divulga fra gli
intellettuali parigini insieme al D'Alembert, che invitano il
Beccaria a Parigi, viaggio che viene effettuato in quello stesso
anno in compagnia di Alessandro Verri.
Ma il viaggio si
risolve in un mezzo disastro per il Nostro autore per il suo
carattere schivo e irresoluto, talvolta pauroso delle novità, e
soprattutto per la sua profonda gelosia nei confronti della
moglie, colla quale da un po' di tempo i rapporti si erano andati
raffreddando per il carattere alquanto allegro e leggero della
donna, che cominciò a frequentare i salotti milanesi e forse
anche a tradire l'amore per Cesare. A proposito della presenza a
Parigi di Beccaria, così scrive il Morellet nelle sue memorie:
Il Beccaria fu ricevuto con ogni sollecitudine immaginabile in tutte le nostre compagnie... Tosto però avemmo una triste esperienza delle debolezze umane. Il Beccaria erasi strappato dal fianco di una giovane sposa di cui era geloso, sentimento che lo avrebbe condotto a ricalcare le orme ancor fresche tornando da Lione a Milano, se l'amico (Alessandro Verri) non l'avesse con sé strascinato. Finalmente arriva e non se ne può cavare quattro parole. L'amico suo per contrario, di figura avvenente, d'indole facile e gaia, che pigliava piacere a tutto, in breve raccolse le cure e le finezze di tutti. Questo finì per far girare il capo al povero Beccaria, il quale, dopo aver passato tre settimane o un mese in Parigi, se ne andò soletto. Verso la fine della sua dimora nella nostra città la testa e l'umore erano in lui così alterati, ch'egli restava tutto il giorno confinato in albergo, dove mio fratello ed io ci recavamo per tenergli compagnia e cercare di calmarlo.
Il ritorno in Italia coincide con un raffreddamento dei suoi rapporti con l'amico Pietro Verri, a torto o a ragione, accusato di insidiare la moglie Teresa, secondo le maldicenze e i pettegolezzi dell'epoca, di cui parla lo stesso Verri in una sua lettera del 13 marzo 1767 al fratello Alessandro, lamentando un'accusa a suo dire senza fondamento.
Nel 1767
Caterina II di Russia lo invita a Mosca, e Cesare ci sarebbe
andato, se la moglie e la famiglia non lo avessero trattenuto.
Con un dispaccio
del 22 dicembre 1768 gli viene accordata una cattedra di scienze
ed economia politica nelle Scuole palatine di Milano, dove viene
istituita apposta per lui, dal principe Kaunitz governatore
austriaco dello Stato, anche per evitare che accettasse incarichi
fuori dallo Stato, appunto una cattedra di "scienze
camerali". Il corso comincia il 9 gennaio 1769 e dura fino
all'aprile 1771, quando Maria Teresa con un decreto lo nomina
Consigliere del Supremo Consiglio di Economia, soppresso il quale
diviene membro del Magistrato politico camerale, Magistrato
Provinciale per la Zecca e Membro della delegazione per la
riforma delle monete. Le lezioni sarano pubblicate postume nel
1804 col titolo di Elementi di Economia Pubblica, nelle
quali pone a fondamento della ricchezza l'agricoltura, auspica la
libertà di commercio, non negando tuttavia l'esigenza di un
certo protezionismo, scrivendo nel contempo alcune relazioni
che hanno per temi I pesi e le misure, lo Svincolo
delle arti, la abolizione della tassa mercimoniale,
colle quali anticipa alcuni princìpi economici che saranno dello
Smith e di Ricardo e preluderanno al moderno concetto di Marx del
plusvalore.
Nel frattempo nel
1770 pubblica a Milano nella stamperia Galeazzi un opuscolo
contenente la prima parte delle sue ricerche sullo stile col
titolo Ricerche intorno alla natura dello stile
Il 14 marzo 1774, muore Teresa, e dopo soli 82 giorni di
vedovanza, scandalizzando la società milanese, forse per
provvedere meglio alle due figlie ancora troppo giovani, sposa
Anna dei conti Barnaba Barbò, dalla quale ebbe un figlio,
Giulio, con cui si estingue il casato dei Marchesi Beccaria.
Nel 1766 fu
invitato a Parigi, dove venne accolto da trionfatore e conobbe il
Morellet che aveva tradotto in francese la sua opera, il Diderot,
il D'Alambert e il Barone d'Olbach. Ma lontano da Milano e dalla
moglie si sentiva sperduto, per cui decise di rientrare nella sua
città nel dicembre dello stesso anno, oggetto delle frecciate
talvolta ironiche e velenose sia di Pietro Verri, che lo aveva
accompagnato nel viaggio e lo aveva sempre sostenuto e
incoraggiato, sia degli intellettuali parigini.
Tornato a Milano
e staccatosi dai Verri, gli viene affidata nel 1768 la cattedra
di Economia alle Scuole Palatine di Milano. Le sue lezioni furono
raccolte dopo la morte negli "Elementi di Economia
pubblica". Nel 1770 appaiono le "Ricerche intorno alla
natura dello stile", dove propugna la ricerca dell'essenza
dell'arte piuttosto che delle norme stilistiche. Nel 1791 viene
chiamato a far parte della giunta per la riforma del sistema
giudiziario civile e criminale.
Il 28 novembre 1794, diciotto mesi prima che Bonaparte penetrasse in Milano col suo esercito, cesare Beccaria moriva nella sua abitazione per un colpo apoplettico a seguito di una indigestione. Fu sepolto in una fossa comune del cimitero di San Gregorio, fuori di porta Orientale, per cui da allora si persero anche le sue ossa. Il Verro e il poeta Fantoni proposero di innalzargli un monumento a spese pubbliche, ma le difficoltà del momento storico impedirono che venisse realizzato. Solo il 19 marzo 1871 Milano, a nome della nazione italiana, gli farà erigere un monumento, opera dello scultore Grandi, dopo che il ginnasio-liceo Sant'Alessandro nel 1865 gli fece erigere un busto di marmo a spese degli studenti sotto i portici dello stesso ginnasio vicino alla porta d'ingresso.
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi - E-mail: Giuseppe.Bonghi@mail.fausernet.novara.it
Ultimo aggiornamento: 05 febbraio, 1998