Giuseppe Bonghi

Biografia
di
Giovanni della Casa

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         La famiglia dei Della Casa ha le sue origini nel Mugello, la vallata del Sieve nella parte alta alle falde degli Appennini, che in quella zona venivano chiamati "Alpi degli Ubaldini" al confine tra la Romagna e la Toscana, a una trentina di chilometri o poco più da Firenze sulla vecchia via per Faenza. Il Mugello, ricco di borghi e di castelli, nel Medioevo era in gran parte Signoria della famiglia degli Ubaldini; ma era anche la terra di molte altre notabili famiglie fiorentine. Il nome deriva da una località detta la Casa, e un ramo del casato sarà chiamato "da Pulicciano", dal nome del castello omonimo del Mugello. E veniamo allo stemma: "Alzarono per arme i Signori della Casa un Ulivo verde sopra un monte dello stesso colore in campo d’argento; come si vede in molti luoghi, e fra gli altri, nell’antiche sepolture fabbricate da loro in varie Chiese di questa Città (Firenze, ndr); cioè in Santa Croce nel 1327., e in S. Maria Novella intorno al medesimo tempo; e nella più moderna di S. Croce del 1428. e nelle due di San Lorenzo restaurate dal Padre del nostro Giovanni: sicchè pare che non mutassero mai l’Insegna loro gentilizia, non ostante che quella famiglia non sia stata esente da quelle vicende, che obbligarono molte altre nobili casate a cambiare, non che l’arme, eziandio il cognome". (Notizie intorno alla vita ed alle opere di M. Giovanni Della Casa, Scritte dal Sig. Abate Gio. Battista Casotti Accademico Fiorentino, e poste in fronte alla Edizione fatta in Firenze da Giuseppe Manni l’anno 1707.)
         Proprio in Mugello (molto probabilmente: c’è anche una teoria che lo vorrebbe nato a Firenze o addirittura in Bologna) nacque Giovanni Della Casa da Pandolfo, figlio di Giovanni Della Casa e di Marietta Rucellai, e da Lisabetta figlia di Gianfrancesco di Filippo de' Tornabuoni e di Lisabetta Alamanni cugina del poeta Luigi Alamanni, poeta di grande fama nella prima metà del Cinquecento. Giovanni fu il primogenito di sei figli: gli seguirono prima Francesco (nato nel 1505 forse a Roma dove morì nel 1541 dopo aver sposato due anni prima Cosa de’ Girolami, sorella di un Raffaello Girolamo duce e Principe della Repubblica Fiorentina) e poi quattro femmine (tre secondo il citato Casotti): Agnoletta, Marietta, Lisabetta e Dianora; tutte andarono spose a nobiluomini fiorentini di chiara fama e un figlio di Dianora (andata sposa a Luigi Rucellai), Annibale, Ecclesiastico e vescovo di Carcassonne, fu nominato erede universale.
         Costretto a fuggire dal Mugello, il padre portò Giovanni a Bologna, dove lo lasciò per trasferirsi a Roma, come attestato da uno Strumento del 29 gennaio 1504. Qui lo raggiunse il figlio e qui morì il 19 giugno 1510 Lisabetta che fu sepolta nella Chiesa di San Gregorio. I primi studi, stando a quel che scrive lo stesso Casa in Ad Germanos ( … quella Città mi fu nutrice e mi erudì fin da bambino), li compì a Bologna, e da Roma vi ritornò per studiarvi prima di trasferirsi a Firenze. Qui, dove suo padre aveva fatto ritorno certamente prima del 1524, frequentò le lezioni di Ubaldino Bandinelli, Suddecano fiorentino e poi Vescovo di Montefiascone, ricordato con affetto nel Galateo, e definito, in una lettera del 1532 a Ludovico Beccadelli, "persona di molto discorso e di ottimo giudicio, e pratico", e infine pianto in una triste Elegia che troviamo fra le sue opere latine in cui lo definisce l’Onor dell’Italia. A Bologna fu mandato per seguire i corsi di diritto, ma l'amicizia ivi contratta con alcuni vivaci ingegni Ludovico Beccadelli, Carlo Gualteruzzi, Giovan Agostino Fanti e forse Francesco Maria Molza, con il quale avrebbe istituito in seguito più stretti legami a Roma) e ancor più la nativa disposizione per gli studi letterari, lo indussero a frequentare le lezioni di Pietro Pomponazzi e, con vero e proprio entusiasmo, quelle di Romolo Amaseo, docente di retorica e poesia nell'Università bolognese.
         Nel 1526, rompendo con il diritto e con i progetti e gli schemi mentali del padre, fuggì da Bologna e si ritirò con l'amico Beccadelli in Mugello, per dedicarsi, lontano da ogni distrazione, all'approfondita lettura delle opere di Virgilio e di Cicerone. Nel 1527 si recò a Padova (dove rimase fino al 1529) per apprendervi il greco, che studiò sotto la guida di Benedetto Lampridio, maestro, in tale disciplina, anche del Berni. Avvalendosi della mediazione del Lampridio e di Trifone Gabriele entrò allora in rapporto con il Bembo. Nel 1528 pubblicò a Venezia le Terze rime (ristampate poi presso Curtio Navo nel 1538), l'opera che avrebbe contribuito non poco a vanificare, per il contenuto osceno, la sua futura aspirazione al cappello cardinalizio (quando, in un'età assai mutata per i rigori della riforma cattolica, certi trascorsi non sarebbero apparsi proprio irrilevanti). Fu a Roma nel 1529 e a Firenze (dove ottenne il titolo di "Chierico fiorentino" e il canonicato nella chiesa di San Niccolò) nel 1530-'31.
         Tra la fine del 1531 e la primavera del '32 soggiornò a Padova, frequentandovi le lezioni di greco e di latino del famoso maestro Lazzaro Buonamici. Non trovandosi peraltro a proprio agio in quell'ambiente fortemente influenzato dalla spiritualità di uomini quali il Priuli, il Pole e il Contarini, ritornò a Roma, dove, ad eccezione di brevi parentesi - come quella toscana, dovuta alla malattia e alla morte del padre (1533), restò fino al 1540.
         Seguono gli anni più spensierati e gaudenti della sua vita (1532-'34), nel corso dei quali, con gli amici Molza, Firenzuola e Berni, frequentò l'Accademia de' Vignaiuoli. Furono anche gli anni in cui scrisse non pochi altri componimenti licenziosi, conquistandosi una certa fama e anche il favore di illustri personaggi, quali il Cardinale Alessandro Farnese, che verrà eletto Papa col nome di Paolo III nel 1534 e che molta parte avrà nella sua vita, avvalendosi anche dell’amicizia e della presenza del Molza.
         Proprio in questi anni, comunque la sua vita prese un indirizzo preciso, con la realizzazione di un suo progetto di carriera ecclesiastica. Progetto assecondato, oltre che dall'assunzione degli ordini minori, dalle attestazioni di pentimento per la vita libertina, ricorrenti in alcune sue lettere scritte tra il 1534 e il 1536, nel periodo in cui si diede seriamente agli studi ecclesiastici affiancandoli a quelli umanistici. E certi risultati non si fecero attendere. Ottenuto l'ufficio di chierico della Camera Apostolica il 12 marzo 1537, si accostò, al cardinale Alessandro Farnese. Si colloca in questo contesto la composizione del trattatello misogino in latino ciceroniano Quaestio lepidissima an uxor sit ducenda, notevole non solo per dottrina e per stile, ma per la riproposizione del tema del pentimento già riscontrato nelle lettere.
         Gli venne affidato allora nel 1540 da Paolo III, l'ufficio a Firenze di Commissario Apostolico per le decime, che lo impegnò in varie missioni (svolte con scrupolo e talora anche con durezza) in tutto il territorio fiorentino. E a Firenze l’11 febbraio 1540, oltre ad assolvere ai suoi compiti di esattore, fu ammesso, insieme ad altri illustri personaggi, all'Accademia Fiorentina che proprio in quel giorno lesse e approvò i Capitoli della sua costituzione, decidendo di chiamarsi non più Accademia Fiorentina degli Umidi, ma semplicemente Accademia Fiorentina, sotto gli auspici del Gran Duca Cosimo de’ Medici. In questo periodo s'interessa anche dell'educazione dei nipoti (i figli della sorella Dianora), in particolare di Annibale, cui è forse indirizzato il Galateo.
         All’inizio del 1542 lo ritroviamo a Roma, con l’intento di proseguire la sua carriera ecclesiastica e il 27 marzo viene nominato Chierico della Camera Apostolica. Nello stesso periodo gli viene conferito anche l'incarico di curatore della riscossione del sussidio feudale e dei censi di Roma, e, subito dopo, quello di tesoriere pontificio. Il 2 aprile 1544, per i buoni uffici dei cardinali Bembo, Cervini, Del Monte e Farnese, gli viene assegnata la sede arcivescovile di Benevento, dalla quale resterà tuttavia lontano anche dopo la sanzione dell'obbligo della residenza per i vescovi da parte del Concilio di Trento. Le sue ambizioni erano altre. E l'occasione per metterle alla prova gli venne offerta appena quattro mesi dopo, con la nomina di Nunzio Apostolico a Venezia (agosto 1544; in una lettera del 3 agosto già ne parla il Cardinal Bembo in una lettera a Girolamo Quirino): nell’incarico succedeva al patrizio bolognese Mosignor Luigi Beccatelli nominato Vicario di Roma.
         L'incarico, particolarmente delicato per i non facili rapporti in materia giurisdizionale fra Curia romana e Venezia, gli consentì di mettere in luce le sue qualità diplomatiche e la sua assoluta dedizione al Pontefice. Difese infatti con energia il diritto del clero ad essere giudicato dai tribunali ecclesiastici, vigilò sul buon andamento del Concilio di Trento, iniziato nel 1545, contrastò con grande determinazione il diffondersi delle idee protestanti. Introdusse a tale scopo a Venezia, nel 1547, il tribunale della Santa Inquisizione e fu incaricato di istruire insieme al Patriarca di Venezia il processo contro Pier Paolo Vergerio il Giovane, vescovo di Capodistria accusato di eresia, che tuttavia non accettò di sottoporsi a un giudice non ancora in possesso degli ordini sacri e gli rinfacciò i trascorsi giovanili attestati dalle terzine burlesche: il Vergerio, sdegnato e intimorito, abbandonò l’Italia ritirandosi in Germania. Sempre nel 1547 fu adoperato dal Papa a sollecitare i Veneziani a stringere un’alleanza col Papa e coi Francesi dopo il caso di Piacenza.
         In propria difesa e a ribadire le accuse eli eresia egli pubblicò allora la Dissertatio versus Paulum Vergerium e il carme latino Ad Germanos. Nel 1546 aveva composto invece il trattatello De officiis inter potentiores et tenuiores amicos forse volgarizzato con il titolo Trattato degli uffici communi tra gli amici superiori e inferiori, dettato da quella stessa disposizione, moralistica e didascalica, ch'è all'origine del Galateo. All'esperienza politico-diplomatica della sua nunziatura a Venezia e più in particolare al proposito di indurre la Serenissima a schierarsi con la coalizione di principi organizzata contro Carlo V e la Spagna da Paolo III, è legata l'Orazione per la lega (pubblicata soltanto nel 1667), in cui un fervido antispagnolismo, sorretto, a ben vedere, da un non meno fervido amor di patria, trova modo di esprimersi in una forma solenne, di stampo ciceroniano e boccacciano.
         Nel maggio del 1548, fatto ritomo a Roma, pubblicò il primo Indice dei libri proibiti, ottemperando alle deliberazioni del Concilio tridentino. Non fu però compreso - si può immaginare con quanto disappunto dopo tanto adoperarsi - tra i cardinali nominati nel corso dello stesso anno da Paolo III, che morirà il 10 novembre 1549 e verrà sepolto in San Pietro in un mausoleo opera di Guglielmo Della Porta. Successore di Paolo III fu Giovan Maria de' Ciocchi del Monte che venne eletto l’8 febbraio 1550 e assunse il nome di Giulio III; nel 1550 scrive l’Orazione a Carlo V imperadore per la restituzione della città di Piacenza, in appoggio delle mire di Ottavio Farnese che con Paolo III prima e Giulio III poi, pur con qualche contrasto, aveva formato un ducato di Parma che avrà vita per circa due secoli.
         Il nuovo Pontefice è ostile al Cardinal Farnese, tradizionale protettore del Della Casa, che fu perfino costretto ad allontanarsi da Roma per evitare guai maggiori. Anche il Casa, dopo aver venduto il suo Chiericato di Camera per diciannovemila scudi d’oro, dopo aver fatto il suo testamento, andò via da Roma. Il testamento, rogato il 30 Maggio 1551, lascia vari legati alle sorelle e ai nipoti e istituisce, come abbiamo detto, il nipote Annibale Rucellai, figlio della sorella Dianora, erede universale in sostituzione dell’altro nipote, Orazio fratello dello stesso Annibale, che, sposato con Camilla Guicciardini, sarà avo di quel Rucellai che rimarrà celebre per gli Orti Oricellari di cui parlerà Francesco Redi nel suo Ditirambo di Bacco ed Arianna. Giulio III, dopo avergli revocato la nunziatura veneta, lo deluse poi nelle sue aspettative offrendogli la nunziatura in Francia. Il Della Casa si ritirò, allontanandosi da Roma,

Di là dove per ostro e pompa d’oro
Fra genti inermi ha perigliosa guerra,
Fuggo io mendico e solo, e di quella esca
Ch’i’ bramai tanto, sazio, a queste querce
Ricorro, vago omai di miglior cibo,
Per aver posa almen questi ultimi anni.

         Così spiega il suo allontanamento da Roma e dalla vita pubblica ed ecclesiastica il Casa, ritirandosi a vita privata, soggiornando dapprima a Venezia (l551-1553) e quindi in una solitudine non priva del conforto degli studi, nell'Abbazia di Nervesa sul Montello, presso Treviso (1552). Qui compose il Galateo e molte e delle sue rime più belle (1553-1556), notevoli, oltre che per certi esiti tematici connessi al ripensamento della sua biografia, per la peculiarità di una tecnica - quella dell'enjambement - rappresentativa di una svolta, stilistica e di gusto nella storia del nostro petrarchismo cinquecentesco. È in questo periodo che scrive anche una Vita Petri Bembi, morto il 18 gennaio 1547, che era stato un amico oltre che un modello per la sua attività letteraria e per la carriera ecclesiastica, pur senza raggiungere, come Bembo, mai il cardinalato, un’operetta costruita secondo il consueto schema dell’elogio classico e umanistico; e una Vita Gasparis Contareni, la biografia dell’amico Contarini, nella quale pone una particolare attenzione alle qualità diplomatiche del nobile veneziano.
         Ma la fama del Casa non diminuì lontano da Roma, anzi si estese ancora di più, tanto che il nuovo pontefice Paolo IV Carafa, eletto dopo il brevissimo pontificato di Marcello II, lo invitò, sempre per consiglio del Cardinale Alessandro Farnese, di nuovo a Roma nell'aprile del 1555 con l’incarico di Segretario di Stato della Santa Sede. L’invito, a quanto pare fu piuttosto un ordine, perché il Casa ne avrebbe fatto volentieri a meno, non solo perché le condizioni della corte papale diventavano sempre più burrascose, ma soprattutto perché la sua salute (soffriva di gotta) negli ultimi anni si era andata sempre più aggravando. Il Casa diviene così il consigliere privato del Papa insieme a Silvestro Aldobrandini e tale era la sua importanza che tutti avrebbero giurato sulla sua nomina a cardinale.
         Ma la delusione, già provata nel 1548 per non essere stato incluso nella lista dei nuovi cardinali nominati, divenne cocente la mattina del 20 dicembre, quando seppe che non era nel numero dei sette nuovi Cardinali. La meraviglia fu generale, ma della mancata promozione non si appurarono veramente le cause; in alcuni dispacci fra i regnanti del tempo si adombrò l’ipotesi, come afferma il citato Casotti, che il Papa non volle nominare cardinale nessuno di coloro che gli erano stati proposti, e la nomina del Casa era stata caldeggiata, oltre che dai Farnese, addirittura dal re di Francia. La tesi del Casotti è supportata da una lettera scritta dai cardinali di Loreno e di Tornone al re di Francia il 21 Dicembre 1555 e pubblicata fra le Lettere e Memorie di Stato, raccolte da Messer Guglielmo Ribier, e stampate a Blois l’anno 1666 in fol. a c. 620. Nella stesso lettera, afferma ancora il Casotti, è contenuta la promessa fatta dal Papa al Re di promuovere Monsignor della Casa alla prima creazione di Cardinali, dopo di aver già udite ed esaminate tute le accuse dedotte contra di lui: Et pour cela, Sire, il s’est resolu, comme il nous a prié de vous escrire, s’estant fait cette promotion, de faire (Cardinaux) a la premiere Messieurs de S. Papoul (questi era Bernardo Salviati, che fu poi il secondo dei tre cardinali di questa famiglia) et de la Case… Ma alla nuova nomina di Cardinali, che avverrà il 15 Marzo 1557, il Della Casa non sarà presente.
         La mancata nomina aggravò le sue già precarie condizioni di salute; queste lo costrinsero ad accettare l’invito del Cardinale Giovanni di Pierantonio de’ Ricci, detto il Cardinale di Montepulciano, che lo ospitò in uno dei suoi palazzi romani. E a Roma, ma secondo altri a Montepulciano, morì alle ore 21 del 14 novembre 1556. Sulla sua tomba, nella nobile cappella dei Rucellai nella chiesa di S. Andrea della Valle in Roma, fu posto questo Epitaffio:

D. O. M.
JOANNI CASAE
ARCHIEPISCOPO. BENEVEN.
CUJUS. SINGULAREM
IN OMNI. VIRTUTUM. AC
DISCIPLINARUM. GENERE
EXCELLENTIAM
IMMORTALIBUS. ILLUSTREM
MONUMENTIS
AEMULA. NECQUICQUAM
POSTERITAS. ADMIRATUR.
HORATIUS. ORICELLARIUS
AVUNCULO. OPTIME MERITO
POSUIT.

         Quasi due anni dopo, nel 1558, a cura di Erasmo Gemini De Cesis, ultimo segretario del Della Casa, vide la luce a Venezia coi tipi di N. Bevilacqua, la prima edizione delle opere del nostro autore, col titolo Rime e prose di Monsignor Giovanni Della Casa, comprendente le Rime, l’Orazione a Carlo V e il Galateo; questa edizione verrà poi accresciuta e corretta nella pubblicazione del Giunti del 1564 e migliorate ancora nella pubblicazione del 1598. L’edizione del ’58 era stata per un po’ tenuta in sospeso proprio per l’avvenuta morte del Casa.


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© 1999 - by prof. Giuseppe Bonghi
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Ultimo aggiornamento: 12 agosto, 1999