Vittorio Alfieri

Della Tirannide

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Capitolo Undecimo
DELLA NOBILTÀ

         Havvi una classe di gente, che fa prova e vanto di essere da molte generazioni illustre, ancorché oziosa si rimanga ed inutile. Intitolasi nobiltà; e si dee, non meno che la classe dei sacerdoti, riguardare come uno dei maggiori ostacoli al viver libero, e uno dei più feroci e permanenti sostegni della tirannide.
         E benché alcune repubbliche liberissime, e Roma tra le altre, avessero anch'elle in sé questo ceto, è da osservarsi, che già lo avevano quando dalla tirannide sorgeano a libertà; che questo ceto era pur sempre il maggior fautore dei cacciati Tarquinj; che i Romani non accordarono d'allora in poi nobiltà, se non alla sola virtù; che la costanza tutta, e tutte le politiche virtù di quel popolo erano necessarie per impedire per tanti anni ai patrizj di assumere la tirannide; e che finalmente poi dopo una lunga e vana resistenza, era forza che il popolo credendo di abbattergli, ad essi pur soggiacesse. I Cesari in somma erano patrizj, che mascheratisi da Marii, fingendo di vendicare il popolo contra i nobili, amendue li soggiogarono.
         Dico dunque; che i nobili nelle repubbliche, ove essi vi siano prima ch'elle nascano, o tosto o tardi le distruggeranno, e faran serve; ancorché non vi siano da prima più potenti che il popolo. Ma, in una repubblica, in cui nobili non vi siano, il popolo libero non dee mai creare nel proprio seno un sì fatale stromento di servitù, né mai staccare dalla causa comune nessuno individuo, né (molto meno) staccarne a perpetuità, nessuna intera classe di cittadini. Pure, per altra parte moltissimo giovando alla emulazione, e non poco alla miglior discussione dei pubblici affari, l'aver nella repubblica un ceto minore in numero, e maggiore in virtù al ceto di tutti, potrebbe un popolo libero a ciò provvedere col crearsi questo ceto egli stesso, e crearlo a vita od a tempo, ma non ereditario giammai; affinché possano costoro operare nella repubblica quel tal bene che vi oprerebbe forse la nobiltà, senza poterne operare mai niuno dei mali, che ella tutto giorno pur vi opera.
         Natura dell'uomo si è, che quanto egli più ha, tanto desidera più, e tanto maggiormente in grado si trova di assumersi più. Al ceto dei nobili ereditarj, avendo essi la primazìa e le ricchezze, altro non manca se non la maggiore autorità, e quindi ad altro non pensano che ad usurparla. Per via della forza nol possono, perché in numero si trovano pur sempre di tanto minori del popolo. Per arte dunque, per corruzione, e per fraude, tentano di usurparla. Ma, o fra loro tutti si accordano, e, per invidia l'uno dell'altro, rimanendo la usurpata autorità nelle mani di loro tutti, ecco allora creata la tirannide aristocratica: ovvero tra quei nobili se ne trova uno più accorto, più valente, e più reo degli altri, che parte ne inganna, parte ne perseguita o distrugge, e fingendo di assumere le parti e la difesa del popolo, si fa assoluto signore di tutti; ed ecco, come sorge la tirannide d'un solo. Ed ecco, come ogni tirannide ha sempre per origine la primazìa ereditaria di pochi: poiché la tirannide importando necessariamente sempre lesione e danno dei più, ella non si può mai originare né lungamente esercitare da tutti, che al certo non possono mai volere la lesione ed il danno di se stessi.
         Conchiudo adunque, quanto alla ereditaria nobiltà, che quelle repubbliche, in cui ella è già stabilita, non possono durar libere di vera politica libertà; e che nelle tirannidi questa vera libertà non vi si può mai stabilire, o stabilita durarvi, finché vi rimangono de' nobili ereditarj: e le tirannidi nelle loro rivoluzioni non muteranno altro mai che il tiranno, ogniqualvolta non abbatteranno con esso ad un tempo la nobiltà. Così Roma, benché cacciasse i tiranni Tarquinj, rimanendovi pure, dopo svanito il comune pericolo, assai più potenti i patrizj che il popolo, Roma non fu veramente libera e grande, che alla creazione dei tribuni. Questo popolar magistrato, contrastando di pari colla potenza patrizia, ed essendo abbastanza potente per tenerla a freno, e non abbastanza per distruggerla affatto, per molto tempo sforzava i nobili a gareggiare col popolo in virtù; e ne nacque perciò per gran tempo il bene di tutti. Ma il mal seme pur rimaneva, e all'accrescersi della universale potenza e ricchezza, rigermogliò più che mai rigogliosa ogni superbia e corruzione nei nobili; e questi poi, così guasti, in breve la repubblica spensero.
         Fu dottamente e con sagace verità osservato, prima dal nostro gran Machiavelli, e con qualche maggior ordine poi da Montesquieu, che quelle gare stesse fra la nobiltà ed il popolo erano state per più secoli il nerbo, la grandezza, e la vita, di Roma: ma la sacra verità comandava pur anco, che si osservasse da codesti due grandi, che quelle dissensioni stesse ne erano state poi la intera rovina; e il come, e il perché, ampiamente da essi indagar si dovea. Ed io mi fo a credere, che se tali due sommi avessero voluto, od osato spingere alquanto più oltre il loro riflessivo ragionamento, avrebbero essi indubitabilmente assegnato per principalissima cagione di una tale intera rovina la ereditaria nobiltà. Che se le dissensioni, o per dir meglio le disparità di opinioni, sono necessarie in una repubblica per mantenervi la vita e la libertà, bisogna pur confessare che le disparità d'interessi dannosissime vi riescono, e di necessità mortifere ogniqualvolta l'uno dei due diversi interessi interamente la vince. Ora, mi pare innegabile, che ogni primazìa ereditaria di pochi genera per forza in quei pochi un interesse di conservazione e di accrescimento, diverso ed opposto all'interesse di tutti. Ed ecco il vizio radicale, per cui ogniqualvolta in uno stato esisterà una classe di nobili e di sacerdoti, a parte dal popolo, saranno questi lo scandalo, la corruzione, e la rovina di tutti: e i nobili, per essere ereditarj, riusciranno quasi più dannosi che i sacerdoti, i quali sono elettivi soltanto: ma, per dire il vero, abbondantemente suppliscono a ciò i sacerdoti, colle loro ereditarie impolitiche massime, che da ogni loro individuo in un colla tonaca e col piviale si assumono; oltre che, per maggiormente perfezionare questo comune danno, le più cospicue sacerdotali dignità sogliono anche cadere esclusivamente nelle mani dei nobili: dal che ne risulta, che i sacerdoti doppiamente dannosi riescono al pubblico bene.
         E benché in Inghilterra vi siano per ora, e nobili e libertà, non mi rimuovo io perciò in nulla da questo mio su mentovato parere. Si osservi da prima, che in Inghilterra i veri nobili antichi, nelle spesse e sanguinose rivoluzioni erano presso che tutti spenti; che i nuovi nobili, usciti di fresco dal popolo per favor del re, non possono in un paese libero assumere né in una né in due generazioni quella superbia e quello sprezzo del popolo stesso, fra cui serbano essi ancora i loro parenti ed amici; quella superbia, dico, che vien bevuta col latte dai nobili antichi, interamente staccati nelle nostre tirannidi da tempo immemorabile dal popolo, di cui sono lungamente stati gli oppressori e tiranni. Si osservi in oltre, che i nobili in Inghilterra, presi in se stessi, sono meno potenti del popolo; e che, uniti col popolo, sono più che il re; ma che, uniti col re, non sono però mai più che il popolo. Si osservi in oltre, che se in alcuna cosa la repubblica inglese pare più saldamente costituita che la romana, si è nell'essere in Inghilterra la dissensione permanente e vivificante, non accesa fra i nobili e il popolo come in Roma, ma accesa bensì fra il popolo e il popolo; cioè, fra il ministero e chi vi si oppone. Quindi, non essendo questa dissensione generata da disparità di ereditario interesse, ma da disparità di passeggera opinione, ella vien forse a giovare assai più che a nuocere; poiché nessuno talmente aderisce a una parte, ch'egli non possa spessissimo passare dalla contraria; nessuna delle due parti avendovi interessi permanentemente opposti, e incompatibili col vero bene di tutti. Una nobiltà dunque così felicemente rattemperata, come la inglese lo pare, per certo riesce assai meno nociva che ogni altra; e al potersi veramente far utile al pubblico, altro forse non le mancherebbe che di non essere ereditaria. Una classe di uomini principali, e non amovibili membri del governo, ov'ella fosse creata dalla vera virtù e dai liberi suffragj di tutti, vi riuscirebbe veramente onorevole, e giustamente onorata; e grandissima emulazione di virtù si verrebbe ad accendere fra i concorrenti ad essa. Ma, se disgraziatamente ereditaria una tal classe si ammette, ancorch'ella si creasse da liberi e virtuosi suffragj, tuttavia ad ogni individuo inglese che verrà creato nobile ereditario, si perderà per tal mezzo una intera stirpe, che così viene staccata dall'interesse comune, deviata dal vantaggio di tutti, e privata di ogni emulazione al ben fare. Quindi è, che i nobili in Inghilterra, ancorché alquanto meno dannosi che nelle tirannidi, potendovi pure essere moltiplicati dal re ad arbitrio suo, e senza alcun limite; credendosi essi maggiori del popolo; essendovi e più ricchi, e più sazj, e più oziosi, e più guasti assai che non è il popolo; i nobili in Inghilterra saranno in ogni tempo maggiormente propensi all'autorità del re, il quale creati gli ha e spegnerli non potrebbe, che non all'autorità del popolo, il quale non può creargli e li potrebbe pure distruggere. In Inghilterra perciò (come sempre sono stati altrove) i nobili saranno, o già sono, i corrompitori della libertà; ove, prima di ciò, abbattuti maggiormente non siano dal popolo. Ma, non essendo la repubblica il mio tema, abbastanza, e troppo lungamente forse, ho io parlato fin qui dei nobili nelle repubbliche. Mi convien dunque ora lungamente ragionare dei nobili nelle moderne nostre tirannidi.
         Distrutto il romano imperio, ne furono, come ognun sa, divise le provincie fra diversi popoli; ed infiniti stati da quell'immenso stato nascevano. Ma, in tutti insorgeva una nuova specie di governo fino allora ignota, in cui molti piccioli tiranni rendendo omaggio ad un solo e maggiore, teneano, sotto il titolo di feudatarj, nella oppressione e servitù i varj lor popoli. Alcuni di questi tiranni feudatarj divennero così potenti, che ribellatisi al loro sovrano, si crearono stato a parte; e non pochi dei presenti tiranni d'Europa son della stirpe di quei signorotti. E, per contraria vicenda, molti dei tiranni sovrani si fecero altresì col tempo abbastanza potenti, per distruggere o spodestare affatto quei secondi tiranni, e rimanere essi soli sovrani. Comunque ciò fosse, il soggiacere al tiranno maggiore, o ai tirannelli, non sollevò mai il popolo dal peso delle sue catene: anzi, è verisimile che, assicurato ed ingrandito il loro stato, i tiranni maggiori, avendo meno rispetti, più illimitata potenza, e minori nemici, ne divennero con molta più impunità e sicurezza oppressori del loro misero gregge.
         Ma, quanto erano stati da temersi pel tiranno quei nobili feudatarj, finché aveano avuto autorità e forza; quanto erano stati ostacolo, e in un certo modo freno, alla compiuta tirannide di quel solo, altrettanto poi ne divennero essi la base e il sostegno, tosto che rimasero spogliati dell'autorità e della forza. I tiranni si prevalsero da prima del popolo stesso per abbassare i signorotti; ed il popolo che avea da vendicar tante ingiurie, volonteroso seguitò l'animosità di quel solo e maggior tiranno contro ai tanti e minori. Allora, qual dei signorotti si dette per accordo al tiranno, e quale contr'esso rivolse le armi. Ma, o patteggiati, o vinti ch'ei fossero, tutti, od i più, coll'andar del tempo soggiacquero. Non si estinse tuttavia interamente mai quel male che ridondava da questa secondaria tirannide feudale; non si scemò punto la servitù per il popolo; notabilmente si accrebbe bensì l'autorità e la forza del tiranno. Conobbero i tiranni la necessità di mantenere una classe fra essi ed il popolo, che paresse alquanto più potente che il popolo, e fosse assai meno potente di loro: e benissimo conobbero che distribuendo fra costoro gli onori tutti e le cariche, diverrebbero questi col tempo i più feroci e saldi satelliti della loro tirannide.
         Né s'ingannarono in tal fatto i tiranni. I nobili, spogliati affatto della loro autorità e forza, ma non interamente delle loro ricchezze e superbia, manifestamente conobbero che non potevano essi nella tirannide continuare ad essere tenuti maggiori del popolo, se non se risplendendo della luce del tiranno. L'impossibilità di riacquistare l'antica potenza li costrinse ad adattare la loro ambizione alla necessità ed ai tempi. Dal popolo, che non s'era certamente scordato delle loro antiche oppressioni; dal popolo, che gli abborriva perché li credeva ancora troppo più potenti di lui; dal popolo in somma, troppo avvilito per soccorrergli ancor che il volesse, videro chiaramente i nobili che non v'era luogo a sperarne mutazione alcuna favorevole a loro. Si gittarono dunque interamente in braccia al tiranno; ed egli non li temendo oramai, e vedendo quanto potevano riuscire utili alla propagazione della tirannide, li prelesse ad essere i depositarj e il sostegno.
         E questa è la nobiltà, che nelle tirannidi d'Europa tutto giorno poi vedesi così insolente col popolo, e così vil coi tiranni. Questa classe, in ogni tirannide, è sempre la più corrotta; ella è perciò l'ornamento principalissimo delle corti, il maggior obbrobrio della servitù, e il giusto ludibrio dei pochi che pensano. Degeneri dai loro avi nella fierezza, i nobili sono gl'inventori primieri d'ogni adulazione, d'ogni più vile prostituzione al tiranno: ma non tralignano già essi nella superbia e crudeltà contro al popolo. Anzi, vie più inferociti per la loro perduta potenza effettiva, lo tiranneggiano quanto più sanno e possono con i flagelli stessi del tiranno, se egli lo permette; e se egli lo vieta, (il che di rado accadeva fino allo stabilimento della perpetua milizia) non lasciano pure di opprimere il popolo di furto con quanta prepotenza più possono.
         Ma, dallo stabilimento in poi dei perpetui eserciti in Europa, i tiranni vedendosi armati e effettivamente potenti, hanno incominciato a tenere in assai minor conto la nobiltà, e a sottoporla anch'essa alla giustizia non meno che il popolo, allor quando ad essi così giova, o piace, di fare. La vista politica del tiranno nel volersi mostrare imparziale pe' nobili, è stata di riguadagnarsi il popolo, e di riaddossare ai nobili l'odiosità degli antecedenti governi. Ed io mi fo a credere, che se il tiranno potesse amare una qualche classe dei sudditi suoi, ove fossero egualmente vili e obbedienti i nobili ed il popolo, egli pure inclinerebbe più per il popolo; ancorché pur sempre sentisse, che a tenere il popolo a freno egli è, in un certo modo, necessarissimo il naturale argine della nobiltà, cioè, dei più ricchi ed illustri. E di questo semiamore, o sia minore odio del tiranno pel popolo, ne assegnerei la seguente ragione. La nobiltà, per quanto sia ignorante e mal educata, pure, come alquanto meno oppressa e più agiata, ella ha il tempo ed i mezzi di riflettere alquanto più che il popolo; ella si avvicina molto più al tiranno; ella ne studia e ne conosce più l'indole, i vizj, e la nullità. Si aggiunga a questa ragione, il bisogno che il tiranno ancora pur crede di aver talvolta dei nobili; e da questo tutto si verrà facilmente ad intendere quell'innato odio contr'essi, che sta nel cuor del tiranno; il quale non può né dee voler che si pensi; né può, molto meno, aggradire chiunque lo spia e conosce. Nasce da questo intrinseco odio quella pompa di popolarità, che molti dei moderni tiranni europei van facendo; come anche le tante mortificazioni, che vanno compartendo ai lor nobili. Il popolo, soddisfatto di vedere abbassati i suoi signorotti, ne sopporta più volentieri il comune oppressore, e la divisa oppressione. I nobili rodono la catena; ma troppo corrotti, effemminati e deboli sono, per romperla. Il tiranno se ne sta fra' due, distribuendo ad entrambi a vicenda, frammiste a molte battiture, alcune fallaci dolcezze; e così vie più sempre corrobora egli e perpetua la tirannide. Non distrugge egli i nobili, se non se a minuto i più antichi, per riprocrearne dei nuovi, non meno orgogliosi col popolo, ma più soggetti e arrendevoli a lui: e non li distrugge il tiranno, perché li crede (ed il sono) essenzialissima parte della tirannide. Non gli teme, perch'egli è armato: non gli stima, perché li conosce: non gli ama, perché lo conoscono. Il popolo non mormora dei gravosi eserciti, perch'egli non ragiona, e ne trema: ma con molta gioja bensì per via degli eserciti vede i nobili starsi non meno soggetti e tremanti di lui.
         I nobili ereditarj son dunque una parte integrante della tirannide, perché non può allignar lungamente libertà vera, dove esiste una classe primeggiante, che tale non sia per virtù ed elezione. Ma la milizia perpetua, fattasi oramai parte della tirannide più integrante ancora di quel che lo sia la nobiltà, ha tolto ai nobili la possibilità di far fronte al tiranno, e diminuita in loro quella di opprimere il popolo.

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Capitolo Duodecimo
DELLE TIRANNIDI ASIATICHE, PARAGONATE COLL'EUROPEE

         Pare, che molte tirannidi d'oriente smentiscano quanto ho detto finora circa alla necessità dei nobili inerente all'essenza della tirannide; non vi essendo in esse alcuna nobiltà ereditaria; né ammettendo esse a prima vista altra distinzione di ordini, che un signor solo e tutti gli altri servi egualmente. E, a dir vero, l'Asia in ogni tempo non solo non conobbe libertà, ma soggiacque quasi sempre tutta a tirannidi inaudite, esercitate in regioni vastissime; in cui non si scorge nessun viver civile, nessuna stabilità, e nessune leggi, che non soggiacciano al capriccio del tiranno, eccettuatene tuttavia le religiose. Ma io, con tutto ciò, non dispero di poter dimostrare che la tirannide in ogni tempo e luogo è tirannide; e che usando ella gli stessi mezzi per mantenersi, produce, ancorché sotto diverso aspetto, gli stessissimi effetti.
         Non esaminerò perché siano tali i popoli dell'oriente; le ragioni, che riuscirebbero assai più congetturali che dimostrative, o ne sono state assegnate, o lo verranno da altri più dotti e profondi che non son io. Ma, partendo dal dato, io dico; che la paura, la milizia, e la religione, innegabilmente sono esse pure le tre basi e molle delle tirannidi asiatiche, come delle europee; e che sono esse il più saldo appoggio di quelli e di questi tiranni. Il falso onore, di cui ampiamente ho parlato, non pare da prima occupare alcun luogo nella mente e nel cuore degli orientali; ma pure, se bene si esamina, si vedrà che lo conoscono anch'essi e lo praticano. Per quei popoli il tiranno è un articolo vero di fede; essi tengono la religione assai più in pregio di noi: quindi in tutto ciò che spetta all'uno o all'altra dimostrano d'avere moltissimo onore. Non ci è esempio di maomettani che si facciano cristiani come tutto dì v'è esempio di cristiani che rinnegano.
         In tal modo, a tutto ciò che la nobiltà ereditaria, e la milizia perpetua (quali le abbiamo in Europa) potrebbero operare di più in favore delle orientali tirannidi, vi suppliscono dunque ampiamente le asiatiche religioni; e massime la maomettana, ch'è più creduta, più osservata, e assai più potente ancora, che non lo sia oramai in nessun luogo la nostra.
         Ma, ancorché la nobiltà ereditaria non sussista in gran parte d'oriente (toltine però la Cina, il Giappone, e molti stati dell'Indie, il che certamente non è picciola parte dell'Asia) nondimeno nei paesi maomettani gli strumenti principali della tirannide sono, come nella cristianità, i sacerdoti, i capi della milizia, i governatori delle provincie, e i barbassori di corte: e costoro tutti, benché non vi siano nati nobili, si debbono pure riputare come una classe, che essendo più che il popolo e meno che il tiranno, e accattando dal tiranno il lustro e l'autorità, viene per l'appunto ad occupare lo stessissimo luogo nelle tirannidi asiatiche, che occupa la nobiltà ereditaria nelle europee. Vero è, che fra quei nobili d'Asia, morendo essi di morte naturale o violenta, cessa nei loro figli la nobiltà: ma tosto pure alle loro cariche ne sottentran degli altri, e quanti mai ne verranno, tutti, ancorché d'origine plebea, assumeranno tosto il pensare dei nobili; il quale non è altro che di opprimere i popoli, e tenersi col tiranno. Ed anzi, questi nobili recenti, di tanto più feroci saranno, quanto l'uomo che è nato più vile, che è stato più oppresso, e che ha conosciuto più eguali, diviene assai più superbo e feroce ogniqualvolta egli, per altra via che quella della virtù, perviene ad innalzarsi sovr'essi. Ma certamente la virtù non potrà essere mai la scala agli onori e all'autorità, in nessuna tirannide.
         L'effetto vien dunque ad essere lo stesso in oriente come in occidente; poiché fra il popolo e il tiranno entrano pur sempre di mezzo i nobili (o ereditarj siano o fattizj) e la permanente milizia: due classi, senza di cui non v'è né vi può esser tirannide; e colle quali non v'è, né vi può essere lungamente mai libertà.
         Ma mi si dirà forse, che in ogni democrazia, od in qualsivoglia mista repubblica, i sacerdoti, i magistrati, ed i capi della milizia, sono parimente sempre maggiori del popolo. A ciò è da rispondersi, distinguendo: Costoro nella repubblica sono ciascuno maggiori d'ogni privato individuo; ma minori dell'universale, essendo eletti da tutti, o dal più gran numero; essendo eletti per lo più a tempo, e non a vita; sottoposti alle leggi, e costretti a dare, quando che sia, un rigido conto di se stessi. Ma costoro, nella tirannide, sono maggiori, e d'ogni individuo, e dell'universale; perché sono eletti da un solo che può più di tutti; perché non danno conto del loro operare, se non a lui; e perché in somma niun'altra cosa vien loro apposta a delitto dal tiranno, fuorché l'aver dispiaciuto, o arrecato danno a lui solo: il che chiaramente vuol dire per lo più, l'aver giovato, o tentato di giovare, a tutti od ai più.
         Ma, se io abbastanza ho dimostrato (come a me pare) che nelle tirannidi dell'oriente i tiranni adoperano gli stessi mezzi che in queste, esaminiamo ora quali siano le apparenti differenze tra gli effetti; perché vi siano; e se elle siano in favore o in disfavore degli europei.
         Mostransi di rado al pubblico gli orientali tiranni, e inaccessibili sono in privato; i nostri veggiamo ogni giorno: ma il vederli non scema però in noi la paura, né in essi la potenza; e benché lo avvezzarci a quell'oggetto diminuisca alquanto la stupida venerazione per esso, l'odio nondimeno dee pur sempre rimanere il medesimo, e di gran lunga maggiore il fastidio e la noja.
         Difficilissimo è l'accostarsi ai tiranni d'oriente; ai nostri, a qual con lettere o suppliche, a quale in persona, possiamo assai facilmente ogni giorno accostarci: ma, e che ne ridonda? son forse fra noi meno oppressi gl'innocenti ed i buoni? son forse più conosciuti i rei, allontanati, o puniti?
         Gl'impieghi, gli onori, le dignità si conferiscono in oriente agli schiavi più graditi al padrone. Il solo capriccio li dona, e il solo capriccio li ritoglie; ma un ministro o qualunque altro, che spogliato venga di alcuno importante impiego, viene altresì privato per lo più della vita. E lo stesso capriccio conferisce nel nostro occidente gli stessi onori e dignità a quegli schiavi più dotti nell'arte di piacere e compiacere al tiranno: e tanto più vili schiavi costoro, e degni in ciò veramente di esserlo, quanto, non essendo gli europei, come gli orientali, nati nella servitù effettiva dei serragli, di buon animo spontaneamente vanno porgendo le mani ed il collo al più obbrobrioso di tutti i gioghi. Ma, se i nostri tiranni, nel toglier loro la carica non li privano a un tempo della vita, ciò forse non accade per altra ragione, se non perché questi scelti servi europei, a sì manifeste prove si sono dimostrati per vili, che i tiranni nostri in nessun modo non possono, né debbono, in nulla temerli.
         Nelle tirannidi dell'oriente, pochissime leggi, oltre alle religiose, vi sussistono: moltissime se ne ha nelle nostre; ma ogni giorno si mutano, s'infrangono, si annullano, e per fin si deridono. Qual è men vergognosa ed infame a soffrirsi delle due seguenti usurpazioni? o d'uno che ti oltraggia e ti opprime, perché tu, non credendo che altrimenti una società esistere potesse, glie ne hai conceduto illimitatamente la signoria, né hai provveduto in nessuna maniera a moderargliela; o d'uno che ti fa lo stesso e anche peggio, benché tu abbi provveduto con impotenti leggi, e con gl'inutili suoi giuramenti, che egli opprimere ed oltraggiare non ti potesse?
         Negli orientali governi nulla vi ha di sicuro, se non la sola servitù: ma, che v'ha egli di sicuro nei nostri? I tiranni europei sono di gran lunga più umani? cioè, hanno i tiranni europei molto minore il bisogno di essere crudeli. Nell'oriente, le scienze e le lettere proscritte, i regni spopolati, la stupidità e miseria del popolo, nessuna industria, nessun commercio; non son tutte queste, e tante altre, le innegabili prove del vizio distruttivo, che sta in quei governi? Rispondo, distinguendo di nuovo. La religion maomettana, come più inerte e meno curante della nostra, riesce altresì molto più distruttiva di essa. Ma in quelle parti d'oriente, dove non ci è maomettismo, come specialmente alla Cina e al Giappone, tutti questi soprammentovati lagrimevoli effetti, che stoltamente noi assegniamo alla sola orientale tirannide, in un'altra orientale e niente minore tirannide, vi si vedono cessare; o almeno non v'esistere maggiori che nelle tirannidi europee.
         Parmi adunque, che sia da conchiudere; che la tirannide nell'Asia, e principalmente nel maomettismo, suol riuscire più oppressiva che nell'Europa: ma bisogna ad un tempo stesso confessare; che il tiranno e quelli che fan le sue parti, assai meno sicuri vivono in Asia che non in Europa. Quindi dall'essere le nostre tirannidi alquanto più miti, se a noi ne ridonda pure qualche vantaggio, amaramente ci vien compensato dalla maggiore infamia che sta nel servire, sapendolo; e dalla quasi impossibilità, in cui il nostro effemminato vivere ci pone, di distruggere, di mutare o di crollare almeno d'alquanto le nostre tirannidi. Noi coltiviamo le scienze, le lettere, il commercio, le arti tutte, ed ogni civile costume; negar non si può: ma noi colti, noi dotti, noi in somma che siamo il fiore degli abitanti di questo globo, noi soffriam pure tacitamente quello stesso tiranno, che soffrono (è vero) ma che pur anche talvolta robustamente distruggono quegli asiatici popoli, rozzi, ignoranti, e, a parer nostro, di tanto più vili di noi. Chi non sa che vi è stata, e che vi può essere libertà, non conosce e non sente la servitù; e chi questa non sente, scusabilissimo è se la soffre. Ma che direm noi di que' popoli, che sanno, e sentono, e fremono di essere servi; e la servitù pure si godono, e tacciono?
         La differenza dunque, che passa fra l'Asia e l'Europa, si è; che i tiranni orientali tutto possono, e tutto fanno; ma sono anche spesso privati del trono ed uccisi: gli occidentali tiranni possono tutto, fanno soltanto ciò che a loro occorre di fare, e stanno quasi sempre inespugnabili, securi, e impuniti. I popoli d'Asia di niuna loro cosa sicuri possessori sen vivono; ma credono in parte che così debba essere; e dove in certo modo contro all'universale si ecceda, si vendicano almeno del tiranno, benché mai non ispengano, né minorino, la tirannide. I popoli d'Europa niuna cosa possedono con maggior sicurezza che quelli dell'Asia, benché vengano spogliati del loro in una diversa e più cortese maniera; ma questi sanno quali siano i dritti dell'uomo; ed ignorar non li possono, poiché li vedono felicemente esercitati da alcune pochissime nazioni, che vivono libere in mezzo alla universal servitù: e benché ogni giorno si veda nelle tirannidi europee (massime in quanto spetta alle pecuniarie gravezze) eccedere dal tiranno ogni modo, nondimeno per codardia e viltà dei nostri popoli non si ardisce mai tentare nessuna lodevol vendetta, non che si ardiscano tentare di riassumere i naturali diritti, così inutilmente da lor conosciuti.

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Ultimo aggiornamento: 16 ottobre, 1999