Vittorio Alfieri

Della Tirannide

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Capitolo Ottavo
DELLA RELIGIONE

         Quella qualunque opinione che l'uomo si è fatta o lasciata fare da altri, circa alle cose che egli non intende, come sarebbero l'anima e la divinità; quell'opinione suol essere anch'essa per lo più uno dei saldissimi sostegni della tirannide. L'idea che dal volgo si ha del tiranno viene talmente a rassomigliarsi alla idea da quasi tutti i popoli falsamente concepita di un Dio, che se ne potrebbe indurre, il primo tiranno non essere stato (come supporre si suole) il più forte, ma bensì il più astuto conoscitore del cuore degli uomini; e quindi il primo a dar loro una idea, qual ch'ella si fosse, della divinità. Perciò, fra moltissimi popoli, dalla tirannide religiosa veniva creata la tirannide civile; spesso si sono entrambe riunite in un ente solo; e quasi sempre si sono l'una l'altra ajutate.
         La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli Dei; e col fare del cielo una quasi repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato, e ad altri usi e privilegj della corte celeste; dovea essere, e fu in fatti, assai favorevole al viver libero. La giudaica, e quindi la cristiana e maomettana, coll'ammettere un solo Dio, assoluto e terribile signor d'ogni cosa, doveano essere, e sono state, e sono tuttavia assai più favorevoli alla tirannide.
         Queste cose tutte, già dette da altri, tralascio come non mie; e proseguendo il mio tema, che della moderna tirannide in Europa principalissimamente tratta, non esaminerò tra le diverse religioni se non se la nostra, ed in quanto ella influisce su le nostre tirannidi.
         La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero.
A voler provare la prima di queste proposizioni, basterà, credo, il dimostrare che essa in nessun modo non induce, né persuade, né esorta gli uomini al viver liberi. Ed il primo, e principale incitamento ad un effetto così importante, dovrebbero pur gli uomini riceverlo dalla lor religione; poiché non vi è cosa che più li signoreggi; che maggiormente imprima in essi questa o quella opinione; e che maggiormente gli infiammi all'eseguire alte imprese. Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l'amor della patria e la libertà. Ma la religion cristiana, nata in un popolo non libero, non guerriero, non illuminato, e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli), interamente assimila a Dio.
         Se si esamina in qual modo ella si propagasse, si vedrà che sempre si procacciò più facilmente l'ingresso nelle tirannidi, che nelle repubbliche. Al cadere dell'imperio romano, (in cui ella non poté trovar seggio, se non quando la militare tirannide v'ebbe intieramente annullato ogni vivere civile) quelle tante nazioni barbare che l'occuparono, stabilite poi nella Italia, nelle Gallie, nelle Spagne, e nell'Africa, sotto i loro diversi condottieri abbracciarono indi a non molto la religion cristiana. E la ragione mi par ne sia questa. Quei loro condottieri volendo rimanere tiranni; e quei lor popoli, avvezzi ad esser liberi quando non erano in guerra, non volendo obbedire se non come soldati a capitano, e non mai come schiavi a tiranno; in questa disparità di umori frapponendosi il cristianesimo, egli vi appariva introduttore di una certa via di mezzo, per cui si andava persuadendo ai popoli l'obbedire, e ai capitani fatti tiranni si veniva assicurando l'imperio; ove questi una parte della loro autorità divider volessero coi sacerdoti. In prova di che, si osservi quell'altra parte di quelle stesse nazioni boreali rimastasi povera, semplice, e libera nelle natie sue selve, essere poi stata l'ultimo popolo d'Europa che ricevesse, più assai per violenza che per via di persuasione, la religion cristiana.
         Le poche nazioni che fuori d'Europa la ricevettero, vi furono per lo più indotte dal timore e dalla forza, come le diverse piagge di America e d'Affrica; ma dallo stesso ferocissimo fanatismo con cui veniva abbracciata nella Cina, e più nel Giappone, si può manifestamente dedurre quanto ella volentieri si alligni, e prosperi, nelle tirannidi.
         I troppi abusi di essa sforzarono col tempo alcuni popoli assai più savj che imaginosi, a raffrenarla, spogliandola di molte dannose superstizioni. E costoro, distinti poi col nome di eretici, si riaprirono con tal mezzo una strada alla libertà, la quale fra essi rinacque dopo essere stata lungamente sbandita d'Europa, e bastantemente vi prosperò; come gli Svizzeri, la Olanda, molte città di Germania, la Inghilterra, e la nuova America, ce lo provano. Ma i popoli, che, non la frenando, vollero conservarla intera, (non però mai quale era stata predicata da Cristo, ma quale con arte, con inganno, ed anche con la violenza l'aveano i suoi successori trasfigurata) si chiusero essi sempre più ogni strada al riprocrear libertà. Addurrò ora, non tutte, ma le principali ragioni, per cui mi pare quasi impossibile che uno stato cattolico possa o farsi libero veramente, o rimaner tale, rimanendo cattolico.
         Il culto delle immagini, la presenza effettiva nella eucaristia, ed altri punti dogmatici, non saranno per certo mai quelli, che, creduti o no, verranno ad influire sopra il viver libero politico. Ma, IL PAPA, ma, LA INQUISIZIONE, IL PURGATORIO, LA CONFESSIONE, IL MATRIMONIO FATTOSI INDISSOLUBILE SACRAMENTO e IL CELIBATO DEI RELIGIOSI; sono queste le sei anella della sacra catena, che veramente a tal segno rassodano la profana, che ella di tanto ne diventa più grave ed infrangibile. E, dalla prima di queste sei cose incominciando, dico: Che un popolo, che crede potervi esser un uomo, che rappresenti immediatamente Dio; un uomo, che non possa errar mai; egli è certamente un popolo stupido. Ma se, non lo credendo, egli viene per ciò tormentato, sforzato, e perseguitato da una forza superiore effettiva, ne accaderà che quella prima generazione d'uomini crederà nel papa, per timore; i figli, per abitudine; i nepoti, per stupidità. Ecco in qual guisa un popolo che rimane cattolico, dee necessariamente, per via del papa e della inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo, e stupidissimo.
         Ma, mi dirà taluno: "Gli eretici credono pure nella trinità; e questa al senso umano pare una cosa certamente ancora più assurda che le sopraccennate: non sono dunque gli eretici meno stupidi dei cattolici". Rispondo; che anche i Romani credevano nel volo e nel beccar degli augelli, cosa assai più puerile ed assurda; eppure erano liberi e grandi; e non divennero stupidi e vili, se non quando, spogliati della lor libertà, credettero nella infame divinità di Cesare, di Augusto, e degli altri lor simili e peggiori tiranni. Quindi, la trinità nostra, per non essere cosa soggetta ai sensi, si creda ella o no, non può influire mai sopra il viver politico: ma, l'autorità più o meno di un uomo; l'autorità illimitata sopra le più importanti cose, e velata dal sacro ammanto della religione, importa e molte, e notabili conseguenze; tali in somma, che ogni popolo che crede od ammette una tale autorità, si rende schiavo per sempre.
         Lo ammetterla senza crederla, che è il caso nostro presente in quasi tutta l'Europa cattolica, mi pare una di quelle umane contraddizioni sì stranamente ripugnanti alla sana ragione, ch'elle non possono essere gran fatto durevoli; e quindi non occorre maggiormente parlarne. Ma i popoli che l'autorità del papa ammettono perché la credono, come erano i nostri avi, ed alcune presenti nazioni, necessariamente la credono o per timore, o per ignoranza e stupidità. Se per queste ultime ragioni la credono, chiaro è che una nazione stupida ed ignorante affatto, non può, nel presente stato delle cose, esser libera: ma, se per timore la credono i popoli, da chi vien egli in loro inspirato codesto timore? non dalle papali scomuniche certamente, poiché in esse non hanno fede costoro; dalle armi dunque e dalla forza spaventati saranno, ed indotti a finger di credere. E da quali armi mai? da qual vera forza? dalle armi e forza del tiranno, che politicamente e religiosamente gli opprime. Dunque, dovendo i popoli temere l'armi di chi li governa, in una cosa che dovrebbe essere ad arbitrio di ciascuno il crederla o no, ne risulta che chi governa tai popoli, di necessità è tiranno; e che essi, attesa questa loro sforzata credenza, non sono, né possono farsi mai liberi. Ed in fatti, né Atene, né Sparta, né Roma, né altre vere ed illuminate repubbliche, non isforzarono mai i lor popoli a credere nella infallibilità degli oracoli; né, molto meno, a rendersi tributarj e ciecamente obbedienti a niuno lontano sacerdozio.
         LA INQUISIZIONE, quel tribunale sì iniquo di cui basta il nome per far raccapricciare d'orrore, sussiste pur tuttavia più o meno potente in quasi tutti i paesi cattolici. Il tiranno se ne prevale a piacer suo; ed allarga, o ristringe la inquisitoria autorità, secondo che meglio a lui giova. Ma, questa autorità dei preti e dei frati (vale a dire, della classe la più crudele, la più sciolta da ogni legame sociale, ma la più codarda ad un tempo) quale influenza avrebbe ella per se stessa, qual terrore potrebbe ella infondere nei popoli, se il tiranno non la assistesse e munisse colla propria sua forza effettiva? Ora, una forza che sostiene un tribunale ingiusto e tirannico, non è certamente né giusta né legittima: dove alligna l'Inquisizione, alligna indubitabilmente la tirannia; dove ci è cattolicismo, vi è o vi può essere ad ogni istante l'Inquisizione: non si può dunque essere a un tempo stesso un popolo cattolico veramente, e un popolo libero.
         Ma, che dirò io poi della CONFESSIONE? Tralascio il dirne ciò che a tutti è ben noto; che la certezza del perdono di ogni qualunque iniquità col solo confessarla, riesce assai più di sprone che di freno ai delitti; e tante altre cose tralascio, che dall'uso, o abuso di un tal sacramento manifestamente ogni giorno derivano. Io mi ristringo a dire soltanto; che un popolo che confessa le sue opere, parole, e pensieri ad un uomo, credendo di rivelarli per un tal mezzo a Dio; un popolo, che fra gli altri peccati suoi è costretto a confessare come uno dei maggiori, ogni menomo desiderio di scuotere l'ingiusto giogo della tirannide, e di porsi nella naturale ma discreta libertà; un tal popolo non può esser libero, né merita d'esserlo.
         La dottrina del PURGATORIO, cagione ad un tempo ed effetto della confessione, contribuisce non poco altresì ad invilire, impoverire, e quindi a rendere schiavi i cattolici popoli. Per redimere da codesta pena i loro padri ed avi, colla speranza di esserne poi redenti dai loro figli e nipoti, danno costoro ai preti non solamente il loro superfluo, ma anche talvolta il lor necessario. Quindi la sterminata ricchezza dei preti; e dalla loro ricchezza, la lor connivenza col tiranno; e da questa doppia congiura, la doppia universal servitù. Onde, di povero che suol essere in ogni qualunque governo il popolo, fatto poverissimo per questo mezzo di più nella tirannide cattolica, egli vi dee rimanere in tal modo avvilito, che non penserà né ardirà mai tentare di farsi libero. I sacerdoti all'incontro, di poveri (benché non mendici) che esser dovrebbero, fatti per mezzo di codesto lor purgatorio ricchissimi, e quindi moltiplicati e superbi, sono sempre in ogni governo inclinati, anzi sforzati da queste loro illegittime sterminate ricchezze, a collegarsi con gli oppressori del popolo, e a divenire essi stessi oppressori per conservarle.
         Dalla indissolubilità del MATRIMONIO FATTOSI SACRAMENTO, ne risultano palpabilmente quei tanti politici mali, che ogni giorno vediamo nelle nostre tirannidi: cattivi mariti, peggiori mogli, non buoni padri, e pessimi figli: e ciò tutto, perché quella sforzata indissolubilità non ristringe i legami domestici; ma bensì, col perpetuarli senza addolcirli, interamente li corrompe e dissolve.
         E finalmente poi, siccome dall'essere i popoli cattolici sforzatamente perpetui conjugi, non sogliono esser essi fra loro né mariti veri, né mogli, né padri; così, dall'essere i preti cattolici sforzatamente PERPETUI CELIBI, non sogliono mostrarsi né fratelli, né figli, né cittadini; che per conoscere e praticare virtuosamente questi tre stati, troppo importa il conoscere per esperienza l'appassionatissimo umano stato di padre e marito.
         Da queste fin qui addotte ragioni, mi pare che ne risulti chiaramente (oltre la maggior ragione di tutte, che sono i fatti) che un popolo cattolico già soggiogato dalla tirannide, difficilissimamente può farsi libero, e rimanersi veramente cattolico. E per addurne un solo esempio, che troppi addurne potrei, nella ribellione delle Fiandre, quelle provincie povere, che non avendo impinguati i lor preti si erano potute far eretiche, rimasero libere; le grasse e ridondanti di frati, di abati, e di vescovi, rimasero cattoliche e serve. Vediamo ora, se un popolo che già si ritrovi libero e cattolico, si possa lungamente mantener l'uno e l'altro.
         Che un popolo soggiogato da tanti e sì fatti politici errori, quanti ne importa il viver cattolico, possa essere politicamente libero, ella è cosa certamente molto difficile: ma, dove pure ei lo fosse, io credo che il conservarsi tale, sia cosa impossibile. Un popolo, che crede nella infallibile e illimitata autorità del papa, è già interamente disposto a credere in un tiranno, che con maggiori forze effettive e avvalorate dal suffragio e scomuniche di quel papa istesso, lo persuaderà, o sforzerà ad obbedire a lui solo nelle cose politiche, come già obbedisce al solo papa nelle religiose. Un popolo, che trema della Inquisizione, quanto più non dovrà egli tremare di quell'armi stesse che la Inquisizione avvalorano? Un popolo, che si confessa di cuore, può egli non essere sempre schiavo di chi può assolverlo o no? Dico di più; che dal ceto stesso dei sacerdoti, (ove un laico tiranno non vi fosse) ne insorgerebbe uno religioso ben tosto; o se da altra parte insorgesse un tiranno, lo approverebbero e seconderebbero i sacerdoti, sperandone il contraccambio da lui. Ed è cosa anche provata dai fatti; si veda perfino nelle semi-repubbliche italiane, i sacerdoti esservi saliti assai meno in ricchezza e in potenza, che nelle tirannidi espresse di un solo. Un popolo finalmente, che si spropria dell'aver suo, togliendolo a se stesso, a' suoi congiunti, e ai proprj suoi figli, per darlo ai sacerdoti celibi, diventerà coll'andar del tempo indubitabilmente così bisognoso e mendico, che egli sarà preda di chiunque lo vorrà conquistare, o far servo.
         Non so se al sacerdozio si debba la prima invenzione del trattare come cosa sacrosanta il politico impero, o se l'impero abbia ciò inventato in favore del sacerdozio. Questa reciproca e simulata idolatria, è certamente molto vetusta; e vediamo nell'antico testamento a vicenda sempre i re chiamar sacri i sacerdoti, e i sacerdoti i re; ma da nessuno mai dei due udiamo chiamare, o reputare mai sacri, gl'incontestabili naturali diritti di tutte le umane società. Il vero si è, che quasi tutti i popoli della terra sono stati, e sono (e saranno sempre, pur troppo!) tolti in mezzo da queste due classi di uomini, che sempre fra loro si sono andate vicendevolmente conoscendo inique, e che con tutto ciò si sono reciprocamente chiamate sacre: due classi, che dai popoli sono state spesso abborrite, alcuna volta svelate, e sempre pure adorate.
         È il vero altresì, che in questo nostro secolo i presenti cattolici poco credono nel papa; che pochissimo potere ha la inquisizion religiosa; che si confessano soltanto gl'idioti; che non si comprano oramai le indulgenze, se non dai ladri religiosi e volgari: ma, al papa, alla Inquisizione, alla confessione, e all'elemosine purgatoriali, in questo secolo, fra i presenti cattolici, ampiamente supplisce la sola MILIZIA; e mi spiego. Il tiranno ottiene ora dal terrore che a tutti inspirano i suoi tanti e perpetui soldati, quello stesso effetto che egli per l'addietro otteneva dalla superstizione, e dalla totale ignoranza dei popoli. Poco gl'importa oramai che in Dio non si creda; basta al tiranno, che in lui solo si creda; e di questa nostra credenza, molto più vile e assai meno consolatoria per noi, glie n'entrano mallevadori continui gli eserciti suoi.
         Vi sono nondimeno in Europa alcuni tiranni, che volendo con ipocrisia mascherare tutte l'opere loro, pigliano a sostenere le parti della religione, per farsi pii reputare, e per piacere al maggior numero che pur tuttora la rispetta, e la crede. Ogni savio tiranno, ed accorto, così dee pure operare; sia per non privarsi con una inutile incredulità di un così prezioso ramo dell'autorità assoluta, quale è l'ira dei preti amministrata da lui, e viceversa, la sua, amministrata da essi; sia perché usando altrimenti, potrebbe egli avvenirsi in un qualche fanatico di religione, il quale facesse le veci di un fanatico di libertà: e quelli sono e men rari e più assai incalzanti, che questi. E perché mai sono quelli men rari? attribuir ciò si dee all'essere il nome di religione in bocca di tutti; e in bocca di pochissimi, e in cuore quasi a nessuno, il nome di libertà.
         Il più sublime dunque ed il più utile fanatismo, da cui veramente ne ridonderebbero degli uomini maggiori di quanti ve ne siano stati giammai, sarebbe pur quello, che creasse e propagasse una religione ed un Dio, che sotto gravissime pene presenti e future comandassero agli uomini di esser liberi. Ma, coloro che inspiravano il fanatismo negli altri, non erano per lo più mai fanatici essi stessi; e pur troppo a loro giovava d'inspirarlo per una religione ed un Dio, che agli uomini severamente comandassero di essere servi.

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Capitolo Nono
DELLE TIRANNIDI ANTICHE, PARAGONATE COLLE MODERNE

         Le cagioni stesse hanno certamente in ogni tempo e luogo, con piccolissime differenze, prodotto gli stessi effetti. Tutti i popoli corrottissimi hanno soggiaciuto ai tiranni, fra' quali ve ne sono stati dei pessimi, dei cattivi, dei mezzani, e perfino anco dei buoni. Nei moderni tempi i Caligoli, i Neroni, i Dionigi, i Falaridi, ecc., rarissimi sono: e se anche vi nascono, assumono costoro fra noi una tutt'altra maschera. Ma meno feroce d'assai è anche il popolo moderno: quindi la ferocia del tiranno sta sempre in proporzione di quella dei sudditi.
         Le nostre tirannidi, in oltre, differiscono dalle antiche moltissimo; ancorché di queste e di quelle la milizia sia il nervo, la ragione, e la base. Né so, che questa differenza ch'io sto per notare, sia stata da altri osservata. Quasi tutte le antiche tirannidi, e principalmente la romana imperiale, nacquero e si corroborarono per via della forza militare stabilita senza nessunissimo rispetto su la rovina totale d'ogni preventiva forza civile e legale. All'incontro le tirannidi moderne in Europa sono cresciute e si sono corroborate per via d'un potere, militare sì e violento, ma pure fatto, per così dir, scaturire da quell'apparente o reale potere civile e legale, che si trovava già stabilito presso a quei popoli. Servirono a ciò di plausibil pretesto le ragioni di difesa d'uno stato contro all'altro; la conseguenza ne riuscì più sordamente tirannica che fra gli antichi; ma ella ne è pur troppo più funesta e durevole, perché in tutto è velata dall'ammanto ideale di una legittima civile possanza.
         I Romani erano educati fra il sangue; i loro crudeli spettacoli, che a tempo di repubblica virtuosamente feroci li rendevano, al cessar d'esser liberi non li faceano cessare per ciò di essere sanguinarj. Nerone, Caligola, ecc., ecc., trucidavano la madre, la moglie, i fratelli, e chiunque a lor dispiacesse: ma Nerone, Caligola, e i simili a loro, morivano pur sempre di ferro. I nostri tiranni non uccidono mai apertamente i loro congiunti; rarissimamente versano senza necessità il sangue dei sudditi, e ciò non fanno se non sotto il manto della giustizia: ma anche i tiranni nostri se ne muojono in letto.
         Non negherò, che a raddolcire gli universali costumi non poco contribuisse la religione cristiana; benché da Costantino fino a Carlo VI tanti tratti di stupida ignorante e non grandiosa ferocia si possono pur leggere nelle storie di tutti quei popoli intermediarj, che storia a dir vero non meritavano. Nondimeno attribuire si debbe in qualche parte il raddolcimento universale dei costumi, e una certa urbanità nella tirannide diversamente modificata, alla influenza della cristiana religione. Il tiranno, anch'egli ignorante per lo più e superstizioso, e sempre codardo, il tiranno anch'egli si confessa; e benché sempre vada assolto dalle oppressioni e dalle angarie fatte ai suoi sudditi, non lo sarebbe forse poi in questi nostri tempi dell'aver trucidato apertamente la madre e i fratelli, o dell'aver messo a fuoco e a sangue una propria città e provincia, se non se ricomprando con enorme prezzo, e con una total sommissione ai sacerdoti, la disusata enormità di un tanto misfatto.
         Se sia un bene od un male, che dall'essere raddolciti tanto gli universali costumi ne risultino queste nostre tirannidi assai meno feroci, ma assai più durevoli e sicure che le antiche, ne può esser giudice chiunque vorrà paragonare gli effetti e le influenze di queste e di quelle. Quanto a me, dovendone brevissimamente parlare, direi; che difficilmente può nascere ai tempi nostri un Nerone ed esercitar l'arte sua; ma che assai più difficilmente ancora può nascere un Bruto, e in pubblico vantaggio la mano adoprare ed il senno.

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Capitolo Decimo
DEL FALSO ONORE

         Ma, se le antiche tirannidi e le moderne si rassomigliano nell'aver esse la paura per base, la milizia e la religione per mezzi, differiscono alquanto le moderne dalle antiche per aver esse nel falso onore, e nella classe della nobiltà ereditaria permanente, ritrovato un sostegno, che può assicurarne la durata in eterno. Ragionerò in questo capitolo del falso onore; e alla nobiltà, che ben se lo merita, riserberò un capitolo a parte.
         L'onore, nome da tanti già definito, da tutti i popoli, e in tutti i tempi diversamente inteso, e a parer mio indefinibile; l'onore verrà ora da me semplicemente interpretato così: La brama, e il diritto, di essere onorato dai più. Ed il falso distinguerò dal vero, falsa chiamando quella brama d'onore, che non ha per ragione e per base la virtù dell'onorato, e l'utile vero degli onoranti; e vera all'incontro chiamerò quella brama di onore, che altra ragione e base non ammette se non la utile e praticata virtù. Ciò posto, esaminiamo qual sia questo onore nelle tirannidi, chi lo professi, a chi giovi, da qual virtù nasca, e qual virtù ed utile egli promuova.
         L'onore nelle tirannidi si va spacciando egli stesso come il solo legittimo impulso, che spinge tutti coloro che pretendono di non operar per paura. Il tiranno, contento oltre ogni credere, che la paura mascherata sotto altro titolo venga nondimeno a produrre un medesimo, anzi un maggior effetto in suo pro, straordinariamente seconda questa volgare illusione. Col semplice nome di onore, che sempre gli sta tra le labbra, egli riesce pure a spingere i suoi sudditi a coraggiose e magnanime imprese, le quali veramente onorevoli sarebbero, se fatte non fossero in suo privato vantaggio, ed in pubblico danno. Ma, se onore vuol dire; Il giusto diritto di essere veramente onorato dai buoni ed onesti, come utile ai più; e se la virtù sola può essere base a un tal dritto; come può egli il tiranno profferire mai un tal nome? Lo ripetono anche i sudditi a gara; ma se la loro brama e diritto d'essere onorati si fondasse su la pratica della vera virtù, potrebbero eglino servire, obbedire, e giovare a un tiranno che nuoce a tutti? E noi stessi schiavi moderni, ove ricordare pure vogliamo la memoria d'un uomo giustamente onorato per molte età da molti e diversi popoli, e che quindi moltissimo onore abbia avuto nel cuore, facciamo noi menzione di un Milziade, di un Temistocle, di un Regolo, ovvero d'uno Spitridate, di un Sejano, o di altro prepotente schiavo di tiranno? Noi stessi dunque (e senza avvedercene) sommamente onorando quegli uomini liberi, grandi, e giustamente onorevoli ed onorati, veniamo manifestamente a mostrare, che il vero onore era il loro; e che il nostro, il quale in tutto è l'opposto di quello, è il falso; poiché niente onoriamo la memoria di quei pretesi grandi in tirannide.
         Ma, se l'onore nelle tirannidi è falso, e se, immedesimatosi colla paura, egli è pure la principalissima molla di un tal governo, da un falso principio falsissime conseguenze risultar ne dovranno; e ne risultano in fatti. L'onore nella tirannide impone, che mai non si manchi di fede al tiranno. Impone l'onore nella repubblica, che chiunque volesse farsi tiranno, sia spento. Per giudicare qual sia tra questi due onori il verace, esaminiamo alla sfuggita questa fede, che il servo non dee rompere al tiranno. Il rompere la data fede, è certamente cosa, che dee disonorar l'uomo in ogni qualunque governo: ma la fede dev'essere liberamente giurata, non estorquita dalla violenza, non mantenuta dal terrore, non illimitata, non cieca, non ereditaria; e, sovra ogni cosa, reciproca dev'esser la fede. Ogni moderno tiranno, al riappiccarsi in fronte la corona del padre, anch'egli ha giurato una fede qualunque ai suoi sudditi, che già rotta e annullata dal di lui padre, lo sarà parimente e doppiamente da esso. Il tiranno è dunque di necessità sempre il primo ad essere spergiuro, e fedifrago: egli è dunque il primo a calpestarsi fra' piedi il proprio onore, insieme con le altrui cose tutte. Ed i suoi sudditi perderebbero l'onor loro, nel romper essi quella fede che altri ha manifestamente già rotta? La pretesa virtù, in questo caso frequente pur tanto nelle tirannidi, sta dunque direttamente in opposizione coll'onor vero; poiché, se un privato ti manca di fede, anche l'onore stesso delle tirannidi t'impone di fargliela a forza osservare, per vendicare in tal modo il disprezzo ch'egli ha mostrato espressamente di te nell'infrangerla. Manifestamente dunque falso è quell'onore che comanda di serbar rispetto, ed amore, e fede a chi non serba, o può impunemente non serbare, alcuna di queste tre cose a nessuno. Da questo falso onore nasce poi la falsissima conseguenza, che si venga a credere legittima infrangibile e sacra quell'autorità, che l'onore stesso costringe a mantenere e difendere.
         A questo modo, nella tirannide, guasti essendo e confusi i nomi di tutte le cose, i capricci del tiranno messi in carta, col sacro nome di leggi s'intitolano; e si rispettano, ed eseguiscono, come tali. Così, a quella terra dove si nasce, si dà nella tirannide risibilmente il nome di patria; perché non si pensa che patria è quella sola, dove l'uomo liberamente esercita, e sotto la securtà d'invariabili leggi, quei più preziosi diritti che natura gli ha dati. Così, si ardisce nella tirannide appellare senato (col nome cioè dei liberi scelti patrizj di Roma) una informe raccolta di giudici trascelti dal principe, togati di porpora, e specialmente dotti in servire. Così finalmente, si viene a chiamare nella tirannide col titolo sacro d'onore la dimostrata impossibilità di essere giustamente onorato dai buoni, come di essere utile ai molti.
         Ma, per maggiormente accertarci, che l'onor nostro sia il falso, paragoniamolo alquanto più lungamente a quello delle repubbliche antiche, nelle sue cagioni, mezzi, ed effetti; e certo arrossiremo noi tosto di profferire un tal nome; che se dicessimo non essere egli a noi noto affatto, con una tale ignoranza escuseremmo almeno la infamia nostra in gran parte. Comandava l'onore antico a quei popoli liberi, di dar la vita per la libertà; vale a dire pel maggior vantaggio di tutti: ci comanda il moderno onore di dar la vita pel tiranno; vale a dire per colui che sommamente nuoce a noi tutti. Voleva l'antico onore, che le ingiurie private cedessero sempre alle pubbliche: vuole il moderno che si abbiano le pubbliche per nulla, e che atrocemente si vendichino le private. Voleva l'antico, che i suoi seguaci serbassero amore e fede inviolabile alla patria sola: il nostro la vuole e comanda pel solo tiranno. E non finirei, se i precetti di questo e di quello, in tutto contrarj fra loro, annoverare volessi.
         Ma i mezzi per essere onorato, non meno dai popoli servi che dai liberi, sono pur sempre il coraggio e una certa virtù: colla somma differenza nondimeno, che l'onore nelle repubbliche, scevro da ogni privato interesse, riesce di pura ricompensa a se stesso; ma nelle tirannidi questo onore impiegatosi in pro del tiranno, vien sempre contaminato da mercedi e favori, che più o meno distribuiti dal principe, accrescono, minorano, o anche, negati, spengono affatto l'onore nel cuore de' suoi servi.
         Le conseguenze poi di questi due diversi onori, facilissime sono a dedursi. Libertà, grandezza d'animo, virtù domestiche e pubbliche, il nome e il felice stato di cittadino; ecco quali erano i dolci frutti dell'antico onore: tirannia, ferocia inutile, vil cupidigia, servaggio, e timore; ecco innegabilmente quali sono i frutti del moderno. I Greci e' Romani erano in somma il prodotto del vero onor ben diretto; i popoli tutti presenti d'Europa, (meno gl'Inglesi) sono il prodotto del falso onore moderno. Paragonando fra loro questi popoli, la diversa felicità e potenza da essi acquistata, le diverse cose operate da loro, la fama che ottengono, e quella che meritano, si viene ad avere un'ampia e perfetta misura di ciò che possa nel cuor dell'uomo questa divina brama di essere giustamente onorato, allorché dai saggi governi ella è bene indrizzata e accresciuta, o allorché dai tirannici ella viene diminuita, o traviata dal vero.
         Mi si dirà che, o buono sia o cattivo il principio, a ogni modo il sagrificar la propria vita, il mantenere la data fede a costo di essa, l'esporla per vendicare le ingiurie private, tutto ciò suppone pur sempre una somma virtù. Né io imprendo stoltamente a negare, che nelle tirannidi vi sia moltissima gente capace di virtù, e nata per esercitarla: piango solamente in me stesso di vederla falsamente adoprarsi nel sostenere, e difendere il vizio, e quindi nello snaturare, e distruggere se stessa. E niuno politico scrittore ardirà certamente chiamare virtù uno sforzo, ancorché massimamente sublime, da cui, in vece del pubblico bene, ne debba poi ridondare un male per tutti, e la prolungazione del pubblico danno.
         Ora, perché dunque quella stessa vita, che tanti e sì fatti uomini ripieni di falso onore vanno così prodigamente spendendo pel tiranno, perché quella vita stessa non vien ella da loro sagrificata, con più ragione e con ugual virtù, per togliere a colui la tirannide? E quel valore inutile (poiché non ne ridonda alcun bene) quell'efferato valore, con cui nelle tirannidi si vendicano le private offese, perché non si adopera tutto contro al tiranno, che tutti, e in più supremo grado, non cessa pur mai un momento di offendere? E quella fede che così ostinatamente cieca si osserva verso il nemico di tutti, perché, con egual pertinacia e con più illuminata virtù, non si giura ella ed osserva inverso i sacri ed infranti diritti dell'uomo?
         Nelle tirannidi dunque, a tal segno ridotti son gl'individui, che, qualunque impulso dalla natura abbiano ricevuto all'operar cose grandi, essi edificano pur sempre sul falso, ogniqualvolta non sanno o non osano calpestare il moderno onore, e riassumere l'antico.

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Ultimo aggiornamento: 16 ottobre, 1999