I
tre fratelli Gambi gestiscono una libreria a Siena. Vivono insieme:
Enrico, il maggiore, è sgarbato e prepotente e fa il legatore; Niccolò,
alto, grasso e con una risata rabbiosa, che lo rende simpatico a
tutti, un po' sta in bottega, un po' fa l'antiquario, gira di quando in
quando nei dintorni di Siena
in cerca di oggetti di valore ed è l'unico dei tre ad essere sposato;
Giulio, il più giovane e intelligente, è anche quello che si dà più da
fare nell'azienda familiare.
La moglie di Niccolò si chiama Modesta ed è dedita alla
cucina, al marito e ai fratelli. Donna mite, cerca di contribuire con la
sua condotta equilibrata all'armonia familiare. Vivono
in famiglia anche due giovanissime nipoti, orfane, Chiarina e Lola, che sono coccolate da tutti come gli
angioletti di casa.
La libreria è frequentata da alcuni clienti fissi: lo studioso
d'arte Nisard,
il cavaliere Orazio Nicchioli, l'amico Corsali. Il racconto è costellato dalle conversazioni, per
lo più banali, tenute in bottega dai tre fratelli con i clienti
abituali. Tuttavia gli affari non vanno bene.
"Il loro padre era stato fortunato, e anch'essi da prima stavano
bene; poi, a poco a poco, la libreria aveva sempre fruttato meno".
Difatti i tre fratelli, che conducono una vita dispendiosa, amanti
del gioco e della buona tavola, contraggono debiti cui cercano di far
fronte firmando cambiali false.
La situazione precipita quando l'ultima cambiale viene rifiutata
dalla banca e il cavalier Nicchioli scopre di essere stato truffato. Tutta la città
è ormai al corrente del disastro economico dei Gambi.
Giulio, il più consapevole dei tre, quello che più aveva cercato di
risollevare con un certo impegno le sorti della libreria, ormai incapace
di scongiurare la catastrofe, disperato, si impicca all'interno
della bottega, facendosi carico di tutta la responsabilità penale del
fallimento.
Dopo il tracollo, Niccolò cerca di mantenersi impiegandosi presso
una società di assicurazioni, ma i deliri sempre più frequenti e la
gotta, di cui soffre, lo portano in breve tempo alla morte.
Enrico, incapace di reagire alla mutata condizione economica, non
abbassandosi a cercare un lavoro, si dà all'accattonaggio, indulge al
vittimismo e dorme su una panchina, finché non trova alloggio
all'Ospizio di Mendicità. Adesso svolge pure qualche umile lavoretto,
ogni tanto pensa alle due nipoti, che si vergogna di incontrare, come si
vergogna di ricevere denaro dalla compassionevole cognata Modesta, che,
ora vedova, si mantiene col ricamo.
Anche Enrico, minato dalla gotta, muore, a poca distanza dai
fratelli.
Chiarina e Lola rompono il proprio salvadanaio per comprare tre croci
uguali da portare al cimitero.
Scritto di getto, fra la fine di ottobre e l'inizio di novembre del
1918, Tre croci venne pubblicato nel 1920 e viene considerato da
parte della critica come l'opera più matura di Tozzi, quella in cui
l'autobiografismo dello scrittore senese è meno scoperto. Scrive
Giuseppe Prezzolini: "Lo stile aderisce alla realtà, la sua lingua è schietta e l'arte sua progredita con Tre Croci raggiunse il suo
culmine".
Ispirata a un fatto di cronaca cittadina, Tre croci mette in
scena la tragedia di tre uomini che non riescono a dare un significato
alla propria vita e che dalla vita sono sopraffatti.
Abulici, accidiosi e viziati, anche se non privi di talento, i
fratelli Gambi soccombono, vittime della loro stessa incapacità di
vivere.
Scritto in uno stile definito "ascetico", pervaso da una
morale cristiana, con al centro i problemi della colpa, del bene e del
male e del perdono dei peccati, nel romanzo di Tozzi si avvertono echi
di Dostoevskij e di Pirandello. Alcune delle pagine più commoventi sono
dedicate alla descrizione della bellezze di Siena e della sua campagna.
In questo romanzo, per dirla con G. A. Borgese, Tozzi tende verso una
"lingua comune, modesta e onesta nel lessico e ricca nella
sintassi ed elastica nelle giunture".
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