"Poche
cose mi hanno dato così tanta soddisfazione negli ultimi
anni come il fatto che mi chiedessero di scrivere di calcio ogni
tanto: un vero riposo"
Questo
libro, il cui titolo originale è Salvajes y sentimentales. Letras de
fútbol, è una raccolta di pezzi giornalistici dello scrittore
spagnolo Javier Marías, redatti per il quotidiano El Pais e per il
supplemento El Semanal.
Nel libro Marías manifesta una competenza e un furore calcistici fuori del comune.
Tifoso madridista, come ogni tifoso sempre insoddisfatto del rendimento e
dei risultati della sua squadra del cuore, lo scrittore spagnolo non lesina critiche sferzanti a beniamini e avversari.
La scrittura riflessiva e compassata del romanziere lascia talvolta il posto
al giudizio netto e feroce dell'ultrà.
Sono giudizi, quelli trinciati da Marías, che assomigliano a
condanne senza appello: il portiere francese Barthez sembra "un
esistenzialista d'estate e per scherzo", con quelle sue
magliette "con le maniche corte e svolazzanti", Campos,
del Messico, assomiglia a SuperMouse, il colombiano Higuita non ha un
aspetto nobile, ma sembra uscito da I tre moschettieri. Jongbloed,
il portiere dell'Olanda "rivoluzionaria" del 1974, viene
definito un "ciccioncello salterino". Marías non
risparmia nemmeno il grande Ronaldo. Originale il suo giudizio: "Ronaldo
non è un grande, nonostante la brutale campagna della sua promozione
universale [...]. È potente e veloce, tira in porta molto e non sempre
bene, ma abbastanza spesso da segnare con facilità, in poche occasioni
con genialità [...] non è intelligente; o forse non pensa, agisce
soltanto, e senza sapere aspettare. Soltanto i gonzi lo possono paragonare
a Di Stefano, Pelé, Cruyff o Maradona [...]. Con gli anni, e senza
tanta velocità, potrebbe finire per somigliare di più a Juanito. A
Juanito Gómez ma più alto". Se la prende anche con dirigenti
e allenatori. Il presidente della Fifa Blatter è definito "uno
sciocco demagogico". Il selezionatore spagnolo Clemente "è
precisamente il prototipo perfetto del peggio spagnolo: antipatico,
disinvolto, superbo, sfacciato, fanfarone, xenofobo".
Le idiosincrasie di Marías non si fermano qui: egli detesta l'esultanza sopra le righe dei calciatori dopo aver segnato un goal, non
la gioia sincera e appassionata del realizzatore, ma quella eccessivamente
coreografica ed esibita; non
sopporta i calciatori calvi col pizzetto; maledice i tifosi che insultano i
calciatori, approfittando dell'anonimato della folla; è
contrario a quei team, - ne indica come prototipo il
Barcellona di Van Gaal -, formati da giocatori che costituivano il
blocco di altre squadre vincenti; team magari allestiti con
formazioni composte da tutti calciatori stranieri (Cosa
direbbe dell'Inter attuale?).
Il lettore si diverte di fronte a tanta spietata sincerità e capisce
finalmente qualcosa di più sul calcio spagnolo, centrato sulla rivalità fra
Barcellona e Real Madrid, i blaugrana più romantici, combattuti,
malinconici e drammatici, con la tendenza allo sconfittismo e alla
depressione e i merengues più apollinei, vincenti e dediti al
culto del bel gioco. Anche se nell'ultimo decennio i ruoli sembrano
essersi ribaltati.
L'idolo di Marías è il campione della sua infanzia, Di Stefano,
insieme a Puskas e Gento eroe dell'inarrivabile Real della fine degli
anni Cinquanta. Tra i calciatori più recenti ama Butragueño, el Buitre
(l'avvoltoio), ma per tutti principalmente el Niño, per quella sua
faccia da bambino, un puer aeternus che possedeva una gioia di
giocare tutta infantile, sorprendente e non meditata. Poi Guardiola,
Raúl, Laudrup, Cantona, che scrive poesie e dipinge e ha l'aria da
esule, l'immenso Cruyff e il biondo nibelungo Netzer.
Le pagine più letterarie sono quelle in cui rievoca la sua infanzia
e le interminabili partite giocate contro il fratello maggiore, con
giocatori fatti di sughero, tappi di latta e ritagli di giornale, le
porte costruite con legno, chiodini e garza, un bottone bianco come
pallone.
D'altronde il calcio si segue con passione soltanto se non si
rinuncia mai, come ha fatto Marías, al bambino pieno di curiosità e
meraviglia che tutti siamo stati. Il calcio è, nella sua essenza, "il
vero recupero settimanale dell'infanzia".
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