Philip Roth, L'animale morente, Einaudi, 2002

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copertinaDavid Kapesh è un settantenne professore di Practical Criticism, ma la sue passioni non sono soltanto i libri, i quadri, la musica. È molto attratto dalla bellezza femminile. In particolare da quella di giovani ragazze, sue ex allieve.

E il resoconto della sua vicenda erotico-sentimentale con una di queste, la statuaria e bellissima cubana Consuela Castillo, costituisce il nucleo dell'ultimo romanzo di Philip Roth.

Come Moravia,  Roth riconosce nel sesso la chiave per indagare la condizione umana, l'esistenza, lo specifico di una società storicamente determinata. Fa dire infatti a pagina 26 al professor Kapesh:
"Per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto tu ordisca e trami e architetti, non sei mai al di sopra del sesso".

Naturalmente nel romanzo di Roth c'è dell'altro, oltre alla vitalità umana e sessuale dei personaggi. Ci mostra come sono cambiate le donne negli ultimi decenni; c'è la vecchiaia incombente, con gli organi un tempo silenti, che cominciano a parlare... di dolore, di malattie. C'è la morte, che si porta via gli amici, che può, come nel caso di Consuela, minacciare la vita dei più giovani. Ci sono i contrasti generazionali, le famiglie che si sfasciano, le crisi della maturità.
Ci sono molti riferimenti letterari e artistici, che a un lettore di bocca buona come me fanno sempre piacere: Kafka, Byron, Picasso, Mozart, Shakespeare, Conrad, Hawthorne.

Come in tutti i suoi libri, Roth è in grado di gettare nuova luce sui nostri conformismi, sui nostri costrutti personali, sulle nostre sclerotizzazioni. Sa farci veder le cose da un'angolazione diversa, in modo più autentico e nuovo.

Forse con l'età, comincia un po' a infastidirmi il suo pansessualismo, l'esaltazione del desiderio e di una libertà, che assomiglia a volte alla licenza.
Legato a una vecchia concezione della letteratura come mezzo privilegiato di trasmissione della saggezza, mi sono trovato, leggendo il romanzo di Roth, ad essere quasi solidale coll'antipatico e lagnoso figlio del professor Kapesh, Kenny, quando definisce gli anni sessanta, quelli della rivoluzione sessuale, "un'esplosione di infantilismo", "una volgare, insensata regressione collettiva".

Forse il dovere, nella vita di un essere umano, non è soltanto un inutile orpello che ci impedisce di cercare la felicità personale, ma è qualcosa, invece, che può contribuire al suo raggiungimento.
La rivoluzione sessantottina si oppose, in nome della libertà, ai limiti e ai controlli. Ma conobbe, come riconosce Roth stesso, i suoi lati puerili e le sue banalità retoriche.

Soprattutto, come testimoniano le stesse vicende narrate nel romanzo, l'edonismo sfrenato della nostra epoca non sembra aver ridotto la fatica di vivere e l'infelicità sempre in agguato.

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