David Kapesh è un settantenne
professore di Practical Criticism, ma la sue passioni non sono
soltanto i libri, i quadri, la musica. È molto attratto dalla bellezza
femminile. In particolare da quella di giovani ragazze, sue ex allieve.
E il resoconto della sua vicenda erotico-sentimentale con una di
queste, la statuaria e bellissima cubana Consuela Castillo, costituisce
il nucleo dell'ultimo romanzo di Philip Roth.
Come Moravia, Roth riconosce nel sesso la chiave per indagare
la condizione umana, l'esistenza, lo specifico di una società
storicamente determinata. Fa dire infatti a pagina 26 al professor
Kapesh:
"Per quante cose tu sappia, per quante cose tu pensi, per quanto
tu ordisca e trami e architetti, non sei mai al di sopra del
sesso".
Naturalmente nel romanzo di Roth c'è dell'altro, oltre alla
vitalità umana e sessuale dei personaggi. Ci mostra come sono cambiate
le donne negli ultimi decenni; c'è la vecchiaia incombente, con gli
organi un tempo silenti, che cominciano a parlare... di dolore, di malattie.
C'è la morte, che si porta via gli amici, che può, come nel caso di
Consuela, minacciare la vita dei più giovani. Ci sono i contrasti
generazionali, le famiglie che si sfasciano, le crisi della maturità.
Ci sono molti riferimenti letterari e artistici, che a un lettore di
bocca buona come me fanno sempre piacere: Kafka, Byron, Picasso, Mozart,
Shakespeare, Conrad, Hawthorne.
Come in tutti i suoi libri, Roth è in grado di gettare nuova luce
sui nostri conformismi, sui nostri costrutti personali, sulle nostre
sclerotizzazioni. Sa farci veder le cose da un'angolazione diversa, in
modo più autentico e nuovo.
Forse con l'età, comincia un po' a infastidirmi il suo
pansessualismo, l'esaltazione del desiderio e di una libertà, che
assomiglia a volte alla licenza.
Legato a una vecchia concezione della letteratura come mezzo
privilegiato di trasmissione della saggezza, mi sono trovato, leggendo
il romanzo di Roth, ad essere quasi solidale coll'antipatico e lagnoso
figlio del professor Kapesh, Kenny, quando definisce gli anni sessanta, quelli
della rivoluzione sessuale, "un'esplosione di infantilismo",
"una volgare, insensata regressione collettiva".
Forse il dovere, nella vita di un essere umano, non è soltanto un
inutile orpello che ci impedisce di cercare la felicità personale, ma
è qualcosa, invece, che può contribuire al suo raggiungimento.
La rivoluzione sessantottina si oppose, in nome della libertà, ai
limiti e ai controlli. Ma conobbe, come riconosce Roth stesso, i suoi
lati puerili e le sue banalità retoriche.
Soprattutto, come testimoniano le stesse vicende narrate nel romanzo,
l'edonismo sfrenato della nostra epoca non sembra aver ridotto la fatica di vivere e
l'infelicità sempre in agguato.
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