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Giuseppe
Bonghi
Introduzione
alle
ODI CIVILI
di
Alessandro Manzoni
Il Cinque Maggio
Introduzione
L’ode
è stata scritta da Manzoni in soli tre giorni (17-19 luglio 1821)
subito dopo la notizia della morte di Napoleone, giunta a Milano il
16 luglio, che doveva provocare nel Poeta una notevole impressione
che creò quello sgomento che sempre coglie gli uomini quando
muoiono i Grandi che sembrabo indistruttibili, una certa commozione
che nel Manzoni si traduce nella meditazione sulla vita e sulla
morte, sulla fragile transitorietà delle glorie umane e terrene,
sulla dolorosità della solitudine acuita dal ricordo delle
grandezze passate e dall’ansietà di un desiderio, talvolta
potente, di un aiuto che non arriva (Napoleone che scruta
l’orizzonte lontano sul mare), e infine la pacificazione nella
Benefica Fede, con una preghiera "a speredere ogni ria
parola" superando la condizione umana contingente nell’attesa
di raggiungere il premio / che i desideri avanza.
Possiamo dividere l’ode manzoniana, composta da 18 sestine per
complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche,
comprendenti ciascuna 9 sestine:
-
la
prima fino al verso 54, dominata dalla presenza dell’uomo di
fronte a se stesso, alla sua storia terrena, alla sua gloria
umana, al premio / ch’e follia sperar; domina Napoleone
e la sua storia, per il quale Manzoni non si era prodigato in
elogi negli anni in cui dominò l’Europa, e non aveva neanche
pensato un codardo oltraggio quando il destino
dell’uomo era ormai segnato solo dalla sconfitta; di fronte
alla morte di Napoleone il Poeta e la terra tutta restano muti
nella meraviglia un po’ dolorosa di una morte
"incredibile".
-
la
seconda dal v. 55 alla fine, dominata dall’incontro tra
l’uomo e Dio, la benefica / Fede ai trionfi avvezza,
che sola può dare quel premio / che i desideri avanza, /
dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò. I verbi
al passato remoto in questa seconda parte sono soltanto sei, le
tre coppie sparve/chiuse, imprese/stette, ripensò/disperò ed
esprimono una escalation verso una condizione di disperazione e
di solitudine assoluta che può essere risolta solo attraverso
l’intervento di una Forza esterna all’uomo. Per questo,
finita l’escalation verso la disperazione, si impone una
presenza diversa.
Entrambe
cominciano con la realtà presente della morte di Napoleone (Ei
fu al v. 1, E sparve al v. 55), di un Napoleone che è
solo uno dei due centri costitutivi dell’ode (l’altro è Dio).
Ciò che colpisce l’immaginazione e la spiritualità del Manzoni
non è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra
il Settecento e l’Ottocento, o la storiadei fatto o delle idee di
quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti nell’isola
di Sant’Elena, e la possibilità di un profondo pentimento
maturato nella meditazione sulla sua vita passato e di un
affidamento alla pietà di Dio all’avvicinarsi della fine dei
propri giorni.
Il poeta rimane muto ripensando
agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato aveva voluto
arbitro della storia e di tanti destini umani, di un uomo che si era
posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini dei popoli e che
racchiuse in sé le aspettative di un’epoca; e allora non può che
ripensare a quando potrà esistere nuovamente un uomo altrettanto
decisivi per i destini umani, che, calpestando la sanguinosa polvere
del mondo e della vita, lascerà nella storia un’orma altrettanto
grande.
E quegli ultimi attimi sono fusi
nell’ansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine e dal peso
delle memorie e delle immagini che si affollano nella memoria; e da
quel naufragio lo salverà solo la benefica Fede nel Dio che
atterra e suscita / che affanna e che consola.
Marzo 1821
Introduzione
L’ode
fu scritta da Manzoni in occasione dei moti carbonari piemontesi del
1821, quando l’atteggiamento riformistico e liberale del giovane
Carlo Alberto, erede al trono piemontese e Reggente in attesa
dell’arrivo del Re Carlo Felice di Savoia, che sembrava stesse per
varcare il Ticino ed entrare con le armi in Lombardia per aiutare i
patrioti a liberare il Lombardo-Veneto dall’oppressivo dominio
austriaco, aveva acceso le speranze dei liberali e di coloro che
aspiravano all’unificazione dei vari stati italiani sotto
un’unica bandiera. Ma le speranze vennero ben presto vanificate
sia dall’intervento di Carlo Felice che della polizia austriaca,
che procedette a una dura repressione nella quale furono coinvolti,
tra gli altri, Silvio Pellico e Federico Confalonieri.
L’entusiasmo di quei giorni
venne quindi subito stroncato dagli eventi, ma l’ode rispecchiò
profondamente uno spirito che non verrà mai soffocato e che ha
rappresentato uno degli elementi politici e culturali fondamentali
dell’Ottocento, elemento che, dopo circa trentanni di discussioni
e approfondimenti, che toccarono non solo le sfere della politica e
del diritto, ma anche quella della religione (pensiamo ad esempio al
Neoguefismo), a partire dal 1848 in poi, comincerà a trovare
una sua qualche realizzazione, non appena i sentimenti liberali si
diffonderanno nelle classi sociali medio-basse e diventeranno
popolari, non appartenenti più a una ristretta élite.
Nel timore di una perquisizione
della polizia, il Manzoni nascose o addirittura distrusse il
manoscritto dell’ode, ma qualche copia venne conservata da amici,
e fu pubblicata solo nel 1848, a cura del Governo provvisorio di
Milano, a seguito del successo delle Cinque Giornate che
facevano ben sperare in una felice conclusione della liberazione
dallo straniero, devolvendo i proventi ai patrioti.
Alla base dell’ode si trovano,
quindi motivi storici e politici e di esaltazione della libertà
dallo straniero insieme a una presenza di Dio, viva e puntuale nelle
vicende umane, una presenza che aiuta l’uomo a combattere non solo
per il personale riscatto dal peccato, ma anche in senso più
universale a combattere per il riscatto della patria dallo
straniero, portando gli uomini verso la creazione di un mondo in cui
ci sia veramente un maggiore rispetto dell’uomo per gli altri
uomini, superando la barriera dell’egoismo personale e
dell’interesse politico di una classe sociale che pensa solo e
innanzitutto a mantenere il proprio potere.
L’ode è un appello alla
libertà di tutti i popoli, che va al di là della polemica contro i
princìpi (soprattutto quello di legittimità) sanciti dal Congresso
di Vienna, princìpi che non tenevano conto delle nuove
aspirazioni dei popoli e della nuova situazione europea, venutasi a
creare sia con la Rivoluzione francese (sul piano ideologico
e politico) che con la Rivoluzione industriale (sul piano
economico); l’ode è un appello, infine, contro ogni forma di
violenza, ad abbandonare la via del male per seguire quella del
diritto dei popoli, rivolto proprio a quei popoli e a quei governi
che solo qualche anno prima l’avevano sbandierato per liberarsi
dall’oppressione napoleonica. Per questo diventa fondamentale un
concetto in questo appello: Dio protegge gli uomini oppressi, e come
aveva già protetto a suo tempo i Tedeschi (accomunati agli
Austriaci) così avrebbe protetto gli Italiani; ed è proprio il
concetto della protezione degli oppressi che troverà la sua
grandiosa e definitiva sistemazione ideologica ed artistica ne I
Promessi Sposi.
Il Poeta dedicò l’ode a Teodoro Koerner,
patriota e poeta romantico tedesco, autore di drammi e canti
patriottici contro l’oppressione napoleonica, morto combattendo
nel 1813 combattendo nella battaglia di Lipsia, secondo il Manzoni.
"In questa poesia il
Manzoni esprime il proprio ideale nazionale unitario, fondato
sull’unità di lingua, di religione, di tradizioni, di stirpe e di
aspirazioni, superando ogni forma politicamente gretta o vuotamente
rettorica dell’ideale patriottico e incentrandolo su
un’effettiva comunione di vita, materiale e spirituale, del
popolo, sancita da una tradizione nazionale (le memorie del
v. 32). Altrettanto importante &egreave l’ammonimento rivolto
agli stranieri che si sono serviti degli ideali nazionali per far
ribellare i popoli a Napoleone, ma subito dopo hanno sostituito la
loro oppressione a quella dell’imperatore francese. Qui c’è
un’altissima e nobile protesta contro la bassa politica della
violenza e dell’intrigo, totalmente opposta al messaggio
cristiano. È la voce di un cattolico liberale, che esorta gli
italiani a insorgere contro l’oppressione in nome di un Dio che è
amore ma anche giustizia. Il diritto alla libertà diviene così un
dovere, un momento della lotta per l’affermazione del del bene
contro il male; Il Manzoni, che nelle Tragedie esecra la
guerra, non esita qui a invocare il Dio degli eserciti, a incitare
gli Italiani a combattere in nome della giustizia. (Pazzaglia)
http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/bios/bio048.htm
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