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Il
"Decameron"(cioè Libro delle dieci
giornate, titolo ricalcato su quello analogo di trattati medievali intorno
alla creazione del mondo, Exameron; forma tradizionale Decameróne) è una
raccolta di novelle di Giovanni Boccaccio. La stesura, pur se
anticipazioni si colgono nelle opere giovanili e qualche novella poté
essere già composta precedentemente, si può attribuire agli anni
1349-1351. Si compone di un proemio, di una introduzione e di cento
novelle divise in dieci "giornate", intercalate da dieci ballate
e collegate da una cornice narrativa. Il Boccaccio immagina che durante la
peste del 1348 si incontrino in Santa Maria Novella sette fanciulle e tre
giovani e decidano, per fuggire il contagio, di rifugiarsi in una villa
nei dintorni di Firenze. Qui, tra gli altri passatempi, risolvono di
narrare ogni giorno, sotto la direzione di un re o regina della giornata,
una novella ciascuno. Il primo e il nono giorno l’argomento delle
novelle è libero, gli altri giorni ci si deve attenere a un tema fissato
in precedenza dal re. I temi, in cui si è voluto vedere un disegno ideale
che dispone la materia secondo un ordinato svolgimento, si compongono in
un vasto affresco che coglie i più vari aspetti della vita umana, i casi
della fortuna, la conquista di beni desiderati, amori a triste o lieto
fine, affermazioni ottenute con prontezza d’ingegno, motti arguti,
inganni, beffe e burle, magnanime imprese cavalleresche. L’amplissima
varietà dei casi narrati, cui si unisce quella straordinariamente estesa
dei tipi umani che ne sono protagonisti, trova espressione in una
altrettanto notevole ricchezza di toni narrativi, di moduli stilistici e
scelte lessicali, e crea un mondo multiforme e diverso, ricondotto a unità
nell’esile ma salda architettura della "cornice". Essa assume
una sua precisa funzione e significato, determinando anche la disposizione
dell’autore verso la sua materia, che può coincidere con
l’atteggiamento dei dieci novellatori i quali - delineati come profili
esemplari di diverse condizioni sentimentali - partecipano tutti,
estraniati da ogni cura e preoccupazione quotidiana, di un’eccezionale
condizione di grazia, che permette una franca libertà e spregiudicatezza
di fronte alle più disparate esperienze umane, osservate con pacata
serenità e alta e cordiale comprensione. La larga partecipazione con cui
il Boccaccio contempla le vicende e i personaggi delle sue novelle lascia
così intravedere dietro di sé una prospettiva di vita raffinata e
intelligente, vagheggiata come traguardo ideale: in cui ben si riflettono
le aspirazioni e le tendenze della società borghese della seconda metà
del Trecento, che veniva assumendo le idealità e le norme di decoro e
gentilezza della civiltà cavalleresca e cortese, adattandole alla realtà
e alle esigenze della vita comunale e mercantile. Allo spirito di questa
società è legato anche quell’atteggiamento ottimistico e positivo che
esalta i valori terreni e mondani e induce a un’aperta fede nelle
capacità dell’uomo a dominare la realtà e se stesso, che la critica
odierna sottolinea nel Boccaccio, indicandola come base della sua ardita e
duttile accettazione delle vicende umane: così tutte le novelle - quelle
più strettamente congeniali e solidali ai suoi ideali e quelle più
estranee e lontane - trovano un proprio senso e valore profondo e si
compongono, filtrate dal vigile impegno letterario, in una scrittura
flessibile e vivace e insieme sostenuta e disciplinata secondo i modelli
della prosa d’arte latineggiante, nel variegato e realistico quadro di
un’epoca.
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