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Il giorno finiva, e l’oscurità faceva interrompere ai vivi in terra le loro fatiche; io solo mi preparavo a sostenere il travaglio fisico e morale (del viaggio), che la memoria, esatta nel trascrivere ciò che ha appreso, narrerà. Dante
non indulge mai in descrizioni di mero
colore: nella Divina Commedia la natura
è sempre ricca di dramma, di umana
tensione. Così nell'attacco di questo
canto, che prende rilievo dal contrasto
tra il destino di tutti, che è quello
di riposare dopo le fatiche della
giornata, e quello del Poeta, oppresso
dal peso della sua responsabilità,
insonne, travagliato dall'angoscia. O Muse, o mia forza intellettuale, soccorretemi; o memoria, che porti impressa in te la mia visione, qui apparirà il tuo valore. Io cominciai con queste parole: "Poeta, mia guida, guarda se le mie capacità sono sufficienti, prima di affidarmi all’arduo passaggio. (Nell’Eneide) tu narri che il padre di Silvio (cioè Enea, che generò Silvio da Lavinia), mentre era ancora in vita, andò nel mondo dei morti (immortale: perché in esso le anime hanno vita eterna), e fece ciò in carne e ossa. Ma, se Dio (l’avversario d’ogni male) fu con lui cortese, riflettendo sull’importanza dei risultati ( Roma, la sua storia, il suo impero) che avrebbero avuto in Enea la loro origine, e sulle sue qualità personali e sulla sua stirpe regale, Però,
se l'avversario d'ogni male: contro i
presupposti dell'esegesi tradizionale,
per i quali oggetto del giudizio
dell'uomo assennato è la cortesia usata
da Dio ad Enea, il Pagliaro sottolinea
"l'impossibilità, per così dire,
ideologica, di attribuire al Poeta della
cristianità medievale, che nella
teologia ha concentrato e trasfigurato
la pienezza e la purezza del suo amore
terreno, un atteggiamento irrispettoso o
per lo meno distratto, al punto da
fargli dire che un uomo di senno non può
obbiettare nulla contro il favore
dimostrato da Dio nei riguardi di
Enea..." Il giudizio dell'uomo
assennato verterebbe quindi sulla
persona di Enea, non sulla cortesia di
Dio. Quanto alla domanda affacciata da
alcuni interpreti, se cioè Dante
credeva alla discesa agli Inferi di Enea
(di cui Virgilio parla nell'Eneide,
canto VI, 237 sgg.) come a un evento
storicamente accertato, occorre
ricordare che per la mentalità
medievale il problema non si poneva in
questi termini: un fatto veniva
accettato come vero per il momento di
verità interiore che in esso appariva
contenuto. la cosa non appare ingiustificata a chi ragiona; poiché egli fu prescelto da Dio come capostipite della nobile Roma e del suo impero: Roma e il suo impero, se vogliamo essere esatti, furono costituiti da Dio per preparare il luogo sacro dove ha sede il pontefice, successore del grande Pietro. A causa di questa discesa ( nel regno dei morti), di cui (nel tuo poema) lo hai considerato degno, apprese fatti (il padre Anchise gli pronosticò il felice esito dei suoi travagli e la grandezza di Roma) che furono le premesse della sua vittoria (nella guerra contro i Latini e i loro alleati) e dell’autorità papale. L'apostrofe di Dante a Virgilio inizia sul tono di un ragionamento dimostrativo, "ma si trasforma via via in una commossa apoteosi di quella Roma ideale, latina e cristiana, che, per divina elezione, doveva essere luce di vita temporale e spirituale al genere umano" (Grabher). La seconda discesa nell’oltretomba è quella di San Paolo, l’eletto da Dio, il quale vi andò per trarne forza per la diffusione della fede cristiana, senza la quale la salvezza è impossibile. Vas d'elezione: il vaso della scelta, il recipiente colmo, per decisione divina, di grazia; nel Paradiso ( canto XXI, versi 127-128) Dante chiamerà San Paolo il gran vasello dello Spirito Santo. Il verso allude al rapimento mistico che San Paolo rivela di aver avuto, allorché "se nel suo corpo, o fuori del suo corpo..., lo sa Iddio, fu rapito fino al terzo cielo" (II Corinti XII. 2-4). Ma qual è il motivo per il quale io devo intraprendere questo viaggio? chi mi autorizza a farlo? Non sono né Enea né San Paolo: né io mi ritengo all’altezza del compito, né qualcun altro me ne ritiene degno.
Perciò, se, per quel che riguarda questo viaggio, m’induco ad acconsentire, temo che la mia venuta (nell’oltretomba) sia temeraria: sei saggio; sei in grado di comprendere meglio di quanto io non sia in grado di esprimermi. E nello stato d’animo di chi cessa di volere ciò che ha voluto prima e cambia intento per il sopraggiungere di nuovi pensieri, in modo da scostarsi dal proposito iniziale, venni a trovarmi io su quel buio pendio (e scesa nel frattempo la notte), perché portai a termine, col pensiero ( prevedendone tutti gli ostacoli e rendendomi conto della sua folle temerarietà), l’impresa cui mi ero accinto con tanta baldanza. Il paragone, volto a illustrare uno stato d'animo, senza avere l'ampiezza di risonanze della similitudine del naufrago del primo canto, è condotto con "energia nervosa ", cui "conferisce l'evidenza d'una scena drammatica lo scenario interposto, tal mi fec'io in quella oscura costa" (Momigliano). "Se ho capito bene il tuo discorso" rispose l’ombra di Virgilio, "il tuo animo è fiaccato dalla pusillanimità: Magnanimo: si contrappone alla viltate del verso 45: "Sempre lo magnanimo si magnifica in suo cuore, e così lo pusillanime, per contrario, sempre si tiene meno che non e" (Convivio I, XI, 18). essa molte volte ostacola l’uomo tanto da allontanarlo da un’impresa onorata, così come una ingannevole apparenza fa volgere indietro una bestia quando si adombra. Perché tu ti liberi da questo timore, ti esporrò il motivo per cui sono venuto (in tuo aiuto) e ciò che udii quando per la prima volta sentii pietà per il tuo stato. Mi trovavo (nel limbo) tra coloro che sono in una condizione intermedia tra i beati e i dannati al fuoco eterno, quando fui chiamato da una donna di tale bellezza e soffusa di tanta letizia, da essere indotto a pregarla di comandare. I critici hanno variamente insistito sugli aspetti che ricollegano l'apparizione di Beatrice a Virgilio in questo canto ai modi in cui la figura di Beatrice è presentata nella Vita Nova, lo scritto giovanile con cui Dante ha celebrato le virtù della donna amata. Per il Sapegno tutta l'intonazione dell'episodio riflette quel "misticismo amoroso" che aveva trovato in Dante il suo più sicuro interprete, nell'ambito della scuola poetica del dolce stil novo. Il Momigliano nota anch'egli la "continuità ideale e artistica" fra la Vita Nova e la Commedia, rilevando in questo episodio maggiore maturità e sicurezza d'impianto rispetto agli scritti giovanili. La luce dei suoi occhi vinceva quella delle stelle; e cominciò a parlarmi dolcemente e pacatamente, con voce d’angelo: "O cortese anima mantovana, la cui fama dura ancora fra gli uomini, ed è destinata a durare tanto a lungo quanto durerà il mondo, colui che è amato da me, ma non dalla sorte, ha trovato tali ostacoli sul deserto pendio del colle, che si è già volto indietro per la paura; il mio timore è che egli si sia a tal punto nuovamente perduto (nel buio del peccato), da rendere ormai tardivo (e quindi inutile) il mio aiuto, per quel che di lui mi è stato riferito in cielo. Alcuni credono che con l'espressione l'amico mio Beatrice intenda accennare all'amore di Dante per lei, anziché a quello suo per Dante. Questa interpretazione concorderebbe con quella di un antico commentatore che insiste sul senso allegorico: ''molti amano Beatrice, cioè la dottrina delle cose divine, non per lei né per aver quella, ma per acquistarne fama e reputazione mondana e ricchezze e dignità, le quali cose son beni di fortuna" (Buti). Va dunque, e aiutalo sia con la tua eloquenza sia con tutto ciò che altrimenti occorra per la sua salvezza, in modo da rendermi contenta. Io, che ti invito ad andare, sono Beatrice; vengo dal cielo, dove desidero tornare; sono stata spinta (fin qui) da amore e amore ha ispirato le mie parole. Il
termine "amore", ha qui una
grande complessità di significati. Quando sarò davanti a Dio, spesso Gli parlerò degnamente di te." Allora tacque, e poi io cominciai: "O signora di virtù, per la quale virtù soltanto il genere umano è superiore ad ogni altro essere contenuto dal cielo (quello della Luna) che compie (nel suo moto di rotazione intorno alla terra) i giri più piccoli, Di quel ciel c'ha minor li cerchi sui: secondo il sistema tolemaico, nove cieli concentrici girano intorno alla terra, che viene quindi a trovarsi come contenuta in essi. Il più basso e quindi il più piccolo (e il più vicino alla terra) è il cielo della Luna. il tuo comando mi è così gradito, che, se anche avessi iniziato ad obbedirti, mi sembrerebbe pur sempre d’aver fatto tardi; più non occorre che tu mi manifesti: il tuo volere. Dimmi piuttosto il motivo per cui non temi di scendere qua in basso, nel centro dell’universo ( occupato appunto dall’inferno), dal luogo sconfinato (I’Empireo), dove bruci dal desiderio di ritornare." "Poiché vuoi penetrare tanto in profondità con la tua mente, ti dirò in breve perché non temo di scendere nell’inferno" mi rispose. Conviene temere soltanto quelle cose che possono arrecare danno; le altre no, poiché non sono temibili. Il
Boccaccio, riportandosi a un passo
dell'Etica di Aristotile, afferma:
"il non temer le cose che possono
nuocere... è atto di bestiale e di
temerario uomo; e così temere quelle
che nuocere non possono... è atto di
vilissimo uomo..." Dio mi creò, per sua grazia,tale che la vostra miseria di peccatori non mi tocca, né possono attaccarmi le fiamme infernali. In queste parole di Beatrice "non cè disprezzo per la miseria e l'incendio... che travaglia i dannati, ma il senso di una pace, di una felicità sicura, di un distacco ineffabile dal mondo e dalla materia... e nello stesso tempo il candore della creatura celestiale, trionfante con tanta semplicità e umiltà (Chimenz). Nel cielo una donna gentile (la Vergine) ha compassione per queste difficoltà verso le quali io ti mando (a liberare Dante), tanto da mitigare la severità della giustizia divina. Questa chiamò Lucia e disse: - Il tuo fedele ha ora bisogno di te, ed io a te lo raccomando -. Lucia: martire siracusana, protettrice della vista, simboleggia la Grazia illuminante; forse Dante le fu particolarmente devoto in seguito ad una malattia degli occhi di cui ebbe a soffrire (Convivio III, IX, 15-16). Lucia, nemica di ogni crudeltà, si mosse, e venne dove io sedevo insieme all’antica Rachele. Rachele: personaggio dell'Antico Testamento, nel Medioevo simboleggia la vita contemplativa ed è perciò posta accanto a Beatrice, simbolo della teologia. Parlò: - Beatrice, vera gloria di Dio (loda: lode, in quanto la sua perfezione torna a gloria di chi la creò), perché non aiuti chi tanto ti amò, colui che, per amor tuo, seppe elevarsi sulla turba dei mediocri? Beatrice, loda di Dio vera: il senso di questa espressione così concisa si chiarisce attraverso una pagina della Vita Nova, ove è scritto che la gente, dopo aver visto Beatrice, ringrazia il Signore per la perfezione delle sue creature |