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Il luogo in cui giungemmo per scendere lungo il dirupo
era scosceso e, per di più a
causa di ciò che in esso si trovava (il
Minotauro), tale, che ogni sguardo
lo avrebbe evitato.
Quale è la frana che
a valle di
Trento colpì in una delle sue
rive
l’Adige, o a causa di un
terremoto o per l’erosione del terreno
sottostante,
in modo che il pendio dalla
vetta della montagna, dalla quale la
frana si staccò, alla pianura è così
inclinato, da offrire una via di discesa
a chi si trovasse in alto,
Dante precisa le
forme del paesaggio infernale mediante
riferimenti a luoghi della terra. Questi
riferimenti sono, condotti a volte con
uno scrupolo che può apparire
scientifico, come qui, dove è indicato
non solo il risultato, di un fenomeno
(la particolare configurazione del
terreno: è sì la roccia discoscesa),
ma il
fenomeno stesso (la ruina che
percosse l'Adige) e le sue più
probabili cause (terremoto o erosione
del terreno). tale era la discesa di quel burrone; e nella parte superiore
della Costa franata
giaceva distesa la
vergogna, dei
Cretesi
che fu concepita nella finta vacca; e quando ci vide, morse se
stesso, come colui che è sopraffatto
internamente dall’ira.
Il Minotauro, che
per gli antichi era un uomo con la testa
di toro, ma che Dante, equivocando forse
un'espressione di Ovidio ("uomo per
metà bovino, bove per metà
umano"), immagina come toro con la
testa di uomo, è definito infamia in
quanto rappresenta la testimonianza
vivente del degradarsi dell'umano nel
bestiale. Sua madre Pasifae, moglie del
re di Creta Minosse, presa d'amore per
un toro, si fece rinchiudere in una
vacca dì legno. Nato che fu, il
Minotauro venne imprigionato in un luogo
da cui era impossibile uscire: il Labìrinto.
Nel Minotauro dantesco i richiami
mitologici si fondono con il realismo
della scena colta dal vivo. Il simbolo
(l'infamia) non resta confinato
nell'ambito del riferimento dotto (la
leggenda di Parsifae), ma acquista
concretezza, esprime una vitalìtà
disperata nella descrizione del mostro
che prima morde se stesso, poi, quando
l'ira è al culmine (versi 22-24),
saltella come il toro morente. Il mio saggio maestro gli si rivolse gridando: “ Pensi forse
di trovarti in presenza del signore
d’Atene, che sulla terra ti
diede la morte?
Allontanati, bestia: costui non giunge infatti guidato da tua
sorella, ma si reca
a vedere i vostri tormenti”.
Osserva
giustamente il Sapegno come le parole
che Virgilio rivolge al Minotauro,
mentre sembrano volerlo rassicurare, in
realtà, richiamandogli alla memoria la
sua cruenta uccisione e il tradimento
della sorellastra Arianna, figlia di
Minosse, ne accrescono l'ira e "la
portano a sfogarsi in gesti dissennati e
bestiali, sui quali facilmente. anche
questa volta, avrà il sopravvento
l'astuta ragione dell'uomo" Come fa il toro che si scioglie dai nodi che lo legano
nell’istante
in cui, mortalmente colpito, non
è più capace di camminare, ma barcolla
qua e là,
tale io vidi diventare il Minotauro; e il sagace Virgilio
gridò:
“ Corri al punto di discesa; è
bene che tu scenda, mentre è infuriato
”.
L'immagine del
toro colpito a morte è già in Seneca e
Virgilio. Questi autori, nel descrivere
l'uccisione dell'animale in occasione di
un sacriflcìo agli dei, sanno infondere
a tutta la scena un senso di nobile pietà.
In Dante il quadro sembra ritrarre
piuttosto la scena di un macello, e si
concretizza in una accentuazione dei
tratti più crudi e realistici. Come
Cerbero, il Minotauro è anch'esso
animalità allo stato puro, forza cieca
che l'umana ragione non può non
disprezzare e deridere. Così ci avviammo attraverso
l’ammasso di quelle pietre, che si
muovevano spesso sotto i miei piedi per
l’insolito peso.
Dante ravviva
sovente la narrazìone del suo viaggio
nell'al di là con osservazioni, come
questa, solo in apparenza
insignificanti; in realtà esse hanno
tutte la funzione di insistere sulla
singolarità della sua esperienza nel
mondo dei morti. Egli è il vivo, dotato
di consistenza e peso, nel regno degli
spettri, egli ha il potere, come
osserverà in questo stesso canto il
centauro Chirone, di muovere ciò che
tocca. Questo motivo si ripresenterà
diverse volte nel corso del poema e darà
luogo, soprattutto nella seconda
cantica, a momenti di delicata poesia. Procedevo meditabondo; e Virgilio disse:
“Tu pensi forse a questa frana
custodita
da quella belva irosa che ora ho
reso inoffensiva.
Voglio dunque che tu sappia che la volta precedente, allorché
scesi nella parte inferiore
dell’inferno, questo pendio non era
ancora franato.
Ma, se non mi inganno, senza dubbio poco prima della venuta di colui che tolse a Satana il glorioso bottino del limbo, |